34 ~ Rivelazione finale
«Vorrei proprio sapere come faccio a vedere in questo sotterraneo così buio.»
«È davvero questo quello che vuoi sapere, donna?» ribatté Sabato, impotente contro l'acqua, la cui corrente lo faceva sbattere contro le pareti rocciose. La difficoltà a mantenere a galla la compagna trattenuta con un giro di coda attorno la pancia. «Questa maledetta acqua, non diminuisce!»
«Vorresti che ci fosse un tombino?»
«Magari! Credo che l'architetto fosse ubriaco quando ha disegnato il progetto!» ansimò l'altro.
«Se non ce l'ha messo, che vuoi fare, mettercelo tu?»
Mi hai dato una bella idea. Cerca di rimanere a galla, io torno subito, forse...»
«No! Aspetta! Puoi usare il simbolo dell'acqua!»
«Fallo tu!»
«Non posso. L'ho già fatto quando ero negli abissi da Poseidone! Devi farlo tu perché i simboli si possono usare una sola volta per ciascuno di noi!»
Il soffitto era a un braccio di distanza. La difficoltà di rimanere a galla non dava alternative.
«E che devo fare? Come faccio!» sbraitò.
«Capo! Ci penso io Capo!»
«Che vorresti fare?»
«Suggerirti delle Naiadi, Capo! Vedrai che ti piaceranno! Chiedi aiuto alle Naiadi.»
«E che sono?» domandò annaspando.
«Sono le donnine dell'acqua! Chiamale con gentilezza e vedrai che ci salveranno!»
«E come? Hai il numero di telefono, oppure vanno contattate tramite sito internet?»
«Ma che dici Capo! Su, chiamale, presto, o annegheremo!»
Sabato si convinse più per disperazione e che per convinzione. «Ehi! Naiadi! Se ci siete, alzate le chiappe che stiamo annegando!»
«Quanto tatto Capo!»
Darlina, con l'acqua alla gola e il soffitto a solleticarle il naso, non ebbe alcun pensiero se non il maledirsi per aver aperto in modo incauto la prima porta a caso. Chiuse gli occhi in attesa del peggio. Senonché l'acqua prese a vibrare, come se stesse bollendo nonostante fosse fresca.
Il soffitto si allontanò rapido, l'acqua diminuì, i piedi artigliati della Chimera toccarono il pavimento. Decine di braccia a scioglierla dalla coda del Basilisco. Aprì gli occhi e la bocca alla vista della dozzina di fanciulle seminude, sorridenti e danzanti attorno al felice Sabato.
L'uomo, sciolto come non mai, gli occhiali in bilico sul naso, accoglieva carezze sul viso, sulle braccia, sotto il mento.
«Aaaa, Capo! Te l'avevo detto che ti sarebbero piaciute!»
«Eh! Sì, bravo ragazzo,» disse sornione lui, ammaliato dalle movenze ancheggianti delle Ninfe.
Darlina, fradicia, scosse la testa: per liberare i capelli dall'acqua; per la scena delle squittenti donnine festose; e per tutto. Una Naiade le si avvicinò, si chinò e protese le labbra a mo' di sbaciucchio.
«Ehm, gentile "escort", o quella che sei, io sono a posto, non mi servono servizi extra...» La bocca della procace creatura risucchiò l'acqua residua da dosso della Chimera. Sembrava un aspiratore. Il servizio offerto donò ai suoi capelli e al pelo degli animali sul seno l'aspetto vaporoso degno delle migliori sciampiste europee.
«Però! Grazie, "Cosa" dell'acqua!» Negli occhi della creatura sorridente Darlina individuò il proprio riflesso. Si trattenne le guance arrossite con le mani. «Ma tu sei così... pura!» Nemmeno il tempo di finire di dirlo che partì una musica tipo arpe in concerto. Dal soffitto spoglio e grezzo, tutto frastagliato e lugubre, scesero tralci fioriti a formare altalene subito occupate dalle ninfe dell'acqua.
"I know I stand in line
Until you think you have the time
To spend an evening with me,
And if we go someplace to dance
I know that there's a chance
You won't be leaving with me.
Then afterwards we drop into a quiet little place
And have a drink or two
And then I go and spoil it all
By saying something stupid
Like I love you..."
Darlina chinò il capo prima di essere centrata in pieno da una ninfa in altalena che le stava oscillando contro a gambe oscenamente spalancate. «Ci mancava pure la colonna sonora di "Moulin rouge!"» inveì raddrizzando la schiena. Fece per richiamare Sabato, ma vedendolo beato tra le grazie acquatiche rinunciò con tutta se stessa. Si lasciò alle spalle il baccanale e balzò in mezzo all'umidità dello slargo limaccioso, diretta verso un'altra porta.
«Eppure ci deve essere una maniera. Se ci fosse Stella saprebbe cosa fare. Uffa. Io non sono un'archeologa. Eppure mi tocca fare quello che fa lei. Oppure...» All'improvviso le si aprì un illuminante cassetto della memoria. Ritornò con la mente alla grotta di Calipso e rivide Arianna, la fanciulla che l'aveva coccolata con affetto come fosse una sua nipotina. Istintivamente infilò la mano nella borsa e afferrò qualcosa di sferico.
«Questo è utile per trovare la via, così mi aveva detto quella cara ragazza.» Rigirò tra le mani il gomitolo dorato, mentre era in caccia di un altro particolare che le sfuggiva. Scosse la testa.
«Daria Nilla Orsolese! Che fai, non ti unisci a questa pomposità?»
«Non fare il volgare, Sabato Dello Montesilvano! Altrimenti lo dico a Stella Di Marino, e poi vediamo se hai ancora voglia di casino!»
La Chimera ritornò in mezzo allo spiazzo, così da poter avere sotto controllo tutte e sei le porte ancora chiuse. Portò il gomitolo a un palmo dal naso. «Se come aveva detto Arianna è vero, allora tu, piccolo garbuglio d'oro, sai qual è la strada giusta. Sapresti indicarla per favore?»
"Tutto avrei immaginato di fare nella vita, tranne che parlare a un gomitolo..." La palla di filo d'oro schizzò dalle sue mani come una molla, e balzello dopo balzello sul pavimento roccioso si diresse in contro a una porta, dove rimbalzò contro con insistenza, quasi indispettita dal trovare chiuso il varco.
«Ehi! Di là! C'è qualcuno?» domandò Darlina appena raggiunta la porta. Il gomitolo le saltò in grembo, e lei lo ripose in borsa.
La voce ovattata che provenne dall'uscio sbarrato la incuriosì. Chiese alle festaiole di fare silenzio un attimo. Sabato, sbuffante come una locomotiva a vapore, si costrinse a partecipare alla sua curiosità. Le si avvicinò lottando contro le braccia delle ninfe, che proprio non volevano saperne di lasciarlo andare.
«Senti qua Sabato, la porta prima ha parlato!»
«Mi sono perso!» disse qualcuno.
«Sei dei nostri allora!» rispose Sabato accigliato.
«Aiuto! Aiuto! Qui ci sono topi ovunque!»
«Non ci facciamo mancare nulla oggi!» rimbrottò la Chimera accostando l'orecchio alla porta. Posò le mani in cerca di qualche indizio. Era una porta differente dalla precedente. Era scolpita in bassorilievo. Un'intricata decorazione tipo serpenti della Medusa. Sospirò riconoscendone la somiglianza. "Stare separati proprio agli ultimi momenti non è stata una scelta saggia." Accarezzò la scultura e i nodi di roccia si mossero. L'intero bassorilievo si ritrasse e dal foro appena liberato fece capolino la testa din un uomo.
«Aaaaaa! Un mostro!»
«Tua nonna!»
«Un mostro nonna! Di male in peggio!» gridò ancora quello appiattendosi al muro mentre la porta continuava a dissolversi. Darlina lo ignorò, ora attratta dal pavimento del corridoio che pareva muoversi.
«AAAAAA! TOOOPIIII!» gridarono le ninfe sgambettando a destra e a manca impazzite di colpo.
A Darlina qualcosa non le tornava. Ignorò le creature, che una dopo l'altra si dissolsero nell'aria come fatte di vapore, e aguzzò la vista dietro gli occhiali. «No! Sono donnole di montagna!» Le si aprì all'istante un altro cassetto della memoria e spalancò gli occhi. La gola stretta per il respiro appesantito all'improvviso. Si voltò.
«Sabato! Attento! Sono donnole! Ricordi cosa aveva detto Artemisia e poi anche Stella? Il morso della donnola uccide il Basilisco!»
«Di Artemisia non mi fido, ma di Stella eccome che sì!» disse indietreggiando svelto appena il tappeto di donnole invase lo slargo.
«Capo! Facciamo attenzione Capo! Quelle ci ammazzano!»
«Sì, il concetto è quello!» la smorfia a sottintendere il pericolo. Darlina puntò gli occhi dappertutto, portò le mani sotto i menti della capretta e del leoncino.
«Care testoline, qui urge il vostro intervento!» Le migliaia di paia di occhietti sanguigni delle donnole le diedero ragione sulla loro pericolosità, perciò non provò rimorso quando ordinò alla capretta di sparare spine contro la massa di roditori, né di far vomitare fuoco all'unico serpente di cui disponeva, usandolo come un lancia fiamme. Le spine andarono a segno e le donnole trafitte svanirono in piccole esplosioni polverose. Il getto di fuoco invece le cancellò del tutto.
«Da--Daria Nilla, a-aiuto-ooo!»
Affaccendata come una pompiera al contrario, Darlina si voltò con la serpe spara fuoco in mano, e involontariamente la puntò addosso a Sabato, incendiandolo un attimo prima che fosse morso dalle donnole che gli erano saltate addosso. Dissipate le fiamme, Sabato apparve abbrustolito come un cosciotto di prosciutto.
«Ahó! Donna! Allora?» Il fumo che gli usciva dalla bocca, dal naso e dalle orecchie, lo sguardo a occhi spalancati.
«Non siete mai contenti voi uomini!»
«Eh, mi hai lanciato il fuoco! Tanto valeva essere morso dalle "gondole"!»
«Donnole, genio! Si chiamano donnole. Non sono le barchette veneziane, sono roditori.»
«Non mi imitare Stella, che di come quella ne basta una!» rabbrividì al pensiero del contrario.
Le spallucce di Darlina diedero ragione a Sabato. «Ehi! Ci sei ancora tu?» si rivolse alla persona che stava dietro la porta dissolta, che come un pupazzo a molla uscì fuori urlando dal corridoio ballando per spegnere il chitone in fiamme.
«Ma chi siete? Oh! Sto andando a fuoco!» Un getto d'aria gelida spazzò via le fiamme dal drappo ellenico del ragazzo. Le ali sulla schiena della piccola donna fece sussultare lo strano tipo. Darlina si voltò di nuovo.
«Stai bene adesso?» il tono spazientito.
«Sei, sei la, la Chi-chi-chi...»
«CHICCHIRICHÌ!» suonò alto il verso di un gallo e Sabato si accasciò.
«È vero!» realizzò Darlina accorrendo in aiuto al compagno. «Anche il canto del gallo è mortale per il Basilisco!»
Il testone iridato era svenuto e penzolava inerte a bocca socchiusa. Le scaglie presero a perdere colore.
«Ho un'idea!» la Chimera lanciò le mani nella borsa in ricerca di qualcosa, che fortunosamente trovò subito.
«Tappi per le orecchie!» constatò osservando i turaccioli anatomici, e più veloce che poté li infilò nelle orecchie dell'amico che stava rannicchiato e sofferente. Il sollievo fu rapido. Sabato orientò gli occhi a destra e a sinistra prima di inquadrare Darlina.
«Stai bene adesso?»
«Eh? Hai detto qualcosa?»
«Siamo a posto, di male in peggio!» esclamò Darlina, lanciando l'udito alla ricerca del gallo che stava cantando nonostante fosse ormai sera, quasi notte.
«Ehm... chi-chi siete?»
«Ah! Quest'altro tipo, m'ero dimenticata...» Un pugnale le si piantò in mezzo alle teste degli animali sul seno e lei lo osservò, poi osservò l'individuo. Sospirò. «Guarda, pezzo di cretino, hai sbagliato giorno!» agganciò l'impugnatura della lama, la sfilò, e nonostante fosse lorda di sangue, lei non accusò alcun danno. Le leccate del leoncino agevolarono lo stesso la rimarginazione della ferita. Fece per alzare un pugno contro lo sciagurato, ma lo vide volare contro la parete rocciosa dopo aver incassato un cazzotto da Sabato.
«Sta indietro cara, questo tipo è pericoloso!»
«Chi sei?» domandò di nuovo Darlina, sempre attenta a rintracciare il pennuto che cantava fuori orario.
«Che differenza fa saperlo per voi mostri? Tanto per uccidere e divorare la gente non serve mica la carta d'identità!» ansimò quello.
«Potresti rimanere sorpreso a riguardo, cretino!» ribatté la Chimera, fermando a stento il secondo assalto del Basilisco.
«Teseo. Sono Teseo. E adesso che lo sapete, che cambia?» rivelò l'altro seduto a terra spalle al muro.
Darlina si tappò la bocca con le mani. «Ah! Ma allora tu sei Teseo? Quello che mi ha raccomandato Arianna!»
Il volto del ragazzo abbandonò il rifugio tra le ginocchia sporche di polvere e cenere, e gli occhi supplici scintillarono di lacrime.
«Tu! Mostro! Che cos'hai fatto alla mia Arianna?»
«Ah! Non, fare, la... tragedia greca, che poi mi viene fame, e qui non c'è nemmeno il chiosco dei popcorn! La tua Arianna mi ha detto di portarti in salvo, se è vero che sei Teseo. Ma a proposito, che cappero di Pantelleria ci fai qui?»
Teseo si alzò di scatto e Sabato gli fu a un palmo dal naso. Occhi negli occhi.
«Resta calmo, giovanotto!»
Darlina balzò in mezzo ai due e mimò all'amico di stare tranquillo, che aveva la situazione sotto controllo.
«Chi mi dice che voi non le avete fatto del male o peggio?»
«Il fatto che Arianna si trova al sicuro nella caverna di Calipso, con Calipso, assieme al Minotauro, e che prima di partire mi ha dato questo,» disse pescando dalla borsa il gomitolo d'oro. L'orecchio dilatato all'ennesimo verso del gallo. "Se ti acchiappo ti faccio arrosto seduta stante!"
«Ma allora vi ha mandato lei,» convenne Teseo rimanendo a bocca aperta. «Siete amici... Ma mi sembrate strani. Voglio dire. Siete, siete...»
«Mostruosi, sì, lo sappiamo, ci abbiamo fatto il callo. E pensa che di sopra ce n'è un'altra ch'è messa pure peggio,» tagliò corto Darlina. «Adesso, voglio che tu mi dici se sai dove si trovano i prigionieri di Mausolo.»
«I-i-i-o lo so,» deglutì a gola secca. «Si-si-si trovano qui sotto, dopo il corridoio dov'ero prima. Ba-ba-basta farlo al contrario, sce-sce-scendere le scale curve e si-si-si giunge al sotterraneo. Lì-lì-lì c'è quasi un intero villaggio di persone, uomini, donne e bambini tutti per terra. Tutti con catene, i-i-i-ncatenati tutti.»
«E come mai tu ti trovi qui?»
«Ero venuto per cercare Calipso dopo che Mausolo l'aveva fatta rapire. E... e... e...»
«E, cosa?»
«E mi sono perso.»
«Ti sei perso e basta?»
«E trascorso tutto il tempo a schiattare di paura. Lì-lì-lì so-so-sotto c'è...»
«Tantalo,» disse spiccia Darlina, stufa di sentire ancora quel nome. «E cosa avrà mai di così terribile questo qua?»
«La fame. Chiunque va nei sotterranei ha fame. Prova fame anche se non ne ha. Prova a mangiare i corpi dormienti degli ostaggi. Solo che le catene che hanno impediscono di essere divorati. Ma si ha fame. Fame di carne umana.»
Un unico pensiero assillò all'istante Darlina. "Se le persone rapite si risvegliassero subirebbero lo stesso effetto e finirebbero per divorarsi a vicenda!" «Che guaio!» esclamò col cuore in gola. «Menomale che la ninfa Menta li ha incatenati tutti quanti! Che per quanto mi era sembrato un gesto bestiale, ora mi pare chiaro che aveva fatto bene.» Ci pensò su, pensò come mai aveva fatto prima, fino a giungere a una conclusione orribile. «Se scendessimo subiremmo anche noi lo stesso effetto e potremmo metterci a mangiare le persone, altro che salvarle! Che casino di situazione! Qui ci serve Stella mannaggia!»
Osservò il corridoio alle spalle di Teseo. Assottigliò la vista all'udire di nuovo il gallo. Era lì in fondo, e a lei parve chiaro la stesse chiamando, o che si stesse burlando di lei.
Alcune rocce puntute si staccarono dal soffitto e Sabato balzò indietro. Individuò i frammenti rocciosi, e il compare di spalla, appena rianimato, gli diede il beneficio della vista periscopica. L'uomo si chinò sul pavimento come se stesse cercando qualcosa, ma in realtà stava osservando una macchia oscura che si distingueva in mezzo a uno spazio vuoto altrettanto oscuro. Era una mano artigliata, gigantesca. Era così grande che il solo palmo poteva ospitare l'intera base della torre di Mausolo.
«C'È QUALCOSA CHE NON VA, DONNA!»
«Ma che hai da urlare in questo modo barbaro, Sabato!» ribatté Darlina con le mani premute sulle orecchie. E ben fece a proteggersi poiché il soffitto vibrò provocando un frastuono che persino Sabato lo udì. L'uomo si sbracciò per mantenere l'equilibrio, si colpì il petto con una mano centrando il punto in cui teneva conservata la moneta. Si spaventò ancora alla vista del gallo appena uscito fuori dal nascondiglio. Sembrava impazzito, scorrazzava e gracchiava tutto il terrore che gli arruffava le piume, un altro spuntone si staccò, la bestiola alzò il becco e negli occhietti scuri brillò lo sperone che un secondo dopo gli trapassò la testa crestata, il collo e tutto il resto. Darlina ebbe un conato per la brutta fine del povero animale.
«Mi spiace, non volevo proprio questa fine...» borbottò. Ma lo scrupolo svanì nel momento in cui la carcassa del pollo si liquefece in un torbido liquido melmoso che s'infiltrò nel terreno roccioso.
«Mazza che schifo! Qui nulla è come dovrebbe essere...»
«HAI DETTO QUALCOSA?»
Darlina sbuffò. «Non credo ci siano altri galli in giro.» Si avvicinò all'uomo e gli tolse i turaccioli alle orecchie, sicché poté metterlo a parte di tutto il guaio incontro al quale erano obbligati a correre.
«Ma donna, non ci posso credere che si può avere fame di carne umana, dove siamo, a "fear the walking dead"?»
«Ehi, Capo! Dille quello che abbiamo visto da basso.»
«Oh, sì. Come se non basta tutto questo macello, cara mia, c'è una specie di gigantesca mano oscura che sta risalendo dalle profondità della terra, proprio qui sotto - indicò con gli indici il pavimento - e tra non molto agguanterà tutta la torre. Credo sia qualcosa che può avere a che fare con "Mammolo"»
«Tantalo, vorrai dire,» rettificò accigliata Darlina.
«Quello che è, io li confondo sempre tutti i sette nani...» La terra tremò ancora, Darlina perse l'equilibrio, Sabato non fece in tempo a intercettarla mentre cadeva.
«Qui dobbiamo fare qualcosa subito. Non possiamo aspettare Stella,» ammise Sabato mentre aiutava l'altra a rialzarsi.
«E, Teseo, senti... Ma dov'è?» lo spazio vuoto che aveva lasciato l'individuo al quale si era rivolta apparve più desolato di prima.
«Penso che abbia tolto le tende...» suppose Sabato.
«Mmm, decisamente quello è l'eroe meno eroico di tutti gli eroi.»
«Allora, direi di proseguire per quel corridoio e vediamo come fare.» Il soffitto tremò di nuovo facendo crollare un grosso masso in mezzo allo spiazzo. «Prima che Stella faccia crollare tutto... del tutto.»
Con o senza coraggio, ma determinati a sistemare la situazione, si avviarono lungo il corridoio.
«Quanto ancora potrai resistere?» rise Mausolo posseduto da Tantalo, compiaciuto e illuminato dall'alto dal brillante tirso di Dionisio che aveva appena sfondato l'ultimo soffitto.
La stessa luce si riflesse negli occhi di Stella, che stava rannicchiata in posizione di difesa, mentre fronteggiava Achille, Perseo e Bellerofonte.
«Qui i giochi stanno per finire tutti quanti in un colpo solo!» Il serpente delle rocce solido tra le mani vibrò. "Se solo sapessi qual è l'emblema che dovrei possedere..."
I muri, tutti crepati, presero a scricchiolare e a scuotere calcinacci e sculture di marmo. Achille colse l'attimo di distrazione della Medusa, balzò agile e a braccio alto scatenò un affondo con la spada. Stella l'aveva visto, e non si sottrasse al colpo che parò con il serpente rigido. Scintille a esplodere come polvere da sparo. Ma nonostante la forza infusa da Achille all'affondo, Stella non si mosse.
«Sei più forte di quello che fai credere!» sibilò a denti stretti il bellissimo guerriero.
«La forza si piega sempre davanti all'astuzia!» nel condividere l'affermazione pensò rapida a una divinità. Achille accentuò l'energia con la quale stava spingendo il serpente delle rocce. Stella si alzò opponendo in netto contrasto un vigore che non riconosceva di possedere. Con un gesto rapido del capo individuò uno dei suoi serpenti morderle una spalla. Lesse la peculiarità sul dorso.
«Testosterone?! L'ormone della forza fisica!» "Adesso capisco come mai ce la sto facendo, a buon rendere amico."
«Nei tuoi occhi vedo del terrore,» bofonchiò Mausolo, mirando il passaggio aperto sul muro dov'era prima il mosaico. Avanzò in quella direzione. «E voi, Perseo e Bellerofonte, attaccatela!» indicò la Medusa con autorità malevola. Voltatosi impettito procedette a gran falcate verso il passaggio, senonché bloccò il passo. Digrignò i denti alla vista del marmo del pavimento tramutarsi in pietra. Puntò la Medusa.
«Tu sei mio!» ringhiò la donna. Intorno a lei si diffuse a macchia d'olio la malia che tramuta ogni cosa in pietra. «E se ci tieni tanto al terrore, te lo mostro subito!» disse un attimo prima di accogliere nel duello impari anche Perseo e Bellerofonte. I serpenti della chioma avvolsero il volto della Medusa, iscrivendolo in una minacciosa ghirlanda di rettili dall'espressione selvaggia.
«Come la testa della Medusa è posta in mezzo al tuo scudo, dea Atena, così io mi ergo a baluardo contro i miei nemici!»
«Bastarda!» inveì Mausolo indietreggiando. La presa di Achille sulla spada vacillò, gli occhi azzurri spalancati come se stesse osservando la più truce delle scene di film horror, Bellerofonte e Perseo si scontrarono l'uno contro l'altro, agitati e tremanti come bambini. Uno dei due se la fece sotto letteralmente.
Stella, libera dallo scontro opposto da Achille, incespicò un attimo in avanti ma non cadde. La smorfia sul volto terribile accentuò l'effetto concesso dalla dea invocata.
«Come simbolo di Atena io ti ordino Tantalo di liberare questi uomini dal tuo influsso malefico!»
Achille, Perseo, Bellerofonte e lo stesso Mausolo tesero le braccia lungo i fianchi, inarcarono la schiena, il volto alto e la bocca spalancata. Dai pori dei loro corpi, dalle bocche, dai nasi e dalle orecchie fuoriuscirono volute di fumo denso mentre gemevano sofferenti.
La malvagia tenebra si radunò in un unico agglomerato che coprì la volta distrutta della sala e ruotò attorno al tirso senza sfiorarlo.
«Faaamee...» gorgogliò quella cosa fluttuante sopra le teste dei presenti.
Gli uomini liberati si accasciarono sudati al suolo. I respiri pesanti. La chioma serpentesca tornò a essere la solita minacciosa capigliatura di Stella.
«Che faticata 'sta giornata!»
«Faamee...»
«Eh?» Stella sollevò lo sguardo verso l'alto. «È questa la tua forma, Tantalo?»
«Faamee...»
«E che vuoi da me? Fatti un panino!»
Mausolo fece forza sulle braccia, tossì e tornò ritto e fermo sulle gambe. «Tu non capisci.»
Stella concesse attenzione al signore della Torre. Assottigliò la vista per cercare di capire quale fosse la sua autentica personalità. «Cosa non capisco?»
«Lui, è, la Fame assoluta, donna Medusa.»
Il tono ammorbidito dell'uomo distese le rughe sulla faccia di Stella. «Chi è adesso a parlare, Mausolo o Tantalo?»
Mausolo scosse le spalle e i grossi muscoli delle braccia vibrarono; un particolare che a Stella non sfuggì. «Sei stata tu a liberarmi da Tantalo, se non te ne sei accorta, hai usato un simbolo della dea Atena, uno dei più potenti. La paura che infonde il suo scudo. D'altronde, la testa della prima Medusa è finita sullo scudo di quella dea.» Si scansò dalla traiettoria del tirso che ormai era giunto a poco più di due metri dall'ultimo pavimento. La nube malefica si unì a imbuto, un vorticante cono rovesciato la cui punta andò a premere sull'emblema di Dionisio così da accelerare l'impatto.
«Cosa intendi dire con...»
«Faamee...» ripeté di nuovo la foschia oscura.
«...assoluta,» aggiunse la Medusa.
«È la fine. L'inizio della fine.»
«A no! Questo no! Assolutamente no! Basta con gli enigmi! Mi sono rotta!» Malgrado la reticenza ostentata però, il suo cervello trasse la conclusione finale. «Oh, porca, lurida, batti-e-scopa!» deglutì. «Ma come siamo arrivati dal dover riportare a casa un marito latitante a vedercela con l'Apocalisse?»
«Allora è vero che sei la prescelta più dotata,» rise amaro Mausolo. «Fame è uno dei nomi di Tantalo. Guerra, be', il dio della guerra Ares per una volta non c'entra nulla. Siete voi umani, con tutte le vostre guerre assurde, vi state affannando affinché l'origine della fine abbia inizio.»
«E la Pestilenza?» domandò Stella, attenta a tenere sott'occhio Achille e gli altri due guerrieri che cominciavano a riprendere fiato, ed espressioni un po' meno da imbecilli forzuti.
«Davvero mi chiedi di Pestilenza? Pensaci.»
«L'unica forma di pestilenza più attuale che mi viene in mente è la pandemia del COVID-19, oh merda!» si tappò la bocca con le mani. «E tu, le tue intenzioni quali erano?»
«Quando mi sono accorto che Tantalo si era liberato era ormai tardi. Artemisia era in missione per scongiurare un'altra catastrofe. Ero solo. Tantalo, vedendo solo me ha potuto recidere il nostro legame, e di conseguenza a impossessarsi di me, che rappresento il simbolo del male.»
«Quindi l'unica cosa che riesce a tenerlo prigioniero sei tu e Artemisia uniti in equilibrio.»
Mausolo annuì. «Solo che Artemisia, libera dal legame che la teneva insieme a me, non può avvicinarsi a Tantalo, altrimenti la possederà come ha fatto con me... e lei è più potente. È il simbolo del bene. Se passasse al male... Niente è più pericoloso del bene che diventa male.»
La nube conica ruggì.
«Qui le cose si mettono sempre peggio,» commentò Stella con gli occhi puntati sul tirso, ormai prossimo a sfiorare l'ultimo pavimento.
«Noi. Noi abbiamo la nostra parte di colpa,» esordì Achille. Stella tornò a tenerlo d'occhio. Dietro l'eroe anche Bellerofonte e Perseo stavano scambiandosi i reciproci pensieri.
«Noi eravamo coscienti mentre facevamo tutte le cose terribili che siamo stati costretti a fare. Ma non abbiamo scusanti. E sappiamo che tu Medusa sei una brava persona. Sappiamo che sei qui con i tuoi amici per risolvere la situazione. Ecco, noi vorremmo riparare al disonore che abbiamo portato...»
«Sì sì sì, siete tutti arruolati al casino,» tagliò corto Stella, felice che uno dei suoi piani finalmente stava girando per il verso giusto. «Io e i miei compagni dobbiamo salvare gli ostaggi. Purtroppo però, se la gente vede la Medusa, il Basilisco e la Chimera si spaventerebbe a morte, e scoppierebbe un altro caos del quale non abbiamo bisogno. Per questo servite voi, Achille, Bellerofonte e Perseo. Voi dovete fare la vera parte degli eroi, voi dovete salvare tutte quelle persone, è chiaro?»
«Sì signora!» tuonarono gli eroi sbattendo scudi e spade. Mausolo socchiuse gli occhi e rilassò le spalle. "Chi è questa guerriera mancata?"
«Faamee!» gridò ancora la nube.
«E che vorresti fare, mangiare me?»
«Non mangio roba vecchia!»
«Vecch_ ma vaffaAAAA!» Il cono nebuloso protese grinfie artigliate contro il pavimento distruggendolo, il tirso acquisì velocità, i guerrieri sprofondarono assieme ai massi di marmo, le pareti della torre tremarono, Mausolo si perse tra le rovine, Stella sbatté ogni parte del corpo contro le macerie finendo divorata nell'ignoto sottostante.
Nel frattempo Darlina e Sabato, giunti a destinazione, si trovarono di fronte l'enorme distesa di corpi dormienti e incatenati. Nonostante l'assenza di luce videro bene che al centro c'era lo scrigno, il fulcro dal quale si dipanavano le catene di Zeus. C'era silenzio. Un silenzio tombale.
«Sembrano morti. È difficile credere che stiano solo dormendo,» sussurrò Darlina, timorosa di disturbare il sonno generale.
«Capo! Capo! Qui sta per succedere qualcosa!»
Sabato orientò gli occhiali di onice verso il soffitto. «Sta per arrivare lo stendi pasta fresca!»
Il silenzio fu interrotto da una delicata vocina.
«Mamma... Mamma...»
«Qualcuno è sveglio!» esclamò Darlina un attimo prima che il soffitto tremasse. «Qui sta per crollare tutto, presto Sabato! Dobbiamo fare qualcosa altrimenti tutta questa gente rimarrà schiacciata!»
Enormi massi si staccarono dal soffitto. Tra le crepe la luce d'oro del tirso apparve come il sole che vince le nubi in tempesta.
Sabato sentì altro arrivare dal sottosuolo. Girò su se stesso e scorse, lungo il perimetro della terribile prigione, il gigantesco palmo della mano oscura di Tantalo giungere a un soffio dai prigionieri.
L'uomo estrasse dal chitone la minuscola rosa del deserto. «Questa cosa salverà davvero tutte queste persone?» puntò lo scrigno e scattò incontro.
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