Capitolo IX ° Caos-Parte prima
Ebbi paura di entrare, ma non per me, mi sentivo cambiata, mi sentivo molto più forte, come se Gabriel mi avesse trasmesso la sua forza.
Come se il ricordo stesso dei miei genitori, che, fino a poco tempo prima, aveva velato i miei occhi di umida tristezza, avesse, ora, cambiato i miei sentimenti, generando dentro di me un potere, mai avuto prima...
Provavo terrore per quello che sarebbe potuto accadere all'unico affetto vero ad essermi rimasto, nella vita.
Sentivo che mia zia era in pericolo, dovevo impedirlo, ad ogni costo.
Mi affrettai, affannosamente, a raggiungere le pareti gialle.
Avevo il cuore che batteva all'impazzata.
Giunsi di fronte all'entrata e riuscii, con estrema difficoltà, ad infilare la chiave nel portone, tanto mi tremavano le mani.
Cercai di spalancare la porta, ma sentivo che c'era qualcosa che si opponeva ai miei sforzi, vani.
Mi gettai con il peso di tutto il mio corpo, cercando di fare leva con le spalle sul legno, sordo alla mia richiesta, come un antico patto.
Era come se la porta stessa non ubbidisse alla mia volontà e alle leggi della fisica, ma a qualcosa di più potente, all'interno della casa.
Non riuscivo ad aprirmi un varco e, per quanti tentativi facessi, non fui in grado di aprirla.
Credo che a quel punto mia zia si accorse del mio arrivo perché sentii la sua voce, debole e disperata :
" Angie, stai attenta...
Vai via ! ".
Sentivo forti e prolungati respiri, graffianti, di donna, seguiti da rumori indistinti.
Allora, spinsi dapprima con entrambe le mani e poi con una spalla, con tutta la forza di cui ero capace.
Mi accorsi che qualcosa impediva il mio ingresso ed, ogni volta che spingevo con tutto il corpo, era come se qualcosa, all'interno della casa, si spostasse.
Potevo ascoltare il rumore di oggetti scivolare sul pavimento di legno, trascinati dalla porta.
Appena mi aprii un piccolo varco, penetrai di fianco, all'interno, che era completamente al buio.
Inciampai subito in qualcosa.
Da una tenda, strappata, entrava, a malapena, il chiarore della luna.
Nella penombra della stanza, fui in grado di intravedere il
profilo di una donna.
Era con la bocca spalancata, nell' atteggiamento di chi urla, ma senza voce.
Aveva i capelli arruffati, che le coprivano gran parte del viso, lunghi fino alla vita.
E, ad ogni suo soffio, gli oggetti della casa obbedivano ad un suo preciso comando, in un intricato e ingarbugliato progetto.
Ogni cosa usciva dagli scaffali, dagli armadi, dopo che gli sportelli si erano spalancati con fragore.
Qualunque oggetto cadeva poi, rovinosamente in terra, accumulandosi l'uno sull'altro.
La casa, la deliziosa casa, ordinata e perfetta della zia era, ora, un ammasso di montagne informi, che arrivavano fino al soffitto.
Mi portai, con difficoltà accanto all'interruttore della luce, e cercai più volte di schiacciarlo, ma senza successo.
Allora, scavalcando ogni sorta di catasta, allungai il braccio e parte del corpo, visto che non mi era possibile portarmi agevolmente accanto al contatore della luce.
Lo raggiunsi con una mano, e cercai di riattivarlo, alzando, più volte, la levetta, mentre tenevo d'occhio il lampadario.
A quel punto, sentii un qualcosa di molliccio, appiccicoso.
Mi voltai di scatto e vidi uscire, dalla mano di quella donna, un liquido denso, vischioso che mi aveva avvolto le dita e mi bloccava.
Mi accorsi del suo volto, che mi fissava trionfante, sogghignante e perverso.
Sobbalzai per il terrore, rimanendo, per un attimo, come
paralizzata.
Cercai di respirare, anche se la gola si stava chiudendo sempre più, quasi a soffocarmi.
Portai una mano al petto.
Presi un respiro profondo e, con la forza della disperazione, colsi di sorpresa la donna, sicura ormai della sua vittoria.
Riuscii ad alzare l'interruttore.
La luce, allora, illuminò uno scenario apocalittico.
Brandelli di tende, cataste informi ovunque.
Le pareti non erano più visibili, se non a tratti, ed il pavimento era un cumulo di macerie, di porcellane e vetri rotti.
Fu allora che la vidi, distintamente.
Il viso pallidissimo , era di una bellissima donna con i capelli corvini, lunghissimi, gretti ed incolti, come se non avessero visto una spazzola da tempo indefinito.
Gli occhi erano completamente contornati da pesanti tratti di kajal nero, che si estendeva sopra e sotto le palpebre ed erano talmente neri da non poter distinguere l'iride dalla pupilla.
Questo metteva ancora più in risalto il bianco dell'occhio e della sua pelle.
Sul viso si dipartiva una fitta e contorta rete di rovi, come se il suo corpo fosse irrorato dalla linfa di quei neri arbusti più che dal sangue stesso. I rami, nerissimi, in rilievo, disegnavano al centro della fronte una "C" maiuscola, stilizzata, contorniata di spine, che fuoriuscivano dalla pelle e che si insinuavano anche sui rami presenti sulle tempie e sulle scarne guance. La trama di rovi, spogli e confusi, si diramava dal viso fino al resto del corpo, magrissimo e seminudo. Portava un vestito scuro, con le spalline strette, scollato a v sul seno e sulle spalle.
Sulle lunghe unghie era impresso uno smalto nero.
La gonna sfrangiata arrivava sotto i polpacci, da cui si
intravedevano gli stivali, scuri, ricamati.
Sulla pelle bianca della schiena e del decolté spiccavano numerosi tatuaggi con la forma di simboli geometrici, antichi, inquietanti.
La donna, atterrita in volto, come se fosse ferita dalla luce, si portò un braccio intorno al viso, per coprirsi la vista.
Poi, lentamente, abbassò il braccio, e fu allora che vidi i suoi occhi diventare completamente bianchi, senza traccia né di iride né di pupilla.
Si mise a cercarmi intorno con lo sguardo, continuando a soffiare, questa volta, debolmente, come un pipistrello, che emette quegli ultrasuoni che gli riveleranno la netta posizione della preda.
Trattenni il fiato, addossandomi più che potevo ad una parte di parete, che era rimasta libera.
Non riuscì a localizzarmi, anche se stavo a due passi da lei, come se fosse stata accecata da un flash.
Allora, inarcando tutto il corpo e le braccia, con i pugni chiusi all'indietro, alzò la testa, diede un urlo lacerante e sparì.
Mi sentii chiamare dalla zia:
" Angie, aiutami ! ".
Da sotto una di quelle montagne vidi, sconcertata, una mano che mi chiamava, aprendo e richiudendo a metà le dita.
Inciampai, più e più volte, prima di raggiungerla, spostando con le mani e con i piedi, qualunque cosa che si opponesse al mio cammino.
Gli oggetti continuavano a cadere, a scivolare, ed io, con loro, camminando sopra di essi, cadendo e rialzandomi.
Liberai da quella stretta mia zia, sanguinante e sotto shock.
Respirava a fatica.
Mi prese per un braccio e balbettò frasi spezzate :
" Angie...
Credevo...
Speravo...
Che non mi avrebbe mai trovato...
Che non ci avrebbe mai trovato ... ".
" Ma chi, che cosa era ? ".
"Non c'è tempo...
Corri in soffitta...
Forse lì non è arrivata...
C'è un libro...
Un antico libro di cuoio marrone, con la costa in rilievo e le scritte dorate...
Chiuso in una vecchia scatola di latta.
Prendilo...
Nascondilo...
E portalo a scuola...
Dal tuo professore di storia...
Fai presto, corri..."
E, con la forza di chi sa di dover lasciare questo mondo, mormorò, come in un testamento vocale:
"Ti voglio bene...
Mia piccola Angie... ".
Feci appena in tempo a prenderle la testa, fra le mani, sentendo, subito dopo, l'abbandono muscolare, che, solenne, annuncia l' arrivo della morte.
Anche la zia Margie...
Non poteva essere ...
Mi aveva lasciato anche lei...
Ero rimasta, davvero, sola.
Ma per quanto tempo sarei stata ancora in vita ?
Tenni fede a quelle che erano state le ultime volontà della zia.
Non c'era un minuto da perdere, corsi per le scale, due a due, aiutandomi con la mano destra, facendo leva sulla ringhiera.
L'adrenalina rendeva tutto più semplice e più veloce.
Cercai la chiave che era nascosta sotto una precisa trave, divelta, del pavimento, di fronte alla soffitta.
Il suo nascondiglio fu una delle prime rivelazioni che la zia Margie mi aveva confidato.
Ero in ginocchio e non riuscii ad alzare subito il legno perché l'umidità ed il tempo lo avevano gonfiato.
Nello sforzo, urtai con un piede la porta della soffitta che era socchiusa.
Come poteva essere ?
Eppure la zia la teneva sempre chiusa e la chiave era sempre ben nascosta.
Mi alzai in piedi, lentamente, cercando di non far rumore, ma, mi tradì il cigolio della porta, rimasta chiusa e non lubrificata chissà da quanto tempo.
Il terrore, in me, aumentava.
Mi aspettavo di rivedere quella figura terribile, che mi aveva preceduto.
Aprii, piano.
Sicuramente, immaginai che mi stesse attendendo, già pronta ad uccidere anche me.
Guardai in uno di quegli specchi ribaltabili, inserito in un mobile d'antiquariato, orientato nella mia direzione.
A causa del riflesso, molto antico, vidi i contorni imprecisi e sfumati di una mano che tendeva il libro verso di me.
" Angie, sapevo di potermi fidare di te ".
Dallo spazio delle illusioni: Il giuramento di Isadora sta per compiersi del tutto: un altro discendente della dinastia Lynam soccombe. Di chi è la mano che viene offerta ad Angie? Chi si cela dietro il riflesso dello specchio antico? A domani con la parte seconda. Nell'immagine dopo il video di youtube, Isadora accecata dalla luce.
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