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QUARANTA

Abel chiuse gli occhi.

Inspirò profondamente e alle narici gli giunsero odori nauseabondi, accompagnati da una buona dose di gelo. Si chiuse le narici con due dita e riaprì gli occhi. Non mutò granché e al buio assoluto si aggiunsero ombre grigie, che disegnavano i contorni incerti di cose e persone. Si accorse di trovarsi vicinissimo a un cassonetto dell'immondizia e trattenne l'ennesimo moto di nausea, espirando con estrema lentezza. La pelle gelida era ricoperta da un sottile velo di sudore che gli incollava i vestiti addosso, aumentando a dismisura il freddo che già percepiva. Il fiato si condensava in soffici nuvolette davanti al viso, appena visibili al buio, come inquietanti spettri che vibravano nell'oscurità.

Intuì che qualcuno si stava muovendo accanto a lui e si girò di scatto verso sinistra. Una mano di Gesche si strinse alla sua e Abel rilassò i muscoli delle spalle.

Era ancora arrabbiato – furioso – con lei. Lo aveva liquidato con due parole, vomitandogli addosso una verità che lo aveva devastato emotivamente. Non riusciva a credere di essere figlio biologico di Saul e Gesche, di essere nato umano, di essere stato bandito dal Clan da Mandus. Di aver vissuto nell'indigenza tutta la sua primissima infanzia perché diverso da loro. Non solo nel colore degli occhi – i suoi occhi azzurri, che sempre aveva detestato perché nessuno, all'interno della sua famiglia, ne aveva di eguali.
Era diverso perché umano.
Diverso.
Abbastanza da meritare la promessa di una vita di esilio e solitudine.

Possedeva radi ricordi della sua primissima infanzia e, in verità, la maggior parte avevano inizio dal giorno in cui un uomo gigante e spaventoso si era accartocciato su se stesso, sedendo sui talloni, sporgendosi verso di lui per raccoglierlo da terra, dove si trovava, rannicchiato e infreddolito, affamato e spaventato. Saul – l'uomo gigante e spaventoso – lo aveva accolto tra le sue braccia e da lì, da quel momento, Abel aveva anche iniziato a costruire ricordi che il suo stesso inconscio aveva desiderato conservare nel tempo.

Lasciò andare la mano di Gesche, scrollandosi malamente da lei. Fece un passo avanti, ma dovette fermarsi, ostacolato da Florian. E si sentiva stanco e ormai era certo che l'essere diventato la flebo umana del vampiro c'entrasse poco con il reale motivo della sua stanchezza.

-C'è Magda- sussurrò Rudi e indicò un punto verso l'angolo opposto.

La lamia doveva averli notati e scivolò di nuovo nell'oscurità, nascondendosi un secondo prima del passaggio di due uomini totalmente vestiti di nero. I due proseguirono imperterriti per la propria strada, senza notare le strane ombre che si annidiavano tra i vicoli del Kalmenhof.

Magda scivolò di nuovo sulla coda, fuori dal vicolo, torse il busto e artigliò la parete con i suoi lunghi artigli, iniziando ad arrampicarsi. Era inquietante osservarla muoversi nella sua forma originaria, con i capelli che le si muovevano intorno al corpo come se avessero vita propria; la coda, il petto e tutta la parte inferiore ricoperta di squame. Continuò a seguirla con lo sguardo, osservandola avanzare come se fosse priva di muscoli, con movimenti quasi fluidi, arrivando in cima alla torre e scomparendo dietro il parapetto. Si udì un sibilo metallico, poi il nulla.

Abel deglutì e seguì Florian fuori dal vicolo, stando attento a non lasciare mai la sua ombra. Accanto a sé Rudi camminava impettito, totalmente privo di paura. Sembrava convinto di potersi permettere ogni cosa, pure di avanzare con una torcia puntata addosso, certo che non avrebbe subito alcuna ripercussione. O forse era Abel a fantasticare sulla camminata sicura del fratello – fratello di sangue, fratello minore – e Rudi, in realtà, aveva paura tanto quanto lui.

Si bloccarono di colpo e Florian lo spinse con forza contro una parete, sporgendo il profilo oltre l'angolo.

-Dobbiamo raggiungere gli altri prima che sia troppo tardi- disse Gesche e li superò, ponendosi alla testa del gruppo.

-È pericoloso- disse Florian, trattenendola per un braccio. -Siamo in casa del nemico e siamo in svantaggio di numero-

-Compensiamo con la nostra natura-

Florian la lasciò andare. La luna doveva essere ormai sorta e blandi raggi iniziarono a illuminare tutto intorno a loro, schiarendo un po' il nero assoluto della struttura, delle strade, dei mezzi di trasporto sparsi qua e là.

E si trovarono faccia a faccia con un becchino che aveva appena girato l'angolo, sbucando nello stesso vicolo in cui si trovavano loro. Subito l'uomo portò una mano alla cintura, ma Rudi fu più veloce di lui e la sua mano destra era già mutata, diventando più grande, con l'ossatura che sporgeva sotto la pelle lattiginosa, e i suoi artigli avevano già reciso la carne del collo del becchino. Il sangue schizzò copioso dalla ferita, confondendosi con il nero degli abiti che indossava.

Rudi lo lasciò andare, il corpo cadde al suolo con un tonfo pieno e la sua mano tornò umana, ma intrisa di liquido rosso e viscido.

Abel trattenne un conato e si premette una mano sulla pancia. Distolse gli occhi dal cadavere e un istante dopo le sue orecchie rischiarono di venire perforate dal suono acuto e ripetitivo di una sirena.

Il Kalmenhof venne illuminato a giorno e decine di uomini e donne si riversarono fuori dagli edifici. Abel soppresse un urlo, mentre Florian lo afferrava da sotto le ascelle e lo attirava a sé, trascinandolo via da lì. Al sicuro, di nuovo in fondo al vicolo dal quale avevano tentato di uscire, Abel ebbe modo di accorgersi che tutti i membri dell'Associazione si stavano dirigendo in un punto preciso. Un paio di donne notarono il corpo al suolo. Una si chinò su di lui, scosse la testa e insieme all'altra riprese a correre nella stessa direzione di tutti gli altri.
Nel giro di pochi istanti lo spiazzale era di nuovo deserto, ma illuminato.

Rudi uscì per primo, seguito da Gesche. Florian lo strattonò per un braccio e anche loro due furono fuori dal vicolo. Il cuore gli balzò in gola e Abel si guardò attorno sgomento, terrorizzato dall'idea di trovarsi sotto tiro da qualcuno dell'A.S.S.S. rimasto indietro per sorvegliare quella parte della struttura.

Si morse un labbro e accelerò il passo, con i muscoli delle gambe che protestavano, urlavano di dolore, e le suole delle scarpe parevano incollarsi al manto, ostacolando ulteriormente il suo incidere. Rischiò di scivolare su del ghiaccio, ma Florian lo sostenne per un gomito e, quando sollevò lo sguardo, finì per trovarsi faccia a faccia con qualcosa di assolutamente inaudito.

Al centro di quello spiazzo si trovavano tre roghi, con fiamme furiose, crepitanti e immense che si innalzano come braccia imploranti, straziate dal dolore verso il cielo. C'erano membri dell'A.S.S.S. ovunque, come centinaia di puntini neri su uno sfondo appena un po' più chiaro, reso rossastro dal fuoco. E non erano soli. C'erano anche uomini e donne che non indossavano le divise dei becchini, lupi enormi e serpenti con busti di donne. Abel comprese immediatamente che no, non era finito in maniera inconsapevole all'inferno, e no, non si trattava di un qualche dipinto grottesco reso tanto vivido da sembrare vero. Perché era tutto vero e quelli che stavano lottando contro i becchini del cazzo erano la sua gente.

Si trovò di colpo solo, assolutamente ignaro di quello che avrebbe dovuto fare. Così spaventato da non riuscire a muoversi.

Gesche era corsa in direzione di un gruppo sulla sinistra, dove, tra gli altri, Abel riconobbe proprio Saul.

Fece un passo indietro e spostò lo sguardo a destra, dove Rudi aveva appena raggiunto Ada e Reik.

Florian giunse in tempo per aiutare Gideon a strappare Krista dalle fiamme. La vide tremare con violenza, mentre la lamia tornava in forma umana.

Venne colpito su un fianco e gemette di dolore.

-Schifosi mostri-

Abel si girò in direzione della voce, trovandosi a un palmo di naso da uno dei becchini. Lo aveva colpito con il calcio del fucile che teneva tra le mani e che adesso stava impugnando, puntandoglielo addosso. L'uomo aveva gli occhi di un colore chiaro che brillavano di ira e odio. Pareva che le fiamme che crepitavano al centro dello spiazzo fossero state assorbite in buona parte dalle sue iridi.
Non solo di un colore chiaro, ma azzurri. Esattamente come i suoi.

Abel aggrottò la fronte. I pensieri si erano fatti veloci, ma scoprì che le sue azioni potevano esserlo di più. Prima ancora che l'uomo premesse sul grilletto, lui era già scattato in avanti, aveva deviato la direzione dell'arma e spinto il suo aggressore. Preso alla sprovvista, l'uomo cadde all'indietro e subito Abel gli fu addosso, disarmandolo.

Poi non furono neppure ricordi, meno che mai pensieri.
Agì d'istinto, attingendo a un sapere che custodiva nel sangue, dentro di sé. Tutti gli addestramenti a cui aveva preso parte da bambino, lì dove aveva sviluppato un odio misto a venerazione nei confronti di Saul e dei suoi metodi educativi.

Quando tornò in sé, il suo aggressore era privo di sensi. Il fiato corto, le mani tremanti. Abel si tirò in piedi e incespicò nel nulla, riuscendo a stento a mantenere l'equilibrio. Altri due gli si fecero vicino, brandendo armi bianche, e iniziò a indietreggiare. Si udirono due colpi di arma da fuoco e Abel sussultò, tappandosi le orecchie.

Sono morto, penso, ma a cadere a terra privi di vita furono gli altri due. Lo afferrarono per le spalle, scrollandolo con violenza.

-Che cazzo ci fai qui?- urlò l'Ispettore Baker. Abel sgranò gli occhi e strinse un lembo del suo cappotto. -Sei sotto shock- disse con voce più pacata, ma lui scosse la testa, cercando di indicargli il tizio che aveva messo fuori gioco.

John parve non capire e Abel scivolò contro la parete alle proprie spalle. La sua attenzione venne catturata da Rudi, in forma animale, un lupo enorme, dal folto manto nero e gli occhi rossi, iniettati di sangue. Con un balzo lo vide sottomettere un gruppo di persone, mentre alle sue spalle, Ada, ancora in forma umana, si muoveva piano, gettandosi occhiate furtive intorno, avanzando in direzione di Reik, Florian e Roberto. La ragazza sollevò un braccio e iniziò a mutare, mentre, con grande sgomento, Abel si rendeva conto che sua sorella stava puntando alle spalle di Reik.

Si alzò di scatto, urlò, ci fu uno sparo.

Un dolore lancinante gli attraversò una spalla, ma non cadde solo perché una ragazza gli si parò davanti. Ebbe solo il tempo per riconoscere in lei Telsa e la licantropa lo spinse a terra, coprendolo con il suo stesso corpo, ponendolo fuori dalla traiettoria dei cecchini che avevano iniziato a sparare nel mucchio.

Abel urlò ancora, tentò di sgusciare da sotto di lei e tornò a cercare Ada e Reik tra il caos. Vide la sorella colpire il suo amante, pugnalandolo con i propri artigli alle spalle. Reik si inarcò e sbarrò gli occhi. Cadde al suolo senza un rumore, mentre Abel percepiva la gola bruciare, il cuore andare in mille pezzi.

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