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20 ~ Riunioni e contusioni

«Mazza che fiasco!» esclamò Darlina scansando i sassi, dal momento che Stella aveva cambiato l'assalto di gruppo con una ritirata generale.

«Già! Avremmo dovuto organizzarla meglio sta cosa!» convenne Stella.

«No! Aspettate! Aspettate!» gridò il Minotauro, arrancando dietro le donne.

«Cosa vuoi che aspettiamo? Che_» Un'onda di luce investì il corridoio roccioso in tutta la lunghezza. Le torce si accesero una dopo l'altra, sbiancando la vista di colpo.

«Non posso farvi andare via,» disse Calipso, la voce incerta, mentre avanzava verso le fuggitive, ora con gli occhi serrati a causa dell'improvvisa illuminazione. Dovettero però aprirli quando si accorsero che il passaggio era bloccato da cinque entità antropomorfe costituite da fiori. Avevano solo la forma umanoide, ognuno di colore diverso.

«Di qui non si passa,» squittirono quelli, ostacolati pure loro dai sassi.

Darlina aguzzò la vista. «Che razze di cose sono queste?»

Stella si voltò verso Calipso. Il bel volto della strega era stravolto. Stella si accigliò, e senza abbassare la guardia cercò d'individuare il Minotauro. «Che cosa succede?»

«Calipso non è più come prima,» borbottò lo pseudo uomo, mostrando le mani in segno di resa. «Non è normale,» aggiunse facendo sbuffare Stella.

«Sai che novità. C'è qualcuno che lo è da queste parti?» Non attese risposta, e dal momento che Calipso avanzava, ora feroce come prima, sollevando l'abito stile impero color arancio, si rivolse a Darlina.

«Accendi la caldaia!»

«Che-che devo fare?» incespicò sulle parole la Chimera.

«Oh, vecchia ciabatta, questi cosi sono fatti di fiori, questi cosi prendono fuoco, hai capito?» le disse indicando il leoncino.

«Aaaaa!» fece l'altra, che prese ad accarezzare il micio provocando fusa a comando. La Chimera trattenne già il primo singulto, intanto i cinque esseri floreali avanzavano a braccia spalancate.

«Se fossi in voi non lo farei,» ghignò Calipso, sempre più vicina. Le braccia che agitavano l'aria tradivano incertezza.

«Non ti avvicinare!» avvertì Stella, impugnando il serpente delle rocce a due mani, ancora rigido come un'asta. «Darlina! Fuoco!» ordinò, e l'amica compì un balzo, nel mentre espulse dalla bocca fiotti di lava addosso agli esseri floreali. Quello blu si ritrovò con una spalla in fiamme, il rosso con le gambe incenerite, l'arancione senza testa, il giallo con un buco in mezzo al petto, il viola era l'unico a essere completamente fumante.

«Urgh! Mi serve un quintale di malox,» biascicò a gola secca Darlina dopo essere atterrata. Affondò una mano nello stomaco.

«Sei stata bravissima!» esclamò Stella.

«Non sai quanto mi piace questa cosa,» ribatté l'altra piegata. Girò la testa e vide il Minotauro tremare. «E tu, da che parte stai?»

Il Minotauro non seppe rispondere all'interrogativo della Chimera. Non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, figurarsi se poteva vedere quelli super sospettosi della Medusa. Lanciò un timido sguardo a Calipso, ma lei lo ignorò.

«Non posso intralciare il volere della padrona...» Scappò via con la coda tra le gambe.
L'atteggiamento ignavo del Minotauro attirò per un attimo l'attenzione di Stella e Darlina, un attimo che Calipso colse al volo. Con un gesto lanciò una malia sui resti degli esseri floreali, e da essi si dipanarono gomitoli di fili spessi come sbarre. Stella tornò sull'attenti, ma era già circondata dalle sbarre di metallo che continuavano a fissarsi l'una all'altra fino a formare una gabbia a cilindro.

«Ah, no! Questo assolutamente no!» gridò imprigionata, e quando afferrò le sbarre cacciò un grido peggiore. Si guardò i palmi delle mani che pulsavano come se stessero stringendo cuori vivi. L'odore della propria carne bruciata le fece trattenere il respiro.

«Darlina! Darlina! Non toccare le sbarre!» strillò, vedendo l'amica ingabbiata come lei. «Sono d'argento! I mostri non possono toccare l'argento!»

Darlina aveva sempre dato ascolto all'amica, e in quell'occasione non fece eccezione. Tenne le braccia conserte a protezione dei suoi animali da seno, avvolse le gambe nel tessuto dell'abito e si inginocchiò, evitando il contatto a pelle anche col fondo della gabbia, d'argento pure quello. Stella sorrise amara, gratificata comunque dell'astuzia dell'amica.

«Oh, ti sei fatta male?» domandò Calipso, lo sguardo costernato, e a giudizio di Stella sincero.

«Di' un po'! Mi prendi per i fondelli per caso?» domandò retorica, trattenendo con i polsi il bastone-serpente delle rocce. "Questa me la paghi adesso!" Si costrinse a usare le mani nonostante le ustioni le facevano tremare, e con una mossa rapida tipo biliardo la insinuò tra le sbarre e diede una stoccata in fronte alla strega. Calipso arretrò col capo mezzo reclinato, trattenendosi la parte colpita con una mano. Io sguardo tornò a essere feroce, ma Stella lo sostenne fiera.

Calipso fece un verso da cavernicola. La pelle olivastra della fronte timbrata dalla punta del serpente di pietra le fece gonfiare i polmoni fino sentire le costole scricchiolare. «T-tuuu!» la indicò, i ricci marroni si stirarono in dietro come investiti dal vento che non c'era, e dal palmo della mano protesa scaturì un getto di fuoco rivolto alla Medusa. Darlina strinse le guance con le mani, e vedendo l'amica mangiata dal fuoco, dimenticò di non toccare le sbarre d'argento e si ustionò.

«Ahah! Te l'ho detto che non avresti dovuto farlo!» esclamò la strega, il volto caffellatte rifletteva la danza della fiamma che si ostinava a emettere con il braccio teso. Il Minotauro, nascosto dietro un costone arretrò fino a sbattere la schiena, si trattenne le orecchie sotto le corna. Il moccio dal naso arrivò fino a terra. Avrebbe voluto fare qualcosa. «La Padrona di Ogigia non è così,» ripeteva. "Vorrei poter fare qualcosa. Ma cosa?"

Calipso era a un passo dal gongolare, quando un oggetto vinse le fiamme colpendola in fronte, facendola reclinare di nuovo la testa. Sentì il collo in preda a un colpo di frusta, e imprecò piegata dal colpo. Si trattenne la parte lesa per la seconda volta, senza distogliere l'attenzione dalla gabbia in fiamme. Darlina era bianca come un cencio. Tornò ad affondare le mani bruciate sulle guance per domare il tremore. Gli occhi bruciavano come il fuoco che stava osservando, ora spegnersi. Era convinta che non avrebbe trovato nemmeno le ceneri dell'amica. "Cosa faccio adesso tutta sola io?" si domandò, vergognosa del pensiero egoista formulato. "Io di queste cose antiche non ci capisco niente," ammise, e chiuse gli occhi in attesa di finire arrostita pure lei.

«Ben fatto!»

«Cooosa?!» fecero coro Darlina, il Minotauro e Calipso puntando gli occhi addosso a Stella diventata di pietra.

«Co-co-co_»

«Coccodè!» fece il verso Stella togliendo il balbettio a Calipso. «Capisco la tua sorpresa, e lo sono un po' anch'io. Dico solo un po', perché è già successo che fossi diventata di pietra, grazie al morso del serpente delle rocce,» ghignò richiamando lo stesso serpente che aveva scagliato contro la strega. Il rettile strisciò verso la gabbia, risalì su una gamba della padrona disegnando una spirale, infine ritornò nella nidiata sopra la testa.

«Ste-Stellina...» sussurrò in lacrime Darlina. «Stavolta ero convinta che fossi_»

«Morta? Ah! No! Assolutamente no! Ma come ti salta in mente?»

«Intanto sei ancora dentro la gabbia, Medusa di pietra,» fece presente Calipso, di nuovo con il tono incerto. «Oh, che mal di testa,» accusò il secondo colpo sulla fronte, sfiorando il livido che sentiva come fosse un marchio di fuoco. «Vorrei sapere come fai a parlare. Voglio dire, sei praticamente uguale a una statua, di certo non sei una nuvola.»

«Non lo so nemmeno io,» ammise Stella. «Però, non dura molto l'effetto_» alzò le palpebre di colpo, sentì il cuore, di pietra pure quello, pompare l'emozione del lampo di genio appena avuto. Afferrò le sbarre e rise in silenzio. «Essendo al momento di pietra, la tua gabbia d'argento mi fa un baffo.» L'intuizione si rivelò utile, e ancora più utile scoprire che essere di pietra le conferiva una forza fisica che altrimenti non aveva. Allargò le sbarre senza sforzare nemmeno un muscolo. «Sono sempre contraria alla violenza, ma stavolta...» Lanciò le braccia contro il resto delle sbarre spaccandole una a una, il metallo tonfava come fosse scarto di acciaieria. Si protesse la testa dalla caduta addosso del soffitto della gabbia che buttò a terra come fosse fatto di cartone.

Darlina aveva gli occhi a palla come i pesci. «Da quando sei diventata Maciste?» deglutì. «No, dico, stai riducendo le sbarre della gabbia come fossero grissini,» commentò mentre si lasciava liberare dalla prigione d'argento. Accettò la mano della rediviva senza attendere risposta. Scalciò il pezzo d'argento finito tra i piedi per non inciampare. Nel mentre Stella non aveva mollato di vista Calipso nemmeno per un attimo.

"È trascorso un sacco di tempo, come mai non ne ha approfittato per attaccare ancora?"

Calipso si guardava le mani, poi attorno, si piegò di lato, allungò una gamba, fece un paio di piegamenti sulle ginocchia.

«Ma che ci prende per il_» Il braccio tirato da Darlina interruppe la sua constatazione.

«Che ti prende?»

Darlina non badò al cipiglio e sussurrò: «E se la aiutassimo? Guardala, sembra stia soffrendo.»

«Darlina, sei troppo ingenua.»

«Forse è una brava persona. Io dico che non costa nulla vedere di darle una possibilità, così come l'abbiamo data ad Aracne.»

«Sì, e sai com'è andata a finire!»

«Su, dai, ho il presentimento che non sia male. Anche quando l'abbiamo incontrata nel deserto del Sahara, ricordi? Sembrava trattenuta. Insomma, se sapeva aprire un vortice d'acqua nel bel mezzo del nulla, avrebbe potuto farci fuori senza architettare una fuga così pittoresca, no?»

Le narici di Stella fischiarono. «E sentiamo, ammesso che fossi d'accordo, come pensi di aiutarla?»

Darlina indicò la sua testa.

«Ma tu dici che i serpenti...»

«Eh, sanno fare un sacco di cose, mi sembra. Che ti costa chiedere anche questo?»

«Mi costa che abbia cercato d'incenerirmi, ecco cosa mi costa,» disse vedendo la realtà dei fatti. Calipso smise di fare attività fisica e inclinò la testa da un lato, poi dall'altro. Lo sguardo perso.

«Eccola che attacca di nuovo,» ipotizzò Stella, stavolta sul piede del contrattacco, senonché sentì un "crac!" che la fece sobbalzare.

«Oooo, avevo il collo incriccato,» sospirò Calipso.

Stella sbatté le braccia ai fianchi. «Aio!Questa non è pazza, è scema proprio!» La doppia pacca richiamò l'attenzione di Darlina che allungò le mani sul braccio dell'amica.

«Che ti prende?»

«Guarda, sei tornata normale, non sei più un pezzo di marmo di Carrara,» strinse gli occhi, e Stella dovette darle ragione. L'effetto pietra era terminato, sentì i palmi tornare a pulsare come tamburi. Strinse i denti. La bocca così serrata da scricchiolare.

«Urg! Era meglio se non me lo facevi notare, stavo per non pensarci più, uffa!»

«Accidenti!» Darlina guardò le sue di mani ustionate e sporse la dentiera mal aggrappata alle gengive. «Hai ragione anche tu, mi sono bruciata anch'io. Ma perché? Quel ferro era così rovente, dannazione. Non potrò più cucinare così!»

«Pazienza cara, vedremo come fare...» sospirò l'altra, prima di dirigersi verso la maga.

«Io, io...» Calipso borbottò qualcosa mentre la Medusa guadagnava terreno.

«Ehm, ragazzi, so di chiedervi molto, ma non ho scelta. C'è qualcuno che può fare qualcosa per far tornare normale, si fa per dire, Calipso, qualora fosse preda di una malia?» Un serpente giallo scivolò dalla nidiata fino a cingere il braccio destro. Stella lo accolse, sollevò il braccio tenendo ferma la mano. Quando il rettile si arrotolò sul polso, sentì la bruciatura sul palmo bollire sottopelle. Strinse gli occhi, vinti dalle lacrime. Soffiò come se stesse lottando contro una minestra bollente. Riuscì a prestare attenzione al dorso del rettile, dove le scaglie nere indicavano una scritta.

«Rum?!» Il mento di Stella diede un colpo alla tiroide. «Mi prendi in giro?» Il serpente color limone scosse la testa tonda. Le fauci serrate sorridevano. Le pupille erano a forma di croce, ed erano rosse. «Non riesco più nemmeno a stupirmi,» borbottò.

Calipso arretrava man mano vedeva farsi vicina Stella. «No-non fare un altro passo, Medusa,» disse, ma l'altra protese il braccio che ospitava il rettile. Calipso allargò le braccia e sulle mani si accesero cumuli di fiamme.

«Cominci a essere monotona,» disse Stella sbadigliando per finta.

Calipso chiuse le braccia, i fuochi si unirono, partì un getto tipo fiamma ossidrica, Stella scivolò su un sasso non visto, il serpente scattò a molla verso le gambe della strega e la morse. La fiammata sfiorò la chioma serpentesca prima di spegnersi al grido di Calipso, che si tratteneva la coscia scoperta dall'abito. I ricci caddero sul viso e sul seno poco coperto, il volto orientato a terra e le spalle cadenti in avanti. Stella in mezzo ai sassi faceva l'occhiolino, trattenendosi dall'imprecare contro le pietre che si erano insinuate laddove nessuno vorrebbe. Era in attesa di veder venir giù la strega, ma quella stava bloccata a un passo da lei. Il serpente era ancora lì, con le fauci affondate nella coscia. Stella sorrise. «Spero almeno ti faccia male,» disse con lo sguardo a fessura.

«Stella!» la richiamò Darlina.

«Ma che vuoi tu?» protestò la Medusa mentre faceva forza sulle ginocchia per tirarsi su, ma quelle la tradirono facendola finire lunga per terra. Di nuovo. Il serpente Rum si staccò dalla maga e ne approfittò per strisciare in linea retta sopra il corpo della padrona fino a riguadagnare la chioma.

«Si può sapere che cosa le hai fatto?»

«Non ne ho idea. Le ho inviato un serpente al rum e_» Fece forza per alzarsi ancora una volta, ma qualcosa di più pesante le era salita sulla schiena schiacciandola e mozzandole il respiro.

«Oooo, voi dovreste essere la signora Chimera, non è vero?» domandò Calipso, il volto radioso ma privo di sorriso. Darlina accettò le mani offerte dalla strega, emise un «Sì,» di circostanza, e con la faccia faceva su e giù, preoccupata per Stella che stava facendo da zerbino alla padrona di caverna.

«Dovrebbe esserci anche la signora Medusa, non è vero? Ma dov'è, dov'è? Su, non vedo l'ora di conoscerla. Ma cos'è? Sarà mica timida? Su, o ha paura di pietrificarmi? Ma no, non c'è pericolo, io sono Calipso, figlia del Titano Atlante, sono poche le cose al mondo che hanno effetto su me_»

«Una di queste è il rum immagino,» ipotizzò Darlina, incapace di far stare buona Calipso, che si girava e rigirava sulla schiena di Stella, aguzzando la vista per rintracciarla chissà dove credeva si trovasse.

Calipso chinò il busto, i palmi tesi verso Darlina, e con l' invito a tacere disse: «Uh, sento le voci, voci loontaanee...» Mosse lenta una mano a semi cerchio e la fermò a un palmo dalla bocca. «Sc... chissà cosa dice? Sarà qualcosa d'iimpoortaantee...»

«Togliti di dosso, stronza!»

«Interessante,» disse col dorso del pollice accanto alla bocca, «togliti di_» L'illuminazione tardiva l'attirò in fondo ai suoi piedi. «Oh, l'ho trovata!» esultò, e scese dalla schiena di Stella. Le guance cascanti di Darlina erano parallele alla bocca aperta. Stella si tirò su, restia a farsi aiutare dalla nuova versione di Calipso. Nel raddrizzarsi prese in mano un masso, che non sfuggì all'attenzione dell'amica.

«Cara, no! Che fai?»

«Gliela faccio ingoiare!»

Le mani di Calipso batterono un colpo. «Oh, che cara! Vuoi aiutarmi a sistemare il disordine del corridoio principale,» sorrise, e con un gesto strappò il masso dalle mani di Stella, che insieme a tutti gli altri disseminati lungo il pavimento, volarono come palloncini fino al soffitto.

«Sta grandinando al contrario,» sussurrò Darlina, col naso all'insù a seguire come i pezzi di roccia trovavano il giusto incastro come un puzzle. E come questi svelava man mano bassorilievi, affreschi e mosaici.

«Oh, bene, così è un tantino meglio, non credete?» sorrise ora Calipso.

«Andrebbe ancora meglio se ci restituissi Sabato,» tagliò corto la Medusa, e Calipso estroflesse il labbro inferiore.

«Vi serve proprio?»

«Sì!»

La risposta unanime pesò sulle palpebre della strega. Sbuffò. «Però, l'uomo sta facendo cose_»

«Che non ci interessa sapere,» tagliò cortissimo Stella, con le mani avanti e il volto di profilo.

Le pupille di Darlina inseguivano ora Stella ora Calipso, man mano che una alludeva sconcezze e l'altra rifiutava d'immaginarle.

«A noi serve Sabato, serve il Basilisco per poter affrontare Mausolo, così come ci ha spiegato, si fa per dire, Artemisia!» L'esplosione di Stella investì Calipso, cancellando il sorriso dalla faccia.

«Artemisia,» ripeté la strega. «La mia discepola di magia.»

«Questo spiega un sacco di cose,» disse, e Darlina annuì insieme a lei.

Calipso distese il volto e rilassò le spalle. Mosse le labbra e scosse la testa. «Acli,» rivelò. «Mausolo mi aveva rapita e costretta a fare cose orribili per suo conto.»

Stella socchiuse gli occhi e si voltò verso la maga. Le mani ferme per non stuzzicare il dolore della scottatura.

«Mi ha costretto a fargli da oracolo. Ha piegato la mia volontà con l'aiuto di Acli, la dea dei veleni,» le narici si gonfiavano a furia di ricordare ciò che l'era capitato.

«Esiste davvero una dea dei veleni?» Il sussurro di Darlina calamitò le pupille di Stella, nonostante l'attenzione che stava dando a Calipso.

«È poco nota. Siccome in antichità non c'erano molti rimedi per i morsi di animali velenosi, si attribuiva a questa dea Acli gli effetti mortali.»

«Quanto sei chiara cara,» disse Darlina ridendo, non per ciò che le aveva detto, ma per il solletico alla parte bruciata della mano destra. Chinò il capo e scoprì il leoncino leccargli il palmo come fosse un gelato. «Piantala tu, mi stai inzaccherando_» La Chimera portò sotto gli occhi la mano condita di bava, sentiva ancora il solletico, e ora l'odore di canfora le aprì pure il naso. La chiazza di pelle bruciata si scolorì fino a scomparire assieme al dolore. Darlina sollevò l'altra mano e con gli occhi rimbalzò da una all'altra. «Grazie,» sussurrò al leoncino. «Se non ti dispiace, hai un po' di lavoro da svolgere,» gli disse porgendo anche l'altra mano, e la bestiola guarì pure quella. Ignorando il fiume del discorso che Calipso e Stella stavano intavolando, prese una mano dell'amica e la fece curare dal leoncino. Lì per lì Stella le lanciò un'occhiataccia, ma senza ammonirla. Accondiscese anche a prestarle l'altra mano, tanto era presa dal discorso.

«E quindi, Mausolo è stato liberato da un banale terremoto, dici?» domandò la Medusa, scrollando la saliva del leoncino dalle mani.

«Non è mai banale il terremoto,» disse Calipso. «Potrebbe essere stata Gea, dea della terra, oppure Poseidone, o anche la caduta di un_»

«SIMBOLO DIVINO!» urlò Stella sbattendosi le mani sulle guance. «Ma cos'ho in faccia, colla?» Allontanò le mani e l'odore di canfora le fece lacrimare gli occhi, e le lacrime si tramutarono in pietrisco. «Darliiinaaa! Non è proprio il momento_»

«Zitta giraffona! E ringrazia il mio leone!» Stella strinse i pugni e chinò il capo. «Il dolore alle mani, è andato via.» Tirò fuori dalla bocca il «grazie,» uno sbuffo, e un «ma che schifo però!» con le labbra sprimacciate.

«Di più di un simbolo divino,» ci tenne a precisare Calipso, parandosi di fronte alla Medusa per ripristinare l'attenzione. «Ma, ne parleremo dopo.» Si fece di lato e indicò la via, ora agibile senza nemmeno un granello fuori posto. «Seguitemi, vi ospiterò nella mia dimora.»

«Dove potremo riprenderci Sabato, giusto?» domandò Darlina.

«Oh, lo volete proprio?»

«Sì!» fecero coro di nuovo Darlina e Stella.

Un verso tradì il capriccio amato da Calipso. Era sul punto di piantare il broncio mentre accompagnava le ospiti, senonché divenne un sorriso all'udire Sabato cantare: «...amore mio non ti preoccupare,
se non vado io, mando te a lavorare...»

«Com'è soave,» sospirò Calipso, gli occhi veneranti. «Lo volete davvero portare via con voi?» domandò a mani giunte.

«Purtroppo non possiamo farne a meno,» ammise Stella, ancora convinta.

«E ora ragazze, vi insegno a scopare bene!»

«Tienitelo pure, troveremo una soluzione,» rettificò Stella, facendo dietro front, Darlina agganciò il suo braccio e facendo perno la pilotò di nuovo verso la strada indicata da Calipso.

«Non fare la giraffona stupida, non possiamo abbandonare Sabato.»

«Mmm... tu dici così perché sei curiosa, sporcacciona di una!»

«Siete così allegre, nonostante quello che avete passato,» disse Calipso, «vi ammiro.»

«Già,» annuì Stella. «Però tu vedi di rimanere in modalità pacifista.»

«Oh, non c'è problema,» disse Calipso allargando le braccia di fronte alla porta della caverna, «l'effetto dell'incantesimo di Acli si è esaurito.» Toccò il seno di una delle figure del complesso bassorilievo e l'intera parete prese a sollevarsi senza produrre rumore. I piedi della maga furono investiti da vapore filtrata appena la porta si era sollevata. Stella e Darlina indietreggiarono.

«Che succede?»

«Oh, non si preoccupi signora Medusa, è solo una lezione d'amore dell'uomo,» sorrise. «Alla fine di ogni insegnamento ci mostra il suo lucertolone,» squittì stringendo le spalle. Stella fece una smorfia. «Se siamo fortunate potremo vederlo anche noi, non è divertente?»

«Se fossimo adolescenti!» sbottò Stella.

Darlina agitò le braccia come a scacciare le mosche. «Ma va bene, tanto sappiamo che Sabato era uno sciupa femmine, non ci sconvolgerà mica!»

«Quanto sei impaziente, tu!»

L'ovazione da stadio esplose appena la porta raggiunse la massima apertura a volta. Calipso gesticolò di seguirla, Darlina si infilò a testa alta, Stella a testa bassa e con una mano davanti agli occhi.

«Oooo, cosa vedono le mie vecchie pupille?!» esclamò Darlina, coprendo con le mani gli occhi del leoncino e della capretta. «Ma, questo, è, oooo!»

Stella scoprì gli occhi, e riconobbe le ore trascorse a stirare durante la vita da umana dall'odore di appretto. Tenne lo sguardo sul pavimento dove piedi e polpacci maschili erano piantati sul pavimento. La confusione tipo discoteca le impediva di rispondere al richiamo dell'amica, che dovette scuoterle un braccio e gridare: «Stella! Gli uomini! Gli uomini stanno stirando, rammendando e pure il bucato fanno!»

Stella raddrizzò il busto, vide a destra file di uomini di spalle con in mano un ferro da stiro, a sinistra altri maschi seduti a gambe larghe su sgabelli che rammendavano, e nel mezzo una pista da ballo zeppa di ninfe scatenate. Oltre quelle il palco calcato da Sabato, col testone gagliardo del Basilisco, acclamato come fosse un cantante.

«Non è magnifico,» strepitò Darlina, «gli uomini che fanno i mestieri!»

«Può essere,» biascicò Stella, con le guance in fiamme, «ma perché devono farli nudi?!»

«Bene ragazzi!» tuonò Sabato dal palco col microfono davanti la bocca. «Le donne amano gli uomini che danno una mano in casa! Sì! Stirate, lavate, rammendate, e rendetevi utili!» disse mentre palpeggiava a turno felicissime ninfe di ogni tipo. «Fate come dico e mai ciò che faccio, come faccio io è sbagliato!» aggiunse mentre offriva le guance ai baci delle creature ignude che non disdegnavano attenzioni anche al testone. Gli uomini impegnati ai servizi risposero mostrarono il pugno alto, gridando qualcosa.

Stella scosse la testa, attenta a non guardare più in giù dei pettorali di tutti quei maschi attorno; che tra l'altro non facevano una piega. Piuttosto le sorridevano. «Non ditemi che ve la siete bevuta?» Individuò Calipso in mezzo a quattro ninfe senza veli. Sgomitò tra le giovani su di giri che cercavano di ballare al ritmo della musica di flauti che pioveva dall'alto della volta. La Medusa alzò lo sguardo. «Sono satiri, su delle altalene di edera, stanno col flauto di Pan in mano... oddio, e con tutto il resto di fuori!» Allargò gli occhi, non domò il sorriso sentendo la carezza delle loro note, ma non domò nemmeno il disgusto per le loro nudità.

«Calipso! Questa cosa deve finire, ADESSO!» strepitò. La maga mise il broncio. Si voltò. La bocca socchiusa. Sul palco Sabato annunciò: «E ora, ecco un'altra perla, guardate come si usa la mazza!» Stella si coprì gli occhi di nuovo. "Io quello adesso lo pietrifico e lo butto in mare!"

«Sì, così bella! Stringi, stringi forte e vai su e giù!»

«Questo è il colmo!» esplose Stella scattando verso il palco, dove una ninfa riccia dalle forme curvy stava con una scopa in mano a spazzare il palco. Quando Stella realizzò la verità dei fatti sentì i neuroni scollegarsi. La bocca articolava a vuoto.

«Non mi sembra stia facendo nulla di che,» disse Darlina accanto a lei.

«E per il gran finale,» aggiunse Sabato dopo aver guadagnato il centro del palco, «il lucertolone!» annunciò mentre slacciava con una mossa il chitone.

«Ne sei convinta?»

«A!» convenne Darlina. «Va bene, è vero. Ma è avvolto dal corpo del Basilisco. Non porta nulla sotto. Ma è vero anche che lo è sempre stato. Durante le gare di nuoto indossava slip che non è che coprivano chissà quanto. E poi una volta, per quanto stava nuotando veloce, gli slip gli si erano sfilati in acqua,» ricordò la Chimera.

«Non ricordo,» mentì Stella, che in verità quella volta aveva riso fino a sentirsi mancare il respiro.

Calipso batté le mani una volta sola, generando onde sonore che sovrastarono la musica dall'alto e il baccano da basso. I satiri si bloccarono, le ninfe chinarono il capo, le creature maschili deposero aghi e ferri da stiro. Tutti col capo chino e il volto sereno. «Amici, per favore, andate a occuparvi delle vostre faccende. È ora di ristabilire un po' di ordine. Su, andate,» la voce della padrona di caverna trovò obbedienza, e tutte le creature al suo comando svanirono. Silenzio.

Sabato era rimasto col Basilisco in mano. Stella aveva il serpente roccia rigido in mano. Darlina aveva la fronte sorretta con una mano.

«Hei, Capo, quella non è la Pupa?» bisbigliò il Basilisco. Sabato, col corpo principale del rettile attorno alla vita, sentì brividi lungo la schiena.

«Te la sei spassata abbastanza, oppure vuoi un extra sull'uso corretto della mazza?» domandò puntando contro l'asta serpentesca.

«Sembra irritata,» ipotizzò il testone.

«No-no, è incazzata,» affermò Sabato.

«E noi che abbiamo buttato il veleno per ritrovarti! Dimmi che hai fatto qualcosa per cercarci!»

Sabato alzò la mano destra e stirò indice e medio. «Devo andare in bagno,» sorrise. Gli occhiali di onice si sollevarono sopra il naso arricciato, e si riabbassarono quando riflessero la Medusa caricarlo come una giumenta. «Oh, porca_»

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