DODICI
Abel uscì dal MoonClan arrabbiato e in lacrime. Gli sembrava assurdo che dentro di sé, emozioni così contrastanti, stessero facendo a pugno direttamente nel suo stomaco, mozzandogli il respiro e facendolo singhiozzare come una ragazzina.
Si sentiva confuso e impotente, ma la rabbia continuava a soverchiare ogni altra cosa.
No, non è neppure rabbia, finì per ammettere con se stesso.
Si fermò al centro del marciapiede e sollevò il volto verso il cielo. Si trovava poco distante da un lampione e la luce gli arrivava mitigata, ma era sufficiente affinché potesse vedere con chiarezza leggeri fiocchi di neve vorticare nell'aria. Un paio si poggiarono sul suo viso e Abel ricordò la carezza dolce di Magda. Sorrise triste, mentre le parole della donna e di Hauke si inseguivano nella sua mente.
La verità era che si sentiva deluso.
Deluso da Hauke. Aveva sempre saputo come ragionava Saul – di merda – e che parte di quella sua stessa visione delle cose e della vita fosse stata inculcata anche ad Hauke non era una novità, per lui. Non immaginava, però, che Hauke fosse così plagiato da Saul. O forse non era plagiato, forse Hauke quelle cose le pensava perché vi credeva, indipendentemente da come e da chi era stato cresciuto – era una possibilità che non ammetteva attenuanti, ma era pur sempre una possibilità da non poter ignorare.
Sospirò e si chiuse nel suo cappotto senza cerniera, osservando i propri passi affondare nelle neve candida e soffice che era caduta nelle ultime ore.
Eppure, in mezzo a Saul e Hauke c'era Mama Gesche e quest'ultima non gli aveva mai dato adito di temere che pure lei potesse condividere certe convinzioni malsane.
E c'era Magda che era una lamia e non condivideva le idee di Saul e Hauke – e di chissà quanti altri nel Clan.
Camminò senza meta per un po'. Le strade non erano molto affollate, faceva freddo, il cielo era cupo, privo di stelle, nevicava ed era sicuramente tardi. Passò di fianco al recinto di legno che delimitava la zona di un mercatino natalizio ormai chiuso e girò a sinistra. Le vie erano illuminate a giorno con luminarie di ogni tipo. Le vetrine dei negozi ospitavano alberi di Natale, decorazioni. Adorava il Natale, ma l'idea che vi fossero così vicini, che neanche se ne fosse accorto, con la mente piena di immagini orribili, le orecchie colme di parole agghiaccianti, gli fecero percepire quell'atmosfera quasi come se fosse sbagliata.
Qualcosa di grottesco, insensato.
Sospirò sentendosi sul procinto di trasformarsi in un battello a vapore, con il fiato che si condensava in impalpabili nuvolette bianche.
Il suo cellulare prese a squillare e un passante gli rivolse uno sguardo incerto.
-Gli spogliarelli sono finiti, per oggi- esclamò fulminandolo con lo sguardo e lo sconosciuto abbassò gli occhi sul marciapiede, continuando per la sua strada.
Forse dovrei cambiare suoneria, si disse e rispose alla chiamata.
-Sono l'Agente Wagner-
Abel si sentì mancare.
Ti prego, fa che non sia un'altra scena del crimine, implorò mentalmente, certo che non sarebbe stato in grado di sopportare un'altra visione di quel tipo.
-Tutto bene?- si sentì domandare e ciò bastò per stupirlo tanto da riscuoterlo dai propri pensieri.
-Ehm... sì- mentì e sperò di essere riuscito a dare alla propria voce un'inflessione sincera.
-Sicuro? Ti ho chiamato per questo. Mi sei sembrato abbastanza sconvolto quando sei andato via. Magari mi sbaglio, ma...-
-Ah-
-Sono stato indiscreto?-
Abel tornò a stringersi nel cappotto e riprese a camminare, premendosi il cellulare contro un orecchio. -No, è che non me l'aspettavo...-
-Temevi che ti stessi chiamando per altro?-
-Diciamo che per un attimo l'ho temuto-
-Ti avrebbe contattato Baker. Purtroppo spetta a lui gestire tutto, con tutti i pro e i contro della situazione-
-Capisco. Quindi mi hai chiamato solo per questo, solo per sapere se stavo bene?-
-Te l'ho detto, mi sei sembrato sconvolto-
-E io che credevo di essere affascinante-
L'agente rise. -Non ho detto neanche il contrario-
Abel si fermò di nuovo e sorrise.
-Ti stai facendo già corrompere-
Tremò e il suo sorriso si spense. Sicuramente era sbagliato sentirsi lusingato da uno pseudo-complimento estorto a un uomo che conosceva poco, che era il suo nemico e che lo aveva gettato all'interno di un casino di proporzioni epiche, al termine di una giornata come quella che si stava lasciando alle spalle.
Sbirciò l'ora sullo schermo del cellulare: le tre e mezza del mattino.
Che si era lasciato alle spalle.
Un nuovo giorno stava lentamente iniziando e già tremava all'idea di cosa avrebbe avuto in serbo per lui.
-Come mai sei sveglio a quest'ora?- chiese e riprese a camminare.
Fece una breve ricognizione del posto in cui si trovava, dopodiché iniziò a dirigersi verso casa. Tuttavia, l'idea di tornare nel suo appartamento – e quindi condividere ancora il proprio spazio con Saul – continuava a essergli indigesta.
-Non riuscivo a dormire- disse Reik. -Diciamo che è un periodo in cui dormo poco-
-Per via del tuo lavoro?-
L'agente prese qualche secondo per sé prima di rispondergli. -Soprattutto, sì. Penso di sì-
-Anch'io non dormo bene in questi giorni. Oggi ho fatto un incubo. Non lo ricordo bene, ma credo c'entrasse qualcosa con stamattina-
-Non ne dubito. Mi dispiace-
Non ne dubito – senza neanche aver avuto bisogno di aggiungere una virgola alle proprie scarne parole.
Mi dispiace – e il tono gli era sembrato davvero dispiaciuto.
-Ti stai facendo già corrompere-
Forse aveva ragione Hauke.
Sospirò e si fermò davanti il portone del palazzo in cui si trovava il suo appartamento. Non si era neppure reso conto di avere percorso tanta strada a piedi. Sollevò il viso verso l'alto. Non nevicava più, ma faceva più freddo. Rabbrividì e reclinò il capo di lato, verso il telefono, spingendolo di più contro l'orecchio.
-Se ti offrissi un caffè? Dici che con il caffè diventi più simpatico, magari riesco a strapparti un sorriso. Proviamo?-
Abel sgranò gli occhi e si morse la punta della lingua. -Quando?-
-Adesso? A casa mia. Hai sonno? Io non riesco a dormire-
E se fosse una trappola? Adesso accetto, lo raggiungo a casa sua e trovo tutta la Stazione di Polizia e l'A.S.S.S. pronti a torturarmi e farmi spiattellare ogni cosa sul Clan.
E se fosse un invito innocente?
-Ti stai facendo già corrompere-
Quelle parole stavano diventando una specie di martello pneumatico tra i suoi pensieri. E martellavano forte, tra tempie e fronte, con il rischio di aprirgli qualche buco nel cranio.
Abel scosse la testa e i capelli gli accarezzarono le guance e le spalle. Li percepì freddi e umidi. Avrebbe dovuto indossare un cappello. Forse avrebbe fatto meglio a salire di corsa a casa, farsi un bagno caldo e buttarsi sotto le coperte – senza dimenticarsi di litigare con Saul tra una cosa e l'altra.
-Allora, forse, sei meno lupo di quanto pensassi-
Infatti era umano. Nel senso più ampio del termine, e sentiva il bisogno di calore. Un calore che sapeva non avrebbe mai ottenuto limitandosi a un bagno e diventando un involtino di piumone e coperte.
-Abel- disse Reik e un brivido gli corse lungo la schiena. -Se non ti va, va bene lo stesso...-
-No- si affrettò a dire, interrompendolo. -Mi va- disse tutto d'un fiato. -Un caffè è sempre ben accetto- aggiunse, tentando di darsi un tono più leggero.
•
Okay, la cazzata l'hai fatta. Benissimo. Adesso sei qui.
Abel si sfregò le mani e percepì un lieve bruciore alle nocche.
Benissimo al quadrato, ti stanno venendo pure i geloni. Perché tutte le disgrazie devono sempre arrivare insieme, tipo pacchetto bonus a una vita già di merda di suo.
Sbuffò e pestò i piedi a terra. Sollevò di nuovo lo sguardo verso la porta e sulla targhetta di ottone sul quale era stato inciso: "R. Wagner".
Aggrottò la fronte.
L'agente aveva dovuto mandargli la propria posizione tramite messaggio affinché riuscisse a tornare nel suo appartamento di dubbio gusto.
Aveva preso un taxi. Aveva dovuto attendere quasi mezz'ora che qualcuno si svegliasse e corresse a prelevarlo. Aveva dovuto pagare una sovrattassa per il servizio notturno. Quasi trenta euro di corsa – che restavano sempre poca cosa rispetto a quanto aveva fatto spendere a Reik per sfamarlo. Tutto sommato gli sembrava un buon compromesso.
-Ti stai facendo già corrompere-
Batté di nuovo un piede a terra.
Suonare o non suonare?
Avrebbe fatto meglio a scappare. Via da lì a gambe levate.
Caffè o non caffè, immaginava già quello che sarebbe potuto succedere.
Due uomini. Di notte. Da soli. Uno con atteggiamenti poco fraintendibili – eleganti, sopraffini, sicuramente – invitato da un altro.
Al termine di una giornata di merda. Dopo una giornata di merda.
Non ci si vedeva proprio sparapanzato nel salotto di dubbio gusto dell'appartamento di Reik, a ingollare birra e ruttare, scambiandosi confidenze su esperienze sessuali passate.
No. Non era proprio nel suo stile.
E poi loro non erano amici: Reik lo aveva già messo in chiaro.
Gli aveva fatto un complimento, però. Magari più di uno, ma lui se li era persi tra visioni traumatiche e battute acide. O forse stava soltanto costruendo un castello di giustificazioni per quello che pensava sarebbe potuto succedere e che, alla fine, era possibile che neppure si sarebbe realizzato.
Di nuovo batté un piede contro il pavimento del corridoio su cui si affacciavano quattro porte.
R. Wagner.
Un poliziotto.
Un umano.
Un energumeno con gli occhi celesti.
Come ciliegina sulla torta, mancava soltanto che saltasse fuori che era pure l'ennesimo membro onorario dell'A.S.S.S.
Se Saul e Hauke sapessero che sono qui...
Suonò al campanello e il cuore gli balzò in gola.
Reik arrivò pochi istanti dopo. Aprì la porta prima che Abel fosse stato in grado di recuperare abbastanza prontezza di spirito per scappare da lì. Era rimasto piantato sulla soglia, invece, pietrificato.
Il poliziotto sorrise e si spinse gli occhiali sulla radice del naso. In pigiama e con i capelli scompigliati sembrava un energumeno meno antipatico.
-Ti stai facendo già corrompere-
Abel si sforzò di sorridergli e l'altro lo invitò a entrare in casa.
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