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• Non ti lascio andare via (parte seconda)

(...Continua)

Il vento mi sferzava sulla delicata pelle del mio viso e mi faceva ondeggiare i lunghi capelli dorati dietro la schiena, agitati nell'aria.

Ad ogni passo che facevo nella direzione in cui avevo lasciato la mia auto, quel mattino, sembrava sempre più paragonabile ad una lenta ed atroce tortura.

Strinsi i denti e cercai di non mollare proprio in quel momento, non quando ero così vicina dal raggiungere il mio obbiettivo e dal riprendere a fuggire da coloro che volevano obbligarmi a compiere un destino che io non avevo scelto.

Dovevo fare solo un altro piccolo sforzo e...

Girai l'angolo, superai altri studenti e, finalmente, mi ritrovai davanti la piccola e modesta auto rossa che mi ero potuta comprare posando come modella.

Senza perdere altro tempo, annullai la distanza che mi divideva da essa e, una volta arrivata proprio davanti alla portiera del guidatore, iniziai a cercare freneticamente le chiavi all'interno della mia borsa bianca, respirando con affanno e fatica. Sentivo il mio cuore battere ad una velocità sorprendente e, inaspettatamente, quello sembrava essere l'unico suono che riuscissi a sentire intorno a me.

Le voci, i rumori della città, il frusciare delle foglie e il canto dei passeri sembravano essere talmente tanto lontane e poco nitide che mi sembrarono inesistenti.

Al momento, l'unica cosa che era concesso sentire era il battito del mio organo vitale che scandiva, secondo dopo secondo, il tempo, facendomi capire che ne avevo davvero ben poco. Inoltre, come se tutto ciò non fosse abbastanza, la fretta di trovare quelle piccole chiavi mi stava facendo tremare come mai prima d'ora mi era accaduto.

Tuttavia, quando infilai le dita sotto un quaderno, riuscii a sentire il pelo morbido e soffice del mio peluche a forma di delfino. Mi lasciai sfuggire un flebile sorriso tremante quando lo afferrai e, insieme ad esso, tirai fuori anche le chiavi dell'auto, legate a quel grazioso portachiavi che avevo vinto ad una fiera in città.

Mi affrettai ad infilarle nella fessura della portiera ma, quando credetti di essere ad un passo dalla libertà, mi resi amaramente conto che non era così nel momento in cui udii la sua voce.

«Ti ho trovata» disse Ares alle mie spalle. Anche la sua voce mi parve affannosa.

Doveva aver corso molto più di me per potermi trovare in tempo ed evitare che perdesse le mie tracce.

Chiusi gli occhi di scatto, serrando forte le palpebre tra loro, e strinsi le mie mani a pugno, portandomi al petto le chiavi che mi avrebbero consentito la salvezza. Il mio cuore perse una lunga serie di battiti mentre la consapevolezza di non essere riuscita a scappare mi si insinuava sottopelle, facendomi sentire incredibilmente impotente e stupida per aver anche solo preso in considerazione l'idea che sarei riuscita a seminarlo.

Ero stata una sciocca e quella era stata una speranza a cui mi ero aggrappata con tutte le mie forze, nonostante si fosse rivelata vana e insensata.

Deglutendo a fatica, riaprii gli occhi e mi voltai nella sua direzione, evitando di prestare ulteriore attenzione al brivido - freddo e caldo allo stesso tempo - che mi stava danzando sulla pelle, facendomi scuotere persino l'anima celata all'interno del mio corpo quando incrociai il suo sguardo profondo ed incredibilmente incantatore.

I suoi capelli corvini erano ancora più scompigliati a causa del vento che li aveva rudemente accarezzati durante la corsa. Le sue labbra, piene, perfette e carnose, erano leggermente dischiuse per consentire all'aria di entrare e riempirgli i polmoni.

Proprio come la sottoscritta, anche Ares era preda dell'affanno e della stanchezza.

Quest'ultimo particolare lo dedussi dal fatto che aveva le ginocchia leggermente flesse e le sue mani le stavano stringendo.

Tuttavia, nonostante fosse leggermente sfiancato dalla corsa a cui lo avevo costretto a sottoporsi, Ares sembrava assolutamente irresistibile e affascinante ed io non ero completamente immune al suo fascino. Lo capii dal modo in cui, semplicemente instaurando un contatto visivo e incrociando i nostri sguardi, il mio cuore sembrava impazzire e lo sfarfallio nel mio ventre riprendesse a tormentarmi.

In ogni modo, cercando con tutte le mie forze di ignorare il modo in cui, ancora una volta il bel Dio della guerra mi faceva sentire, tirai fuori tutta la mia spavalderia, feci appello a tutto il mio coraggio, e dissi: «Lasciami andare».

Mi stupii a mia volta quando mi resi conto di aver detto quelle due semplicissime parole utilizzando un tono che non ammetteva repliche o un 'no'. In ogni caso, immaginai che fosse proprio quella la risposta che mi avrebbe riservato il mio interlocutore e non avrei potuto non esserne sorpresa.

Tirando un ultimo e profondo respiro, Ares, in tutta la sua gloria e bellezza, si tirò su, riacquistando una parvenza di normalità.

«Sai perfettamente che non posso farlo» replicò, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e guardandomi in un modo che mi fece sentire incandescente.

Mi sentivo talmente tanto calda da farmi credere che fosse il sole di mezzogiorno ad essere diventato notevolmente più rovente, aumentando, di conseguenza, la temperatura dell'ambiente.

Incrociai le braccia al petto, con aria di sfida. «Potresti, ma la realtà è che non vuoi.»

Il suo sorriso malizioso si allargò ulteriormente. «Mi piacerebbe lasciarti vivere la tua vita e farti tornare alla "normalità" che ti circonda, ma temo che non mi sentirei in pace con la mia coscienza se non portassi a termine la promessa fatta a mio fratello.»

La promessa.

Le divinità del mio Pantheon, per mia grande sfortuna - e sottolineavo grande - erano sempre stati concordi per quanto riguardava tale argomento e, in tutta la mia breve vita durata solo qualche secolo, avevo ben imparato che mantener fede ad una promessa fatta era una cosa importantissima per ognuno di noi.

Per questo motivo mi impegnavo sempre a non fare promesse che poi, inevitabilmente, mi sarei trovata a mantenere pur andando contro la mia volontà.

Stessa cosa era capitato a Zeus quando, per salvare la sua amata, ma perennemente cornificata, Hera dal trono al quale il Dio del fuoco l'aveva intrappolata, aveva dovuto giurare ad Efesto che sarei diventata sua moglie.

Ero stata nientedimeno che un baratto, un premio vinto alla lotteria, e sapevo perfettamente che, prima o poi, il Dio di tutti gli Dei greci mi avrebbe costretta a rispettare la promessa che lui aveva fatto al figlio della sua amata, sacrificando la mia libertà per il suo orgoglio e la sua moralità.

Aggrottai la fronte e sentii le mie sopracciglia scattare verso l'alto al suono di quella banale e poco credibile scusa. «Potresti sempre dirgli che non mi hai trovata.»

«Ma sarebbe una bugia.»

«A fin di bene.»

«Ma pur sempre una bugia ben poco credibile» ribatté lui, sprezzante e divertito, iniziando ad avanzare nella mia direzione.

Avrei voluto fare un passo indietro ad ogni movimento che lui compiva nella mia direzione, ma sarebbe stato stupido ed inutile dato che avevo l'auto dietro di me.

Dovevo provare assolutamente a dissuaderlo dal portare a termine il suo piano. «In tal caso, potresti lasciarmi fuggire e dirgli che è stato uno spiacevole incidente e che la sottoscritta è stata più furba del Dio della guerra» dissi, ancora una volta.

Lui, in tutta risposta, rise sonoramente al solo sentire pronunciare quel mio stupido tentativo di convincerlo a far qualcosa che vada contro la mortale degli Dei.

Il suono prodotto dalla sua risata profonda mi fece sentire... strana e non potevo fare a meno di giudicarla piacevole e armoniosa, proprio come la lenta e dolcissima musica prodotta da un pianoforte.

«Questo sarebbe ancora più ridicolo da fargli credere della prima idea che ti è venuta in mente» affermò lui, quando terminò di ridere di me e della mia idea.

Scossi il capo, ritornando alla realtà, e notai che lui era decisamente troppo vicino alla sottoscritta. Se chiudevo gli occhi, potevo tranquillamente percepire il potere che emanava toccarmi e accarezzarmi la pelle proprio come faceva il calore che emanava il suo corpo perfetto.

Non sopportando più la vicinanza dei nostri corpi ad un passo dal sfiorarsi, iniziai ad allontanarmi di lato, facendo piccoli ma rapidi passi alla mia destra.

Ares, ovviamente, mi seguì con lo sguardo ma non fece nulla al riguardo per fermarmi.

Ero sicura che lui fosse consapevole del fatto che, per quanto mi sarei allontanata, sarebbe comunque riuscito a riprendermi.

«Mi metterò ad urlare se non mi liberi della tua presenza...» tentai di giocarmi quella carta.

Lui inclinò il capo di lato. «E cosa penseresti di ottenere, così facendo?»

«In molti accorreranno qui per impedirti di fare un altro passo nella mia direzione e infastidirmi.»

Il suo sguardo divenne serio e, sul suo viso, calò una maschera di impassibilità e freddezza. «Sai cosa accadrà subito dopo se agirai così impulsivamente?»

Deglutii a fatica, facendo un altro passo alla mia destra. «Cosa intendi dire?»

Ares sospirò e mi guardò severamente. «Semplicemente che, se degli umani accorreranno fin qui solo per salvare la bella fanciulla dal ragazzo cattivo che vuole rapirla, io mi vedrò costretto ad ucciderli per togliermeli di dosso» disse con disinvoltura, come se l'idea di compiere un massacro non lo sfiorasse minimamente. «Sono un Dio, il Dio della guerra e l'incarnazione della violenza e brutalità, potrei farlo schioccando semplicemente le dita e le loro anime si ritroverebbero immediatamente negli Inferi, dando più lavoro ad Ade che dovrebbe prevedere al loro smistamento. Io non mi sentirei in colpa per la loro morte, ma tu, invece, sì e potresti non perdonartelo mai, con molta probabilità.»

Sorvolando sul fatto che lui avesse visto e compreso quella mia fragilità, non potei non dargli ragione. Se avessi chiesto aiuto e qualche essere umano sarebbe accorso fin lì solo per aiutarmi a scappare da lui, c'era un'alta probabilità che questi morissero per mano sua ed io non avrei potuto fare a meno di sentirmi in colpa per la loro dipartita.

Non lo avrei sopportato.

Dovevo trovare un altro modo per levarmelo di torno e l'unico era tentare nuovamente la fuga ed essere più veloce e scaltra di quanto lui potesse essere.

Portandomi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio, lo guardai mentre lui notava quel movimento della mia mano e lo fissava con ossessione.

Sembrava esserne affascinato e incantato.

Be', del resto facevo questo effetto a chiunque osasse incrociare il mio sguardo.

Approfittando di quel suo momento di debolezza e distrazione, dissi con voce tremante: «Allora non mi lasci altra scelta...».

Dopodiché, stringendo con forza il manico della mia borsa tra le mani, mi mossi rapidamente e ripresi a correre.

Feci qualche passo, ma non arrivai così lontano come avevo stupidamente sperato e, prima che potessi compiere quello successivo, Ares, con una velocità sorprendente, mi tagliò la strada, parandosi dinanzi a me. Andai a sbattere contro il suo petto e rimbalzai all'indietro e, incespicando tra la mia borsa crollata al suolo, persi l'equilibrio.

Preparandomi per la seconda volta nella stessa giornata all'impatto con il terreno, chiusi gli occhi rapidamente e cercai di stringere le labbra tra loro per non dover urlare quando avrei sentito riaffiorare il dolore.

Mi sarei fatta male... cavolo se mi sarei fatta davvero male.

Tuttavia, prima che potessi avere un incontro ravvicinato con il suolo sotto i miei piedi tremanti, mi sentii afferrare per un braccio e tirare su con forza, facendomi evitare l'impatto doloroso che avrei voluto cercare di evitare con le mie sole forze.

Il mio petto venne premuto contro qualcosa di incredibilmente duro, così tanto rigido da farmi credere fosse un muro, mentre un braccio mi circondava l'esile e snella vita.

Sapevo contro cosa - o, per meglio dire chi - fossi premuta e quel semplice sospetto bastò per farmi riaprire gli occhi di scatto.

Come avevo immaginato, mi ritrovai con le labbra a ben poca distanza dalle sue. Il suo viso era così dannatamente vicino al mio, ancora una volta, che sentii il mio corpo fondersi con il suo mentre qualcosa di insolito e inspiegabile iniziò ad agitarsi dentro di me facendomi sentire che non c'era nulla di più giusto, in quel momento.

Me, lui, le nostre labbra ad un soffio le une dalle altre, i nostri occhi incatenati gli uni a quelli dell'altra, il fiato corto e un istinto primordiale che si innescava con la semplice vicinanza l'uno dell'altro.

Dischiusi leggermente le labbra, spostando il mio sguardo per guardare le sue, mentre il cuore mi batteva senza sosta nel petto, arrivando a pulsare insistentemente contro la mia gabbia toracica quasi con l'intento di sfondarla e uscire fuori dal mio corpo.

Nonostante avessi la felpa bianca a coprirmi ogni centimetro di pelle sulle mie braccia, potevo chiaramente sentire il calore che emanava la sua mano stretta intorno al mio polso esile. Sembrava quasi che volesse scottarmi, bruciare a contatto con la mia pelle eccessivamente fredda a causa dell'ombra di quella zona dell'Università e della piacevole brezza di quel giorno di inizio Maggio.

Sentii dei brividi percorrermi ogni centimetro del mio corpo non appena alzai il capo e il mio sguardo entrò in collisione con il suo.

Il mio cervello era completamente in tilt e, per quanto cercassi di farlo funzionare, lui non rispondeva ai miei comandi, così come il mio corpo tremante al suo tocco e sotto il suo sguardo penetrante e voglioso di scavarmi dentro, arrivando a scoprire ciò che si nascondeva sotto la superficie.

Deglutii quando le sue labbra carnose e perfette si incurvarono in un meraviglioso sorriso malizioso, solo ed esclusivamente, rivolto alla sottoscritta. «Tutto bene?» domandò con quella voce che sembrava volersi incidere dentro la mia anima.

Dopo un lunghissimo periodo di silenzio in cui mi ero limitata a malapena a battere le palpebre - o forse no? - e a respirare a fatica, scossi il capo e guardai il punto in cui la sua mano stava ancora stringendo il mio polso.

No.

Nulla andava bene da quando mi aveva trovata in quell'aula.

Avrei voluto dirglielo, avrei voluto mettere ulteriore distanza tra me e lui per poter finalmente tornare a respirare.

Aria, mi mancava aria!

Feci un passo indietro, stordita, confusa e disorientata, e misi un po' di distanza tra me e lui, nonostante il Dio della guerra continuasse a tenermi stretto il polso per impedirmi di scappare. Tuttavia, nel preciso istante in cui rialzai lo sguardo sul suo viso, notai che era sfocato e che, man mano, tutto diventava sempre meno nitido, confuso.

Gli alberi sotto il quale ci trovavamo iniziarono a muoversi e a ruotare intorno a me.

Iniziai a sentirmi soffocare e sembrava che mi mancasse la terra sotto i piedi.

Rischiai di inciampare nuovamente ma Ares fu più veloce e mi afferrò al volo, prendendomi tra le sue braccia e facendomi premere la guancia sinistra contro il suo petto, duro e perfettamente scolpito proprio come l'avevo immaginato quando l'avevo visto pochi minuti prima.

Sentii il calore che il suo corpo emanava e il buon profumo di terra della sua pelle mi invase le narici.

Le voci intorno a me divennero confuse e le palpebre dei miei occhi iniziarono a farsi pesanti. Sembrando dei macigni e, in men che non si dica, non fui più in grado di tenerli sollevate.

Chiusi gli occhi, lasciandomi cadere nel buio ma, prima che questo mi accogliesse tra le sue gelide braccia, sentii Ares dire: «Perdonami, Urania, ma non posso lasciarti andar via».

La sua voce mi parve così tanto lontana che temetti di essermi immaginata quelle sue parole e, quando persi conoscenza, non sentii più nulla.

Qualunque cosa mi stesse accadendo intorno perse di importanza.

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