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capitolo Violet

Violet

Mentre osservo la tecnica usata per queste pennellate è come se mi sentissi osservata, mi volto verso la porta e non avrei mai e poi mai potuto immaginare di ritrovare, fra la piccola fessura tra la porta e il pilastro, lui.
Due occhi di ghiaccio, gelidi.
Sembra un predatore che scruta dal suo nascondiglio la sua preda preferita, studiandola, aspettando paziente il momento giusto per agire e colpire.
Solo quando si avvicina mi rendo davvero conto di non immaginarlo nel mio ufficio, mi rendo conto che sia reale.

"Tu cosa ci fai qui?"
Mi sorprendo quando Aiden, invece di rispondere, mi chiede cosa mi fa provare il quadro che stavo esaminando.

Ogni volta che ammiro un quadro perdo il senso del tempo e dello spazio.
Mi dimentico dei vari appuntamenti, dell'altro lavoro da fare, persino di essere in galleria.
Questo è un nuovo quadro acquistato da un pittore locale che ho fortemente proposto più e più volte al mio capo.
Per fortuna mi ha dato retta, anche se ho dovuto insistere per tre mesi, ma sono certa che abbia del potenziale e nell'ala dedicata alle nuove scoperte so già dove posizionarlo.

Amo quella zona della galleria, perché ritrovo uno stile fresco ma audace allo stesso tempo, incerto ma pieno di speranza.
Spero di riuscire ad avere la mia promozione proprio in riferimento a quella sala, sogno di gestirla da quando ho messo piede in questa famosa galleria.
Adoro andare alla ricerca di nuovi talenti.

Per caso mi rendo conto del suo sguardo su di me e non sul quadro mentre gli spiego ciò che l'artista vuole comunicare secondo me, in questo istante mi sento completamente esposta e non mi so spiegare il motivo.
Forse perché  nessuno mi ha mai guardato come fa lui, o semplicemente io non mi sono mai sentita così sotto lo sguardo di un uomo.

"Ora vuoi dirmi come mi hai trovata?"
L'esaltazione che mi abbia cercata, mi fa palpitare per un breve istante, trattengo il respiro mentre si avvicina, ma poi, quando specifica di essere qui per lavoro mi sento una vera stupida.

Un moto di stizza mi fa sentire caldo , mi volto di spalle e freneticamente raccolgo le fotografie delle borse da pubblicizzare sparse sulla mia scrivania.
Abbiamo accettato di permettere lo shooting solo perché potrebbe far una buona pubblicità alla galleria, non che ne abbia bisogno, ma non ne è mai troppa di questi tempi in cui la passione dell'arte sembra essere dimenticata in questo mondo fatto di social e apparenze.

Mi fa notare poco gentilmente il nostro ultimo incontro avvenuto pochi giorni fa e ricordare il bacio che ho dato a William, il nome l'ho scoperto solo dopo, mi stranisce, forse perché io non ho mai fatto gesti del genere.
Non mi esimio dal sottolineare che anche lui era in compagnia e sinceramente l'immagine della sua mano sul braccio di quella bella donna mi fa stringere forse un po' troppo la foto del quadro di Picasso.

Soli tre passi, ci divisono, ed ognuno di questi viene annullato, il pavimento scricchiola sotto il suo peso e contemporaneamente perdo ogni controllo delle mie emozioni.
Lo sento così vicino da immaginare il suo sapore, da desiderare le sue labbra, vorrei un contatto fra noi, ma resto nel limbo delle mie fantasie.

"È un modo carino di chiedermi se sono impegnato?"
La sua voce bassa e roca mi fa venire i brividi,  soffia sul mio collo scoperto e poi, ad un tratto, sfila la matita che sono solita portare fra i capelli per tenerli su'.
"Potrei farti la stessa domanda."
Temo possa trasparire nella mia voce la speranza che lui nutra interesse per me e non oso indagare a fondo con me stessa del perché io abbia alcuni desideri .
"Perché ti ritrovo ovunque?"
Trovo un po' di coraggio e mi volto, aggancio le sue iridi alle mie, giorno contro notte, luce verso buio, ghiaccio e fuoco.
Una battaglia che vince lui.

Trattengo il respiro frastornata dalle sensazioni che sento all'improvviso addosso correre sulla pelle, centimetro dopo centimetro, come se mi stesse toccando.
Dio, se mi sento così solo per una frase, solo per la sua vicinanza, solo per i suoi occhi a scrutarmi, non so come potrei sentirmi se davvero mi toccasse.
Non sono un'esperta di uomini, non ho esperienza in questo campo per fare paragoni, per quanto però sia una principiante so riconoscere bene le avance di un don Giovanni da strapazzo che vuole solo giocare.

"Me lo stavo chiedendo anche io, soprattutto mi chiedo perché mi piaccia così tanto questa cosa, ed ora che passeremo un po' di tempo forzatamente insieme, voglio scoprirlo."
Il suo è un sussurro ma risuona potente in ogni cellula del mio corpo che mi spinge a posare una mano sul suo petto.
La camicia nera sembra bruciare sotto al mio palmo.
Aiden vuole questo , giocare al gatto e al topo, un gioco di seduzione che porta ad una sola cosa.
Una notte di sesso e al mattino sgattaiolare via.

Ed io, cosa voglio?

Di certo non sono in attesa dell'amore, non credo nemmeno che esista, né voglio innamorarmi e avere il cuore spezzato, ho solo voglia di emozioni forti, di vivere finalmente.
Lui , pur non spiegandomi come, o perché, mi fa provare emozioni a cui non so dare una logica o un nome, ma di certo emozioni che voglio continuare a provare, che voglio scoprire.

"Vorresti che anche io avessi voglia di scoprirlo con te?"
Le mie dita scorrono su e giù lungo il suo petto, i suoi occhi seguono questo percorso e mi piace ciò che sento, ciò che percepisco in lui grazie a me.
Per la prima volta non mi sento la solita Violet, timida, discreta, anonima, e scopro che mi piace giocare con lui.

"Beh, non sarebbe male."
Quasi balbetta, troppo frastornato e sorpreso del mio comportamento.
"Mi dispiace, non mi interessa."
Sussurro sempre più vicina alle sue labbra.

Mi allontano da lui, a malavoglia, lo ammetto almeno a me stessa, una parte di me urla che sono una stupida, perché il rischio che lui vada via a cercare la bionda dell'altra sera, oppure  pensi che io non nutra nessun tipo di interesse, c'è.
Ma qualcosa mi dice che questo gioco sia  appena iniziato fra noi.

Faccio il giro della scrivania e indosso una maschera, l'indifferenza che vi è dipinta sopra potrebbe vincere un oscar.
"Ti porto a vedere i vari quadri che vi interessano, ho qui la lista."
Alzo la cartellina rossa appena presa dal cassetto della mia scrivania color legno chiaro.
Senza incrociare il suo sguardo  gli vado incontro e lo oltrepasso dirigendomi verso la porta dell'ufficio, non controllo se mi stia seguendo, so che è così.

I miei passi potrebbero sembrare sicuri, come il mio sedere che oscilla lentamente, o almeno è ciò che spero, non sono brava a sculettare.
Ma sento i suoi occhi su di me e mi fa impazzire questa sensazione di potere.
Senza che lui possa vederlo, sbottono i primi due bottoni sul seno del mio vestito, sperando di mettere in mostra qualcosa, ma non troppo, soprattutto non il reggiseno cosparso di cuoricini.
Arrivati davanti le scale opto invece per l'ascensore, restare chiusi in una scatola metallica di un metro quadro potrebbe essere allettante, quindi premo il bottoncino color oro che si illumina subito facendo sì che le porte  a specchio si aprano.
Lui, f aun cenno con la mano per farmi entrare per prima, il sorriso finto che fa è un po' inquietante a dirla tutta e uno strano presentiamo mi mette sull'attenti.
Non appena le porte metalliche si richiudono, siamo soli e vicini, molto vicini, non ho pensato che questo potesse ritorcermi contro.
Per premere il pulsante del piano terra il mio corpo si tende davanti il suo, ne approfitto e compio il gesto in modo lento, captando i suoi occhi sulla mia scollatura e tornata al mio posto non posso non sorridere.

"Caro fiorellino, non è il caso che tu ti metta a giocare con il sottoscritto, perderesti."
Sussurra fissando la nostra immagine distorta alla porte specchiate davanti a noi.
" Vuoi giocare a chi riesce a sedurre prima l'altro? Va bene. Ma dovrai fare più di sbottonare due bottoni."
Mi irrigidisco per la sorpresa e soprattutto la vergogna,non avrei dovuto sentirmi così sicura di me data la mia scarsa esperienza nelle arti seduttive.
" Io non so di cosa tu stia parlando."
Drizzo la schiena e non muovo un muscolo verso di lui, non ho neanche il coraggio di incrociare il suo sguardo attraverso le porte di questo maledetto ascensore che scende troppo lento.
Ridacchia quando finalmente siamo liberi di uscire da questo aggeggio e riacquistare un po' di distanza.

" Lo vedremo."

Chissà perché, sembrava tanto un avvertimento.

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