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22 ~ Quando i cattivi fanno noooo!

«Di preciso, cos'è che ci ha convinti a salire in groppa all'asino che vola?» Gridò controvento Stella tra le nuvole.

«Il fatto che vola!» rise Darlina seduta davanti a lei, aggrappata alle lunghe orecchie del ciuchino. Le alette di colombo che frullavano accanto agli zoccoli anteriori.

«Sei troppo entusiasta tu!» La voce tremula di Stella seguiva di pari passo l'ennesimo tuffo dalle nuvole. «Vorrei tanto sapere perché diavolo deve fare così, oh! Sale, sale, sale su, s'impenna e poi giù in discesa rapida, manco fossimo sulle oddio! Moontaaagneee ruuusseeee!»

«Io voglio tornare da Calipso,» borbottava di tanto in tanto Sabato, occupato a schivare i serpenti dell'amica seduta in mezzo. A un certo punto ne morsicò uno, ottenendo un armistizio di dubbia durata.

«Oh, senti tu, è ora di piantarla, ti sei divertito anche troppo!» esclamò Stella col volto ruotato quasi al massimo.

«Mai quanto me ora!» ribadì Darlina, con le gambe inforcate sul collo del ciuchino volante, i piedi artigliati ai lati, che apriva e chiudeva come a voler acchiappare pezzi di nuvole. Se Stella e Sabato avessero potuto vederla in faccia, avrebbero riconosciuto la bambina che era stata un tempo. Il vento che le sconvolgeva i capelli paglia sbiadita, le rughe stirate al massimo e gli occhi, che non ingannavano nessuno se visti ignorando il decadimento fisico, era pura gioia. Non le importava nemmeno il pericolo di cadere e precipitare nel Mediterraneo. Dietro lei Stella invece contava i secondi affinché finisse la sensazione d'ingoiare le nuvole a furia di urlare.

Sabato si sporse di lato, mantenendo salde le redini che aveva imbragato Calipso al ciuchino un attimo prima della partenza. «Però,» borbottò, avvinto dallo splendore del sole che puntinava d'oro il mare più blu che avesse mai visto.

«Che fai Sabato? Non mollare la presa, che cado!»

«E io non vorrei mai farti cadere!»

«Quanto sei convincente! Di' un po', non ti starai mica vendicando?»

«Ma nooo,» rise sotto i baffi, attirando ripicca preventiva dai dannati serpenti.

«Quanto tempo ci vorrà per arrivare al deserto?»

«Aaa come sei petulante, io oooo! Non è divertente?» rise Darlina a bocca spalancata, mentre il ciuchino si tuffava a strapiombo per l'ennesima volta.

«Calipso aveva detto che il ciuchino è attratto dalle emanazioni magiche di Platopoli, speriamo di arrivare subito!»

«Goditi il momento per una volta,» disse Darlina senza perdere il sorriso.

«Il vento è cambiato, è più caldo. Ci stiamo avvicinando alla terra ferma.» Stella si sporse da una spalla di Darlina e avvistò all'orizzonte la linea di terra ingrandirsi. «Non so voi, mi sembra però che non stiamo seguendo la direzione giusta.»

«Se fosse così, sarebbe un guaio,» convenne Sabato. «Eh, come facciamo?»

Il vento caldo segnalò l'arrivo nel cielo sopra il deserto. Il blu del Mediterraneo era già un ricordo, soppiantato dal corrente oro rossiccio delle dune del Sahara. La lunga scia polverosa che disegnava curve sinuose sulla sabbia attirò l'attenzione del trio e condizionò l'andatura del ciuchino.

«Che fai, Pancha!»

Stella scattò il mento sul collo e arricciò il naso. «Chi è Pancha?»

Darlina fece spallucce. «Non posso mica chiamarla Pancho, dal momento che è una femminuccia.»

«Ma chi?» domandò l'altra, presa alla sprovvista dalla curva stretta tracciata dal ciuchino.

«Oh, ma non ti sei accorta che questa bestiola è una femmina?»

«Aaa! Be', sai com'è, mi manca solo di fare la ginecologa delle mule e poi sono a posto!»

«Ragazze, questo volo non era destinato a Platopoli

«Eh, doveva! Ma Pancha sta seguendo,» Stella aguzzò la vista e notò l'origine della scia. «Quello è un fuoristrada che va sul deserto, e la mula lo sta seguendo!»

«Non capisco. Ma non dovevamo andare a quel paese?»

«Io non capisco come le concepisci le domande?» un'occhiataccia stampata sulla nuca dell'altra. «Comunque, stiamo andando addosso a una macchina con delle persone vere!»

La mula piegò le zampe e protese il collo in avanti. Il muso dritto come un missile, sparato contro l'auto. Sulla groppa Darlina, ostacolata dalle teste della capretta e del leoncino, si addossò come poté sul collo. Stella dietro lei si trovò con le braccia incastrate ai suoi fianchi piegati. Sabato invece era tutto tirato indietro con la schiena inarcata, il testone del Basilisco reclinato in modo innaturale. Solo le redini di Pancha gli impediva di cascare nel vuoto.

La mula aumentò la velocità, la discesa in picchiata era uguale alla caduta di un meteorite.
«Frena, freenaa!» gridarono tutti e tre, il vento in faccia che spalancava le bocche e metteva in bellavista le dentiere.

«Questa bestia ha istinti suicidi!» recriminò Sabato.

«E noi che c'entriamo?» obiettò Stella.

L'odore della combustione del carburante del fuoristrada soppiantò quello fresco dell'aria. Ora anche i quattro uomini del veicolo stavano vedendo l'asino che vola, con sopra passeggeri.

«Correte! Accelerate! Scappate!» strillò Darlina all'auto, ma l'impatto fu inevitabile. La mula si schiantò sul posteriore del quattro per quattro combinando un'esplosione che parve un quarantotto. Il veicolo balzò in aria rullando impazzito, gli occupanti provarono l'ebrezza di un volo non previsto tra le alte dune, ognuno in compagnia di un passeggero della mula esplosa. Ogni coppia appena formata ruzzolò all'impazzata perdendosi in direzioni differenti a valle della duna più alta.

Durante la ruzzolata, malgrado la velocità, Stella notò qualcosa in cielo che brillava. Era intermittente e aveva l'aspetto umanoide, se non fosse per le enormi ali di tortora che frullavano sulla schiena. Il filo che gli teneva legati i piedi era così brillante, nonostante fosse sottile come seta, che riuscì a vederlo. Non poté però approfondire la questione, dal momento che stava ancora ruzzolando abbracciata a una persona che gridava come se stesse camminando nel fuoco. Grida che aumentarono quando, finita la scivolata, vide in faccia la Medusa. Un volto di donna circondato da decine e decine di serpenti.

«Smettila di gridare, e togliti di dosso!» Stella si dimenò sotto il peso dell'uomo, prendendolo per il tessuto della mimetica tutta verde senza chiazze. In faccia il suo sudore e l'alito gusto birra per poco non le fece perdere i sensi. L'altro non sapeva dove metteva le mani, colpito alla cieca dalla donna mostro. Senza volerlo le mise una mano sul seno, e il ceffone partì in automatico.

«Ho ucciso per molto meno!»

L'uomo si sollevò, gli occhi spalancati all'inverosimile. «Sta lontana da me, Pazuzu

«A chi stai dando del Pazuzu!» Per poco non le scivolarono gli occhiali da sole che stava ripescando dalla borsetta. «Cerca di non guardarmi negli occhi, piuttosto, altrimenti vedrai!» L'uomo si tenne a distanza. Il sole lo martellava, gli bruciavano gli occhi per il sudore che colava vincendo le sopracciglia inzuppate. Si strofinò rapido la faccia col braccio, e tremando sfilò dalla cintola la pistola e la puntò.

"Questa non l'avevo prevista," pensò la Medusa, vedendosi l'arma pronta a fare fuoco, che tremolava tra le mani dell'individuo dalle spalle incassate.

«Che caspita! Allora è vero! Siete dei mostri!»

Stella alzò di colpo lo sguardo, ora coperto dagli occhiali. Si sistemò le borsa sulla spalla. Intuì rapida la possibilità che quegli uomini non si fossero trovati lì per caso. L'espressione che aveva adoperato l'uomo la indusse a credere che fosse al soldo di Mausolo. Ovviamente anche gli altri tre. Ma perché. E perché la mula incantata di colpo è stata attratta da loro? Stella era certa fossero semplici umani. Se avessero avuto qualcosa di sovrannaturale l'avrebbe avvertito in qualche modo. Ne era sicura. L'esperienza cominciava ad accumulare lezioni apprese a repentaglio della vita più volte.

L'individuo armato chiamò a squarciagola un compagno, dal momento che c'era la montagna di sabbia in mezzo a separarlo dal gruppo.

Stella restò immobile, con i piedi affondati nella sabbia in cerca di equilibrio sull'arenile rovente.

«Mettila giù,» il tono cordiale, anche se temeva di essere sparata. Non era sicura di essere a prova di proiettile, e nemmeno aveva l'intenzione di fare test all'ultimo minuto. I serpenti spalancarono le fauci grondando veleno. Il colore roseo dei palati animaleschi impaurì a tal punto l'uomo che non trattenne la vescica. Imprecò a un passo dal piangere.

«Non ho nessuna intenzione di farti del male. Ti chiedo solo di non spararmi e di andare via.»

Il naso dell'uomo, bruciato dal sole come la pelle scurita e spellata, gocciolò. Gli occhi strizzati dal sudore. Le pistola impugnata a due mani sempre più traballante. Premette il grilletto piano. Deglutì a gola secca. Stella attese l'esplosione immobile. Era facile immaginare che se si fosse mossa, quello l'avrebbe sparata di riflesso.

«Non sei costretto a farlo.» Nonostante il sangue freddo ostentato, Stella sentì crescere qualcosa dentro. Non era solo timore di lasciarci le penne, era un qualcosa al quale non avrebbe saputo dare un nome se non avesse notato attorno a sé la sabbia tramutare in pietrisco candido. Alla vista del repentino prodigio, l'uomo urlò, sparò il colpo, Stella incrociò le braccia davanti la faccia cacciando fuori gli artigli di bronzo, il proiettile impattò contro la barriera reticolata frantumandosi e scintillando. L'individuo cadde a terra, ancora urlante, contorcendosi dal dolore provocato dal morso del serpente che Stella vide appena dopo aver messo giù le braccia e ritratto gli artigli. Gli occhi sbarrati dietro le lenti.

«Eh, no. Quello non è mio,» disse vedendo il serpente ramingo strisciare attorno al malcapitato. «Accidenti! È un velenoso cobra nero del deserto!» Si avvicinò più veloce che poté all'uomo che si tratteneva la caviglia. Il serpente alzò la testa puntando ora pure Stella. Le fauci pronte al secondo attacco.

«Va via!» tuonò la Medusa, e il cobra chinò la testa e strisciò lontano. «Non ci credo. Mi ha ubbidito.» Il momento concitato la obbligò a rimandare l'osservazione. L'uomo era bisognoso di un aiuto immediato. Aiuto che chiese ai suoi serpenti. Un rettile giallo ambra si allungò fino a percorrere il braccio sinistro della padrona. «Oh, di nuovo tu, il serpente Rum. Ma cosa sei, la panacea per tutti i mali?» In tutta risposta, l'alticcio serpentello sussultò con la testolina singhiozzando. Gli occhi artigliati strabici. Stella fece una smorfia. «Boh! Basta che funzioni.» Sollevò l'abito bianco il necessario per chinarsi sull'uomo che, tutto voleva in quel momento meno che un morso di serpente extra. Cercò di opporsi, ma il veleno in circolo, oltre a provocargli dolore, gli rendeva impossibile governare i gesti. Dovette ricacciarsi in gola persino le imprecazioni.

«Fidati di me. Tra un po' starai meglio. Oddio, lo spero.» Diede il segnale e il serpente Rum morse l'uomo sul naso, nonostante avesse puntato il collo. L'opposizione mostrata dal tipaccio si perse nell'aridità dell'aria. Sbatté la nuca sulla sabbia come un masso, pronto a dire addio alla vita. Invece non fu così. Si tirò su col busto, seduto a gambe larghe e l'espressione stranita. Singhiozzò.

«Hic!»

«Perfetto, l'ho fatto ubriacare.»

«Huc! Chi me l'ha fatta fare, hec!»

«Chi te l'ha fatta fare, chi e cosa?» Stella si protese, avvinta dalla confessione alcolica dell'altro.

«Non lo so, hic!»

«Andiamo bene. Su, spremiti i neuroni e di' a zia Stella che ci facevate tu e i tuoi compari nel deserto.»

L'uomo piagnucolò. «Hic! Ci ha pagati a fare una cosa brutta. Uhc! Ora. Ora, ora...»

«E parla sant'Olimpo!»

«Morto, hic! È morto!»

«Chi? E chi vi ha mandato, Mausolo?» L'uomo mise a fuoco il viso della Medusa e trasalì. Si agitò, cercò di alzarsi, Stella si ritrasse pur mantenendo alta la guardia. Capì che stava cercando l'arma che gli era caduta distante un braccio nella sabbia, e per questo sferrò un man rovescio artigliato affettando la pistola come fosse burro.

«Ma che ca_» Lo scappellotto dietro la nuca abortì l'ennesima imprecazione. Si trattenne la parte colpita. «Hic! Ma-Mausolo. Mausolo. Ci pagherà con tanto oro per sequestrate, hec! Uno strano tipo, tutto brutto. Huc! Ma adesso però è morto e addio oro, huc! Addio sogno di vita senza più, hic! Lavorare, hoc!»

"Di più non mi saprà dire, immagino," pensò osservando il disgraziato annegare nel suo tormento. «Alzati! Andiamo a cercare gli altri!» Una scarica di proiettili motivò la Medusa a fare in fretta.

Dall'altro lato della montagna di sabbia, da dove provennero altre scariche di proiettili, Sabato stava lì, in piedi, le mani sui fianchi e lo sguardo perplesso, mentre incassava in pieno petto la terza mitragliata.

«Giovanotto! La vuoi piantare?»

«Mangiamocelo Capo! Questo è cattivo!» Gli occhi del Basilisco brillarono come rubini. La bocca tipo drago di Komodo già spalancata a mostrare file di denti aguzzi.

«No, che non digerisco gli stronzi a primo mattino.»

«Ma chi sei, Voldemort

Sabato sistemò gli occhiali sul naso. Le guance cascanti vibrarono per la pazienza appena persa. Si avvicinò all'uomo armato, che ancora lo teneva sotto tiro. Gli occhi umidi di lacrime. Il cuore che pompava alla stregua di un centometrista sotto sforzo. Vide quello che definì un mostro a due teste farsi vicino. Non riuscì a muoversi nonostante l'impulso di scappare a più non posso il più lontano possibile. Fu inutile. Strinse i denti fino a far sanguinare le gengive, quando la mano di quel vecchio agguantò la canna della mitragliatrice e la piegò come fosse una stecca di liquirizia.

«Scusami giovanotto, ma mi stavi assordando con tutti quegli spari. Ho una certa età, e già non sono famoso per l'udito,» disse pulendosi un orecchio con il mignolo. «Allora, dicevo, giovanotto. Hai per caso visto due donne? Una bassa e dolce, e l'altra alta e acida?»

«Chi sarebbe quella acida, Sabatino?» Il palesarsi improvviso di Stella scatenò fior di brividi lungo la schiena di Sabato. Effetto che aumentò notando l'amica trascinare un uomo per un orecchio. «Ah, no! Questo no! Assolutamente no! Da te non me l'aspettavo, oh!»

L'altro sfortunato assaltatore aveva ancora in mente, impressa come una scena a ripetizione, lo scintillio dei proiettili che si erano infranti sul corpo del vecchio. «I mostri esistono,» borbottò, mentre quelli erano a un passo dal bisticciare. «Quella ha pure serpenti in testa... E io che non ci avevo creduto quando quel tipo me l'aveva detto...» "Quel tipo, Mausolo, ha promesso oro in cambio del vecchio che abbiamo sequestrato in Sicilia. Doveva essere un lavoro facile. Pulito. Non ci ho mai creduto ai mostri. Ma ora, questi. Non basterebbe loro del mondo per affrontare tutto questo! E poi, dopo l'esplosione, quello sarà pure morto. È la fine. Mi uccideranno." Indurì i muscoli del viso fino a produrre una smorfia. Non aveva più nulla da perdere. Si avventò contro Sabato, che però gli mollò un cazzotto sulla mascella stendendolo.

«Scusami giovanotto,» disse dopo averlo atterrato. «Ehm, ciao cara! Non sapevo fossi ancora viva, ehm, in compagnia.» La rappresaglia di Stella fu sul punto di esplodere, ma fu più veloce l'ennesima scarica di proiettili che colpì in rapida successione la base di un cactus poco distante. La precisione fu tale che la pianta si ritrovò segata alla base, un colpo di vento la fece caracollare sollevando nuvole di sabbia.

Stella lanciò l'omuncolo addosso all'altro prima di rifugiarsi dietro la schiena di Sabato.

«Che fai?»

«Io non sono invulnerabile come te e Darlina. E a proposito, dov'è? Non sarà mica...» Appiattì con le mani i rettili e sbirciò dal lato del Basilisco.

«Ehi, Pupa, non temere, ti proteggo io!»

«Apprezzo la premura,» ribatté Stella al testone iridato. «Ma non chiamarmi Pupa.»

«Tiralo fuori! Tiralo fuori!»

«Ma chi sei, Belzebù

«Tua nonna è Belzebù!» un tonfo ligneo mise a tacere la voce del terzo uomo. «E ora, tiralo fuori!»

Le guance di Sabato cascarono più del dovuto a sentire Darlina esclamare quel genere di ordine. Stella piegò la testa in obliquo. Il mento sfiorò la propria spalla. «Ecco l'altra maniaca. Oh, santa grammatica, perché non continuiamo con le sparatorie?» sbuffò stretta alla tunica di Sabato, già diretto verso la fonte della voce. «Non voglio vedere proprio!» ripeté trascinata dall'altro a mo' di sci sulla sabbia.

«Su, un po' di coraggio, a volte non ti riconosco Stella,» rispose Sabato, curioso di vedere cosa stesse facendo Darlina. aggirata la montagna di sabbia, ecco Darlina in ginocchio assieme al terzo uomo, tutta affaccendata a scavare.

«Ma cosa?»

Stella tenne gli occhi serrati dietro gli occhiali da sole.

«Guarda pure, Stella. Non. Non. Boh, non lo so.»

Stella aprì uno spiraglio con le palpebre e la fessura di luce centrò la scena.
«Darlina! Che fai?» domandò ora a occhi aperti e rassicurata, e l'altra si voltò.

«Ragazzi! Venite, venite ad aiutarci! C'è un uomo seppellito nella sabbia! Se non facciamo presto soffocherà!»

«Oh, santa grammatica!» Stella si mosse rapida al richiamo, si inginocchiò accanto all'amica e prese a scostare sabbia a più non posso. Il terzo uomo muoveva lento le braccia. Gli occhi aperti e la bocca socchiusa. Stella lo notò che stava osservando ora la capretta e il leoncino, ora la sua criniera serpentesca. Tuttavia non batteva ciglio. Il bernoccolo che brillava sulla testa le suggerì d'individuare l'oggetto contundente. Infatti, il mattarello da viaggio di Darlina doveva ancora terminare di ruotare per terra. Fece una smorfia.

«Si vedono solo i piedi, poverino. L'esplosione l'ha piantato di testa nella sabbia!» Darlina ansimava a ogni tentativo di disseppellire il corpo.

«Fate spazio, ragazze,» disse Sabato. E senza attendere che le amiche si spostassero, si piegò a braccio teso, afferrò una caviglia dello sventurato, tirò e "tlac!" si ritrovò in mano quella che sembrava una gamba. Stella e Darlina urlarono, le guance strapazzate con le mani.

«Sabato! Dobbiamo salvarlo intero, non a pezzetti!» rimbrottò Darlina. «Oddio, oddio! È senza una gamba adesso!»

Stella si tirò su, pronta a recriminare contro Sabato, che con una smorfia studiò l'arto che aveva strappato. «È un tutore. Un tutore ortopedico per pareggiare la lunghezza delle gambe. Li conosco. So come sono fatti. Nel gruppo di nuotatori che alleno ci sono anche dei diversamente abili che ne fanno uso,» chiosò Sabato, sedando l'ira di Stella che per poco non inciampò nell'atto di prenderlo a pugni.

«Ehi! Voi! Datevi una mossa!» esortò Darlina. «Sabato, usa la tua forza per tirarlo su, intero!» L'uomo ubbidì. Gli bastò una trazione decisa, stavolta afferrando le caviglie originali e il misterioso individuo rivide il cielo argentato del Sahara.

«NOOOO! CAPO! CAPO! CAPO! RIMETTILO SOTTO SABBIA! RIMETTILO SOTTO SABBIA!» strillò il testone al punto che Sabato dovette tapparsi le orecchie.

«Ma che ti prende? È solo un uomo, ed è piuttosto malconcio. È, oh, poveraccio, è deforme.» Le sopracciglia bianche si nascosero dietro la montatura degli occhiali di onice.

Stella lo soccorse. Mise un orecchio vicino la bocca e il naso. «Non respira!» Senza pensarci su praticò la respirazione bocca a bocca. Una volta. Due. Tre. Alla quarta si mosse qualcosa.

«Oh, gra-gra-grazie leggiadra fanciulla,» disse quello appena riaprì gli occhi, saggiando il gusto dell'aria afosa del deserto.

Le donne tirarono un sospiro unanime. Solo dopo il salvataggio fecero caso al chitone indossato dallo storpio. Quello si tirò su, seduto. La mano a spolverarsi la sabbia dalla faccia. Stella si guardò attorno.

«Ehi, tu! Avete dell'acqua con voi?» si rivolse all'uomo col bernoccolo che la fissava stranito. Quello buffò. Poi indicò la vettura capovolta poco distante. Stella andò a controllare, senza però abbassare la guardia su nessuna direzione. Fortuna volle che una tanica di acqua ci fosse davvero. Era ruzzolata fuori dall'abitacolo, ed era in condizioni accettabili. La prese, la portò al quarto indivuo e gliela offrì. Quello ringraziò, e con le braccia tremanti afferrò il contenitore e bevve un po'. Al termine si prodigò in ringraziamenti. Fece per alzarsi, si guardò intorno alla ricerca di qualcosa. Sabato si adoperò a risistemare il tutore alla gamba offesa. L'uomo gli sorrise commosso.

«No! Capo! No! Capo, no! Lascialo stare, scappiamo via, scappiamo!»

«Ma si può sapere che ti è preso?» domandò a nome di tutti Sabato. L'uomo indicò un oggetto, un bastone che gli era volato via dalle mani quando la mula aveva centrato l'automobile. Darlina con pochi balzi lo andò a recuperare e glielo riconsegnò.

«Ci dispiace, non volevamo causarti del male,» disse Stella, aiutandolo a rialzarsi.

«Oh, lo vedo. Lo vedo,» disse quello, sputacchiando per via della bocca storta. Osservò un po' tutti i mostri, con i suoi occhi uno più grande dell'altro. Le braccia e le spalle però erano robuste. Stella ebbe l'impressione di toccare roccia.

«Siete in forma però. Che mestiere fate?»

«Oh oh, il fabbro, fanciulla cara,» rise quello senza burlarsi della sua curiosità.

«Allarme rosso! Allarme rosso! Si salvi chi può! Ultimo avviso! Abbandonare la nave!» ripeté come un disco rotto il Basilisco.

«Ma insomma! Che accidenti stai dicendo?» inveì Darlina, la più gentile del gruppo.

«Eh, eh, cara signorina Chimera, il Basilisco fa così perché mi ha riconosciuto. Ma state tranquilli, non voglio farvi del male,» rise ancora arricciando il grosso naso bombato.

«Non vediamo come potrebbe farcene,» ribatté Stella, accanto a lui per aiutarlo a stare in piedi. Darlina si fece più vicina.

«Su, se ci dici dove abiti, siamo disposti ad accompagnarti.»

«Oh, oh, oh, siete così gentili. Ma no. Dove abito non potete venire.»

Sabato, Stella e Darlina si scambiarono un'occhiata del tipo: "ha preso proprio una bella botta in testa pure 'sto qua!"

«Dove abiti allora?»

«In un vulcano. Io sono Efesto, dio del fuoco terreno.»

«NOOOO!» ululò alla luna lattiginosa in cielo il Basilisco, Stelle e Darlina si allontanarono di colpo dal dio del fuoco.

E un altro «NOOOO!» ululò parecchi chilometri in linea di volo, al centro di Platopoli, nella torre del palazzo più alto. Il naso di Mausolo schiacciato contro la sfera di vetro azzurrognola, dentro la quale aveva assistito tutta la scena a partire dall'impatto della mula volante. «Ma non dovevano essere morti questi dannati mostri! Che accidenti ha combinato Calipso? Eh! Me lo dici tu ACLI!»

La dea dei veleni emerse dal suffumigio fuoriuscito dal pavimento, in mezzo alla camera circolare. Era piegata e di spalle, sempre avvolta dal mantello nero di seta. «Ma che sciocchezze, è ridicolo! L'altro ieri non costava così tanto il fegato di pesce palla! Mi vuoi prendere in giro, Oh! Ma. Dove?» Non fece in tempo a mettere a fuoco le colonne di alabastro alternate a statue intorno le pareti circolari, che Mausolo tuonò di nuovo il suo nome. Quella si voltò.

«Ma che hai da urlare?! Ero al mercato a fare la spesa. Non puoi convocarmi quando ne hai voglia! Se mi fossi trovata sotto la doccia di metano liquido, cosa avresti fatto?»

«Vomiterei come minimo!» rispose Mausolo, mentre si metteva la maschera antigas. «Piuttosto, spiegami perché Calipso ha fallito?»

«Te l'ho detto, Calipso è figlia di un Titano ed è una maga arci potente. È stato già tanto riuscire a ipnotizzarla per trovare Atlantide e trasferirla nel bel mezzo del nulla.»

«Sì, però, adesso i mostri hanno preso Efesto! Ah! Con tutto quello che mi ci è voluto per stanarlo! Mi serviva per distruggere le catene di Prometeo che tengono al sicuro gli umani che ho fatto prigionieri.»

«E da me, che vuoi?»

Mausolo, con la sfera azzurra in mano, si tirò su dal trono. Il chitone bianco con greche d'oro agli orli scintillava. Agitò i muscoli delle gambe per sciogliere la tensione. Il respiro metteva in evidenza i pettorali. Gettò via la maschera antigas mostrando il volto bello e terribile, indurito più del solito.

«Acli! Tu, devi, avvelenare, i canarini!»

«Che barbarie!»

«E devi darmi un'altra sfera di cristallo, questa puzza! Di che cosa è fatta?»

«Di puro stronzio!»

Mausolo si voltò di scatto, ma Acli fu veloce a svanire tra i miasmi.

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Per chi volesse saperne di più

Pazuzu: divinità malvagia assira, impersonifica il vento che provoca siccità. Nonostante fosse considerato un demone, per la sua immensa forza, veniva invocato quando c'era da scacciare altri demoni come la demonessa Lamastu, perfida entità che si accaniva contro le donne incinte e i neonati.
Altra curiosità su Pazuzu è che la sua statua la si può vedere nel celebre film L'esorcista. Foto sotto.

BELZEBÙ: letteralmente Signore delle mosche, bah, che schifo! È, a seconda delle ideologie religiose: cristiane, ebraiche, addirittura fenicie, un sinonimo oppure un sottoposto della figura satanica della religione corrispondente. Ha avuto l'apice della considerazione in età medievale, poi la notorietà è scemata, motivo per cui non si hanno fonti precisi che lo descrivono alla perfezione. E la cosa non ci dispiace.

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