35 ~ Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino (1ª parte)
L'obbiettivo di Sabato era raggiungere lo scrigno delle catene di Zeus, e stava lì, davanti a lui, a brillare per terra. "Devo sbrigarmi," il respiro a bocca aperta, il passo a saltelli per non pestare i dormienti distesi a terra attorno allo strumento divino. La via tutto sommato era libera, senonché il testone iridato sentì uno scricchiolio dall'alto soffitto.
«Capo! Capo! Fai attenzione!» Sabato inchiodò la corsa, il naso a sfiorare un masso grande quanto un armadio in quell'attimo piantato nel terreno a un millimetro dai suoi piedi. «"Melba" nera!» Controllò il macigno, che per opera di chissà quale nume attento non aveva schiacciato nessun corpo. Sospirò. Aprì il pugno dove teneva la rosa del deserto.
«Menomale, è intera.»
La terra tremò all'improvviso, perse l'equilibrio, la gemma floreale volò dal palmo della mano che non fece in tempo a chiudere, così la vide compiere un arco prima di frantumarsi al suolo. «Ma porca pozzanghera!» Alzò la testa verso un cielo che gli stava crollando addosso in ogni senso.
La tremarella contagiò anche il soffitto, la crepa lasciata dal primo masso si allargò a dismisura, granelli di roccia a precedere la caduta di altri blocchi.
«Sabato! Che sta succedendo?»
«Cara, teniamoci pronti, qui sta per venire giù tutto!»
«Oh mamma! E tutte queste persone?»
«Eh, donna! Dobbiamo proteggerle!»
«E come?»
L'uomo Basilisco agganciò con lo sguardo un altro blocco di roccia cadente, ruotò sul posto e lo frustò con la coda scaraventandolo lontano dagli addormentati. «Ti basta come idea, donna?»
«Eh, ma io non ho mica una coda di dieci metri in cima alle chiappe io-oddio!» Una gragnola di rocce stava bombardando il suo lato, si voltò e senza riflettere sbatté le ali d'oca generando un vento tale da deviarla fino ai confini della segreta. Con le braccia ad angolo, sembrava stesse ballando il twist, invece era per lo sforzo a farla pure ancheggiare con un ritmo che a Sabato non sfuggì. Ma che non commentò.
L'avvisaglia del crollo definitivo durò pochi secondi, schiacciato dalla potenza del Tirso sospinto da Tantalo, il soffitto si spaccò come un torrone e crollò. La volta della segreta si affollò: di massi, marmi, stucchi, succinti pezzi anatomici di statue un po' troppo ispirate, di Stella livida e svenuta, di Achille, Bellerofonte e Perseo che balzavano a velocità irreale tra un masso e l'altro, e di Mausolo, che fluttuava protetto dal vento che governava. La nube oscura di Tantalo superò oggetti e individui cascanti e atterrò per prima, in un punto distante da Darlina e Sabato, che di lui non si accorsero, presi com'erano dal respingere a colpi di coda e monsoni d'ala d'oca rocce e detriti a difesa dei dormienti.
L'oscurità vorticò su se stessa, si restrinse fino ad assumere sembianze umanoidi, e da quello uscì uno scheletrico e allampanato individuo nero come il carbone, dal chitone lacero e il volto scavato di uno che non mangia da millenni.
«Faamee!» lamentò a voce cavernosa aggirandosi tra le vittime addormentate. Si chinò, protese le mani verso il dormiente più vicino, e appena lo sfiorò s'illuminò di elettricità. L'aria attorno odorò di copertoni bruciati.
«Aah! Chee maalee! Maaleedeettoo Zeeuuss!»
«Che cosa succede?» domandò la vocina che minuti prima aveva invocato la mamma.
Darlina la intercettò. «Reva!»
Cieca com'era, la bimba non poteva immaginare il finimondo dentro il quale si trovava, né che un masso grande quanto un camion le stava piombando in testa. La Chimera invece era già scattata in alto, a planare tra le altre rocce che deviava a colpi di zampe artigliate e monsoni di ali d'oca. Anche se tutto stava accadendo in pochi istanti, a Darlina parve di disporre di più tempo. Individuò di nuovo la bambina, adombrata dal masso gigante, protese la testa occhialuta, stese le braccia dietro la schiena, precipitò come un missile, superò il colosso mortale e atterrò accanto Reva.
«Chi c'è?»
«Tranquilla piccolina, ci penso io,» l'abbracciò per proteggerla e sbatté le ali come mai prima, nella speranza che il vento generato fosse sufficiente a respingere il costone roccioso. Ma così non fu. Aveva sì, rallentato l'affondo, ma l'impatto era inevitabile. Darlina cercò di chiamare in aiuto Sabato, ma con la gola stretta per la tensione muscolare non riuscì ad articolare nulla di diverso da un mugugno da sotto sforzo. lntensificò il frullio delle ali, che scintillarono d'argento, il getto d'aria divenne vortice, il masso rallentò ancora, Darlina strinse la dentiera e ricordò di quando Sabato aveva invocato i venti nel deserto per respingere gli attaccati dagli Uccelli di Stinfalo.
«Eolo! Soffia! Eolo!»
Il suo fil di voce fu ascoltato.
Il vortice s'illuminò d'azzurro, si ingigantì e divenne un turbine, il masso si fermò a un braccio di distanza dalla sua testa, lentamente roteò su sé stesso, invertì la traiettoria, e andò a perdersi oltre la superficie esterna. E non solo: tutte le altre rocce migrarono in luoghi disabitati dove deflagrare. Persino il corpo di Stella fu agganciata dall'effetto del simbolo di Eolo, il quale lo depositò dolcemente in posizione fetale a pochi metri dallo scrigno delle catene di Zeus.
Il gesto aggraziato urtò l'insensibilità di Tantalo che ruggì: «Faamm-ehm... Caattiivaa!» Allargò le braccia, inarcò la schiena, spalancò le fauci emettendo versi che non esistono nel mondo conosciuto. La mandibola si snodò come quella dei serpenti, dal fondo della gola fece capolino il muso oblungo di una fiera e Tantalo la espulse con tutto il corpo. La nuova creatura zampettò malferma sul terreno, si scrollò di dosso la bava del padrone che gli intimò a braccia tese: «Vaa aaffamaalii tuuttii!» La fiera si accucciò attenta, rivolse il muso al soffitto ridotto a un colabrodo e ululò. Dopo la prova latrato schioccò la lingua e si guardò in giro indecisa su chi affondare le zanne per primo. Tantalo deviò le falcate tremolanti dirette verso Stella, sputò per terra, ghignò, allargò di nuovo le braccia e da ogni porzione di terreno sgombero di dormienti emersero decine di vortici fumosi, che come l'originale si plasmarono a sua immagine. Poi tornò a dirigersi verso Stella, l'oggetto inspiegabile del suo odio a prima vista, nonostante non avesse occhi.
«Caattiivaa!»
Sabato fu il primo a vedersela con una dozzina di quei nuovi cosi infernali, e ciò pilotò l'attenzione degli occhi privi di palpebre della fiera nera verso la Chimera, ancora alle prese con i postumi ventosi del simbolo di Eolo. Quando l'effetto divino svanì la bestia nera mosse una zampata, poi un'altra e man mano che avanzava acquisì certezza nei movimenti fino a trottare gagliarda e grondante bava.
«Chi sei,» domandò Reva, ignara di tutto.
«Eh, forse non mi riconosci, ma io sì, Reva. Sono Darlina, quella che stava con...» Il leoncino e la capretta fiutarono l'odore della fiera, si protesero verso essa costringendo la padrona a prestare attenzione. «Ah, un'altra bestia! Non si finisce mai proprio!» Puntò la capretta, che mitragliò spine come mai prima. La belva bavosa non si disturbò nemmeno di schivarle: le assorbì col corpo come niente fosse. «Così non va, però! Sabato, aiuto!»
A Sabato non ci vollero che pochi cazzotti, dati con la forza del dinosauro che aveva dentro, per stabilire chi tra lui e le copie carbone di Tantalo aveva la situazione in pugno. Le fuligginose figure arretrarono. «Giovanotti, non ho tempo per...» sentì l'invocazione dell'amica, notò l'ombra della fiera braccarla. «Darlina! Attenta-ho! Ma che?» La spada di Bellerofonte calata in obliquo sulla sua testa, che parò col braccio facendola scintillare. Bellerofonte allargò le orbite e, sorpreso della durezza della pelle dell'altro, non si rese conto del volo a faccia a terra che il vecchietto gli aveva fatto fare. «Da-Darlina!» Un'ombra rapida gli sbarrò la strada. «E, ahó, chi c'è adesso?» Achille prese il posto dell'altro.
«Tu! Sei uno scagnozzo di Tantalo?» La punta della spada sul petto come freno al suo passo non gli impedì di gridare: «Darlina! Dov'è Stella?» Oltraggiato per la mancata risposta, Achille aveva già caricato il fendente, ma lo fermò a un millimetro dalla giugulare del Basilisco.
«Tu, come fai a conoscere il nome della signora Medusa?»
«Chi? Signora? Quella? Ma non farmi ridere! Io e Stella siamo amici da un tempo che nemmeno puoi immaginare!»
«AAAAA!» Il contrattempo giocò a sfavore della Chimera, che per difendere Reva da quello che sembrava un lupo, dovette offrire il proprio collo da mordere.
«Aha! Hai visto che caspita hai combinato!» disse Sabato e accoltellò Achille con lo sguardo. «Darlina!» gridò correndole incontro, imprecando per i corpi dormienti che lo intralciavano. «Stella! Ma dov'è quella santa donna non c'è mai quando serve!» Raggiunse la Chimera, si chinò per toglierla da dosso a Reva, la scosse e quella aprì gli occhi. «Oh, Daria Nilla, ti ha morso ma non sanguini, menomale! Come stai?»
La fiera si aggirò nei dintorni a testa bassa ma guardinga.
«Ehi, Capo! Attento! Quello è il lupo della Cupidigia!»
«E ma che significa?» disse mentre soccorreva l'amica.
Daria Nilla sbatté le palpebre e schioccò la lingua. «Uh, Sabato. Bene, sto bene, solo ho una fame!» Sabato rise.
«Oh! Non ti è successo nulla, hai solo un languore di stomaco,» sospirò rincuorato, salvo poi agitarsi di più quando vide l'amica agguantare Reva e avvicinarle la bocca spalancata.
«Oh, porca pulcina! Che fai!?» le sottrasse la bimba e se la issò sul lato del testone iridato. «Santa donna pazza! Ma devo proprio leggerlo quel tuo libro di cucina! Chissà che ricette scrivi, bimbi fritti alla fermata dello scuolabus?!»
«Faamee,» ripeté la litania la Chimera, imbracciando la sua serpe lanciafiamme, gesto che suggerì a Sabato di mettersi a correre.
«Ma che fine ha fatto Stella!»
Tantalo era ormai a pochi passi dalla Medusa.
Mausolo sbucò fuori dal rifugio di fortuna che aveva ricavato dalle macerie poco lontano dal Signore della Fame Eterna. Lo vide protendere le braccia verso la donna inerme. «Che cosa ho fatto?» Allargò le braccia, sui palmi delle mani apparvero due sfere di ghiaccio, le lanciò contro, e le vide fondersi a contatto con la schiena di Tantalo, che manco se ne accorse, si limitò soltanto a scuotere la testa scrollando polvere e fuliggine dappertutto. Ghignò, incredulo di trovare a portata di mano il Tirso sopra lo scrigno delle catene di Zeus, e la Medusa più potente di tutti i tempi pronta per essere uccisa una volta per sempre. «Guarda che felice congiunzione!» rise senza fiato, pronto a mettere fine a ogni cosa.
"Veeloocee! Signora Stella Di Marino, veelocee, miseria ladra!"
Stella, con la guancia a lucidare il pavimento, mugugnò a occhi chiusi. «Che modi... Eh, ladra? Ma certo... Ora ho capito...» Il bastone serpente delle rocce rullò da solo verso la sua direzione, altri due serpenti si staccarono dalla chioma serpentesca e l'avvilupparono in larghe spirali, fermandosi con le fauci spalancate rivolte alla testa centrale. Il bastone sfiorò un'unghia di una mano che si mosse a stringerla di riflesso. Stella aprì le palpebre e negli occhi verdi si riflesse il nuovo bastone di serpenti che in un momento si tramutò in metallo scintillante.
«Ermes! Il Caduceo!» Ancora stesa di lato individuò il Tirso a un millimetro dallo scrigno delle catene. "Se lo colpisce saltiamo in aria!" Si rizzò sulla schiena, impugnò il Caduceo come fanno i giocatori di baseball con la mazza e allo stesso modo colpì il Tirso. Dal contatto tra gli emblemi divini scaturirono onde di luce che come cerchi sull'acqua si espansero fino a investire ogni cosa: dissolsero i cloni di Tantalo, respinsero gli ultimi detriti pioventi, la Lupa della Cupidigia, fiutato il pericolo, schivò la prima onda luminosa, la seconda, finanche la terza, ma alla fine esplose in aria come un fuoco d'artificio a salve. E ancora, le onde di energia si propagarono per tutta la segreta, oltrepassarono le mura circolari, emersero dalle fondamenta come geyser e proseguirono l'abbraccio per tutta l'ampiezza della città di Platopoli. Ogni cosa graziata dalla tempesta di fulmini che aveva evocato Darlina quando aveva affrontato Faia di Megara andò distrutta. Architravi, colonne, porticati, palazzi mezzi divelti, decori urbani, alberi ancora in piedi, le mura, tutto ridotto in un immenso cumulo di macerie.
«Ma che!» Il Tirso respinto da Stella finì dritto in mezzo agli occhi di Darlina che finì lunga a terra.
«Mazza che botta!» giudicò Sabato a spalle incassate, le braccia a proteggere Reva dalle onde ancora emanate dal colpo di Stella. Con un minimo di circospezione raggiunse la Chimera, si chinò. La bimba gorgogliò e lui la controllò. «Ah, stai ridendo!» comprese, contagiato dall'ingenuità infantile e le carezzò la testolina. Tornò su Darlina, la scosse e quella mugugnò.
«Che e successo, oh...» la testa in affannata ricerca di equilibrio.
«Come stai? Stai bene? Hai ancora voglia di preparare gente viva al forno?»
«Eh? Ma, che cosa stai dicendo Sabato, dici sempre scempiaggini tu? Semmai gradirei un tiramisù, e già che ci sei, dammi una mano e tirami su, che sono stanca, ci vedo doppio, e mi è venuto pure il mal di testa e schiena!» disse gesticolando col mattarello d'oro.
«Fosse solo quello!» aggiunse l'altro, facendo finta di non notare il livido circolare in mezzo agli occhi, timbrato dal Tirso che ora l'amica stringeva tra le mani senza rendersene conto.
«E Stella?»
«Maestra Stella!» squillò la vocina di Reva.
«Oh, la maestra Stella è un po' impegnata al momento, ma verrà presto. Forse,» annunciò Sabato, buttando un'occhiata alla Medusa che stava affrontando l'emanazione originaria di Tantalo.
Darlina seguì la stessa direzione visiva e strinse più forte il Tirso.
La Medusa fendeva colpì col Caduceo, ma tutte le volte l'emanazione originaria di Tantalo si disfaceva in fumo nei momenti strategici. La lotta era pari, nessuno prevaleva sull'altro.
«Oh! Ma io ho questo! Il mattarello con la pigna! Ma allora non ho distrutto proprio tutto, sono contenta!»
«Capo-Capo-Capo! Guarda-guarda-guarda!» Il testone iridato concesse a Sabato la vista periscopica, e lui vide scorrere davanti a sé la distesa di corpi dormienti, gli parve di correrci sopra, di sfondare le mura delle segrete e di emergere dal terreno fino a schizzare nel cielo notturno. Tutto ciò che doveva vedere stava sotto i suoi occhi: la città di Platopoli completamente rasa al suolo, un paesaggio lunare, il perimetro delle mura segnava il confine tra sabbia e macerie. E fatto più insolito, notò emergere lungo i confini cancellati cinque dita di una titanica mano artigliata protendersi verso la luna piena.
«Tu forse non hai distrutto un gran che, ma Stella sta portando avanti il lavoro alla grande proprio, e...»
«E, cosa?» incalzò Darlina.
«E credo che la città verrà distrutta prima dell'alba.»
«Su certe cose, non possiamo mettere mano,» ribatté suscitando una risatina nervosa all'altro, paragonando l'affermazione con la mano gigantesca che incombeva sotto i loro piedi. «Comunque, io ho di nuovo questo!» Darlina si rigirò tra le mani il Tirso e trasalì. «Oh, ma sta cambiando, sta tornando di legno, e la pigna di Serapide è leggermente inclinata, oh! Non puoi smettere di funzionare proprio sul più bello, oh!» Si voltò verso Stella, caricò un balzo, e forte della pratica di planaggio si ritrovò già sopra Stella e Tantalo. Chiuse le ali, tenne alto il mattarello e precipitò sul Signore della Fame colpendolo alla testa cogliendolo di sorpresa. Stella, a spalle alzate, si protesse la faccia con un gomito mentre intravvedeva Tantalo piantato al suolo come un chiodo.
«Oh! Attenta! Per poco non lo davi in testa a me!»
«Poco male, tanto tu, abbiamo visto, non crepi facile. Ma. Ah! L'ho ucciso?»
«Ehm, non saprei,» ridacchiò nervosa la Medusa, osservando la poltiglia a base di Tantalo penetrare il sottosuolo. Una scossa fece tremare tutto. Darlina cadde sulle ginocchia, Stella fece leva col caduceo e restò in piedi. Sollevò lo sguardo e intravide oltre il soffitto ridotto a colabrodo lo scheletro della torre di Mausolo allontanarsi.
«Accidenti, stiamo sprofondando!»
«Stella! Stella! Tra un po' questo posto verrà risucchiato da una mano gigante che sta trattenendo tutta la città!» Stella annuì, anche se non aveva capito molto di ciò che aveva detto Sabato.
«Achille! Bellerofonte! Perseo! Venite qui!» I guerrieri accorsero al cospetto della Medusa. Sabato, con la bimba in braccio, si mosse contro gli eroi. «No! Sabato! Sono a posto! Sono dalla nostra parte!» L'uomo frenò l'impeto e per poco non scivolò. Darlina non seppe dove guardare: il biondo Achille, i mori Bellerofonte e Perseo, le cosce esposte imbottite di muscoli alla nitroglicerina, i petti prominenti. "Se solo non fossi così stagionata!" Arrossì del proprio pensiero.
«Voi, eroi, ora dovrete difendere tutte le persone da qualunque cosa accadrà, intesi?»
«Sarà fatto!» tuonarono vigorosi i tre pesi massimi.
«Maestra Stella!» le manine protese.
«Oh, ma, ci sei pure tu, Reva, piccolina! Ero così concitata che non mi ero accorta.» La prelevò dalle braccia dell'amico. «Non avere paura, mi raccomando, non sta succedendo niente, sai?»
«No-no! Mi sto divertendo da paura!» ribatté quella invece, e per un attimo il volto di Stella si illuminò. Ma durò soltanto un attimo, poi tornò algida. «Dobbiamo andare a prendere Artemisia per farla sposare con Mausolo!»
«Vuoi metterti in viaggio, ancora, e adesso? Ma non c'è tempo per un altro viaggio! Dove lo troviamo il tempo. E poi come facciamo, ci vuole l'annuncio al municipio, prenotare la chiesa, i fiori, gli invitati le bomboniere, e il menù per il rinfresco e...»
«E frena, vecchia carampana! Se non l'hai ancora capito, qui si ragiona su ogni cosa a simbolismi! Basterà che si tengano per mano o che si scambino un paio di moine ed è fatta!» riprese fiato ridendo assieme a Reva, che non seppe mai cosa stava succedendo.
«E per il tempo, non è un problema, ho questo,» mostrò il Caduceo di Ermes senza esserne compiaciuta, diede un colpetto a terra e accanto apparve una sua copia sputata. Darlina e Sabato sussultarono aggrappandosi l'un l'altra. La Chimera oscillò col dito tra le Meduse.
«Ce-ce ne-ne so-sono, oh mamma! Ti sei sdoppio-raddoppiata!»
«Ora, Sabato, dammi la rosa del deserto, presto, così potremo liberare questi poveri addormentati.»
«Ma, Stella, se li liberiamo, Tantalo fa quella cosa che fa diventare affamati, potrebbero farsi del male da soli, non dobbiamo...»
«Purtroppo se vogliamo uscire fuori da questa situazione non c'è altra soluzione. Fidatevi di me, ho un piano. Allora, Sabato, la rosa!»
«Ehm... La, la rosa del deserto, ehm...» Scosso dalla tremarella, Sabato confessò d'aver polverizzato la gemma floreale.
«CHE COS'HAI FATTO?!» tuonarono le Meduse, e Sabato sentì gli attributi risalire nell'addome.
Lo sbuffo nervoso di Stella si perse nelle risatine di Reva, provocate dal solletico da parte dei serpenti della chioma fatto con le linguette biforcute sotto il mento. «E va bene, ormai è fatta. Dobbiamo trovare una soluzione.» Si rivolse alla sua copia. «Vai a prendere Artemisia.» La seconda Stella annuì, estroflesse le ali e al primo battito svanì. La Medusa col Caduceo fece per aggiungere qualcosa, ma il pavimento tremò di nuovo, le pareti della segreta si sgretolarono, un vortice nero lo sostituì. «Speriamo faccia in tempo,» biascicò Stella. «Mausolo! Fatti vedere!» L'alto, barbuto, signore dei sepolcri sbucò dal suo accampamento di macerie. Le spalle larghe a risucchiare la testa, e le dita intrecciate in continuo tormento fu il suo biglietto da visita.
«Scu-scusate.» Sabato lo squadrò come fosse un ammasso d'immondizia. Darlina lo mangiò con gli occhi manco fosse un cosciotto di prosciutto.
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