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27 ~ La calma è la virtù dei mostri

Stella si voltò, attratta dalla luminosa mezzaluna rovesciata che incombeva sopra Platopoli. «Credo che abbiamo raggiunto una distanza sicura, siete d'accordo?»

«Qui l'unica che ci ha capito qualcosa sei tu Stellina. Ci fidiamo di te.»

Sabato annuì. «Vediamo di capire come farla finita con la crociera più assurda del mondo,» gonfiò le guance. «Esporrò un reclamo con i fiocchi a quelli dell'agenzia,» le donne sorrisero.

Stella diede un'occhiata alle orme lasciate da Sabato e qualcosa non le tornava.
«Come mai non hai più la coda Sabatino?»

«Se è per questo, gli manca pure la testa della bestia accanto alla sua,» osservò Darlina. «Sarai mica tornato normale?»

«No, no, niente di tutto questo. Quando il mio amico mi fa lo scherzo del bestione poi si fa piccino per qualche ora, ma poi ritorna. Guardate.» Si scoprì la spalla e le donne si avvicinarono a osservare la testolina del Basilisco che emergeva dalla pelle, ora ridotta come quella di una lucertola.

«Visto così, è addirittura carino,» ammise Stella. «Ma ci conviene stare in allerta. Mausolo saprà con certezza che siamo qui, e che stiamo cercando di assaltare la sua fortezza.»

«E quindi? Ti è venuta un'idea per come fare? Se sa che siamo noi non la smetterà di mandarci diavolerie per fermarci.»

«Infatti, strada facendo, qualcosa mi è venuta in mente. Il fatto è che a un certo punto dovremmo dividerci. Uno deve affrontare Mausolo, un altro deve vedersela con Tantalo, mentre l'altro ancora deve cercare un modo per liberare gli ostaggi.»

«Ma, Stellina, a me sembrava d'aver capito che per liberarli ci servirebbero le rose del deserto. E noi non ne abbiamo nemmeno una. Personalmente non so voi ma non saprei riconoscerle manco se mi ci trovassi a camminare in un giardino di rose del deserto.»

All'udire la menzione al giardino, Sabato ebbe l'impulso di cercare qualcosa nel taschino interno del chitone. «Donne, io, non lo so, ma questo può essere abbastanza?» Tirò fuori la piccola rosa del deserto e la mostrò. Lo sguardo insicuro.

Stella batté le mani una volta prima di nasconderle giunte sotto una guancia. «Ma Sabatino! Come hai fatto a trovarla?»

«Oh, ma siamo sicuri che questa sia una rosa? No perché immaginavo qualcosa con steli spinosi, foglie dentellate e boccioli profumati.»

«Le rose del deserto sono in verità pietre, aggregazioni cristalline gessose... ma comunque, cara Ciabattina, è così una rosa del deserto. È quello che ci serve. Bravo Sabato! Ma dicci un po', come l'hai trovata?»

L'uomo rimase sulle sue. La memoria che faceva gli straordinari. Poi batté un pugno sul palmo. «Raffaella Carrà! Me l'ha regalata Raffaella Carrà in sogno!» le amiche scoppiarono a ridere in automatico.

«Sei proprio pazzo per la Carrà, eh?»

«Ehi, no, Stella, non ridere troppo, la poverina è morta purtroppo, e non sta bene ridere dei morti, possono succederci delle disgraz_» Un fulmine esplose in mezzo ai tre facendoli volare in differenti direzioni urlando.

«Te l'avevo detto, giraffona, che porta male ridere dei morti!»

Stella, acquattata suo malgrado dietro un cumulo di sabbia smossa dall'esplosione, storse il naso. "Quest'odore, io lo conosco."

In mezzo al punto detonato si sollevò una nube verdognola che sfumava in nero. L'odore divenne più intenso, al quale si unì un tintinnio nemmeno esso nuovo, dal momento che proveniva dalle frange fatte di perle del vestito che indossava una certa vecchia conoscenza.

«Signori...»

«Signori un corno!» rimbrottò Stella appena rimessa in piedi. «Devi piantarla di apparire così!»

«Prima o poi ci farai morire tu, altro che i nostri nemici,» borbottò Darlina, anche lei tornata in piedi.

«Che femmina di fuoco,» valutò Sabato, deliziato dalla pelle che generosamente la giovane mostrava.

«Ma non l'hai riconosciuta, è Menta!»

«Che grinta signora Di Marino! Sicuramente avrà fatto moltissima pratica con i suoi poteri!»

«Ma quale pratica d'Egitto! Qui stiamo facendo pratica di suicidio di gruppo!»

La ninfa Menta sbatté le palpebre in modo convulso. «Punti di vista, signora.»

«Che cosa ci fai qui?»

«Oh, signora Orsolese, anche lei è ancora viva, mi fa piacere!»

«Ma va' mmh!» Darlina ovviò l'impropero spazzando via con le mani la sabbia dal leoncino e dalla capretta, ottenendo feste a profusione.

La ninfa dell'Ade fece spallucce e poi le scosse facendo ondeggiare il seno coperto dal prezioso chitone, al che si sentì un: "puf!"

«Capo! Capo! Senti anche tu quest'odore di fi_»

«Oooooo!» intonarono le donne. «È sempre la prima cosa che dici quando rispunti tu?»

«Se c'è una cosa che mi dà forza, quella è la fi_»

«EEEE BASTAAA!»

Sabato fece una smorfia, quasi spaventato dal rivedere il compare dal testone multicolore.

«Ma che dite pupe? Io sento odore di fi_»

«Guarda che se non la finisci, maniaco preistorico!» rimbrottò Stella. Intanto la ninfa Menta sogghignava come una civetta adolescente.

«Ma no, pupe, non capite, ascoltate, io sento odore di fresca fiducia!»
L'inatteso termine suonò così strano che Stella e Darlina, un po' anche Sabato, non erano sicuri d'aver capito.

Darlina, avanzando mezza ingobbita verso Stella, sbuffò. «Ma, che vuol dire?»
La ninfa allargò un sorriso, una novità che insospettì Stella.

«Il Basilisco ha il fiuto delle sensazioni. È un potere che si affina col tempo, dopo tanti anni. Ma vedo che il signor Dello Montesilvano è piuttosto dotato.»

«Eh! Modestamente...» fece eco Sabato, tirando in dentro la pancia e gonfiando il petto. E Stella sbatté una mano sulla fronte, "chissà che ha capito..."

«Ma bene!» disse ancora la ninfa Menta, ora rivolta alla poco lontana Platopoli, ammirando la luce sulla cupola di ghiaccio eretta da Mausolo. «Avete trovato e già usato uno degli emblemi divini. Il tirso,» lo sguardo orientato ora verso la Chimera. «Io e Artemisia siamo davvero fiere di voi. Ma c'è un problema, che credo voi abbiate già risolto,» sorrise ancora, e sulla schiena di Stella i brividi facevano lo yo-yo.

«Be', sì, certo,» borbottò Stella. «E di grazia, come avete fatto a vederci e a sapere come abbiamo fatto a risolvere il, ehm, sì, insomma, il "problema"?» lo sguardo rivolto a tre quarti.

«Vi abbiamo visto grazie al fuoco piromantico. E per il problema dovuto all'azione distruttiva del tirso di Dionisio, abbiamo la certezza che l'abbiate risolto. Non è vero?» Stella e Darlina si abbracciarono d'istinto, le facce più grigie dei minatori cileni. Sadicamente Menta proseguì: «Voglio dire, sapete benissimo che il potere del tirso distruggerà tutto, ogni cosa. E ucciderà ogni singolo essere umano tenuto prigioniero da Mausolo,» ridacchiò. «Ma siccome io e Artemisia abbiamo fiducia in voi, come giustamente ha fiutato il signor Basilisco, è tutto apposto. Vuol dire che sapete come salvare gli ostaggi ai quali tenete così tanto,» batté le mani. «Quindi, ah, sì, Artemisia mi manda a dirvi che Mausolo ha trovato la maniera per liberare gli ostaggi che vuole dare in pasto a Tantalo. Lo farà, secondo noi, domani notte. Per erigere la barriera di ghiaccio avrà usato tanto potere, e ora per ricaricarsi avrà bisogno di un po' di tempo.» Le ginocchia della Medusa e della Chimera cedettero per un attimo.

Stella deglutì a secco. «Co-co-come, come, in quale modo riuscirà a liberare gli ostaggi dalle catene di Zeus?»

«Mausolo ha scoperto che il sangue di uno spirito immacolato può attivare le rose del deserto che ha rastrellato, e di conseguenza gli basterà appoggiarne una intrisa di quel sangue sul fulcro delle catene per farle svanire, sciogliendo la protezione che avevo applicato quando l'avevo affrontato sulla nave. Tutti i dormienti si sveglieranno così.»

I vecchi cuori produssero rulli di tamburi udibili a distanza di metri.
«Bè, io, io ho lasciato la polenta sul fuoco, nelle mani di mia sorella, sapete. Lei anche se sta sul cucuzzolo di una montagna, di polenta non ci capisce una pannocchia sgranata,» chiosò Darlina.

«E infatti, ora che ci penso, io ho un appuntamento con la manicure, si sa, l'aria del deserto le sciupa tutte,» cincischiò Stella. «Meglio non attendere, andiamocene. Tu che fai Sabato?»

L'uomo distribuì lo sguardo sulle donne, farfugliò qualcosa, ma Menta si schiarì la voce, nel momento in cui Stella e Darlina stavano prendendo sottobraccio Sabato per trascinarlo in direzione nord, laddove erano sicure di trovare un porto sicuro.

«Mausolo dissanguerà una bambina innocente. Cieca,» sottolineò grave l'ultima parola, al che quei tre vecchi cuori tremolanti martellarono un colpo forte nei petti. I passi bloccati, i piedi, artigli e coda affondati nella sabbia cocente. Nelle menti gli occhi ciechi di Riva incenerirono sul nascere l'attacco di codardia di gruppo. Sulla bocca della ninfa Menta un ghigno appena accennato precedette un sospiro.

«Bene, signori, ora, siccome ci vorrà un giorno intero prima che crolli la barriera sotto l'effetto del Tirso di Dionisio, Artemisia vi manda un po' di generi alimentari e del comfort. Così potrete trascorrere le ultime ore delle vostre vite pensando a ogni dettaglio della missione.»

Darlina si impettì. «Ma devi essere sempre così... confortante, tu? No dico, ultime ore delle nostre vite, oh!»

«Il problema è che adesso cominciamo a vedere tutto vero,» disse Sabato. «Stiamo cominciando a vedere che questa storia è vera, che ci sono delle responsabilità che pesano sul serio su di noi. Ci sentiamo come chi comincia a nuotare per la prima volta, senza aver mai visto l'acqua in vita sua.»

Stella annuì, trascinando nel gesto tutti i suoi serpenti. «Sabatino! Oh Sabato, sei così saggio quando ci stai con la capoccia,» affermò tutta ammirata.

«Io però, mi sento in colpa adesso,» tirò su col naso Darlina. «Non lo sapevo che quel mattarello ora sta mettendo in repentaglio la vita di tutti quelli che avevamo deciso di salvare.»

«Non potevi saperlo Ciabattina, nessuno poteva immaginarlo,» lo sguardo di Stella puntato sulla cupola di ghiaccio per un terzo illuminata di luce bianca. La preoccupazione di gruppo fu così partecipe, che nessuno dei mostri s'accorse del gazebo fiorito dentro cui si trovarono riparati. Menta non li abbandonò con lo sguardo mentre ultimava il comfort promesso. Attirò però l'attenzione quando annunciò il pranzo.

«Giacché abbiamo deciso di non risparmiarci fino all'ultimo, tanto vale riempirci la pancia,» ammise Darlina, vogliosa di metter a tacere col cibo i sensi di colpa piuttosto che la fame.

In mezzo al riparo fiorito emerse dalla sabbia una lapide.

«Mi è passata la fame,» disse con voce nasale Stella. Le guance di Sabato per poco non crollarono fino a terra. «Che ci mangiamo i morti mo'?»

«Oh, su, signori, accomodatevi per terra. Artemisia per voi ha ordinato il servizio food and beverage più esclusivo dell'oltretomba: la Funereo-Food-Fallen! Hanno un servizio rapido e poi fanno un sushi che è un Ade di gusto!»

Stella sventolò la mano all'altezza della fronte. «E adesso dobbiamo mangiare roba conservata in una tomba? Ma dico, siamo impazziti?»

«Proprio così,» sorrise la Ninfa. «Sul frontespizio potete scegliere dal menù tutto quello che desiderate, signori,» con un gesto indicò la lapide dove effettivamente c'era l'elenco dei cibi e delle bevande disponibili.

«È come i distributori automatici di cibo che si trovano dappertutto,» valutò Darlina, che scelse proprio del sushi, sashimi e tempura. «Tu scegli e la roba la trovi nella cassa da morto,» rise, ma non seppe spiegarselo perché.

Sabato scelse spaghetti con sugo e polpette, un arrosto alla cacciatora e frutta. Aprì il sarcofago e... ra-tta-tta-tta! Le donne urlarono, la ninfa Menta ridacchiò. Una raffica di proiettili centrò in faccia il Basilisco, che si ricoprì di scintille. Sbuffò. Essendo invulnerabile, pur non essendone del tutto consapevole, non fece una piega. Piuttosto allungò un pugno in faccia alla specie di Rambo che l'aveva colpito da sdraiato nella tomba, facendolo svanire in una nube di vapore. Al suo posto apparvero le pietanze richieste.

Rannicchiate e al riparo dalle proprie ginocchia tirate su a un palmo dalle facce, le donne domandarono che caspita era quello.

«Ah, dimenticavo, bisogna fare attenzione, certi cibi sono... "pesanti," ridacchiò la Ninfa Menta, al che Stella tornò a essere più sospettosa che mai.

Le braccia sollevate in difesa scoprirono i volti di Darlina e Stella. Dagli occhi a momenti non schizzarono fuori dei punti interrogativi in forma materiale.

«Chissà cosa dovrò aspettarmi ora che ho voglia di qualcosa d'indiano!» esclamò Stella pigiando sul menù. Il sarcofago si aprì e l'odore del curry esplose nelle narici di tutti. Coricata nella cassa stava una donna vestita col sai indiano, e grossi anelli d'oro piercing sul naso. Colta di sorpresa, Stella attivò d'istinto la vista pietrificante, la donna orientò la padella che aveva in mano, e in un attimo la Medusa rimase di sasso, nel vero senso del termine.

«Aaaaa! Stellina! Stellina! Che cosa è successo? Nooo!» sbraitò Darlina, indecisa se provare dispiacere per la perdita dell'amica o per il guaio che comportava la sua assenza in termini di battaglia finale.

Sabato storse il naso osservando come il corpo della compagna terminava di mutare in pietra. Ebbe la sensazione di ascoltare dello scotch che si srotola.

La ninfa Menta ridacchiò incassando le spalle.

«Non c'è proprio niente da ridere, tu!» rimbrottò a bocca piena Darlina con i lucciconi.

«Signora Orsolese, la signora Medusa è diventata...»

«Lo vediamo da noi che cosa è diventata! E ora come faremo? Senza...»

«Sono ancora qui, Ciabattina.»

«Per una volta sta zitta Giraffona anoressica!» il tempura di pesce che aveva in bocca stava per prendere la via alternativa all'esofago. «Sdeg-lina!» si batté il petto a rischio di prendere a pugni i suoi animali da seno.

Sabato, seduto sulla coda appena riapparsa e arrotolata come un turbante, socchiuse la bocca alla vista del profilo di pietra di Stella. I serpenti, anch'essi sassosi, invece di rimanere rigidi ondeggiavano.

Darlina aguzzò la vista puntando le pupille sulla spalla nuda di Stella, azzannata da un serpente grigio argentato. «Ma quello, quello lo conosco! È quello che la fa diventare di pietra.»

«Tu, ti ho già vista, eri ad Alicarnasso,» lo sguardo sulla donna stesa nella bara, in sai indiano, con in mano la padella riflettente, e con altre cinque braccia che spuntavano dalla schiena.

«Namasté! Volevo fare pulizie per il cimitero della squinternata, ma ho trovato posto come cucina. Sono molto brava cucina io!» sorrise così tanto che le si deformò persino il naso.

«Non, lo, fare, mai, più!» lo sguardo a raggelare l'afa sahariana. Persino il sorriso della donna indiana si bloccò.

Allungò tre box di cartone per alimenti. «Cibo indiano, volere?» Stella li accettò.

«Sparisci!» Le quattro braccia extra della donna indiana si pietrificarono prima di staccarsi.

«Donna perfida sei!» strepitò quella prima di chiudersi il sarcofago e affondare nella sabbia dentro esso.

La Medusa puntò poi la Ninfa Menta. «Questo servizio fa schifo!»

«È il migliore che c'è!» ribatté l'altra.

«Abbiamo rischiato di crepare per le cose più assurde, ma questa le supera tutte!» controbatté la Medusa inviperita.

«Eh, è vero,» s'intromise Sabato. Il piatto di pasta fumante in mano. «In fondo, non è vero che quando si mangia si lotta contro la morte? Eh! Basta un movimento scoordinato, una distrazione, e si rischia di crepare soffocati mentre si manda giù la roba,» chiosò mandando giù una ricca forchettata di spaghetti.

«Questa poi,» borbottò Darlina. «Anche mangiare è diventata una questione di vita o di morte imminente!» Difatti il terzetto consumò il pranzo in allerta continua. Anche ascoltando le funeree novità che aveva da riferire la Ninfa Menta, che in qualche modo non ebbe torto quando sollevò l'ennesimo quesito.

«Dovete organizzare bene il vostro intervento, se volete sul serio salvare gli umani. Cosa succederebbe se vi vedessero?»

L'immagine del mercenario incontrato dopo lo schianto della mula volante, che se l'era fatta sotto quando l'aveva affrontato, impensierì Stella. Depose l'ultima scatola di cibo ormai vuota.

«È vero, ragazzi. Non abbiamo considerato il fatto di essere dei mostri orrendi. Se l'equipaggio ci vedesse scateneremmo un panico con i fiocchi. Io stessa, se li vedessi, li pietrificherei tutti.»

«Allora è meglio che non si sveglino,» propose di riflesso Sabato, e le donne annuirono. Stella sgranò gli occhi.

«Non saremo noi a salvarli.»

Darlina, seduta accanto a lei, si sporse per incrociare meglio lo sguardo. «Cosa intendi, Stellina?»

«È, anzi, sembra più complicato da spiegare. Ma abbiate fiducia. Sarò io a occuparmi di Mausolo, visto che è a capo dei guerrieri corrotti.» Fece per alzarsi mossa dall'entusiasmo di mettere in pratica la sua trovata, ma la vista della cupola ormai mezza illuminata dalla lentissima detonazione, la costrinse a rimettersi seduta. «Accidenti, dobbiamo aspettare che si liberi la via.»

«Bene signori, prima di dirci arrivederci a presto, c'è un'ultima cosa che dovete sapere.»

Stella, Sabato e Darlina, sdraiati sulla sabbia protetti dal gazebo, sospirarono.
«Speriamo non sia qualcosa che complichi di più le cose. No dico, più di così non immagino quale altro cataclisma aspettarmi,» protestò Stella, supportata in silenzio dai compagni.

«Niente, le solite cose. Dentro Platopoli i vostri poteri saranno più forti. Potrete quindi affrontare gli eroi con qualunque mezzo a vostra disposizione. Certo, se lei signora Di Marino avesse capito qual è il vostro emblema, la storia sarebbe più facile a cocludersi.»

«Non ho tempo per cercare un emblema divino. Faremo con quello che abbiamo. Non abbiamo più nemmeno un simbolo da usare,» borbottò Stella storcendo le labbra.

«Punti di vista, signora Di Marino, punti di vista,» intercalò la ninfa dell'Ade. «Allora, come ultimo suggerimento, vi consiglio di cercare un modo per riallacciare il legame che unisce Mausolo ad Artemisia. Eh, sono una coppia in fondo. Se riuscirete a convincere Mausolo a tornare assieme alla consorte oltretombale, ogni cosa quadrerà come prima del disastro.»

«Cioè, se quei due tornano insieme, potremmo lasciarci tutta questa storia alle spalle?»

«Esattamente signora Orsolese.»

L'ultimo quesito sul quale discutere riempì il tempo d'attesa rimanente prima di cena. La ninfa Menta se n'era già andata così com'era apparsa, esplodendo in un fascio di fulmini. Lasciò però al trio l'ultimo buono pasto, che stavolta fu affrontato a suon di bastonate ai portantini indisciplinati. Si passarono infatti a turno il serpente delle rocce irrigidito per l'occasione. Evidentemente era una consuetudine annessa al servizio Funereo-Food-Fallen.

Per la notte il gazebo offrì tre amache per letto, e sarebbero state comode se non fosse per la luce emanata dalla cupola. L'effetto detonante del tirso era imminente, al mattino l'accesso a Platopoli si sarebbe liberato.

«Che nottata, ragazzi...» sospirò Stella.

Darlina coprì gli occhi del leoncino e della capretta, irrequieti dalla illuminazione innaturale che contrastava la notte stellata. «Mica si può spegnere quello?» indicò il bagliore.

«Cronf!»

«Oh, a Sabatino gli fa un baffo, senti come ronfa,» rise la Medusa.

Accompagnata dall'orchestra ronfante di Sabato, giunse l'alba e con essa la lenta esplosione della barriera di ghiaccio. Stella balzò dall'amaca, e con la bocca socchiusa osservò trilioni di trilioni di scintille ammantare la città di Platopoli.

«È cominciata,» affermò piuttosto che chiedere Darlina, anche lei scesa dal giaciglio penzolante. «Oh, però, sembra, sembra come quelle cose che si vedono allo spazio con tutte quelle stelle messe a vortice.»

«Nebulosa. È la parola che stai cercando. Sembra una nebulosa bianca,» puntualizzò Stella. «Dobbiamo andare. Svegliamo Sabato.»

«Beato lui che è riuscito a chiudere occhio. Mi domando come faccia,» disse Darlina scuotendo l'amico. «Ehi, Sabato! Sveglia!»

«No, no, mamma... i giornaletti sporchi sono di papà...»

Darlina strabuzzò gli occhi. «Ma che ti stai sognando, sporcaccione!» spinse l'amaca di colpo e Sabato affondò mezza faccia nella sabbia.

«Oh, donna! Ti sembra il modo di svegliare la gente?»

«Ma tirati su, tirati, che siamo in ritardo!» esclamò Darlina, in cerca del supporto di Stella, che però si era diretta verso il punto in cui era sparita la Ninfa Menta la sera prima. Non le chiese nulla quando la vide piegarsi e cercare qualcosa nella sabbia. Piuttosto diede un'altra scossa a Sabato facendogli gonfiare le guance, e probabilmente non solo quelle.
«Ehi Capo, ho fatto un sogno strano stanotte, c'eri tu che leggevi...» una gomitata sotto il mento mise a tacere il testone iridato.

Senza indugio il vetusto terzetto s'incamminò verso l'ultima battaglia. Arrivare dinanzi alla porta est di Platopoli richiese meno tempo di quanto previsto. Il volto candido dell'antica città si mostrò oltre l'arco. Un ponte a fare da passaggio sopra il primo canale d'acqua.

«È spaventoso. Non noto nessuno. La città sembra deserta.»

«Sembra così, Darlina. Ma è solo apparenza. Prepariamoci a qualunque cosa,» ribatté Stella. «Sabato, tu vai per primo, noi saremo dietro di te.»

«Perché devo stare davanti donna?»

«È perché sei maschietto, e noi femminucce, no?» fece Darlina.

«Okay,» concesse Sabato, che con baldanza oltrepassò l'arco e raggiunse metà ponte. Si girò e fece cenno con la mano. «Venite, è sicuro!»

Stella sorrise a metà. Prese sottobraccio Darlina. «Andiamo,» esortò senza distogliere lo sguardo su Sabato come se così potesse proteggerlo in qualche modo. Ma era solo una sensazione. Nulla poté fermare le due lance che infilzarono Sabato ai fianchi scoperti.

Le amiche si tapparono le bocche con le mani. Gli occhi quasi fuori dalle orbite.

«Sabato, SABATO!»






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