4| Lacrime amare (parte prima)
Lo guardai completamente sorpresa da quella sua domanda che quasi stentavo davvero a credere che fosse uscita fuori dalle sue labbra; labbra che, in quel momento, stavo guardando con ostinazione, immaginandone il sapore e la sofficità.
Mi ritrovai a chiedermi se fossero davvero così irresistibili anche al tatto come stavo immaginando e quante ragazze avessero avuto la fortuna di baciarle.
Ma la domanda principale era... Perché stavo facendo quei pensieri?
Volevo forse aggiungermi alla lunga ed infinita lista - perché dubitavo che non lo fosse - di individui del genere femminile che era riuscito a conquistare e a portarsi a letto?
Scossi il capo, ridestandomi dai miei sconci ed insensati pensieri.
No, ovvio che non volessi tutto ciò.
Spostai lo sguardo dalle sue labbra ai suoi occhi e, quando lui notò il modo in cui deglutivo a fatica e le mie guance leggermente arrossate per l'imbarazzo, vidi un luccichio malizioso nelle sue iridi chiare ed, inevitabilmente, le sue labbra si incurvarono verso l'alto.
Odiavo quel suo ghigno beffardo ed impertinente, sfrontato.
«Dunque?» esordì Ares, spezzando quella catena di silenzio assordante.
Deglutii ancora una volta e, mantenendo a bada i miei istinti e le strane ed inspiegabili emozioni che solo lui riusciva a suscitarmi, spostai rapidamente il braccio, scollandomi la sua mano di dosso che non faceva altro che confondermi e farmi vibrare ogni singola zona del mio essere.
Guardai per un istante le sue labbra - che stavano diventando la mia dannazione, per tutti gli Dei dell'Olimpo - e mi concessi il privilegio di far incrociare ancora una volta i nostri sguardi. Eravamo occhi negli occhi e in tutta la mia vita non avevo mai creduto possibile che ci fossero iridi così belle e profonde, tanto da farmi sentire sul punto di cadere da un precipizio.
«Chiamami come ti pare» risposi, per poi voltarmi e dargli le spalle in modo tale da poter iniziare a proseguire lungo il vialetto in pietra che conduceva fino alla porta principale di quell'abitazione.
Come prevedibile, il Dio - con cui avrei dovuto trascorrere la maggior parte del mio tempo fin quando non sarei tornata sul monte Olimpo - mi seguì a ruota, deciso a non lasciarmi in pace e a non farmi sentire troppo la "mancanza" della sua persona.
"Che gesto nobile e gentile", borbottai tra me e me.
Ancora non riuscivo a capire se apprezzassi la sua presenza o meno.
In fin dei conti, poco prima avevo cercato disperatamente di trovare un buon pretesto per iniziare nuovamente una conversazione con lui, dopo che quella precedente era arrivata ad un punto morto e si era conclusa fin troppo in fretta per i miei gusti.
Camminando al mio fianco e guardandomi come un bambino a cui avevano appena comprato una pistola giocattolo nuova da distruggere in meno di ventiquattrore, Ares disse: «Allora non ti dispiacerà se continuo a chiamarti Urania. Trovo che sia un modo come un altro per instaurare un rapporto intimo tra noi due».
"Intimo", ripetei nella mia mente.
Rabbrividii, ma non per la brezza fredda che calava una volta che il sole smetteva di illuminare il mondo con i suoi caldi raggi.
Cercai di evitare ed ignorare il senso di torpore che mi stava nascendo dentro, riscaldandomi il sangue nelle vene fino a portarlo ad ebollizione. Era una sensazione che andava così in netto contrasto con il brivido che mi percorreva la spina dorsale.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai sonoramente.
Anche se avessi voluto che lui non mi parlasse affatto, dubitavo che questo mio desiderio sarebbe stato esaudito.
Solo se Zeus in persona osava scagliare una delle sue saette sulla terra, colpendo il proprio figlio, il Dio della guerra mi avrebbe lasciata in pace e non avrebbe proferito parola.
«Non ci sarà nulla di intimo tra noi oltre questo, Ares» ribattei, con un tono più acido di quanto avrei voluto mostrare.
Lui sogghignò, divertito, mentre ci fermavamo davanti alla porta principale della villetta. «Lo immaginavo, ma questo non vuol dire che non potrebbe accadere qualcos'altro tra noi che potrebbe renderci più intimi di così.»
Lo fulminai con lo sguardo.
Forse non dovevo sperare che Zeus intervenisse a mio favore per metterlo a tacere.
Incrociai le braccia al petto, arricciando il naso. «Scordatelo. Saranno solo delle tue fantasia erotiche che non avranno mai modo di tramutarsi in realtà.»
Questa volta, fu il suo turno di alzare gli occhi al cielo e di sospirare prima di borbottare un: «Che noiosa».
Non potevo credere che lo avesse davvero detto.
Aggrottai la fronte mentre lui infilava le chiavi nella serratura della porta e la spalancava, entrando nell'abitazione.
Che gentiluomo.
Lo seguii a ruota, urlandogli contro, infastidita: «Se hai intenzione di divertirti, dovresti tornare a farti un giro sulla statale. Ci saranno molte ragazze o donne, dipende dai tuoi gusti, che non vedranno l'ora di abbassarti i pantaloni e di...».
Rise di gusto e quella sua risata mi provocò una serie di brividi che mi scossero sin nel profondo. Non potevo vederlo dato che era buio all'interno dell'ingresso principale della villa, ma potevo tranquillamente sentire il peso del suo sguardo su di me.
Ringraziai il cielo che non potesse scorgere e notare il lieve rossore che mi imporporava le guance e il modo in cui mi stavo torturando il labbro inferiore, mordendolo con gli incisivi.
Avrebbe crogiolato nel suo orgoglio per chissà quanto tempo.
«Va bene, va bene» affermò, accendendo la luce di colpo grazie all'interruttore posizionato alla destra della porta.
Quando l'intero ambiente fu illuminato dalla luce artificiale prodotta dalle lampadine a risparmio energetico, mi voltai di scatto nella direzione opposta alla sua, per non dover incontrare i suoi occhi cristallini, tossendo leggermente.
«Ho afferrato il concetto e non c'è alcun bisogno che continui sulla strada della volgarità» continuò dicendo.
«Grazie al cielo» borbottai io, cercando qualunque cosa potesse aiutarmi a distrarmi dalla presenza quasi soffocante del Dio della guerra, Signore della violenza e brutalità, e del suo sguardo ammagliatore. Fu così che, iniziai a guardarmi intorno, ammirando in silenzio ogni singola zona di quella piccola ma lussuosa villetta sulla spiaggia.
Nonostante all'esterno mi avesse dato l'impressione di essere un'abitazione antica, dovevo ricredermi una volta che ebbi guardato il suo interno: l'arredamento vintage e una lunga serie di oggetti bizzarri, degni del XXI secolo nel quale ci trovavamo, conferivano a quella villetta isolata un aspetto elegante e lussuoso, la perfetta sintesi di antichità e modernità.
Mi trovavo al centro di un immenso spazio circolare quasi completamente vuoto, abbellito solo da un meraviglioso tappeto rosso, talmente tanto rosso da sembrare dello stesso colore del sangue che il mio cuore stava pompando nelle mie vene. Alla mia sinistra, collegata all'ingresso mediante una parete ad arco, c'era la cucina; una grande e meravigliosa cucina grigia ad angolo, con al centro un'isola del medesimo colore, in marmo.
Una bellissima parete, quasi completamente fatta in vetro, permetteva a quella zona interna della casa di essere illuminata notevolmente sfruttando la luce naturale e limitare notevolmente quella artificiale.
Sulla destra, al contrario, vi era un salotto con due divani a tre posti - dello stesso colore del tappeto sul quale ero nell'ingresso - e una TV a schermo piatto di circa 80 pollici attaccata alla parete di fronte. Così come per la cucina, l'architetto aveva deciso di adottare lo stesso metodo d'illuminazione e creare una, delle quattro pareti, in vetro, aggiungendoci una porta finestra scorrevole che consentiva il passaggio nel giardino ben curato.
Muovendo alcuni passi nella direzione di quella parte della casa, notai ogni singolo oggetto che veniva illuminato dal chiaro di luna e, spostando lo sguardo alla mia sinistra, non potei fare a meno di notare la grande libreria che era posta dietro i divanetti rossi. Quando mi ci avvicinai, notai che c'era vari volumi e parecchi generi letterari, tra cui i romanzi d'amore e i fantasy.
Ve ne erano diversi e, gran parte di questi ultimi, appartenevano ad una scrittrice americana molto famosa che, personalmente, adoravo, soprattutto per la sua nota serie di libri - basati sulla mitologia greca, ironia della sorte - intitolata "Covenant": Jennifer L. Armentrout.
Non potevo non amarla e considerarla un mio idolo.
Dopo aver passato le dita della mano sinistra su quei volumi disposi in ordine di colore, tornai indietro, ignorando Ares che mi guardava incuriosito mentre incrociava le braccia al petto e appoggiava la spalla destra allo stipite dell'ingresso ad arco.
Una volta tornata all'ingresso, notai la rampa di scale bianche, con il corrimano in legno lucido, che conduceva al piano superiore.
Le luci erano spente e non potei guardare nulla, se non il buio leggermente rischiarato dal bagliore della luce prodotta dal lampadario in cristallo sopra la mia testa.
Mi chiesi come fossero le stanze al piano di sopra, ma immaginai non avrei impiegato molto a ispezionare ogni centimetro di quella zona della villa e a soddisfare la mia curiosità.
(Continua...)
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