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Capitolo XVII ° Scontro finale-parte quarta


Volò sopra le nostre teste, disegnando ampi cerchi concentrici, sempre più stretti, per poi posare il suo sguardo incandescente, fisso, su di me.

Mi atterrò di fronte, richiudendo, adagio, le sue ali.

Potevo sentire il suo alito rovente ed impetuoso.

"Allora, inutile terrestre, vediamo, dove dovevi rispedirmi?".

Mormorò con la sua voce rauca.

Ansimava, lanciando sbuffi di vapore caldo e fetido nell'aria gelida.

Sgranò gli occhi rossi fiammanti.

"Ah, si...

Ora ricordo, nell'inferno dal quale sono venuta!

Sciocco, misero essere...

Guarda!".

E con le sue dita deformi indicò il cielo nero.

"Anche il vostro sole si è inchinato di fronte alla mia smisurata potenza.

Ha preferito occultarsi!".

Sogghignò, sguaiatamente e scompostamente, mentre continuava, incessantemente, a fissarmi.

I secondi passavano, impietosi.

Intervenne Juan, ergendosi in tutta la sua altezza.

Frapponendosi tra me e lei, le gridò contro, con decisione e vigore:

"Non prendertela solo con lei.

Forse riconoscerai il nome di Don Louis Alfonso Abre...

"Ricordo quel nome: Abre.

Quando l'ho già sentito?".

Distolse, di scatto, lo sguardo da me, avvicinandosi a Juan, strisciando la sua enorme coda e lasciando una scia, densa e vischiosa, sul terreno.

Quindi, scuotendo la testa, biascicò tra sé stessa.

"Lo sentii urlare dall' alchimista, mentre sprofondavo nell'abisso senza ritorno...".

L'orgoglio di Juan venne fuori, indomabile, incurante delle terribili conseguenze, che quelle affermazioni avrebbero potuto scatenare.

"Ebbene, guardami!

Io sono il discendente diretto di colui che aiutò George Linam a condannarti e a decretare il tuo destino!

Sono Juan Abre!".

"Che cosa?

Anche tu?".

Urlò di dolore, spalancando le ali.

Le agitò in avanti ed indietro, ripetutamente.

Quindi si alzò in volo, soffiando e si accanì , con gli artigli, contro Juan.

A quella scena terrificante, vinsi il mio mutismo, la mia immobilità.

Mi resi conto che era giunto il momento di intervenire.

Dovevo creare un diversivo.

Presi il libro antico, che avevo portato con me e mi avvicinai a quell' entità mostruosa, inginocchiandomi di fronte alla Regina dell'Oscurità.

"Hai vinto.

È giusto.

Hai ragione, appartiene più al tuo tempo che al nostro.

Prendi.

Consegno nelle tue mani l'oggetto della tua salvezza.".

Con un'energia che non sospettavo nemmeno di avere,

tenni stretto, fra le dita, l'opera dei nostri antenati e lo porsi alla Creatura del Male.

Con la testa bassa, ma sempre guardandola dritta negli occhi.

Proprio mentre un piccolo raggio di sole iniziava a fendere le nebbie dell'oscurità.

La sua sfrontata, arrogante spavalderia e la sua stolta curiosità le fecero alzare lo sguardo verso il cielo.

Ed in un quell'attimo, mi rialzai, velocemente.

Presi l'accendino che Juan mi porgeva e diedi fuoco a quello che poteva essere la nostra salvezza, ma, contemporaneamente, anche la condanna a morte, nostra e dell'intera umanità.

Invano cercò di riprendere il libro, che io avevo cominciato a bruciare.

Il fuoco aveva iniziato ad assolvere il proprio compito purificatore.

Era ormai tardi.

Le fiamme stavano consumando, inesorabilmente, la testimonianza scritta, di quell'assurdo ed irreale passato e presente.

Un secondo dopo, la prima fetta del potente sole, vinse sulla luna.

Si fece strada tanto velocemente quanto prepotentemente.

Ed il sole riapparve in tutto il suo splendore.

Il Caos si portò le mani uncinate al volto, nel vano tentativo di coprirsi gli occhi, ma la luce la accecò.

Fu allora che Gabriel le si materializzò di fronte, ed alzò la voce con fare fiero e minaccioso :

"Sei pronta?

Io lo sono già.

Dì addio per sempre a questo luogo, che non ci appartiene e torniamo nel baratro dal quale siamo venuti!

La Voragine Nera ci aspetta.".

E cominciò a trascinarla, attirandola a sé, con i raggi di luce che gli scaturivano dalle mani.

Lei, in terra, cercava di divincolarsi, recalcitrante.

Continuava a sibilare, strisciando e attorcigliandosi, come un grande serpente, aiutandosi per la fuga, con la forza delle sole braccia, affondando gli artigli nel terreno.

E più si contorceva e più rimaneva invischiata nella sua stessa densa e collosa secrezione.

Gabriel continuava a trasportarla verso l'ombra che era ancora proiettata sulla terra dalla luna.

Udimmo un rumore sordo e profondo, come se provenisse direttamente dalle viscere della terra.

La terra iniziò a scivolare su sé stessa, trascinata in basso, all'interno della profonda voragine, che si stava aprendo, al centro di quella macchia scura, proiettata sulla terra.

Con un forte stridore, scaturì dalle pareti interne a quell'abisso, un' intricata rete di rovi e di spine, che si attorcigliavano su sé stesse e rivestivano ogni più piccola parte della Voragine.

Come se ci fosse una volontà, perversa e potente, a voler tener nascosto, per sempre un mondo parallelo alla terra.

Come a voler recintare e proteggere l'ingresso stesso di un universo che non poteva appartenere all'umanità.

Potevamo udire le urla graffianti e stridule del Caos, frammiste ai suoi sbuffi ansimanti.

E tra quei gridi sguaiati di disperata sofferenza, avrei giurato di sentire, distintamente, una voce maschile, bassissima e prolungatamente soffiata e calda, ripetere il mio nome, più volte:

"Angie...

Ti sto aspettando...

Angie..."

Le figure ormai quasi indefinite di Gabriel e di Isadora, ancora in bilico, sull'orlo del precipizio, iniziarono, poco a poco, a svanire.

Dallo spazio delle illusioni: Tra breve l'epilogo. Vi lascio con l' ultima parte di questo primo capitolo della saga di Antiqua: "Antiqua-Nihil est infinitum".

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