DICIOTTO
Rientrò a casa alle prime luci dell'alba.
Esausto.
Spossato.
In preda al principio di una crisi isterica.
Era certo che se avesse aperto bocca avrebbe rischiato di mettersi ad urlare senza mai smettere.
Florian.
Che fine aveva fatto Florian restava un mistero. Quella sera lo aveva accompagnato al MoonClan, poi gli si era allontanato, poi aveva litigato – in ordine: con Telsa, con Roberto, con John e di nuovo con Telsa.
Ma di Florian, nessuna traccia.
Era rincasato da solo, accompagnato da una deliziosa afa mattutina che gli aveva causato nuovi pensieri omicida e un'irritazione tale che – ne era assolutamente certo – si sarebbe presto tramutata in eruzione cutanea.
Entrò in camera da letto e trovò Reik profondamente addormentato, disteso su un fianco.
-E Ada?-
Strinse con forza un lembo del lenzuolo e si irrigidì, trattenendo la rabbia, impedendogli di esplodere e di svegliare il suo amore.
Si chinò un po' su di lui, inspirò il profumo della sua pelle e una strana commozione gli riempì il petto. Gli baciò la fronte e gli accarezzò i capelli, continuando a osservarlo dormire ancora un po'. Alla fine si decise di alzarsi dal letto solo per farsi una doccia, magari mangiare qualcosa, chiamare Florian – chiedergli che cazzo di fine avesse fatto – e dormire.
Troppa roba.
Premette due dita sulla fronte, sbuffando, mentre si dirigeva verso il bagno, Dovrei iniziare a segnarmi tutto in agenda per non dimenticare niente.
Uscì dalla doccia e avvolse un asciugamo intorno al corpo.
Sentiva caldo. Si sentiva bollente.
Forse lo stress gli aveva causato un po' di febbre?
Rivolse lo sguardo allo specchio posto sopra il lavandino: appannato.
Vero, si era lavato con acqua bollente. Imprecò tra sé e sé.
Forse aveva ragione John. Stava cominciando a perdere colpi pure tra una manciata di secondi e l'altra.
Forse era davvero arrivato il momento di mandare tutti a quel paese per un po', mangiare, dormire, fare sesso. Mangiare, dormire, fare sesso.
Almeno per un mese intero.
Era certo che, se avesse potuto mettere il suo piano in pratica, ne sarebbe uscito rinato, come una fenice.
Fenice.
Aggrottò la fronte e si diede ancora una volta dello stupido.
Fenice. Ricamata in forma stilizzata su uno sfondo oro pentagonale. Come il simbolo che contraddistingueva i membri dell'Associazione. Prima di loro, forse, le fenici avevano posseduto dei significati positivi, ma dopo di loro – che esistevano, erano il virus più letale che infestava la loro società – equipararsi a quel pennuto era da stupidi, idioti, masochisti. Gli erano venuti i brividi.
Se c'era qualcuno che detestava più di alcuni membri del Clan, di certo quello era tutto l'A.S.S.S. Tutti i suoi membri dalla mentalità deviata, dispotica e razzista. Un male che ancora serpeggiava tra la popolazione, nonostante la nuova Legge.
Sospirò e si aggrappò al bordo del lavabo, sentendosi tremare dalla punta delle dita fino alle spalle. Una tensione che proprio non riusciva a togliersi di dosso.
Era quasi certo che chi aveva fatto della baita nel bosco il proprio covo avesse a che fare con l'A.S.S.S: ne condivideva gli stessi folli principi.
Scrollò le spalle e passò una mano sopra la superficie dello specchio, raccogliendo un po' di condensa.
Intravide una sagoma.
Una sagoma alle proprie spalle.
Una figura nera, fumosa, che pareva si stesse piano piano concentrando in una forma umanoide.
Si sentì pietrificare.
Urlare? Scappare? Difendersi?
Non ebbe il tempo di decidersi che venne assalito alle spalle. Gli tapparono la bocca con una mano e gli circondarono il busto con un braccio.
-Non urlare che sennò svegli Reik-
Sgranò gli occhi e riflesso nello specchio, alle sue spalle, intento a immobilizzarlo, riconobbe Rudi.
Urlare?!
Avrebbe voluto prenderlo a pugni. Si liberò dalla sua presa e si girò verso di lui. -Cazzo, Rudi! Mi hai fatto prendere un colpo!-
Suo fratello ridacchiò e batté le mani davanti al viso.
Ora lo ammazzo.
-Volevo spaventarti! Farti uno scherzetto!-
Calmati. Rimane sempre il Tod del Clan. Al massimo riusciresti a sfiorarlo con un dito prima che ti polverizzi. Non ne vale la pena.
O sì?
-Ma ti pare normale?!-
-Sì! È stato divertente!-
-Divertente un cazzo!-
-Shh! Sennò svegli Reik- disse, abbassando la voce e nascondendo la bocca dietro le mani.
Abel roteò gli occhi e fece una smorfia. Uno normale. Un solo membro della propria famiglia che fosse normale. Uno su quattro. Non gli sembrava di chiedere troppo.
Recuperò una spazzola e prese a pettinarsi i capelli, per impegnare le mani e non rischiare di chiuderle intorno al collo sottile di Rudi. -Sei riuscito a sfuggire a Erich-
Rudi, dietro di lui, si fece cupo in viso e Abel rabbrividì.
Era lo sguardo dell'uomo, della Morte in persona. Nulla a che vedere con le stronzare da Peter Pan schizzato con cui era solito ingannare il mondo sul proprio conto.
Si sentì accarezzare una spalla con un dito e le braccia si ricoprono di brividi.
-Ti ha ferito-
Scrollò le spalle, liberandosi pure del suo tocco. -Non lui. Un altro dei tre. È solo una piccola slogatura. Mi fa poco male, forse mi verrà un livido. Per fortuna non mi ha rotto la spalla-
-Ti sta già spuntando un livido...- sibilò suo fratello e il suo sguardo, se possibile, si fece ancora più cupo.
Abel abbandonò la spazzola sul lavello e tornò a girarsi verso di lui. Gli prese il volto tra le mani e poggiò la fronte contro la sua. -Sto bene-
-Hai un livido-
-Rudi...-
-Chi è stato? Io non me ne sono accorto-
-Eri impegnato a non farti ammazzare da Erich-
-Chi è stato!- urlò e Abel si staccò subito da lui, spaventato.
-Non ha importanza chi è stato. Ti ho detto che mi passerà. Tu devi pensare a recuperare Erich...-
-C'è la polizia sulle sue tracce. Io non posso più fare nulla se gli umani si mettono in mezzo-
Saggio. Dannatamente saggio. Non come Saul che, umani in divisa in mezzo o meno, si sentiva sempre superiore a tutto e a tutti, compresa la legge, tutta la Federazione stessa. Come se fosse un dio inattaccabile e supremo. Rudi, nella sua follia bipolare, era persino più saggio di Saul.
-E non c'è bisogno neppure che vendichi il mio onore ferito, perché, ti assicuro, che non sono una damigella offesa- Rudi ridacchiò. -Tu, piuttosto, stai bene?- suo fratello si limitò ad annuire. -Ti ha ferito?-
Rudi gli si aggrappò di colpo come un koala al ramo, e iniziò a strusciare il profilo contro la pelle sottile del suo collo. Aveva ripreso a fare le fusa. Accostò le labbra a un suo orecchio e Abel si irrigidì. -Io sono la Morte. Mi nutro di sangue e paura-
Percepì la pelle bruciare sotto il suo fiato, ricoprirsi di brividi spinosi, il sangue ribollire nelle vene, il respiro venire meno.
Deglutì.
Serrò gli occhi, terrorizzato.
Quando li riaprì, Rudi non c'era più.
•
Gli era passata la fame – com'era prevedibile dopo che aveva quasi rischiato un infarto a causa di suo fratello. Nonostante tutto, stava sbocconcellonando un po' di frutta, senza neppure riuscire a percepirne il sapore sulla lingua.
Odiava Saul per aver fatto di Rudi il Tod del Clan – ed era soltanto una delle tante altre colpe imperdonabili, dal suo punto di vista, che gravavano sulla testa di suo padre.
-Mi nutro di sangue e paura-
Rabbrividì. Il gusto gli si guastò del tutto. Smise di mangiare.
E di Florian, ancora, nessuna notizia. Aveva provato a telefonargli, ma non aveva mai risposto. Doveva iniziare a preoccuparsi pure per lui?
Sospirò e percepì gli occhi pesanti, le palpebre che tremavano e si chiudevano da sole, la vista incerta.
Era esausto.
Da svenuto non credeva di poter essere utile a qualcuno, e Florian restava un vampiro, non uno sprovveduto qualsiasi.
Gideon.
Serrò gli occhi, tentando di scacciare le immagini orribili che gli affollarono la mente. Si augurava solo che il suo istinto da gentiluomo non lo avesse portato a voler rivendicare il suo onore di damigella ferita. Perché, a differenza di ciò che aveva detto a Rudi, Abel si sentiva molto damigella ferita – non solo nel fisico. E Florian gli leggeva dentro meglio di tutti, perciò doveva aver intuito tutto ciò, anche senza dirsi una parola.
Si diresse in camera da letto. Reik dormiva ancora ed erano già le cinque del mattino. Abel strisciò al suo fianco sul letto e, nel giro di pochi istanti, si addormentò.
•
Si girò da una parte e dall'altra. Il lenzuolo tirava sui fianchi. Il cuscino sembrava più duro del solito. Serrò di più gli occhi e strofinò una guancia contro il cuscino, gli diede un pugnetto, rendendosi conto che aveva una consistenza strana. Sbuffò e tornò a porsi a pancia in su e aprì piano gli occhi.
Il soffitto della sua camera da letto, con il lampadario a tre bracci che non gli apparteneva, ma che aveva trovato lì quando aveva preso in affitto l'appartamento. Si sentì accarezzare una guancia e girò il volto verso destra. Reik lo fissava con uno sguardo colmo di dolcezza, sorrideva. Si rese conto che poggiava la nuca sull'altro suo braccio e si mosse d'istinto, rannicchiandosi contro il suo petto.
Qualcuno gli accarezzò le spalle e solo dal tocco intuì che non si trattava di lui. Riconobbe la delicatezza delle dita, la morbidezza dei gesti. La gentilezza con cui si muoveva sulla sua pelle e seppe con certezza che si trattava di Florian prima ancora di vederlo.
Florian.
Si girò di colpo – rischiando di assestare una testata a Reik – finendo occhi negli occhi con quelli del vampiro.
Sembrava stanco. La pelle di Florian si era appesantita di sottili rughe intorno agli occhi e il suo sorriso pareva una pallida imitazione di quello che era stato fino al giorno prima.
Aggrottò la fronte. -Stai bene? Dove sei stato?-
Florian annuì. -Sto bene. Risento solo un po' della tua stanchezza e questo dovrebbe farti capire che hai bisogno di riposo-
Si sentì arrossire e si spinse contro Reik, muovendosi inconsciamente come se avesse voluto nascondersi. -Mi dispiace-
Florian si chinò sul suo viso e gli depose un soffice bacio sulle labbra. -Devi avere più cura di te-
Tornò ad aggrottare la fronte. -Dovresti farlo maggiormente presente alla polizia, ai criminali, alla mia famiglia, a Telsa, a Rudi... Io l'ho capito, eh. Loro, a quanto pare, ancora no-
Florian rise e lo stesso fece Reik contro le sue spalle, solletticandolo con il tocco delle proprie labbra.
Abel rabbrividì. Percepiva chiara una tensione squisita riempire l'aria, fatta di semplicità, di complicità. Di sentimenti sinceri e totalizzanti. In momenti come quello non aveva neppure più importanza che Florian fosse legato a lui in un modo di cui non disponeva la volontà. Lo guardava negli occhi, leggeva in lui tanta tenerezza e serenità. E Reik, così caldo, presente e vivo. Sarebbe stato bello se tutto fosse stato sempre a quel modo, immutabile. La vita gli sarebbe parsa di sicuro più bella, meno stancante.
Reik gli accarezzò il lobo dell'orecchio esposto con la lingua, per poi prenderlo tra le labbra, succhiando piano. Lo lasciò andare dopo pochi istanti e respirò sulla sua pelle umida, aumentando i brividi e i battiti del cuore che avevano preso a scuotere il suo corpo.
-Sempre così- mormorò e spense la mente.
Sarebbe stata una bella illusione di mezz'ora, un'ora? Non gli importava: era esattamente ciò di cui aveva bisogno.
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