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Epilogo interventista

«Come avete potuto vedere dal servizio di apertura, è ormai una notizia di livello mondiale, il ritrovamento dei turisti persi oltre tre settimane fa a largo dello Jonio, su un'isola galleggiante!» Annunciò Cesara Buonamici del tg5. «Tra le ipotesi più accreditate un sequestro di massa sfuggito al controllo, data l'importante quantità di persone prelevate dopo l'affondamento della nave da crociera. Come potete vedere dalle immagini, tutti e tremila passeggeri sono stati tratti in salvo. È stata organizzata in tempo di record una eccezionale collaborazione tra medici, ospedali, volontari della croce Rossa, e ancora adesso stanno facendo le ultime opportune visite mediche. Ma a quanto sembra, non è stato riscontrato nessun caso clinico. Inspiegabilmente stanno tutti bene. Ci sono novità Ilaria?»

La reporter inviata sul campo ospedaliero allestito lungo la costa calabrese di Cirò Marina confermò quanto riferito in studio e aggiunse: «Ci sono tutti, tutti i viaggiatori dispersi e ora ritrovati sono stati identificati, moltissimi sono già ricongiunti con i cari, come vedete... Sono immersa nella calca, e... Ora ci spostiamo perché altrimenti ci buttano in mare... E, sì, mi è giunta ora notizia che all'appello mancano tre passeggeri...»

Sabato Stella e Darlina videro le loro facce nel trittico televisivo lanciato in onda e sgranarono gli occhi.

«E sono persone più o meno note in determinati ambiti,» spiegò la reporter. «Sono dichiarati ancora dispersi: il due volte campione olimpico di nuoto Sabato Dello Montesilvano, la nota chef di cucina regionale nazionale Daria Nilla Orsolese in arte Darlina, la quale aveva appena pubblicato il suo ultimo libro di cucina, e la nota nel campo degli studi antropologici l'esploratrice archeologa dottoressa Stella Di Marino.»

«Il mondo ci immagina morti,» commentò Stella.

«Vagli a dare torto,» disse Darlina.

Sabato sbuffò. «E ora che cosa volete da noi?»

Anubis distese il volto, ma i lineamenti rimasero marcati. «Oh, credo si sia bloccato il telecomando,» disse armeggiando lo strumento. «Si saranno scaricate le batterie. Comunque, vedo con piacere che finalmente, e con uno sforzo alquanto gargantuesco, avete inquadrato la orribile situazione. Quello che accadrà ora è il giudizio. Appena scomparirete dietro quella porta,» indicò il portone nero alle sue spalle, «tutto il mondo tornerà al suo caotico vivere incivile quotidiano. Nessuno ricorderà di questa storia. Ecco perché ora dovrete essere giudicati.»

«Ma così il mondo si dimenticherà anche di noi!» dissero tutti e tre.

«Ovviamente,» biascicò soddisfatto l'altro.

«Ma questo è inammissibile! La vera morte è essere dimenticati! Io non ci sto!» tuonò Stella immediatamente supportata dai compagni.

«Mi spiace profondamente,» disse Anubis, ma il ghigno non convinse nessuno. E intanto, dalle latitudini televisive del cubo TV, apparve Roberto Giacobbo in un fuori onda del suo "Freedom oltre i confini".

«Finalmente una cazzata con le prove vere...» commentò il noto presentatore, mentre l'inquadratura si apriva sul cratere nel deserto del Sahara, dove poche ore prima esisteva Platopoli, alias Atlantide. «È probabile che sia correlato col ritrovamento dei superstiti dell'isolotto sullo Jonio,» ipotizzò il divulgatore.

«Per una volta, non gli si può dare torto,» giudicò Stella.

Anubis, maldestramente col telecomando in tilt, cambiò ancora una volta sintonizzazione invece di spegnere il cubo televisivo.

«Amiche che mentre mi guardate state stirando, buon pomeriggio!...»

«Ah! Anche Barbara D'Urso! Non ci facciamo mancare nulla proprio,» disse Darlina. «Questa però mi piace...»

«Ecco, un momento un momento, che qui bisogna capire bene,» la voce squillante della D'Urso, rivolta al gruppo di giovani che stava ospitando in studio, catalizzò l'attenzione di tutta la platea che spense il cicaleccio.
«Spieghiamolo alla comare Cozzolino di Laurenzana! Allora, voi siete riusciti in qualche modo a riprendere con i telefonini l'isolotto della salvezza mentre volava, con tutte e tremila persone, grazie a un mostro alato? È corretto?»

Stella fece una smorfia mentre si riconosceva inquadrata dal basso. «Con quelle ali così enormi, sembro uno pterodattilo!» diede un colpo di tosse. «E quindi? Abbiamo capito che questa storia è sotto i riflettori. Cosa, di grazia, volete da noi ancora? Perché non procedete con questa cosa del giudizio e la facciamo finita?»

Anubis sogghignò. «Ce n'è voluto, ma alla fine, vedo che vi state rendendo conto della prossima situazione. Ehm, questo l'ho già detto...» Il tono sempre basso, lento ma non per questo accomodante. «Dovete darci il permesso di essere sottoposti al giudizio finale. Facendo così, tutta questa faccenda sarà automaticamente cancellata con l'annullamento delle vostre anime. È un male minore, e necessario, non credete?»

«Ma non può finire tutto quanto così, con un colpo di spugna magica! E dove siamo? Oh!» protestò Darlina, le mani a far tremare il deambulatore.

«Signora D. N. O., la vostra fortuna è finita,» disse compiaciuto Anubis, che con un gesto fece apparire un mostro dalla testa di Coccodrillo e dalle fattezze femminili seduto su un trono di granito.

Sabato si strinse le tempie. «Mi fischiano le orecchie!»

«Poverino,» la mano di Darlina ad accarezzargli il braccio.

«Ma che ha quella donna, quant'è brutta,» fece l'uomo.

«È Ammit,» rivelò Stella con voce strozzata. «È la divoratrice di anime.»

«Ah! Ma è proprio una mania quella di mangiare le persone da queste parti!» fece Darlina.

«La signora S. D. M. ha ragione. È la dea che metterà tutto quanto nel proprio ordine. E siete da queste parti perché siete deceduti nella giurisdizione divina dell'antico Egitto.»

«Ma che fortuna!» esclamò Stella, e Sabato di nuovo a stringersi le tempie con le mani. Solo che stavolta sentì una voce che riconobbe.

«Signor Dello Montesilvano! Su, coraggio! Un ultimo sforzo!»

«Ah, Raffaella Carrà!»

«Ah, ah, ah, che matto che è signor Sabato! Ma non perdiamoci in chiacchiere. Su, un ultimo sforzo e vedrà che le cose cambieranno!»

«E che devo fare?»

«Glielo mostri! Glielo faccia vedere, signor Dello Montesilvano, mi raccomando, glielo esponga bene davanti agli occhi!»

«Eh? Ma? Che dici, donna Raffaella Carrà?»

«Andiamo bene! Adesso anche tu ti sei messo a parlare da solo come Stella?» domandò Darlina.

Stella si accigliò. "Sta comunicando con qualche essere sovra... Ah! Oh capito! Non ci posso credere!"

«Siete pronti per il giudizio finale?» domandò Anubis, che per una volta tradì eccitazione.

«Non proprio!» obiettò Stella, col proposito di dare tempo a Sabato di organizzare qualunque cosa potesse cambiare le sorti di tutti. «Dovrebbe esistere una soluzione che ci permetta di passare oltre senza che le nostre anime vengano distrutte!»

Anubis guardò di sbieco il soffitto illuminato dalle nuvolette infuocate, la bocca aperta e muta, prima di emettere un verso scocciato. «Sì, ci sarebbe il pagamento del dazio, ma dubito che voi possediate tutto l'oro che servirebbe a compensare la mole di disastri che avete seminato lungo il Mediterraneo!»

«Non puoi credere di sapere tutto,» ribatté Stella.

«Lo vedremo,» disse asciutto Anubis voltandosi verso il trono occupato dalla dea Ammit che spalancò le fauci di coccodrillo.

«S. D. M.» La divinità emise le iniziali del primo esaminando, e Stella riconobbe che quella cosa stava chiamando proprio lei. Le rughe attorno agli occhi divennero solchi. Resistette all'impulso di protestare. Abolì l'istinto di distogliere lo sguardo dalla dea Ammit, che la fissava senza trasmettere alcuna emozione. Da millenni si cibava di anime. Era una divoratrice. Non provava compassione per nessuno.

Stella sollevò il deambulatore e lo buttò di lato. Le gambe a tremare più per la stanchezza che per il timore di scomparire per sempre da un secondo all'altro. Darlina staccò le mani dal trespolo e le premette sulla bocca. Gorgogliò qualcosa in direzione della coraggiosa compagna.

«Signor Dello Montesilvano! La fermi! Presto! Su! Faccia come le ho detto!» La voce della misteriosa creatura, che Sabato riconosceva come Raffaella Carrà, lo sbloccò, raggiunse Stella e la fermò tenendola per un braccio. L'amica le scoccò uno sguardo interrogativo, ma lui scosse la testa.

«Io sono S. D. M.!»

«In tanti anni non mi ero accorta che avete le stesse iniziali, in effetti,» ragionò Darlina. Anubis stesso sembrava fulminato dall'accorgimento che gli era sfuggito.

«Uno vale l'altra,» bisbigliò infine.

«Su! Glielo mostri! Coraggio! Faglielo vedere! Tiralo fuori!» insisté ancora la voce della creatura, al che Sabato si arrese.

«Credo di avere ciò che serve per tirarci fuori da questo disastro,» disse mentre armeggiava con le brache davanti ad Anubis.

«Non vorrà farmi credere, S. D. M. che lei possiede tutto l'oro necessario per ripagare i vostri danni?»

La platea, oltre trecento esseri sovrannaturali, aguzzò la vista in direzione dell'uomo, che con un gesto risoluto si calò i pantaloni in faccia ad Anubis che sgranò gli occhi scandalizzato, Stella si frustò la fronte con una mano, Darlina si strinse la bocca per non ridere, "non credo che il piercing sui gioielli stravecchi possano bastare..."

«Ah, ah, ah, che matto che è lei, signor Sabato! Ah, ah, ah, fino alla fine, un monello proprio! Ma adesso su, basta, si ricomponga e mostri il mio emblema. Coraggio! Presto! Il tempo è finito.»

Sabato, più confuso che mai, mentre rimetteva a suo posto il vetusto arsenale, con le dita toccò qualcosa di metallico, un dischetto dentro una tasca. Lo tirò fuori.

«Tò! Una moneta da due euro!»

Era la moneta che sulla nave aveva guidato lui e le amiche verso la salvezza, la piccola valuta che, senza pompose manifestazioni sovrannaturali, lo aveva protetto durante tutta l'avventura, il piccolo emblema che lo aveva preservato dai pericoli. Il piccolo oggetto ora ripreso dal cubo televisivo, posto sotto gli occhi della platea che si produsse in espressioni inattese.

«Oh! È la valuta italiana!» disse qualcuno.

«Il flagello di intere nazioni!» aggiunse qualcun altro.

«Il rovina vite degli onesti lavoratori! Non è giusto! Invoco clemenza per gli imputati!» protestò ancora un altro spettatore.

«Cle-men-za! Cle-men-za! Cle-men-za!» Il coro plebiscitario sollevato assaltò le orecchie di Anubis, che per la prima volta in assoluto si vide scivolare di mano ogni sicurezza. Ma la platea fece di più per convincere l'entità superiore: tutti gli lanciarono addosso monili, monete, oggetti d'oro. Sulla testa di Sabato s'infilò il tanga di diamanti della procace divinità con la quale aveva flirtato a distanza.

«Credo di averne a sufficienza,» realizzò l'uomo, mentre si sfilava dalla faccia il preziosissimo feticcio intimo, salvo poi ritrovarsi in bocca anche il reggiseno che lo appaiava. «Oh, e basta così,» disse rivolto alla probabile dea, che completamente nuda giubilava e palleggiava le enormi tette sul bancone. Gli occhiali di Sabato si incrinarono. E il giubilo contagiò tutto il resto della platea, i cui membri si proposero in collaborativo aiuto.

«Siete liberi! Io farò in modo che l'isolotto della salvezza affondi per sempre!» Iniziò ad annunciare un'entità.

«Nei miei poteri annovero la capacità di obliare l'intero accaduto!» intervenne un'altra.

«Io invece sistemerò il cratere dov'era Platopoli!» E poi altri ancora ad aggiungere pezze super magiche per risanare l'intera faccenda in ogni minimo particolare.

Nel frattempo il cumulo di tesori accumulato dai membri divini frappose una solida barriera tra Anubis e il trio di amici. La dea Ammit, a bocca asciutta, chiuse le fauci e si deformò, come una nebulosità nerastra vorticante.

Gli occhi di Stella, come quelli di Darlina, si inumidirono, ascoltando il chiassoso ringraziamento della platea. Gli sguardi estesi alle divinità che mandavano loro benedizioni sentite.

«E adesso, che facciamo?» domandò Sabato, e l'entità che gli aveva parlato nella mente si materializzò davanti agli occhi. Solo lui poté vederla.

«Bisogna che facciamo qualcosa, no?» disse Darlina, che con un braccio appena alzato salutava le divinità benevole.

«Ma, Sabato! Sembri imbambolato!»

Sabato era assorto nel guardare l'entità protettrice che col dito indice a dividere le labbra sorridenti, lo invitò a rimanere in silenzio. Gli fece l'occhiolino, si voltò verso la nebulosità creata dalla divoratrice di anime, ed elegantemente gli fece cenno di seguirlo proprio lì dentro.

«Donne! Donne! Forza! Deambulatori e protesi in spalla! Che qui ho un brutto presentimento!»

In effetti il portale che aveva aperto la dea Ammit si stava chiudendo rapidamente.

«E dove!» fecero eco le altre.

«Lì!» indicò il punto oscuro vorticante.

«Ma tu sei scemo!»

«Tu avevi per tutto questo tempo l'emblema di Tiche, dea della fortuna!» esclamò Stella.

«Fammi causa, ma adesso andiamo! Il pertugio si sta chiudendo! E comunque per me quella era la Carrà!»

Anubis emerse dai tesori che lo avevano seppellito. Lo sguardo feroce. «Voi, siete, tre...»

«Noi siamo le tre "C"!» ribatté Sabato prima che Anubis potesse completare il pensiero. Prese in braccio Darlina, «lei è la "C" di "Capacità" che sa fare un sacco di cose,» e la buttò a pesce nell'oscuro antro nebuloso nonostante le proteste. Acchiappò poi Stella. «E lei è la "C" di "Conoscenza," non conosco nessuno che ne sa più di lei,» e buttò pure quella dentro il pertugio sovrannaturale come un sacco della spazzatura, ignorando gli insulti. «E poi, io! Io sono la "C" di... Vabbè, te lo dico un'altra volta, sayonara gente!» Un attimo prima che il varco si chiudesse si tuffò con esperta esperienza, lasciando come ultima immagine di sé il grinzoso fondo schiena rimasto scoperto.

«Ecco, signori, questa è la Piramide Cestia. È una tomba romana in stile egizio. Dovete sapere che c'è stato un lungo e proficuo gemellaggio tra l'antica Roma e l'Egitto,» spiegò la giovane guida turistica a uno sparuto gruppo di vecchietti sotto il sole cocente di luglio.

«Ci sono le persone dentro?» domandò un turista.

«No,» rise la guida. «Ma c'erano un sacco di cose, utensili, decori, arredi funebri, ma ora non più. Li hanno razziati i tombaroli tanto tempo fa.»

«Ma almeno dentro è fresco? Che qui stiamo arrostendo!» protestò una donna che si stava slogando il polso a furia di sventagliarsi la faccia bagnata di sudore.

«Ehm, sì, si può entrare a vedere. Ma non possiamo rimanere molto però.» La giovane fece cenno al sovrintendente di aprire la porta della tomba. «Vedrete che dentro regna il silenzio, il vuoto, il nulla. Non si sente nemmeno il rumore del traffico,» sorrise all'ingenua curiosità dei visitatori, che chissà perché si aspettavano di vedere chissà cosa. Il collaboratore infilò la chiave nella serratura, fece mezzo giro e la porta esplose. Ed esplose il finimondo.

«AAAAAAAAA! MA CHE CASPITA!» fu il coro unanime mentre i turisti scappavano via in ogni direzione. La guida turistica si appiattì contro un muro che non esisteva mentre vedeva uscir fuori dalla nube di fumo tre individui.

«E ma che palle! Questa è un'altra piramide! Dannato Egitto!» inveì Stella.

«E va bene. Vorrà dire che faremo un altro viaggio fino in Italia,» sospirò Darlina.

«Non credo che dovremo camminare molto. Noi qui siamo a Roma,» affermò Sabato, buttando un occhio alla porta aperta, dove riconobbe Roma Porta San Paolo alle spalle della guida turistica impietrita.

«Ah, menomale. Vuol dire che siamo a casa tua,» disse ora piu quieta Stella.

«Si sente bene signorina?» domandò Sabato alla guida turistica appena uscito dalla piramide.

«Che-che-che ci facevate lì?» domandò la poveretta sbiancata.

«Giocavamo a nascondino,» ridacchiò Darlina.

«Sì, abbiamo cominciato da piccoli, e non ci siamo accorti del tempo che passava,» scoppiò a ridere Stella. «Ci siamo invecchiati!»

«Donne, pazze,» borbottò Sabato mentre cingeva ognuna per i fianchi.

«Oh, che cavaliere sei Sabato!» rise Darlina.

«È per vedere se abbiamo di nuovo i nostri corpi,» disse lui. «È tutto a posto, siamo tornati in carne e ossa.»

«Dove si va, che ho un attimo di smarrimento. C'è tanto sole anche qui,» disse Stella mentre osservava con piacere il traffico romano.

«Andiamo alla fermata dell'autobus, a quest'ora per il PalaEur ci tocca prendere il "69,"» disse l'uomo rincarando le risate delle donne.

Ore dopo, nell'attico di Sabato, e dopo ore di docce, Stella sulla sdraio, mano munita di Mai Tai esordì: «Si può dire che è stata un'esperienza notevole.»

«Mi verrebbe da scriverci su una storia,» ribatté Darlina, a pancia all'aria mentre osservava le poche stelle nel cielo romano, e in contemporanea sorbiva un enorme cocktail di frutta.

«Sarebbe il modo giusto per finire in un manicomio,» avvertì Sabato, mentre divorava una super pizza.

«E infatti, lui ha ragione,» aggiunse Stella. «Ho fatto una rapida ricerca su internet, e non ho trovato tracce della storia che ci siamo lasciati alle spalle. Le divinità giudicanti hanno sul serio messo a posto le cose. Menomale proprio.»

Darlina sospirò. Aveva sul serio voglia di non dimenticare di essere stata la Chimera. «E se, nell'ipotesi che potessi scrivere la storia che abbiamo vissuto, quale potrebbe essere secondo voi il senso finale?»

Sabato lasciò cadere l'ultima fetta di pizza, ricambiò lo sguardo di Stella e disse: «Dopo tutto quello che abbiamo fatto per non lasciarci la pellaccia...»

«Mai rinunciare alla vita fino all'ultimo respiro!»

Darlina annuì, e con un sospiro immaginò di scrivere la parola...

FINE

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