32 ~ Rossetto e cioccolato
Gli occhiali di onice scivolarono dal naso di Sabato, sicché i contorni di Stella stesa a terra apparvero prima sfumati e subito dopo acquosi. Con la manica del chitone porporato asciugò gli occhi celesti e sistemò le lenti. Terribile. Stella era morta. La chioma serpentesca era immobile e in disordine, come un grottesco sudario stiziato di sangue a coprire la testa ruotata in modo innaturale. L'uomo deglutì a forza, come se avesse schegge di vetro ficcate in gola.
Darlina d'istinto compì un balzo, ma l'uccisore di Stella la intercettò con un salto e la colpì a una spalla con la clava facendola schiantare contro il bancone del bar demolendolo.
Sabato distribuì lo sguardo ora sulla salma, visibile oltre l'energumeno, ora su ciò che era rimasto del bar. Non riusciva a vedere Darlina.
«Porca puttana!»
«Ehi Capo! Che fai? Anzi, perché non fai! Avanti! Stendi lo stronzo che ha steso la mia Pupa preferita!»
Il colosso, ancora avvolto dalla polvere, sollevò la clava, e a passi misurati si avvicinò verso la Medusa.
«Presto Capo! Quello vuole infierire!»
Sabato in verità non stava lasciando di proposito Stella in balia del guerriero, voleva sincerarsi che almeno Darlina fosse intera. Ciononostante si rimboccò le maniche della tunica e raggiunse il bestione.
«Ehi! Tu!»
Quello in tutta risposta gemette. Scrollò la testa e alcune gocce, forse di sudore, perforarono la coltre polverosa creando piccole spire fumose. Arrivò a un passo da Stella e calò la clava formato tronco di pino, senonché l'affondo si arrestò a un soffio dalla testa della donna. Sbigottito, socchiuse la boccaccia contornata di barba e osservò la mano nuda di Sabato che stava trattenendo l'orribile arma. Sbatté gli occhi. Ripercorse con lo sguardo la lunghezza del braccio che lo aveva fermato. Lo stesso Sabato non seppe credere a sé stesso. Era sì, di corporatura alta oltre la media, essendo un ex nuotatore, ma mancava almeno un metro per raggiungere la spalla di quel guerriero. Ed era anche vero che possedeva la forza di un dinosauro. Ma il confronto con un eroe vomitato dalle cose mitologiche rimaneva pur sempre qualcosa di ragguardevole come impresa. Nonostante ciò, con una spinta lo scaraventò in mezzo alla sala, prima di accovacciarsi accanto a Stella per constatarne la morte.
«Povera brillante donna,» una mano a coprire la bocca, e l'altra su quella dell'amica a pulire il rivolo di sangue che offendeva l'antica vivacità. «Aspettaci. Entro fine giornata saremo di nuovo insieme,» sussurrò a occhi acquosi. Li socchiuse e le palpebre scacciarono le lacrime. Avrebbe voluto raccogliersi nei ricordi della lunga vita trascorsa assieme all'amica. Ripercorrere per bene gli attimi salienti che aveva condiviso con lei. L'amicizia nata all'asilo, le scuole frequentate insieme, la separazione dovuta ai differenti interessi. Il ritrovarsi poi più affiatati che mai, e poi ancora la divisione a causa delle professioni intraprese, che spesso non coincidevano con la vicinanza geografica. Infine la promessa mantenuta di trascorrere gli ultimi anni di vita da arzilli vecchietti. Era stato tutto esaudito. L'impegno di essere in tre fino alla fine mantenuto. Ma quanto faceva male l'ultima, definitiva separazione.
No. Non poteva pensare a tutto ciò. Il rumore che provenne dal cumulo di macerie che pochi istanti era il bancone del bar lo attirò. «Daria Nilla!» Recuperò la volontà di rialzarsi e corse da lei. La chiamò, ma ottenne solo dei mugugni. «Ah no! Decisamente no! Non posso rimanere solo! Che faccio senza nemmeno una donna io!» "Oddio, ho usato l'espressione di Stella!" Scosse la testa, lanciò le mani sulle macerie, ma gli bastò spostarne poche per scovare l'ultima compagna rannicchiata, con tra le braccia l'unico cassetto che una volta faceva parte del mobile da bar. Le mani in frenetico movimento su un mucchio di caramelle e cioccolatini che stava scartando e divorando in modo compulsivo.
«Ma! Donna! Ti sembra il momento per ingozzarti?!»
«Ah! Sabato! Lasciami stare, che tanto lo sai, lo sai, che i funerali mi-mi-mi, mi mettono appetito convulso!» le guance molli imbottite delle delizie di conforto.
«Quindi hai compreso che Stella non_»
«E chi caspita sopravvive a una botta del cavolo come quella!» la voce impastata dai dolciumi e le guance zigrinate innaffiate di lacrime. «Povera Giraffina mia! Povera...»
Un sospiro precedette il rombo tipo tuono di un temporale, un baccano talmente dirompente da far sobbalzare Stella.
«Nata da un sospiro, o da un temporale...»
«Ma cosa? Dove accidenti mi trovo? Non vedo nulla!» Ruotò il corpo su una superficie che al momento non seppe distinguere.
«L'ostetrica ti batte e non ti chiede come va,
benvenuta qui tra luce e confusione...»
«Ma quale ostetrica, luce e confusione... oddio, di confusione ce ne ho fin troppa. Ma dove sono? Non si vede niente!»
«T'ha detto cos'è bene, e t'ha spiegato il male,
si sappia regolare prima o poi c'è l'aldilà...»
«Oddio queste voci! Ah!» Si mise in ginocchio e allungò le mani alla cieca senza riuscire a toccare nulla.
«Guardare e non toccare,
guardare ed ingoiare,
e sei un po' nervoso ed un motivo ci sarà...»
«Ehi! Guardate che vi ho riconosciuto, piccole pesti oltretombali!»
«Vivo, morto o X
vivo, morto o X
vivo, morto, vivo, morto, vivo, morto o X,
fa una croce qui firmati così
vivo, morto, vivo, morto, vivo, morto o X...»
«Oh! Ma dobbiamo ascoltare tutta la compilation di Ligabue, eh? Terrore, Paura! Saltate fuori e accendete la luce che mi sto innervosendo!»
«Nonnina Stella!»
«Tua sorella! Oh! Mi volete dire...» Due puntini luminosi contrastarono il buio, poi accanto se ne accesero altri in sequenza, fino a chiudere due specie di aureole sopra ad altrettante teste.
«La luce è fioca, ma è già qualcosa. Ragazzi, che cosa è successo?»
«Paura respirò a pieni polmoni. «Mmmm che profumo incantevole nonnina Stella!»
L'altro ridacchiò. «Profumi di morta schiattata!»
Un rivolo denso tracciò una scia calda sulla guancia e Stella lo intercettò con la mano e lo studiò. «Ferro liquido, no, sangue!» Fece un mezzo sospiro. «Ora ricordo tutto. Caspita, sono crepata per davvero.» Con gli occhi sbarrati individuò Paura e Terrore. «E adesso che faccio?»
«Preparaci una tortina, nonnina!»
«Che devo fare?»
«Sì, una torta, la torta dei tuoi morti!»
«E di tua nonn... mmm!» sospirò. «Su, basta scherzare, ragazzi...» Una luce dorata, un puntino lontano catturò la sua attenzione. «Di là dove si esce?»
«Oh, no, no, di là meglio no,» avvertì Paura. «Di là si va al tribunale dei defunti dove si viene giudicati.»
Stella scosse la testa, e un altro piccolo puntino luminoso stavolta argentato, la incuriosì, e Terrore intercettò il suo interesse. «E di là si va per la reincarnazione. Se vuoi andare di là, rinascerai in un corpo nuovo. Ma se ci vai prendi il posto che spetta a un'altra anima.»
«Per carità no! Assolutamente no! Prendere qualcosa che non è mia? Questa è una cosa che non esiste che faccia!» si scrollò dal volto il sangue che ancora le rigava mezzo volto. «E c'è un'altra possibilità?»
Paura e Terrore si scambiarono un'occhiata, che nella fioca luminescenza delle loro corone di fuochi fatui apparve più sinistra di quanto fosse. Schioccarono le dita all'unisono e Stella si ritrovò in cucina, nella sua cucina della casa sul Chianti.
«Ma?!» le braccia incrociate sulla faccia a protezione dall'imprevisto bagliore proiettato dalla vetrata che dava sulla vallata. «Okay, più che morta sono pazza! Ma che cavolo?!» Una volta abituata alla luce, inquadrò la chiassosa coppia di teppisti infernali saltellanti attorno, mentre inneggiavano la cavolo di torta che pretendevano lei preparasse.
«Nonnina Stella, se ci fai la torta noi poi ti ributtiamo nell'inferno nel quale ti trovavi, va bene?»
«Va bene un corno, beccamorti ricattatori!»
Paura e Terrore si scambiarono ancora un'occhiata come fanno i pappagallini prima di ripuntare gli occhietti su Stella. «Tic-tac! Il tempo scorre nonnetta!» avvisò Terrore.
«Più il tempo passa meno possibilità abbiamo di riportarti indietro,» aggiunse l'altro, e Stella fece una smorfia.
«Mi avete incastrato,» sospirò. Paura e Terrore, l'uno stretto all'altro, sbatterono le palpebre ostentando una angelicità che proprio non avevano. Stella crollò la testa, sbatté le mani sui fianchi e solo allora si accorse d'indossare il tubino blu navy, che i piedi cavalcavano i tacchi a spillo, e che sulla testa era tornato il caschetto mogano Tiziano.
«Oh! Non sono più la Medusa! Ma perché?»
«Perché non sei al momento viva. Tu sei anima adesso. E la tua anima mica è mostruosa, è "umanosa,"» rivelarono le pesti con tono di sufficienza, attenti più a riprendere col cellulare la casalinga in procinto di disperarsi, mentre si specchiava sulla superficie riflettente del para schizzi attorno ai fornelli. La donna studiò anche le mani, scoprendole oltremodo maltrattare.
«Ma come posso essere così a pezzi, oh! Le unghie! Non sono più di bronzo! Mi sto sentendo male!»
«A fine servizio ti sentirai anche peggio nonnina, su, facci la torta su!»
Stella sbuffò. «Ma non possiamo passare al punto in cui mi fate tornare indietro?»
«Noonee!» esclamarono in perfetto romanesco i bastardini, e Stella abbatté il capo contro lo stipite. Imprecò, tirò fuori il cellulare e chiamò la massima autorità in fatto di pentole e padelle.
Lo squillo del cellulare di Darlina rimbombò nella sala bar snudata del mobilio ridotto in cumuli di macerie. Sabato spostò lo sguardo verso l'amica, che non meno sorpresa chinò la pappagorgia sulla borsa.
«Chi sarà mai che mi chiama?» tuffò la mano nella bisaccia in cerca dell'apparecchio, intanto l'eroe tramortito da Sabato mugugnava e lanciava alla rinfusa i pezzi di tavolini e sedie che aveva distrutto nello schianto. Rizzò il busto e si scrocchiò il collo, subito dopo, come fosse un automa, si alzò e tornò, clava in mano, verso Stella, ancora col proposito d'infierire.
«Lascia perdere il cellulare, Darlina. C'è ancora quel grosso testone che vuole trucidare il corpo di Stella!»
«Come si può essere così malvagi?»
Insieme rincorsero il bestione, ma quello fu più veloce. Fecero in tempo soltanto a vederlo rivoltare il corpo della morta con un piede, per poi bloccarsi in bilico su una gamba.
«Capo! Capo! Fermo! Fermo! È pericoloso!»
L'energumeno mugugnò. I movimenti rallentati di colpo. Sabato Frenò la corsa e trattenne con un braccio Darlina.
«Ehi! Sabato! Non vorrai lasciarlo fare quello che vuole a quello!»
«Aspetta. Guarda.»
Non c'era molto a cui assistere se non alla repentina pietrificazione del bestione. La clava scivolò dalla mano, il cui braccio era rimasto alzato, e sbatté sul pavimento frantumandosi.
Gli occhi di Darlina raggiunsero circonferenze impossibili. «Oh! Anche il bastone si è fatto di pietra!»
«Ma com'è possibile?» Sabato allungò il collo per guardare Stella nell'eventualità si fosse sbagliato sulla sua morte. «Ci dev'essere una spiegazione...» Serrò la bocca e si avvicinò al corpo della presunta trapassata a passi cauti, mantenendo in all'erta il riflesso di abbassare le palpebre in ogni evenienza. Darlina, non meno curiosa, gli fu a fianco col braccio intrecciato al suo, e raggiunto il colosso immobile si divincolò. Serbò uno sguardo truce a quel maledetto pietrificato, e travolta da un impeto di rabbia lo colpì con la borsetta. La statua in bilico su una sola gamba si inclinò, dapprima piano poi veloce e infine precipitò spaccandosi in centinaia di frammenti che si sparpagliarono dappertutto.
«Guarda, Darlina. Stella. È rimasta con un solo occhio appena socchiuso.»
«Ed è nero!» aggiunse l'altra. «Vuol dire che la Medusa pietrifica pure da morta. È spaventoso però!» Un pensiero assalì Darlina ma invece di palesarlo si chinò sulla borsetta della morta, sfilò gli occhiali da sole e glieli mise. «Qui 'ste cose magiche mica le so, però è meglio che non ci complichiamo le cose di più.»
Sabato annuì. Lo sguardo cupo. «Stella anche da morta è riuscita ad abbattere un nemico. Noi adesso senza lei che facciamo?»
La risposta Darlina ce l'aveva: "Portiamocela dietro e usiamola come arma," ma non fece in tempo a condividere l'idea che due tentacoli d'ombra sbucarono dal mosaico affisso alla vicina parete dov'era ancora fresco il profilo insanguinato della Medusa. Presi alla sprovvista né il Basilisco né la Chimera poterono impedire che quelle cose fumose si tuffassero nelle loro narici. Il respiro che tirarono era simile a un lamento rauco, disumano. Le spalle si tesero, gli occhi si riempirono di reticoli insanguinati.
Nelle loro menti soggiogate fece eco un ordine: «Fatela a pezzi!»
Nelle mani destre apparvero dei machete.
«Sì! Capo! Hai sentito? Facciamola a pezzettini!»
«E poi mangiatela!» aggiunse la voce di Tantalo, e Darlina si leccò le labbra.
«Sì, ce la mangeremo ben cotta! Ho la ricetta giusta!»
Il telefono trillò ancora e ancora, e alla fine Darlina rispose. «Che c'è? Chi è che rompe! Cosa? Che vuol dire: non ti riconosco? Aaaa! Sei Stella! Come dici? La torta dei morti? Vuoi fare la torta dei morti in piene estate? Ma non è mica novembre!» Darlina si accigliò. Scostò il cellulare dall'orecchio e lo fissò. Poi osservò la Medusa. «Ma cos'è, uno scherzo? Sei sicura che sei Stella? Aaaa! Non darmi della vecchia Ciabatta rimbambita, Giraffona anoressica disidratata! Aaaa! Continui?! Be', sappi che sto per farti a pezzi, cucinarti e poi mangiarti! Coosaa? Vacci tu a quel paese! E visto che fai così, sappi che non avrò rimorsi quando ti taglierò la testa!» riattaccò e buttò il cellulare nella borsa.
«Se hai finito, ora facciamola a pezzi!» incalzò Sabato, che da un pezzo saltellava sul posto in attesa di compiere il vile atto imposto da Tantalo.
Stella scosse la testa. «Ma che sta succedendo dall'altra parte? Darlina sembrava più scema del solito.» "E come dannato cavolo ho fatto a telefonare?" Fece spallucce, sospirò e si rivolse alle turbolenti pesti che le ronzavano attorno riprendendola con i cellulari. «Sentite, ora vi faccio questa dannata torta e voi mi riportare indietro, d'accordo?»
«Eeee ora, una live su Instagram! Come fare la torta dei morti di nonna!» risposero quelli annuendo.
Stella incrociò gli occhi, afferrò una bastardella d'acciaio dallo stipite in basso e la schiantò sull'isola della cucina. Fece una smorfia, "da dove caspita comincio?" Individuò una dozzina di uova in dispensa, le recuperò e le buttò a mo' di sasso nello stagno dentro il contenitore con tutto il guscio. "Poi, poi, è un dolce, quindi ci vuole lo zucchero," ma quello che prese in realtà era sale di potassio concentrato. Alzò un lato della bocca con un dito, gli occhi a saettare in ogni angolo della cucina. "Farina!" realizzò adocchiando dei sacchetti. Ne svuotò uno, ma non si accorse che in realtà era bicarbonato ad uso chimico. La nube semitossica che sollevò la fece tossire. Sventolò le braccia per dissipare la nebulosità che si depositò mezza in faccia e il resto altrove. "Boh! Sarà normale," sputacchiò. «Oh! Mi si è scolorito il rossetto...» Fece una rapida pausa per restaurare le labbra, e senza badare ripose il rossetto in mezzo al decolleté, ma non si accorse che quello era finito nell'impasto. Frugò nella borsetta e riesumò un pezzo di cioccolato stagionato forse decenni. Fece una smorfia e lo buttò nella scodella. "Male non farà. E poi... credo ci voglia un po' di lievito no?" Si diresse verso i cassetti accanto alla dispensa, ne aprì qualcuno ma non trovò nulla. «Accidenti, non so dove si trova la roba.» Alzò lo sguardo sulle mensole, scartò cose che nemmeno sapeva di possede. "È la colf Ornella che si occupa di queste faccende, mannaggia l'ho mandata in vacanza..." Adocchiò il frigorifero, non prima aver puntato il brandy accanto al ceppo dei cortellacci. In maniera risoluta agguantò il liquore, aprì il frigorifero e prese un cubetto di lievito di birra. "Sempre lievito è..."
«Nonnina Stella, come va la tortina?»
Stella sbuffò, riempì un bicchiere di brandy e lo bevve. «Tra un po' è pronta.» Riempì di nuovo il bicchiere e lo versò nell'impasto che prese a gorgogliare. "Boh, sarà normale. Accidenti! Sto cucinando davvero!" Si voltò alla ricerca di qualcos'altro da infilare nella specie di catrame che era diventato quell'impasto, e un "pluf!" la sorprese. «Che è successo?» Era successo che il bicchiere era affondato come il Titanic nella melma dell'impasto. E lì lo lasciò.
Oltremodo soddisfatta, accese il forno, non prima aver provato a girare manopole a casaccio e rischiato di mandare a fuoco la cucina un paio di volte. E Paura e Terrore, che non avevano smesso un secondo di riprendere il tutorial ridendo delle proprie battute, non erano di alcun aiuto.
Stella, pur di piantarla il più presto possibile di "cucinare", sbatté dentro il forno la scodella piena, saltando il trasferimento dell'impasto nella tortiera.
«Ora! Volete farmi il piacere di riportarmi indietro?»
I discoli malefici scossero la testa insieme. «Prima vogliamo vedere la schifezza, ehm, la torta, nonnina Stella!»
E la torta si fece sentire scoppiettando dentro il forno come popcorn. Stella e i due soci si chinarono. La luce del forno a colorare di varie tinte fluorescenti i volti ora muti. L'impasto faceva bolle grandi, sembrava avesse polmoni che si gonfiavano e sgonfiavano. La curiosità generale virò poi su un piccolo segno bianco al centro al vetro dello sportello, segno che si ramificò formando un reticolo fitto fitto. Dalle micro fessure fuoriuscirono vapori densi che perforarono il naso di Stella.
«Ma che cosa...» La bocca nascosta nell'incavo dell'avambraccio, gli occhi accigliati appena videro il vetro tremare, un fischio tipo caldaia a sfondare i timpani. Il rossetto partì come un proiettile contro lo sportello frantumandolo e proiettando schegge di vetro in tutta la cucina, invasa all'istante anche da un tipo di fumo imparagonabile con nessun altro. L'urlo di Stella fu quasi inascoltato per come si erano scatenati Terrore e Paura, che urlavano, saltellavano e applaudivano come matti.
«Attenti!» tuonò quando le pesti infilarono le mani nel forno per prendere qualunque cosa fosse il risultato culinario.
«Tranquilla nonnina, siamo figli di dei, non ci bruciamo facilmente,» fecero coro ridacchiando della torta più improbabile del mondo.
«E adesso a chi la diamo?» fece Terrore.
«Fammi pensare, domani è il compleanno di Polifemo!» ricordò l'altro.
«Sì! Portiamola a zio Poli!»
«Hem! Ragazzi! Adesso che siamo a posto, che ne dite di farmi tornare? Devo aiutare i miei amici a salvare l'equipaggio.»
I figli di Ares e Afrodite si scambiarono l'ennesima occhiata fugace.
«Chinati tra noi nonnina Stella,» dissero insieme e la donna ubbidì. Offrì ciascuno una guancia e i ragazzi accostarono le labbra. Il primo sussurrò: «Ti meriti un aiuto...» e le consigliò l'uso immediato di un simbolo a sua disposizione, al che Stella spalancò gli occhi. Il secondo le rivelò l'emblema della divinità in suo possesso, ma il sussurro capitò sul lato il cui orecchio era più debole di udito, ragion per cui la donna non comprese.
«Scusa, potresti ripete_» I ragazzi le baciarono le guance facendola scomparire come un miraggio.
Non era però un miraggio il calcio che Darlina, armata di Machete, diede al serpente delle rocce vedendoselo tra i piedi. Era a pancia insù, ritorto e inerte. Quasi non l'aveva visto, concentrata com'era a puntare il corpo di Stella. La lingua a inumidire le labbra. Anche la capretta e il leoncino seminavano bava sulle fauci. Nei suoi occhi, come in quelli di Sabato, regnava l'oscurità proiettata dallo spirito di Tantalo. Quella oscurità che nei tempi antichi lo aveva indotto a far mangiare agli dei gli esseri umani, stava per scatenarsi di nuovo con la stessa efferatezza. Era ciò che minacciava di accadere in tutto il mondo se le cose non fossero cambiate.
Sabato piantò un piede in mezzo alle costole della Medusa, la Chimera stirò la chioma serpentesca con una estremità artigliata, i machete alti, pronti ad abbattersi, e nessuno dei due tentennò. Calarono le lame, una scintilla si accese nell'occhio socchiuso di Stella, il serpente delle rocce si rianimò e saettò come un missile verso la padrona mordendola un secondo prima di subire la macellazione.
Stella aprì di colpo gli occhi. «Sono tornata,» gemette. «Ho male a tutto il lato sinistro, ragazzi... oh, ma sono di pietra!» le braccia tese verso i compagni, ma quelli stettero immobili, delusi dei machete ora sdentati dopo l'impatto contro il suo corpo pietrificato. «Ehi! Darlina! Sabat-oooooo!»
«Veeloocee!»
"Ah, di nuovo la voce!" Strisciò fulminea per evitare il secondo affondo di lama da parte dell'uomo. Un gruppo di serpenti si allungò verso le ferite e le guarirono a modo loro.
«Ho fame...» lamentò Darlina, anch'ella col maglio pronto per il secondo affondo.
«Darlina! Ma sei impazzita?»
«Donna! Ti mangeremo viva.»
"Sguardo vuoto, cannibalismo improvviso, ho capito, Tantalo ha cominciato l'opera. Da Platopoli si propagherà in tutto il mondo." Senza rendersene conto come, Stella si ritrovò in piedi, anche se le ronzava la testa. Barcollò un attimo prima di abbassarsi più rapida di quanto aveva immaginato di fare per evitare il doppio affondo delle lame.
«Volete piantarla!» Ma i mostri soggiogati da Tantalo non l'ascoltarono. Stella espirò pesante col naso, il pensiero rivolto al serpente delle rocce che non meno rapido se lo ritrovò in mano. «L'avete voluto voi, vi faccio smettere io!» All'ennesimo doppio affondo, Stella puntò i ventri che gli amici avevano lasciato scoperti. Con un gioco di polso piantò la punta del serpente delle rocce tenuto in orizzontale prima nella pancia di Sabato, lasciandolo stupito e dolorante. In meno di una frazione di secondo fece lo stesso con Darlina, prima di scattare lontano.
Si fece largo tra i cumuli di macerie, nel mentre un serpente si staccò dalla chioma e si arrotolò lungo quello delle rocce. Stella lo osservò. "Avevano ragione quei furfanti di Terrore e Paura. Questo è il simbolo di Asclepio, il dio della medicina. Potrebbe funzionare, ma solo per uno. I simboli si possono usare una sola volta. Se però guarissi uno, gli passerei il simbolo così potrebbe usarlo con l'altra, o viceversa..."
«Troppo complicato. Lasciamo perdere, tanto mi è venuta un'altra idea,» farfugliò osservando Il Basilisco e la Chimera mezzi curvi con le mani a trattenere le pance. Stentava a riconoscerli. Non aveva mai visto i suoi amici con quegli occhi così malevoli che bene si addicevano se solo fossero realmente i mostri che apparivano.
«Fame...» gorgogliarono in preda a un delirio dissennato.
«Mi spiace ragazzi, ma oggi è giorno di dieta!»
«Veeloocee...»
"Se solo capissi qualcosa su questa voce nella testa, eviterei di diventare pazza!"
I serpenti in testa si intrecciarono in coppie a insaputa della padrona, formando una bizzarra acconciatura riccia. Stella notò però scorrere nelle vene la stessa energia sperimentata quando aveva affrontato i leoni d'oro. Al solo cenno di un primo passo si ritrovò a sfrecciare rapida più del vento, ma con una differenza: respirava come se fosse in pieno relax, e tutto intorno era fermo, anche Darlina e Sabato sembravano bloccati sul posto. Le fu semplice disarmarli dei machete, e già che poteva distribuì un equo paio di calci in culo ciascuno. Ridacchiò vedendoli scattare in alto e afferrare ognuno le proprie chiappe a rallentatore.
Di contro, agli occhi di Darlina e Sabato, Stella appariva come una macchia sfocata che sfrecciava ovunque. Impossibile da distinguere, salvo quando decise di fermarsi a distanza di sicurezza da loro. Stella li inquadrò entrambi e poi puntò il muro decorato a mosaico in fondo alla sala.
«Adesso che non siete armati e non potete farvi male...» Corse incontro a Darlina, frenò a un soffio da lei e le mollò una schicchera sul naso, poi diede un colpo col dorso di un pugno su quello di Sabato. «Provate a prendermi!» Quelli, dopo aver accusato i colpi, si lanciarono al suo inseguimento nonostante fosse più veloce. Stella si diresse contro il muro decorato a mosaico, con la coda dell'occhio si sincerò di essere seguita. Giunta alla parete, piantò il bastone serpentesco ora simbolo di Asclepio tra le tessere del mosaico, scartò di lato e rotolò lunga sul pavimento. Un doppio urlo le indicò l'ottima riuscita della mossa. Il Basilisco e la Chimera rimasero infilzati per i toraci al bastone di Asclepio come un bizzarro spiedino. Non erano morti, essendo immortali, ragion per cui si agitavano e imprecavano.
«Ah! Piantatela di starnazzare, imbecilli!» Stella si alzò, stiracchiò l'abito candido, scosse la testa facendo ondeggiare la chioma serpentesca, e con incedere sicuro avanzò verso il duo piantato alla parete, toccò il bastone simbolo di Asclepio e ne invocò l'aiuto.
Dalle bocche dei compagni, del compare di spalla di Sabato, dalle teste delle bestiole di Darlina fuoriuscirono densi tentacoli fumosi che si dissolsero. Al termine il serpente che si era attorcigliato al crotalo delle rocce si sgretolò come fatto di polvere. Stella si morse il labbro, "poverino, si è sacrificato..."
«Ehi! Oh! Che accidenti hai fatto, Stella?! Siamo impalate al tuo dannato serpente bastone!»
«È il trattamento che riservo a chi mi vuole tagliare la testa! Cara Ciabattaccia!»
«È probabile che non eravamo in noi, donna! Potresti liberarci per favore? Il bastone mi sta sulle... ehm... gioielleria assortita!» le ginocchia incrociate a sottolineare la mascolinità ferita.
Stella fece una smorfia vedendo Sabato di spalle con la faccia contro il muro.
«Bleach! Il bastone ti esce fuori dal culo! È disgustoso!»
«Oh! Donna! Liberami! È un ordine!»
Stella si accostò. «E chi mi dice che siete in voi adesso? Chi mi dice che se vi libero voi poi non darete di matto come prima? E se vi viene ancora voglia di decapitarmi?»
«E se la piantassi di farneticare, vecchia Giraffona e ti dai una mossa?»
Stella non si disse convinta del tutto, tuttavia sfiorò la punta del serpente delle rocce e questo perse rigidezza sfilandosi dalle carni della Chimera e del Basilisco.
Sabato crollò a terra con le mani in mezzo alle gambe.
«Tutto a posto, Sabatino?»
L'uomo mugugnò a volto contratto. Gli occhi risucchiati dalle vecchie palpebre reticolate. «Tutto a posto un corno, donna! Aspetta che ti acchiappo...»
«No-non fare così, Sabatino...» Ma Sabatino si era già lanciato all'inseguimento della troppo drastica amica.
Darlina rimase a osservare i due rincorrersi. "Sono tornati bambini..." Avrebbe pensato altro se non avesse notato il muro del mosaico vibrare. Adocchiò il foro che aveva praticato il bastone serpentesco di Stella. Da quel punto si diramò rapida una raggiera di crepe e feritoie, e il muro crollò svelando l'oscurità che celava.
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