31 ~ Quattro amici al bar
«Secondo me somiglia al campanile di San Giorgio dei Greci.» La bocca storta di Darlina e gli occhi oltre l'orlo degli occhiali a fissare il palazzo di Mausolo distante cinquanta passi. Nella mente il confronto col monumento visitato durante una gita a Venezia un anno che non ricordava.
«Chiamalo campanile, Ciabattina. Assomiglia piuttosto a una versione più elaborata della Torre di Pisa. Pende un po' a sinistra.»
«Donne, se raddrizzate le teste vedrete che non pende più,» suggerì Sabato, e le donne, arrossite, diedero dei finti colpi di tosse.
«Insomma, dopo aver lottato contro i leoni, Darlina contro i porci, un po' di torcicollo, il circo fatto per entrare in città, sai com'è...»
«È che sortisce un certo effetto. Insomma. Siamo, anzi stiamo per giungere al capolinea,» borbottò Darlina, ora attratta dalla dozzina di file di colonne disposte a raggiera intorno alla torre, unici elementi rimasti in piedi dopo la tempesta di fulmini. Ora tutto intorno era una corona di macerie, una succursale di Pompei dei tempi correnti, se non addirittura un paesaggio lunare.
«Non ci resta che entrare. Insomma. Credo che non dovremmo più aspettarci nessun altro ostacolo,» suppose Sabato appena raggiunta l'entrata del palazzo. «Oltretutto, qui comincia a fare caldissimo. Ho la bocca asciutta.»
Stella ripensò al desiderio che lui aveva espresso. Voleva ci fosse un bar. E guarda caso, in trasparenza oltre il vetrone di quella che sarebbe potuta essere l'entrata di un hotel extralusso, campeggiava l'insegna del Bar Zelletta. Stranì scoprendo il ponte dentario sinistro.
Nemmeno il tempo di chiedersi se fosse aperto, e gli ampi vetri panoramici scorsero in direzioni opposte liberando un intenso odore di frutta.
«Adesso che facciamo, entriamo?»
«Abbiamo altra scelta Ciabattina?»
Si allinearono lungo il perimetro e dopo un attimo di tentennamento varcarono la soglia. «Buongiorno!» squillò una voce sulla sinistra, oltre i tavolini sparsi in modo disordinato in un'ampia sala circolare, dove in fondo, riparato in una nicchia tipo spelonca rocciosa, faceva capolino il bancone del bar governato da una donna coperta da un velo nero dalla testa ai piedi. I bicchieri esposti alle spalle non erano più lucidi di quello che stava sfregando. Tutto intorno ceste di mele rosse erano tutt'altro che invitanti. «Avvicinatevi, avvicinatevi, prego, non esitate!»
«Mi aspettavo tutt'altro che ospitalità,» confessò Stella. I serpenti però erano tesi, e la Medusa, insospettita, tirò a sé Sabato e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Lo stesso fece con Darlina, prima di avvicinarsi insieme alla barista.
«Su, accomodatevi agli sgabelli su,» li invitò la donna in nero dagli occhi scavati e il naso a becco, che a Darlina parve d'aver visto su un altro volto. Dopo aver posato il bicchiere, che era più opaco di quando aveva cominciato a strofinarlo, agguantò un frutto da sotto il bancone: «Gradite una bella mela rossa succosa e matura?»
«Aaaaaa,» latrò Darlina. «Hai ragione tu, Stellina! È la strega di Biancaneve!»
La mela scivolò dalla mano improvvisamente malferma della vecchia barista. «Ehm... ma no... non sono...» farfugliò mentre il frutto si scioglieva sotto gli occhi di tutti.
«Il tuo talento per i cruciverba non ti ha smentito,» affermò la Medusa mentre con un gesto più rapido di quanto voluto, infilò in bocca alla vecchia il bastone serpentesco, spingendola spalle contro gli espositori di alcolici e bicchieri facendoli vibrare e tintinnare. «Chi sei?»
«Gono Agli, ghea ghei gheghehi! (Sono Acli, dea dei veleni!)»
«Oh su Stella, non essere così attaccabrighe. È una persona anziana dopotutto.»
«Gvagghie... (Grazie...)»
Stella non aveva nessuna intenzione di abbassare la guardia, nemmeno dopo aver notato il segno della pace fatto di esalazione sulfureo emesso dal naso a becco, che tremolava come fumo sopra la testa di quella.
«Ehi, donna! Non si attacca il soldato che non ha intenzioni ostili!» Sabato afferrò l'amica per le spalle e la tirò indietro. Dovette usare un bel po' di forza per come l'amica era determinata a non lasciarsi sfuggire da sotto il tiro del bastone la dea sospetta.
«No-no-no, non sono, non voglio farvi nulla. Anche perché mi si sono scaricati i poteri dopo aver innalzato la barriera della foresta di mancinella...»
«Ah! È stata opera tua, quella dannata foresta velenosa! E menomale che non vuoi farci nulla!»
«Su, Stellina, tanto l'abbiamo superata, non ci è successo nulla...»
«Nulla?» fece eco Stella. «Ma come no, nulla, a parte ritrovarci senza vita, senza dignità e senza mutande! Come no e altroché!»
«Sei troppo rancorosa. Devi calmarti,» suggerì Darlina, e Acli annuiva ostacolata dal bastone serpentesco di nuovo piantato in bocca. «Sentiamo se ha qualcosa da dirci,» aggiunse la Chimera, e Acli farfugliò: «Goggo ghigghvi gome... (Posso dirvi come...)»
Uno strattone di Sabato per poco non le strappò la guancia. Si massaggiò il viso reticolato di rughe mentre squadrava la Medusa e il Basilisco bisticciare.
«Ehm, ti conviene fare qualcosa di giusto, altrimenti non sappiamo cosa farà la Medusa, ma di certo Stella non la ferma nessuno,» bisbigliò Darlina, incuriosita dalla macchia sciropposa lasciata dalla mela che si era sciolta. Si era appiccicata al bancone mantenendo la forma di mela morsicata. "Sarà un caso," pescò il cellulare dalla borsetta e lo confrontò con il logo più famoso del pianeta. «Ma?»
Acli sospirò. «Io sono la dea dei veleni. Ricordalo Chimera. Dei veleni. Di tutti i tipi di veleni. E quello dello smartphone è il mio capolavoro. Se usato con parsimonia aiuta a vivere meglio. Abusarne porta all'autodistruzione.»
«Ecco. Io adesso non è che c'ho tanta voglia di difenderti, sallo! Io vivo di Instagram, perbacco.»
«Voi avete bevuto qualcosa che vi ha fatto diventare quelli che siete.» L'epifania di Acli mise fine di colpo al bisticcio tra Stella e Sabato che si voltarono di scatto.
«Che cosa vuoi dire? Che l'acqua calda che ci hanno fatto bere Artemisia e Menta in realtà è opera tua?»
«Cara Medusa, non esattamente. Ma è comunque un mio incantesimo che quelle due mi hanno sottratto. Ma comunque sì. Voi tre, per un bizzarro disegno del destino, siete un mio risultato trasversale.»
Stella incrociò le braccia. Il bastone lungo il fianco come a misurarle l'altezza. «Saperlo non cambia nulla. A meno che non ci dici che possiamo tornare come prima, vive possibilmente, sane e vegete.»
Acli mostrò la macchia a forma di mela morsicata spalmata sul bancone. «Se l'aveste mangiata, almeno uno di voi avrebbe perso la forma di mostro. E lentamente anche gli altri due.»
«Eh, non è una cosa che si fa,» sbottò Sabato, in uno dei suoi lampi di lucidità mentale. «Senza le cose che possiamo fare da mostri, non credo che potremmo affrontare Mausolo.»
«E Sabato per una volta ha ragione,» asserì Stella. «Per quale motivo volevi toglierci i nostri poteri?»
«Per un sacco di buoni motivi: uno perché vi state trasformando sempre più in mostri, due perché state perdendo l'umanità, tre perché da umani potreste usare al meglio tanto i simboli divini quanto gli emblemi...»
«Quindi ci volevi aiutare?» l'occhio destro inarcato di Darlina a esprimere super scetticismo.
Stella scosse la testa, i serpenti le ondeggiarono sinuosi e confortevoli, e solo allora si rese conto dell'agio che quelli le trasmettevano. Batté un pugno sul bancone per scacciare quella sensazione inebriante e pericolosa allo stesso tempo. «Vorresti dire, somma dea degli intrugli, che rischiamo di diventare mostri completamente assuefatti ai nostri istinti?»
«Non dirmi che non te ne sei ancora accorta che è esattamente quello che vi sta succedendo?»
In un lampo la Medusa rivisse la ferocia con la quale aveva affrontato i leoni d'oro; la facilità con la quale la piccola Darlina aveva abbattuto i maiali di Phaia; e per non parlare di Sabato, che quando si trasforma in diplodoco sfugge a ogni controllo. Le venne la pelle d'oca.
«A noi Artemisia e Menta queste cose non ce le hanno mica dette!»
«Stellina, se uno di noi fosse umano, si poteva usare la rosa del deserto per liberare gli ostaggi dalle catene di Zeus, ricordi?»
Stella spinse la testa indietro. «Adesso sono confusa. No. Non dalla probabile possibilità mancata, ma da tutta questa storia. Però io non sono incline a crederti, dea dalle pile scariche.»
Acli sospirò.
«Se sei dalla nostra parte come dici di essere, perché finora stai aiutando Mausolo?»
La domanda di Darlina ingolosì la curiosità dei compagni. Acli sospirò ancora.
«Noi non eravamo come voi, amici. E non sono dalla parte di nessuno.»
«Poco ma chiaro! Essendo Artemisia e Mausolo signori delle tombe, e tu un'avvelenatrice seriale, mica potevate divertirvi a riempire i cimiteri?» sbottò Stella.
«Bada a te, io sono la dea dei veleni!»
«Il veleno non manca nemmeno a me!» ribatté rapida la Medusa protesa sul bancone con i serpenti in piena salivazione venefica.
«Oh, e fammi finire il discorso, e che palle!» protestò la dea. Stella si accigliò.
«Tu ti presenti come dea dei veleni, mi sembra palese che sei un pericolo per l'intero pianeta!»
«Perché voi? Vi siete specchiati ultimamente? Anche di voi si potrebbe dire lo stesso, ma sappiamo che...»
«L'aspetto inganna,» liquidò rapido Sabato.
«Qualcuno col vetriolo in testa finalmente! Dicevo. Sono la governante dei veleni. Doto le creature più inermi della capacità di difendersi: serpenti troppo piccoli, rane minuscole, pesci, conchiglie, piante che altrimenti soccomberebbero fino all'estinzione. E mai impartisco l'ordine di attaccare in maniera arbitraria se non per sopravvivere. È chiara la mia posizione adesso?»
«Ma se sei così potente, e soprattutto imparziale, perché assecondi Mausolo? Ce lo vuoi dire una volta per tutte?»
Acli gradì a metà il tono spazientito della Medusa. «Mausolo mi ha allettato con delle profferte. Ma adesso non mi entusiasmano più. E la previsione di un mondo di umani che si autodistruggono per volere di Tantalo, mette in pericolo la stessa sopravvivenza alla maggior parte di noi dei.»
«Comincia ad avere un senso,» concesse Stella.
«Sentite. Mausolo di principio non è una entità negativa. Il suo unico errore è stato sostituirsi ad Artemisia per il ripristino della gabbia che teneva prigioniero Tantalo. Ma essendo in minoranza, è stato soggiogato. E ora è in possesso di un potere spaventoso che lentamente lo sta corrompendo.»
«Sappiamo della faccenda del terremoto che lo ha liberato,» intervenne Darlina.
«Ma non sapete però che la situazione esigeva un intervento immediato, e Artemisia per fatalità non era presente. Lei e Mausolo sono i simboli della stabilità del bene e del male. Insieme sono in grado di far precipitare Tantalo nella prigione assegnatagli da Zeus. Sono i simboli dell'equilibrio.»
«Ci stai dicendo che se quei due ritornassero insieme la situazione migliorerebbe?» Nonostante la supposizione valida, il cipiglio di Stella rimase sospettoso.
«Se riallacciassero il loro legame ogni cosa tornerebbe a proprio posto.»
Darlina studiò il volto raggrinzito di Acli, e un'idea le baluginò rapida. Ed era così luminosa, che parve irradiare luce dalla testa illuminando tutto il locale. «Dovrebbero sposarsi di nuovo.»
Stella, Sabato e Acli fissarono la piccola Chimera, tutta intenta a coccolare la capretta e il leoncino. «Che c'è? Che ho detto che non va?»
«C'è che hai trovato la soluzione più adatta, Ciabattina,» ammise Stella, prima di notare il fulgore attorno. «Ma come mai tutta questa illuminazione? Chissà che bollette!» Si guardò attorno e poi puntò il soffitto a volta stellata. «Ah, no! Ragazzi, non prendetemi sulla parola, ma secondo me sta cominciando. Il tirso di Dionisio avrà appena colpito la torre. Credo sia appena iniziato il conto alla rovescia.»
«Oh, ragazzi, che dite?» domandò Stella mentre fissava i bicchieri vibrare alle spalle di Acli.
«Cosa intendi Stellina?» ribatté Darlina spostando lo sguardo al soffitto e l'orecchio buono a captare passi di piedi pesanti.
«Prima di ballare, sbronziamoci!» suggerì spiccio Sabato facendo l'occhiolino ad Acli già pronta a servire da bere.
«Qual è il vostro veleno?» chiese infatti, ottenendo sguardi truci dai mostri, dalla capretta, dal leoncino, dal testone iridato e da tutti i serpenti di Stella, al che quella alzò un gomito a proteggere il volto. «Scusate, deformazione professionale... sapete, è da poco che mi sono reinventata...»
Sabato alzò un dito: «Bourb_»
«Rum con ghiaccio e scorza d'arancia per lui!» tuonò Stella, incenerendo con lo sguardo l'amico. "Eppure gliel'avevo spiegato un minuto fa che il rum è l'unico antidoto! Non si ricorda mai niente!" Il serpente ambrato molleggiò davanti agli occhi della padrona come se l'avesse chiamato in causa. Si guadagnò un buffetto prima di ritirarsi.
Darlina attese lo sguardo della dea per avanzare la richiesta. «Per me margarita al limone.»
Infine Stella catturò lo sguardo della divinità. «Fammi un Mai Tai,» sorrise. «E assaggialo per prima.»
Acli sbatté gli strumenti da barista sul bancone. Il volto a ruotare come pale eoliche. «Ah no! Assolutamente no! E che diamine! Io non avveleno la gente!» sbottò. Aprì un cassetto e tirò fuori un voluminoso librone. «In base alla legge quadro, e al codice di autoregolamentazione interna, nonché delle direttive internazionali HACCP e altro bailamme, non è consentito in alcun modo contravvenire agli ordini richiedenti somministrazione di cibo e bevande che non siano conformi alle richieste pretese dagli ospiti dei servizi ricettivi,» ansimò al termine fino a sentire i polmoni uscire fuori dalle orecchie. «E poi avete chiesto robe al rum, eh! È l'unico antidoto che...» si tappò la bocca in forte ritardo, al che Stella la infilzò con lo sguardo.
«Secondo te non l'ho capito che il rum annulla i tuoi poteri?»
«L'ha presa proprio sul serio,» borbottò Darlina tra un sorso e l'altro di margarita.
Acli indurì le grinze in faccia. «Fate ciò che dovete. Gli ostaggi sono nelle segrete del palazzo,» indicò il lato sinistro della sala, dove un mosaico ellenico camuffava un portone. «Mausolo occupa l'ultimo piano,» indicò il soffitto. «Dopo aver innalzato la barriera di ghiaccio è costretto a riposarsi per recuperare le forze. Lui però sa che siete qui. Questo palazzo è parte di lui. Conosce ogni vostra mossa. E tra lui e voi c'è un esercito di eroi a suo comando.»
Sabato sbadigliò. «Chissà cosa starà architettando ora che sa che siamo qui.»
In cima alla torre, in piedi in mezzo alla sala circolare, Mausolo stava a occhi bassi, all'apparenza contrito. In realtà stava osservando il trio di mostri.
«Sono arrivati...» ghignò.
Impassibile alla volta a cupola sopra la sua testa che lentamente si puntinava di stelline luminose per l' effetto distruttivo super lento del tirso, caricò i polmoni d'aria.
«Eroi! Date il benvenuto ai nuovi ospiti!»
Nel settore intermezzo del palazzo, la torma di guerrieri fino a quell'attimo stravaccati in perenne attesa, spalancarono gli occhi all'udire l'ordine del padrone. C'era chi scattò in piedi, chi sbadigliava, e chi produceva rumori indecenti.
«Siamo stati attaccati dal Basilisco, dalla Chimera e dalla Medusa! Presto! Uccideteli e portatemi le loro teste!»
"Credo che non avrò più tempo per ricaricarmi. Dovrò scendere immediatamente nei sotterranei, dissanguare l'ostaggio cieco e liberare gli altri per darli in pasto a Tantalo... Accidenti! Ho una tabella di marcia piuttosto serrata oggi," ridacchiò.
«E ora che farai! Ci darai una mano? Oppure fai parte pure tu del comitato: "se scendo in campo si scatena l'inferno in terra?"»
Acli si lasciò scivolare dal mantello nero di seta la provocazione di Stella. «Comitato Ade in terra,» fece eco mostrando il segno della pace con le mani. «E francamente questa storia non mi interessa più.» Inspirò con un lungo rantolo mortale, il corpo divenne di fumo vorticante prima di raccogliersi in una sfera dai contorni incerti e mostrare per l'ultima volta il suo volto scolpito nel miasma. Poi traballò come una fiammella controvento...
«Se se ne deve andare via, perché ci impiega così tanto tempo?» sbottò Darlina.
Un boato gutturale scatenò una tramontana che sospinse lontano la nuvola nera Acli. «Ehi! Che modi!» esclamò pure quella. Stella e Darlina fissarono Sabato che si puliva la bocca dopo aver ruttato in faccia alla dea.
«Che c'è? Non aveva ancora finito?»
Le donne furono a un soffio dal ridere quando il soffitto tremò.
«Che succede?»
«Non lo so Darlina. Il tirso dovrebbe impiegare ore prima che demolisca la torre. Qualcosa non tornAAAA!» Un blocco di soffitto crollò alle spalle del trio, e altri piovvero sparsi per la sala fracassando il pregiato mobilio. Nuvole di polvere e frastuono di demolizione a coprire voci ed energumeni che stavano sfondando il soffitto. Sembravano pompieri che si calavano dall'alto senza usare il palo.
«Ma che caspita!» Imprecò Stella che insieme agli altri era balzata oltre il bancone quasi senza manco accorgersene.
«Donne, perché ci siamo rannicchiati dietro il bancone del bar? Non dovevamo prendere a calci in culo un paio di questi ragazzoni?»
Stella azzardò a emergere dal bordo del bancone quel tanto che le permettesse di fare un rapido punto della situazione. Lottatori in femoralia, muscoli coperti da armature di cuoio, braccia occupate a reggere clave, spadoni, scudi e ogni cosa potesse essere utile per ammazzare il prossimo vicino, tanto non è sé stesso. Testoni dalle espressioni vacue in cerca di nemici. Grida di guerra che facevano vibrare tavoli e lampadari.
«Qui sono loro che ci prenderanno a calci in culo,» ammise piuttosto che supporre Darlina.
«Mai detto che sarebbe stato facile,» concesse Stella. «Voi due correte nei sotterranei. Individuate la piccola Reva e difendetela da Mausolo. Io...»
«Ma cosa vorresti fare tu?» sbottò Darlina. «Sarai forse più forte di prima, ma sei sempre sola, e poi non sei immune ai cazzotti, per non dire altro!»
«La forza bruta prima o poi si piega sempre di fronte all'astuzia!»
«E per astuzia cosa intendi, Giraffina?»
«Reggetemi il gioco,» ordinò Stella caricando i polmoni d'aria e senza attendere oltre balzò in piedi «AAAAAIUTOOOO! CI SONO I MOSTRIIIII!»
«Ma che sei impazzita, brutta scimunita!?»
L'urlo di Stella sorprese la platea di eroi. Una mezza dozzina di baldanzosi energumeni accorse al bancone. «Dove sono?» domandò uno. «Vi hanno fatto male?» chiese un altro. «Sapete raccontare le barzellette?» pretese un altro ancora, al che il trio si guardò l'un l'altro sbattendo le palpebre.
«È andata meglio di quello che pensavo,» bisbigliò Stella.
Darlina e Sabato, a bocche aperte e mute, perlustrarono i volti barbuti. «Ce ne fosse uno che non si sta accorgendo del tuo bluff, Stellina.»
Sabato diede una gentile gomitata alla Medusa. «E cosa ci ricordiamo di tutta questa massa di lottatori di wrestling?»
«Che sono tanto letali quanto mentalmente sottosviluppati,» bisbigliò l'altra. «Sta a guardare.» Si schiarì la voce. «Presto! Presto! Accorrete all'ultimo piano! Il nostro signore Mausolo è in pericolo! Presto! La Medusa, il Basilisco e la Chimera lo stanno conciando per le feste!»
Gli energumeni, borbottando con quelle voci animalesche, si scambiarono occhiate confuse, dal momento che erano certi che l'ordine fosse quello di scendere piuttosto che salire la torre. Ma alla fine qualcuno inneggiò: «UUUUUUAAAARRRR! GUERRIERI! TUTTI A FARE LE SCALE! SALVIAMO IL NOSTRO PADRONE!»
«Eh no! Non c'è l'ascensore? Io ho le caviglie sottili! A ora che arrivo lassù dovrò usare i calzari degli elefanti!» protestò qualcuno.
Il pavimento traballò sotto la furia dell'esercito di zucconi, i tavolini che facevano da intralcio si ritrovarono a orbitare in aria e distruggersi contro ogni superficie sulle quali si schiantavano. Il polverone impiegò un bel po' prima di depositarsi.
«Non ci credo, ha funzionato!» gli occhiali impolverati di Darlina a far capolino dal perimetro del bancone. Li sfilò e li pulì rapida.
Sabato balzò fuori dal nascondiglio. «Quanto ci vorrà prima che quella massa di citrulli si accorga della presa in giro?»
«Eh, chi lo sa,» convenne Stella. «Noi però è meglio che ci diamo una mossa.» Uscì dall'angolo bar e si spolverò il vestito. Lo sguardo confuso nella polvere che non accennava a posarsi. «Chimera Darlina, tu mi raccomando, devi fare attenzione a Bellerofonte. Lui è l'eroe che potrebbe essere in grado di sconfiggerti.»
«E io farò in modo di essere introvabile,» affermò. «Solo che mica so che faccia c'ha,» borbottò poi.
Stella annuì. Si mise di spalle alla nebulosità polverosa, resa traslucida dal sole che dalle finestre accennava a discendere verso l'orizzonte. Indicò il mosaico che nascondeva quello che doveva essere il passaggio per i sotterranei, ma qualcosa la colpì a un fianco con un impeto tale che ci andò a sbattere scaraventata nel peggiore dei modi. Il sangue a disegnare il suo profilo tra le linee di fuga delle tessere artistiche.
«STEEELLLAAA!»
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Per i più curiosi.
Il campanile di San Giorgio dei Greci
Notate la lieve pendenza a sinistra. Ci sono molti monumenti pendenti sparsi per il resto del mondo, nonostante il più iconico sarà per sempre la nostra Torre Pendente di Pisa.
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