• Afrodite o Urania? (parte seconda)
(...Continua...)
Di fronte a quell'unica parola che gli avevo rivolto come risposta, Ares rise di gusto, riempiendo con il suono melodioso della sua risata l'intero abitacolo dell'auto nel quale ci trovavamo.
Cercai di ignorare il calore improvviso che quel suo semplicemente gesto mi fece provare all'altezza del petto e cercai con lo sguardo qualunque cosa potesse aiutarmi a distarmi da quella melodia le cui note sembravano incidersi a fuoco dentro di me.
Guardai cosa vi era fuori dall'auto, analizzando ogni centimetro di vegetazione che circondava la strada che stavamo percorrendo a gran velocità. «Dove mi stai portando? Non conosco questa strada.»
Notando che mi ero arresa, per il momento, Ares mi lanciò un'altra occhiata fugace.
Non l'avevo visto farlo, tuttavia, l'avevo percepito.
Ogni volta che i suoi occhi si puntavano su di me, che lo stessi guardando o meno, avevo la convinzione che lo facesse.
Il suo sguardo era rovente e mi faceva sentire... strana.
Non sapevo esattamente come spiegare le sensazioni che provavo a causa sua e, in tutta onestà, non sapevo nemmeno se volessi davvero dare un nome a tutto ciò che mi suscitava la sua presenza, i suoi gesti, le sue parole o la sua risata.
Chiusi gli occhi di scatto, cercando di mantenere il controllo sul mio corpo che, improvvisamente, aveva iniziato a tremare al ricordo del suono della sua risata che era riaffiorato nella mia mente.
Dannata risata.
«Siamo sulla SP224 a poco meno di 79 km dal luogo al quale siamo diretti.»
Girai di scatto il capo nella sua direzione, guardandolo con occhi sgranati. «Sulla SP224?»
Ares continuò a guardare la strada dinanzi ai suoi occhi, ma un sorrisino sfrontato si fece largo sul suo viso. «Proprio così.»
Aprii la bocca, completamente anestetizzata e senza sapere esattamente cosa dire di fronte ad una simile circostanza.
Che cosa significava tutto questo?
Mi stava prendendo in giro?
Probabilmente sì.
«Non posso crederci...» farfugliai, in un flebile sussurro, ma, nonostante avessi pronunciato quelle tre parole sottovoce, il mio interlocutore riuscì ugualmente a sentirmi.
Dovevo ammettere che aveva un udito davvero ben sviluppato.
«Ti suona familiare questa strada provinciale?» domandò, ironico, con un sorriso sornione sul suo splendido viso dalla bellezza invidiabile.
Annuii, incredula e con gli occhi lucidi a causa di alcune lacrime che cercavo di trattenere a stento. Dopodiché, spostai ancora una volta lo sguardo da Ares alla strada davanti a noi e alla vegetazione incontaminata che la circondava e che sorpassavamo rapidamente di secondo in secondo.
Deglutii a fatica, sentendo la bocca e la gola completamente prosciugate della più piccola goccia di saliva, e dissi, ancora sotto shock: «Siamo diretti a Tirrenia».
«Esattamente» disse e, grazie a quell'unica parola, potei intuire che stava continuando a sorridere mentre dialogava con la sottoscritta.
Non potevo crederci.
No.
Non potevo affatto credere che ciò fosse la realtà.
Avevo sempre desiderato poterci andare per inebriarmi del profumo del mare e percorrere le spiagge a piedi nudi, immergendoli nell'acqua fredda e salata di esso mentre i caldi raggi del sole mi riscaldavano il corpo. Per mia sfortuna, a causa degli impegni con l'accademia delle belle Arti e gli orari di lezione, non mi era mai stato concesso allontanarmi da Firenze ed ora, grazie al tenebroso e vendicativo Dio della guerra, il mio desiderio stava per realizzarsi.
Era più che normale e logica la mia reazione di stupore e sbigottimento.
Non potei fare a meno di pensare che ci fosse sotto una fregatura.
«Perché?» chiesi, di getto, tornando a guardare nella direzione del Dio della guerra del Pantheon delle divinità greche.
Ares aggrottò la fronte. «Cosa "perché"?»
Davvero me lo stava chiedendo?
«Perché mi stai portando in uno dei luoghi più belli e famosi di tutta Italia per le sue spiagge?» domandai, questa volta specificando esattamente a cosa mi stessi riferendo con quella domanda.
Lui scrollò le spalle. «Avevo voglia di andarci.»
In tutta onestà, faticavo a credere che fosse semplicemente quello il motivo per cui mi stesse conducendo in un luogo del genere. Anche se, non credevo che lui sapesse di quanto io amassi il mare e quanto esso mi facesse felice.
«Non credo sia effettivamente così» ribattei, fissandolo.
Ares inclinò il capo di lato. «Che vuoi dire?»
«Hai tanta fretta di portare a termine il compito che Efesto ti ha affidato e di tener fede al giuramento che gli hai fatto, eppure, in questo preciso momento, siamo su una strada provinciale diretti a Tirrenia, un luogo incantevole circondato dal mare» ci tenni a sottolineare. «Perché?»
Era chiaro che lui conoscesse le mie origini, ma dubitavo conoscesse il profondo ed indissolubile legame che mi teneva ancorata al mare e alle sue onde.
Tuttavia, non potevo davvero dare per scontato che così non fosse. In fin dei conti, si era rivelato conoscere molto più di me in meno di una sola giornata. Persino io, a volte, dubitavo di conoscere me stessa. Per lui, invece, sembravo in libro aperto e tutto ciò mi infastidiva parecchio e, allo stesso tempo, mi faceva sentire... Capita e stranamente eccitata.
Sembravo pazza anche solo a pensarlo.
«Ci deve per forza essere un perché?» domandò con un tono di voce pacato, con ancora la fronte aggrottata.
Il mio sopracciglio sinistro scattò verso l'alto. «Sì» ribattei rapidamente e senza mostrarmi dubbiosa al riguardo. «Qual'è il tuo secondo fine?» chiesi, acida. «Pensavo mi avresti portata immediatamente in Grecia non appena le nostre strade si fossero incrociate. Inoltre, tu stesso mi hai fatto presente poco fa che non sopporti la mia presenza e, nonostante questo, eccoci qui, a meno di mezz'ora d'auto diretti ad una città molto vicina a Firenze. Dunque, se permetti, è logico il mio scetticismo.»
Lui tamburellò le dita sul volante, di nuovo ed io non potei fare a meno di guardarle con ossessione. C'era qualcosa nelle sue dita che mi attirava particolarmente. Dovevo essere diventata pazza. Non c'erano altre spiegazioni che giustificassero quel mio modo di fissarlo insistentemente. «Consideralo un gesto cordiale da parte mia e un modo come un altro per instaurare una tregua tra noi.»
Spostai lo sguardo dalle sue dita al suo viso. «Tregua tra noi?» ripetei, incredula che lo avesse davvero pensato e avesse osato fare un gesto cordiale per la sottoscritta.
«Volevo farmi perdonare.»
Questo non me lo aspettavo, dovevo essere sincera. «Per quale delle tante cose che hai commesso in meno di mezza giornata che ci conosciamo?»
Gli vidi affiorare un sorriso divertito sulle labbra. «Effettivamente ne ho molte di azioni da farmi perdonare.»
Attesi che continuasse con il suo discorso, ma quando notai che il silenzio iniziava a regnare sovrano in quell'abitacolo e a farsi denso, pesante, fino a farmi venire il sospetto che da un momento all'altro sarebbe diventato una presenza a sé stante, lo incitai a continuare, dicendo: «E...?».
Ares guardò il specchietto retrovisore mentre un'auto ci sorpassava a gran velocità e lui si infilava nella corsia di sorpasso. «E niente» continuò a dire, lanciandomi una rapida occhiata. «Volevo scusarmi per averti fatto perdere i sensi e averti "rapita" seguendo il modello storico e famoso di Ade.»
Ancora una volta, Ares mi aveva sorpresa con le sue affermazioni.
Strabuzzai gli occhi. «Non posso crederci che stiamo davvero parlando del ratto di Persefone.»
Il suo sorriso si allargò. «Be', le dinamiche non sono state poi così diverse. Certo, nella nostra versione manca il carro, ma in compenso, abbiamo una Mercedes nuova di zecca sul quale viaggiare.»
«Mercedes?»
Questa volta fu lui a corrucciare la fronte. «Credevi che mi sarei accontentato di una Smart per spostarmi di città in città?»
Effettivamente, non riuscivo ad immaginarmi lui, un ragazzo alto forse più di due metri, intento a guidare una comune e banale Smart.
Sorrisi involontariamente immaginando a scena e non potei fare a meno di considerarla esilarante.
«Beccata» esordì lui, distogliendomi dai miei pensieri che, ancora una volta, riguardavano la sua persona.
Mi voltai a guardarlo. «Cosa?»
Il suo sorriso era raggiante e mi provocò un fremito lungo tutta la spina dorsale. «Ti ho beccata a sorridere a causa mia.»
Mi morsi il labbro inferiore con i denti e mi sentii le guance andare leggermente in fiamme. Bruciavano. «E quindi?»
Ares mi lanciò un'altra occhiata fugace, mantenendo costantemente le sue labbra incurvate verso l'alto. «Permettimi di godere di questo momento più unico che raro, senza che tu menta al riguardo per non darmi la soddisfazione di credermi artefice di un così meraviglioso sorriso.»
Sentii il mio cuore fare una serie di capriole in risposta alle sue parole.
Mi morsi con più forza il labbro inferiore e spostai lo sguardo, concentrandomi ancora una volta sulla strada che stavamo percorrendo per non dover affrontare il turbinio di sensazioni che mi sentivo nascere nel petto.
«Va bene, te lo concedo»
«Generoso da parte tua.»
«Sono sempre stata molto altruista» dissi, infine, ponendo una volta per tutte fine a quella conversazione.
Gli alberi, verdi ed illuminati dalla calda luce del sole che stava tramontando, ondeggiavano lievemente a causa del vento e, man mano che gli oltrepassavamo ad alta velocità con la Mercedes, diventavano una macchia sbiadita.
Le ruote dell'auto sfrecciavano sull'asfalto e divoravano ogni centimetro di distanza che ci divideva dal giungere alla nostra destinazione. Quello fu l'unico rumore che potevo sentire insieme al rombo del motore e del battito incessante del mio cuore, misto al suono dei nostri respiri in perfetta sincronia.
Guardando il paesaggio nei dintorni, non potei non pensare al silenzio che si dilatava tra di noi e che sembrava dividerci sempre più.
In quel momento, mi ritrovai a desiderare di non aver interrotto così bruscamente la nostra conversazione, ma, del resto, lui non aveva ribattuto e la cosa mi andava più che bene.
In fin dei conti, era ciò che avevo voluto, no? Rimanere in silenzio, senza dover udire il fastidiosissimo suono della sua voce, era ciò che avevo desiderato fin da quando mi ero risvegliata in quella dannata Mercedes. Tuttavia, non potei fare a meno di domandarmi il perché, in tutto quel silenzio che diventava di secondo in secondo sempre più pesante ed opprimente, difficile da sopportare, io volevo disperatamente trovare un nuovo argomento per conversare ancora con lui.
Chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie pulsanti e doloranti, cercando di distendere i miei poveri nervi e calmare leggermente il mal di testa invalidante che iniziava a crearmi tormento. Fu allora che, in un momento in cui cercavo di rilassarmi e di non pensare a ciò che era accaduto nell'arco di poco meno di dodici ore, riuscii a trovare un buon pretesto per riaprire il nostro discorso.
(...continua...)
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