1| Basta un solo sguardo (parte prima)
Quando gli avevano detto che suo fratello maggiore, il Dio del fuoco, Efesto, richiedeva la sua presenza nel magnifico giardino dell'Olimpo, Ares quasi stentò a credere a ciò che aveva udito. Solitamente, nonostante tra i due ci fosse sempre stato un buon rapporto fraterno, Efesto non si era mai permesso di convocarlo, anche perché non ne aveva mai avuto motivo.
Molto più frequentemente di quanto si credesse, era sempre stato Ares a chiedere di poter godere della sua presenza per discutere di nuove e potenti armi da usare in qualunque battaglia lui avesse intenzione di scatenare. Essendo sempre stato molto abile a forgiarle, tanto quanto il fratello minore a maneggiarle, Efesto era stato più che felice di esaudire ogni sua richiesta, producendo per lui le migliori spade, lance o pugnali.
Tuttavia, quel giorno, la cosa era cambiata e, per la prima volta da quando si erano scoperti fratelli da parte di madre, il Dio del fuoco aveva bisogno del suo aiuto per poter tornare ad avere la mente lucida e non annebbiata dalla preoccupazione e dalla paura. Ed Ares non gli avrebbe mai negato la sua presenza ed il suo prezioso sostegno.
Se poteva dargli una mano, lo avrebbe fatto con estremo piacere.
Era il Dio della guerra, ma non era senza cuore come tutti credevano sul campo di battaglia.
Fu per tale ragione che, spinto da più nobili sentimenti e propositi, il meraviglioso Dio, talmente tanto diverso dal fratello maggiore, giunse nel luogo che gli avevano indicato le ninfe dei boschi, trovando Efesto seduto sul bordo della fontana dove, tempo addietro, aveva osato compiere l'imprudenza di rivolgere parola alla gentile e bella Afrodite, colei che era riuscita a conquistargli il cuore.
Nonostante lei fosse stata il motivo principale per il quale il suo organo pulsante e vitale si fosse rotto in mille pezzi, il Dio fabbro era più che convinto che la bella fanciulla fosse anche in grado di rimetterlo in sesto, se solo fosse riuscito a conquistare l'amore di cui lei era emblema.
Avrebbe fatto qualunque cosa per Afrodite.
Qualunque cosa pur di stringerla a sé per il resto dell'eternità.
Di questo ne era certo.
Avvicinandosi ulteriormente alla figura gobba e deforme di Efesto, Ares gli posò una mano sulla spalla ricurva, rendendo nota al fratello la sua presenza. Non appena gli occhi color del fuoco del Dio fabbro si furono posati su quelli cristallini di Ares, quest'ultimo gli rivolse un caloroso sorriso che fu ben presto ricambiato.
«Ares» pronunciò il suo nome Efesto, tremendamente turbato e infelice. «Sei qui.»
Il bel giovane annuì. «Non avrei mai potuto negarti la mia presenza, se eri tu stesso a chiedermela.»
«Ti ringrazio, fratello mio. Siediti al mio fianco.»
Così fece e si accomodò al suo fianco, attendendo che Efesto gli illustrasse il motivo per il quale lo aveva fatto venir fin lì.
Non dovette attendere molto prima che il fratello vuotasse il sacco.
«Afrodite: questo è il nome della graziosa e soave Dea che è riuscita a conquistare il mio cuore, ferendolo allo stesso modo con il secco rifiuto alla mia proposta di nozze», iniziò a spiegargli paziente lo sgradevole individuo, con voce affranta dal dolore ben palese nelle sue iridi infuocate. «Da allora, lei è scomparsa e temo sia fuggita via dall'Olimpo, diretta nel mondo mortale.»
«Come fai ad essere certo che lei sia andata via dal Monte Olimpo?» gli osò domandare.
Efesto indugiò, ancora qualche istante, il suo sguardo sulla pozza d'acqua limpida e cristallina che sgorgava dalla fontana. Rammentò di come Afrodite, tempo or sono, aveva accarezzato le onde e increspato quel liquido trasparente che tanto l'aveva incantata e si sentì il cuore pesante e il fiato corpo.
Il peso di non sapere, il peso dell'incertezza, lo rendeva vulnerabile e fragile come non mai e di questo Ares se ne rese conto con un solo sguardo, semplicemente guardandolo negli occhi notando il dolore che lo accompagnava come un'ombra attenta e silenziosa.
Dopo quella che parve un'eternità, Efesto distolse la sua attenzione dalle acque limpide e quieti della fontana, riportandola sul fratello minore di cui tanto ne invidiava l'aspetto idilliaco.
I suoi capelli castani, i suoi occhi così azzurri da sembrare quasi del medesimo colore del cielo, i suoi lineamenti duri, freddi ma in grado di lasciare qualunque fanciulla con il fiato sospeso, il suo corpo sodo e muscoloso e il suo essere perfetto. Ares era l'esatto opposto di ciò che lui era e questo era sempre stato motivo di invidia per il povero Dio deforme e ripudiato.
Sospirò e proseguì nel racconto. «Alcune ninfe l'hanno vista correre verso le scale di luce che conducono nel Regno dei mortali. Lei si è rifugiata tra loro per sfuggire al mio amore. Io vorrei che tu vada a cercarla.»
Ares restò in silenzio fino quando non ebbe terminato di parlare e di spiegargli quale fosse il reale motivo per il quale era giunto fin lì con così tanta urgenza. Tuttavia, non capì cosa avesse spinto il fratello a ridursi in tal maniera solo per una fanciulla testarda e irragionevole. Aveva sempre sentito parlare della bellezza della Dea dell'amore, tuttavia, nonostante non l'avesse mai vista da quando era nata dalla schiuma del mare fecondata da Uranio, non credeva fosse talmente tanto bella da far perdere la testa ad Efesto così come a chiunque altro.
In fin dei conti, di belle donne ne era pieno l'Olimpo.
Bastava pensare ad Hera e Demetra, ad Atena, a sua sorella Eris o, ancora, a Persefone.
Cosa avrà mai più delle altre questa giovane fanciulla a lui sconosciuta?
Alcuni l'avevano paragonata persino a sua madre, Hera, cantandone le lodi e affermando che fosse la più bella tra le dee.
Dubitava ci fosse qualcuna che potesse superarla in bellezza.
«Dunque, è per questa ragione che mi hai chiesto quest'incontro?» gli domandò per conferma.
Efesto annuì ancora una volta. «Non sopporto che la mia amata vaghi tra i comuni mortali, sola ed impaurita. Te ne prego, fratello caro, riportala qui da me dove sarò io personalmente a badare a lei e a difenderla da qualunque male gli esseri umani possano farle», gli disse. «Fragile ed indifesa lei è, come un tenero bocciolo di rosa che pian piano cresce tra le spine e i rovi. Così bella e delicata, fresca e profumata, Afrodite corre gravi pericoli.»
Le sue parole corrispondevano a verità: Afrodite era la Dea della bellezza e se persino un Dio non era immune al suo fascino, come avrebbero potuto esserlo i comuni mortali?
Se qualcuno di loro fosse stato talmente tanto ossessionato dalla sua figura, avrebbero potuto farle del male, violando il suo corpo perfetto e rendendola infelice per il resto della vita.
Erano noti tra gli Dei i peccati di cui si macchiavano gli umani prima che i loro spiriti giungessero alle porte degli Inferi ed Efesto voleva evitare che un'anima pura e candida, quale lei era, venisse macchiata da un gesto tanto vile e meschino.
Non avrebbe mai potuto sopportare di vedere le lacrime sul suo viso e il dolore nei suoi occhi color del mare se tale sciagura fosse avvenuta.
Ares lo aveva capito. Aveva compreso alla perfezione che Efesto ne avrebbe sofferto se a quella giovane imprudente fosse accaduta una cosa del genere e fu per tale ragione che accettò l'incarico offerto dal fratello.
Sospirando, rassegnato all'idea che anche lui avrebbe dovuto mischiarsi ai comuni mortali che persino Ade in persona, colui che ne entrava più in contatto, detestava. «Farò come tu desideri, fratello mio» affermò, infine. «Se tale è il tuo volere, farò in modo di esaudirlo e di riportare da te la futura sposa che mio padre e nostra madre ti hanno promesso.»
Col cuore colmo di gioia al suono di quelle parole pronunciate dal minore tra i suoi fratelli, Efesto lo guardò con sguardo speranzoso e pieno di gratitudine. «Grazie, Ares.»
«Sarà un piacere» disse, concludendo quel discorso prima di alzarsi dal bordo della fontana.
Se doveva esaudire il desiderio di Efesto, non poteva concedersi il lusso di perdere tempo.
Tuttavia, prima che egli potesse andar via, il più brutto e raccapricciante tra le divinità lo fermò nuovamente, rivolgendogli tali parole con la speranza che la mente del suo interlocutore potesse essere preservata: «Prima che tu vada, voglio metterti in guardia su colei che stai andando a cercare: non guardarla negli occhi. Se lo farai, sarai maledetto anche tu, proprio come me, a perdere il cuore e a desiderare di strappartelo dal petto solo per donarglielo. La sua bellezza è letale più del veleno di mille scorpioni; il suo amore, al contrario, è l'unica cura disponibile, nonostante sia quasi impossibile averla».
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