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• Lacrime amare (parte terza)

(...continua)

Arricciai il naso mentre stringevo con forza le mie mani in due pugni.

Una promessa: ecco cosa era bastato per vedere la mia "libertà" volar via con un soffio di vento.

Non volevo tornare all'Olimpo.

Non volevo tornare da Efesto.

Se ciò fosse accaduto, sarei stata costretta a sposarlo e questo non era ciò che volevo.

Tuttavia, nessuno era disposto ad ascoltare le mie suppliche o le mie preghiere, così come a nessuno importava ciò che io pensassi o volessi. In fin dei conti, se così non fosse stato, mi avrebbero chiesto se volessi convolare a nozze con il Dio del fuoco prima di concedermi a lui e di promettergli il mio corpo e un amore che in realtà non avrei mai saputo dargli.

Non lo amavo.

Non lo avrei mai amato, non come lui credeva di amare me.

Un bruciore improvviso agli occhi e un nodo fastidioso che mi serrava la gola preannunciarono l'arrivo di lacrime amare.

Strinsi ancora di più le mia mani a pugno, cercando di resistere a quell'impulso irresistibile e irrefrenabile, ma non ci riuscii e fu così che il paesaggio che stavo ammirando divenne sfocato e il mio viso iniziò ad inumidirsi man mano che quelle gocce salate mi solcavano il viso perfetto, finendo per bagnare anche il leggero copriletto rosso sul quale ero distesa.

Non volevo tutto questo.

No, non lo volevo.

Perché?

Perché mi stavano facendo questo?

Perché non capivano che ciò che il Fato aveva designato per me non combaciava affatto con ciò che io desideravo?

Volevo essere l'unica padrona della mia vita ma, fin quando sarei stata una Dea, tutto ciò non sarebbe mai potuto accadere.

In quel momento, in quel preciso istante della mia vita, desiderai essere davvero mortale e vulnerabile per poter avere almeno una scappatoia che mi liberasse da quel tormento.

Non mi era stato concesso nemmeno quello. Ero una Dea greca, immortale fino al midollo, e niente e nessuno poteva porre fine alla mia tragica vita.

Ero destinata a una vita eterna di amarezza e infelicità.

Maledii gli Dei.

Mi maledissi.

Maledii i poteri che possedevo e che mi avevano portato fino a quel punto.

Mi odiai, così come odiai loro per come influenzavano drasticamente la mia esistenza.

Desiderai essere la ragazza più ripugnante della Terra e possedere un dono diverso, uno che trasmettesse odio, anziché amore.

Sarebbe stato più facile.

"Già... Sarebbe stato più facile...", mi ripetei ancora una volta, amara.

Man mano che il tempo passava e che i secondi diventavano minuti, mi sentii sempre più sull'orlo del precipizio e pregai che qualcuno mi salvasse. Ma nessuno sarebbe stato disposto a farlo. Così piansi, piansi e piansi ancora e, quando credetti di non avere più lacrime da versare, continuai ugualmente a piangere con disperazione.

Odiavo la mia vita, odiavo quello che volevano costringermi a fare e odiavo me, persino.

Avrei voluto sparire, essere inghiottita dalla Terra e gettata nelle profondità più oscure di questa.

Io volevo...

Io...

Io...

Sprofondai il viso tra le coperte e continuai a piangere. In quel momento, in quel preciso istante, sentii la porta della mia camera aprirsi e chiudersi nuovamente. A quel rumore, seguì il suono prodotto da un paio di scarpe che toccavano il pavimento in marmo e che sembravano avvicinarsi sempre più al punto in cui mi trovavo io, distesa sul letto. Il materasso sul quale mi trovavo si mosse per un secondo peso e, prima ancora che potessi anche solo capire cosa stesse succedendo, il braccio sinistro e muscoloso di Ares mi circondò la vita, attirandomi a sé e premendo la mia schiena contro il suo petto duro e piatto. Sembrava essere stato scolpito da uno dei migliori scultori rinascimentali.

Un brivido, causato da quel contatto che non avevo previsto del suo corpo con il mio, mi percorse interamente la spina dorsale, facendomi fremere.

Ares doveva aver percepito quel movimento involontario del mio corpo. Tuttavia, stranamente, non disse niente, né io lo feci.

Rimanemmo in silenzio, nel più completo e totale silenzio, mentre i miei singhiozzi, sempre più difficili da udire, riempivano l'aria intorno a noi, divenuta improvvisamente calda e irrespirabile.

Per la prima volta, mi sentii così... indifesa, vulnerabile dinanzi a lui e mi chiesi il perché, in fin dei conti, non mi desse così fastidio ciò che lui stava facendo. Se un altro ragazzo avesse provato ad infilarsi nel mio letto e ad abbracciarmi, senza ombra di dubbio lo avrei spedito a calci fuori dalla mia stanza.

Eppure, con lui era diverso.

Lui era diverso.

Me lo sentivo fin dentro le viscere e, ogni volta che i nostri corpi si sfioravano anche solo per sbaglio ed eravamo nella medesima stanza, avvertivo energia, serenità, pace e... familiarità.

Stare con lui, in certi versi, significava essere me stessa senza dover fingere di essere chi non ero. Inoltre, Ares mi faceva sentire così dannatamente viva e sconsiderata che a volte mi ritrovavo a chiedermi il perché, solo e soltanto lui, fino ad ora, riusciva a farmi sentire così.

Il Dio della guerra sembrava creare un ciclone di emozioni forti e devastanti, puri e genuini, che non riuscivo a comprendere o a darvi un nome.

Cosa mi stava succedendo?

Cosa stava accadendo all'interno del mio cuore?

Io... Non lo sapevo e quasi avrei desiderato non saperlo mai.

Venirne a conoscenza significava dover accettare sentimenti ed emozioni che non mi erano concessi provare e che non avrebbero dovuto esistere. Per non considerare il fatto che, se avessi davvero iniziato ad innamorarmi di lui, avrei dovuto vivere il resto dell'eternità sapendo chi mi poteva rendere felice senza averlo al mio fianco, o, almeno, non come avrei voluto. Avrebbe significato conoscere l'amore ma non poterne assaporare i dolci frutti della passione giorno dopo giorno e ciò mi avrebbe ferita, portandomi a vivere un'esistenza orribile e infelice che non volevo dover vivere.

Il mio cuore si inclinò e sentii nuovamente un bruciore insopportabile all'altezza degli occhi e la gola si serrò, quasi impedendomi di respirare.

Altre lacrime amare scesero giù dai miei occhi chiari e gonfi, bagnandomi le guance.

«Io...» iniziai col dire, con voce rotta dal pianto e a malapena udibile, flebile quanto il suono prodotto da un respiro calmo e regolare. «Io non voglio sposare Efesto...»

Serrai le palpebre e lasciai che le gocce salate, sempre più copiose, venissero espulse.

Ares, al mio fianco, si irrigidì.

Le dita della sua mano sinistra, adagiata sul mio ventre piatto, iniziarono a muoversi e, spostando la stoffa leggera della maglietta azzurra e aderente, finirono col toccare direttamente la mia pelle, facendomi sussultare e bloccare il fiato in gola.

Le sue dita iniziarono a disegnare dei piccoli motivi circolari sulla parte della mia pancia situata poco sopra l'ombelico e una serie di brividi tornarono a scuotermi interamente il corpo e il mio essere, facendo accelerare i battiti del mio cuore ormai impazzito.

Anche il suo batteva con forza contro la sua gabbia toracica. Ne sentivo le pulsazioni e ciò mi fece sentire nuovamente quello sciame di farfalle nello stomaco, immaginando che fissi io la causa di quella reazione involontaria e incontrollabile del suo organo vitale.

Strinsi con più forza le palpebre tra loro, costringendomi a non pensare più a cose del genere. Non avrei dovuto mai più commettere quell'errore per non dovermi illudere e per non dovermi ferire con le mie stesse mani.

Ares, percependo il mio turbamento, mi avvicinò ancor di più a sé, mettendo sempre meno distanza tra noi.

I nostri corpi erano completamente uniti, fusi l'uno all'altro in un abbraccio senza tempo che desiderai potesse non finire mai. Non c'era un solo centimetro di distanza a dividerci e sembravamo essere un unico individuo che condivideva lo stesso cuore pulsante.

Per tutti gli Dei dell'Olimpo, avrei voluto con tutta me stessa che il tempo si fermasse e rimanesse congelato in eterno in quell'istante in cui, finalmente, il vuoto che avevo sentito crescere al centro del mio petto e che aveva tentato di risucchiarmi in esso veniva colmato dalla sua presenza e da tutto ciò che stavo provando malgrado non volessi.

Sentivo qualcosa di forte e primordiale dominare i miei sentimenti confusi e, per quanto cercassi di capire di che natura fosse, non riuscivo a dare un nome a ciò che lui mi stava suscitando, inconsapevole.

Rimanemmo in silenzio per tutto il tempo in quella stanza che ospitava entrambi e ciò che iniziavamo a fare crescere nei nostri cuori. L'unico suono udibile erano i miei singhiozzi e i nostri respiri corti, uniti al rumore assordante prodotto dai battiti dei nostri cuori.

Non si sentiva altro o, almeno, io non riuscivo a sentire altro se non le reazioni del suo corpo che erano lo specchio delle mie.

Man mano che il tempo passava e le lacrime diventavano sempre più scarse sul mio viso, la stanchezza e la spossatezza iniziavano a farsi largo in me, spingendomi a chiudere le palpebre pesanti.

Il mio respiro tornò ad essere regolare, così come i battiti cardiaci del mio cuore, e, poco alla volta, il rumore del mare e il calore piacevole emanato dal corpo del Dio della guerra al mio fianco mi cullarono, facendomi sprofondare in un sonno profondo dal quale avrei voluto non risvegliarmi mai più.

Non volevo affrontare il giorno seguente, così come avrei voluto non dover affrontare l'eternità che ancora mi spettava vivere. Tuttavia, la speranza che il futuro non mi riservasse solo dolore e sofferenza iniziò ad insinuarsi dentro di me, facendomi sfuggire un leggerissimo sorrisino.

Chiusi gli occhi. Mi era impossibile resistere al richiamo dell'oblio.

Ma, nell'istante prima che precedeva la mia resa alla stanchezza e la mia mancata lucidità, sentii Ares sussurrarmi qualcosa all'orecchio mentre continuava ad accarezzarmi il punto sensibile accanto all'ombelico, procurandomi brividi incontrollabili.

Le parole che mi rivolse furono dolci e gentili, ben poco adatte ad un Dio come lui che era portatore di morte, violenza e sofferenza. Eppure, mi ritrovai a sperare con tutta me stessa di non essermele immaginate e che queste fossero state reali, così come le pulsazioni accelerare del mio cuore.

"Vorrei poter ammirare solo il tuo sorriso, Urania. Odio dover assistere impotente alle tue lacrime."

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