Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

19 ~ Servizio in capanna

«Riesci a vedere niente, tu?» domandò Darlina, che per paura d'inciampare aveva avuto l'idea di aggrapparsi a un braccio di Stella, convinta che se la cavasse meglio di lei nel buio pesto presente nell'ennesima caverna nella quale si erano imbattute. Le tre scivolate accompagnate da altrettante imprecazioni la convinsero di essersi sbagliata.

Rialzatesi da terra per l'ennesima volta, Stella esclamò: «Mi auguro proprio di non vedere nulla!» sempre più perplessa dai versi che riconosceva essere emessi da Sabato.

Quel: «sì! Lucidatemi il lucertolone,» l'aveva spiazzata, oltreché disgustata, e non aveva nessuna curiosità di approfondire ciò che stava combinando lo svampito del terzetto. Aveva temuto fosse in pericolo, ma a sentire pure seduta stante molte voci femminili squittire: «Ah! No! È troppo grosso!» e poi: «Uh! È troppo lungo!» fece dietro front, facendo fare un mezzo girotondo all'amica e si avviò, con lei appresso, verso l'uscita che dava sulla piazzola abbandonata.

«Ma che fai, stiamo sbagliando strada!»

«Ah no! Questo no! Assolutamente no!» tuonò Stella, indicando il soffitto e poi l'uscita. «Non ce la faccio, non posso farcela a vedere_» Interruppe la frase immaginando cose sordide.

«Ma secondo te, che starà facendo Sabato?»

«Darlina!» esclamò sconvolta l'altra. «Sul serio me lo stai chiedendo?» la voce stridula. «Senti, è meglio accamparci da qualche parte. È notte, e io ho bisogno di un letto vero!»

«A chi lo dici!» ribatté Darlina, massaggiandosi il fondo schiena triplicemente sbattuto a terra.

«E poi Sabato, credimi sulla parola, anche se non l'abbiamo ancora rivisto, non se la sta passando assolutamente male!» sbottò Stella. Avrebbe aggiunto dell'altro se non avesse notato un cambiamento nella piazzetta divelta. E che mutazione, non era più un rudere ma un giardino ricco di piante con fiori notturni a forma d'imbuto bianchi e profumati. Gli alberi rigogliosi, piuttosto che spettrali. Tra alti salici rigogliosi faceva capolino una deliziosa capanna di legno col tetto di paglia.

Darlina si staccò dalla compagna, attratta dalla casupola poco velata dalle fronde cadenti dei salici. Intorno non c'era anima viva. «Secondo te, abbiamo per caso sbagliato strada? Eh! Non mi ricordo che era così questa parte.»

Stella sospirò. «Siamo dentro la grotta di Ogigia. È un luogo che racchiude in sé diversi mondi... è difficile da spiegare... lo si può intendere come fosse un labirinto, ma non lo è. È anche un luogo in cui ognuno trova ciò di cui ha bisogno al momento. L'unica regola, se ricordo bene, è che non si può portare via niente, altrimenti succedono cose brutte.»

«Aaaa! Come la camera delle necessità di Harry Potter!» trillò sorridente Darlina, e a Stella sfuggì una mezza risata.

«Già, può essere,» soppesò mentre esortava l'altra ad andare a vedere se quella capanna era là per loro. «Mi sorprende che abbia letto Harry Potter.»

«Non si vive mica solo di cibo,» ribatté l'amica. «Ma non mi dire che nei romanzi di Harry Potter ci sono cose prese dai greci.»

«C'è tanta Grecia sapientemente camuffata in quei meravigliosi romanzi,» assicurò l'altra, ora sorpresa dalla luce diffusa da centinaia di lucciole che sciamavano leggere attorno alla capanna, dandole un aspetto incantato.

Non nascosero timore man mano che si avvicinavano alla capanna, all'apparenza spuntata dal nulla solo per loro. Tuttavia si rasserenarono quando scoprirono due letti singoli, coperti da lenzuola fresche e soffici cuscini di cotone. In mezzo c'era anche una tavola con un grosso cesto di frutta e una brocca d'acqua su un vassoio di ceramica. Accanto una coppia di bicchieri con sottobicchiere di stoffa. C'era anche un angusto bagno con doccia. Era striminzito, praticamente non arrivava a due metri quadrati, ma era ben accessoriato. Di certo era quanto di meglio potevano aspettarsi in un posto come la grotta di Ogigia.

Appurata la tranquillità del posto, presero coraggio e fecero la doccia. Addentarono la frutta e poi si godettero i letti veri. In attesa di chiudere gli occhi, Stella e Darlina chiacchierarono del più e del meno, ma non servì a molto. Darlina accusò quel disagio e l'amica ebbe un'idea.

«Ragazzi, c'è qualcosa che potete fare per farci dormire?» si rivolse alla chioma serpentesca, tutta disposta a raggiera sul grande cuscino profumato alla lavanda. Spuntò un crotalo rosso a chiazze verdi. Gli occhietti erano strabici, e sul dorso le scaglie scure rivelavano la peculiarità: "morfina".

«Per carità! Mica siamo in punto di morte!» esclamò contrariata. «Su, c'è qualcuno che ha da proporre qualcosa di meno drastico?» Il crotalo rosso e verde si ritirò, la lingua biforcuta esposta in offesa. Al suo posto intervenne un tintinnante serpente a sonagli argentato, che si staccò completamente dalla nidiata, si arrotolò sul grembo di Stella, puntò in alto la coda sulla cui punta apparvero tre mini tamburelli da tarantella, li fece roteare e a sorpresa si diffuse un delicato concerto di carillon. Darlina non fece in tempo a elaborare la meraviglia di quel suono che già si unì alla capretta e al leoncino, già da un pezzo ronfanti per conto loro. Poi anche Stella chiuse gli occhi.

Senza ricevere ordini dalle donne, la capretta, il leoncino e la chioma serpentesca organizzarono turni di veglia. Era probabile fosse un meccanismo di difesa. Se fosse capitato qualcosa di spiacevole, gli esseri magici ne avrebbero risentito.

Un'ombra lunga strisciò proiettata dalla fonte luminosa del mattino, che cadeva dall'alto della grotta malgrado non esistesse il cielo lì dentro. La nuova figura affondava le orme a forma di zoccolo animale sullo sterrato, sull'acciottolato, sull'asfalto e anche sulla terra attorno alla capanna che ospitava Darlina e Stella. Giunta sulla porta, l'ombra nera la coprì quasi tutta. Era grande, spalle larghe, testa affusolata con un paio di corna ai lati delle tempie. Il respiro, pesante, faceva vibrare l'anello che aveva sul naso animalesco.

La nidiata di serpenti si allertò brulicando impazzita sulla testa di Stella, che però non accennava a svegliarsi. La capretta prese a belare, il leoncino a soffiare nella speranza di svegliare le ospiti. Speranza disattesa. Il chiasso prodotto servì a confermare alla cosa fuori la capanna la presenza di qualcuno.

Il momento concitato obbligò gli animali magici ad adoperare maniere più incisive. La capretta pungolò il mento di Darlina con la lingua spinosa. I serpenti, dopo quella che sembrava un'accesa discussione, convocarono le vipere Lif e Ting per una cura di risveglio/bellezza d'urto. La creatura fuori la capanna iniziò a bussare alla porta. La coppia di rettili estetisti spalancarono le fauci, estroflessero i dentini a sciabola e azzannarono le gote di Stella dormiente, che istantaneamente si svegliò strillando come una pazza.

«AAAAA! MA CHE BINOMIO MATEMATICO SUCCEDEEEE?!»

Darlina, infastidita dalle strilla di Stella e dalla lingua puntuta della capretta, scosse la testa. Gli occhi inquadrarono il soffitto a cono di paglia. Allungò una mano sotto il mento. «Ma cos'ho qui sotto, un ficodindia?» borbottò con la bocca impastata.

La creatura fuori mugugnò spazientita. «G-uscite g-fuori! G-uscite g-fuori!» la voce ringhiosa.

Stella, scattata in piedi, si carezzò le guance, e notando quanto fossero lisce e prive di rughe, afferrò per il collo i serpentelli responsabili, che deglutirono sincroni il proprio veleno.

«Ragazzi, io vi ringrazio, ma la prossima volta, aspettate almeno che mi sia svegl_» Un boato diede un taglio alla ramanzina, la porta era crollata all'interno, la polvere sollevata rendeva nebulosa la sagoma dell'incursore. Darlina balzò in piedi, barcollando ancora in preda ai postumi del sonno.

«Oh! Ma chi è a quest'ora che fa tutto questo chiasso! C'è gente che dorme!» protestò seria rivolta alla nube di polvere che ancora avvolgeva il disturbatore. Stella infilò i sandali a spillo più velocemente di quanto aveva intenzione di fare. Se ne stupì. Aguzzò la vista verso l'intruso e le parve che sorreggesse una testa mozzata con una mano. Si accostò a Darlina, che ancora brontolava più assonnata che sveglia contro qualunque cosa fosse. Stava per spiccare un balzo per assalirlo, ma Stella l'afferrò per un braccio.

«Ehi! Datti una svegliata vecchiaccia! Siamo sotto attacco, di nuovo, e tanto per cambiare solfa!» La scosse energicamente come fosse un miscelatore. Darlina sbatté gli occhi, si accorse dei suoi animali da seno che le stavano leccando il mento, osservò la nuova figura, ora più nitida con la polvere dissipata. La coppia di zoccoli, neri e lucidi, le ricordavano i tori da competizione di Pamplona, le gambe irsute più del normale erano animalesche, la cintura tratteneva un gonnellino di cuoio molto stretto e logoro, il busto nudo dalla muscolatura prorompente e le braccia erano umane, come il volto affusolato. E poi era nero, affascinante, anche se le corna taurine, agghindate di elastici di spugna per capelli, assenti sulla pelata, lo rendeva alquanto inquietante.

Stella strinse la presa sul braccio dell'amica e le sussurrò di scappare via dalla finestra alle loro spalle. L'altra, ricongiunta con la realtà, annuì. «Quando?»

«Ora!» avvertì Stella, ma il «G-buongiorno,» emesso con un verso gentile dal nuovo essere la fece inciampare a terra trascinandosi appresso l'amica.

«Che cosa?» dissero insieme mentre si rialzavano dal pavimento. Erano sorprese.

«G-la g-colazione g-è g-pronta,» biascicò impacciato l'essere cornuto, mostrando il vassoio con quella che sembrava una testa mozzata. Stella e Darlina, ammaccate, retrocedevano a ogni passo dell'altro. L'osservarono depositate il vassoio sul tavolo. Erano senza parole. Il contenuto del vassoio aveva sì, l'aspetto di una testa mozzata, ma in realtà era una composizione di frutta tipo Arcimboldo, ben curata in ogni dettaglio.

«G-scusate, g-ho g-bussato g-troppo g-forte,» disse grattandosi la radice di un corno.

«Tu, chi sei? Non sarai mica il Minotauro?» avanzò l'ipotesi Stella, con le spalle al muro assieme a Darlina.

«Dicci soprattutto se hai intenzione di mangiarci,» ordinò spiccia la Chimera.

«G-chi? G-io! G-noo!» cinguettò sgraziato e inorridito il Minotauro con le mani a trattenersi le guance. Attese una reazione più accogliente da parte delle donne, ma non fu accontentato. Si voltò così rapidamente che il gonnellino di cuoio si sollevò a mo' di disco rotante, mostrando per un millisecondo le "dotazioni" nascoste.

Darlina sussultò. Stella strabuzzò gli occhi. Il Minotauro tornò indietro con una brocca di latte, che posò accanto alla scultura di frutta. «G-chiedo g-scusa. G-miei g-modi g-non g-sono g-belli,» disse sconsolato.

La voce impastata, con quella "g" messa davanti a ogni parola, indusse Stella a credere fosse affetto da uno strano disturbo di articolazione verbale. Non era però convinta che non ci fosse sotto un tranello. La vicenda con Aracne aveva fatto scuola in quel senso.

«C'è anche del succo d'arancia?» domandò Darlina, staccandosi da Stella per avvicinarsi alla tavola.

«G-sicuro g-signora g-Chimera!» rispose raggiante il Minotauro, che subito fece un'altra piroetta sollevando di nuovo il gonnellino a disco e mostrando ancora ciò che quello non copriva. Darlina si tolse gli occhiali e sotto gli occhi di una Stella piuttosto sconcertata li lucidò prima di rimetterseli sul naso.

«Ehm, caro, se si potrebbero avere anche dei biscotti, o delle fette biscottate...» chiese ancora la macchiavellica Chimera, e naturalmente il Minotauro piroettava allegro tutte le volte che quella gli chiedeva roba, ignaro del disegno che c'era sotto. E gliene chiese di roba l'infingarda, ignorando Stella che scuoteva la testa a braccia conserte e una mano sulla fronte china.

«Hai finito di fare la inqualificabile vecchiaccia viziosa?!»

Darlina fece spallucce. «Che vuoi, alla mia età poi, almeno mi rifaccio gli occhi,» rispose bandendo giustificazioni ipocrite.

All'ennesima richiesta, Stella suggerì al Minotauro di portare dentro il gueridon a rotelle che aveva parcheggiato fuori in giardino.

«Guastafeste!»

«Sporcacciona!» Battibeccarono una dozzina di minuti davanti al Minotauro, che con pazienza attese di servire la colazione. Era preoccupato per il tè che si stava raffreddando. Alla buon'ora della colazione, Darlina e Stella seppur sospettose, accettarono di sedersi a tavola. Ma contro ogni previsione disastrosa, il Minotauro aveva assunto con serietà il ruolo di cameriere. «G-vorrei g-suggerirvi g-di g-cominciare g-dal g-naso. G-avviene g-una g-cosa g-carina,» sorrise l'uomo toro, e Darlina non vedeva nessuna ombra malevola in quegli occhi bovini. Stella si sforzò di trovare il minimo barlume di difetto, ma niente. A parte quella "g" sbattuta davanti a ogni parola che articolava, che proprio non sopportava.

Darlina seguì il consiglio, prese una forchetta a rebbi sottili, infilzò il naso della composizione a testa di Arcimboldo, e tutta la frutta ricadde tagliata in ordine geometrico sul vassoio. «Uh! Guarda Stella! Sembra un giardino,» disse la Chimera, e il Minotauro sorrise ancora più di prima. Fu di compagnia, chiacchierò con garbo con Darlina, spiegandole i misteri della frutta intagliata e impalcata a mo' di statuina. Stella però non lo sopportava quando parlava. Tutte quelle "g" messe davanti a tutte le parole le facevano arricciare i serpenti in testa.

E quando terminata la colazione gli domandò a cosa dovevano quella particolare accoglienza, e il Minotauro, più emotivo che mai, prese anche a balbettare quelle dannate "g", Stella non ci vide più. Si alzò in piedi di scatto, alzò l'indice in alto e poi lo puntò varie volte contro il Minotauro mentre diceva: «Ah no! Questo assolutamente no! Ma che scherziamo! Adesso ti insegno a parlare in maniera più fluida! Per tutte le grammatiche sgrammaticate!»

Fece sedere il Minotauro sulla sedia, allungò un braccio e chiese un aiuto particolare ai suoi serpenti. Una anaconda striata si staccò dalla testa e strisciò a spirale sull'arto, poi fluido si distese, e come un'asta divenne rigida. Stella la impugnò sicura e fiera.

«Ora! Spiegaci quello che hai da dire! Ma attenzione! A ogni "g" messa a casaccio ti bacchetto il dorso delle mani!»

Il Minotauro accondiscese come uno scolaro alle prime lezioni. Darlina ondeggiò la testa. «Siamo alle solite,» borbottò, mentre assisteva alla lezione di dizione. Provò pena per quel bel mezzo uomo mezzo toro ogni volta che, errando pronuncia, offriva sul serio il dorso delle mani alle bacchettate di Stella... che non erano state poche. Quanti "aio! Auc! Ohio!" echeggiarono nella capanna prima che lo studente cornuto cominciasse a provare repulsione per le "g" messe davanti a tutte le parole.

Solo nel pomeriggio la dizione del povero Minotauro cominciò a essere limpida. Stella era esausta. I dorsi delle mani del poveretto erano gonfi, lividi e doloranti. Di buon c'era anche che la sua indole si era rivelata sincera, e placida dal momento che si mise a piangere come una fontana, anche se non di capiva se era per il dolore alle estremità o per il felice risultato della lezione. Quelle lacrime urtarono ancora di più la pazienza di Stella che, tutta sudata a furia di bacchettare, sbatté il serpente asta contro il tavolo distruggendolo. «E basta piangere, molluscone!» strepitò, e il Minotauro per poco non s'infilò le mani in bocca, si rannicchiò sulla sedia, gli occhi umidi immersi nel terrore.

«Dacci un taglio, pazza sclerata!» esclamò Darlina, e Stella rivolse anche a lei lo stesso cipiglio di granito. «E abbassa lo sguardo, giraffona bisbetica, con me non funziona,» puntualizzò annoiata. Zittita di colpo dall'amica che sapeva sempre come farla tacere, rivolse la rivalsa contro il povero Minotauro.

«E tu? Cos'hai da guardare? Che ci fai a Ogigia? Non dovevi circolare nel labirinto di Cnosso a divorare innocenti?» lo provocò. Il broncio del Minotauro disattese le aspettative di Stella. Immaginava una reazione d'ira, non l'apertura delle cateratte oculari.

«Buha! Non è vero! Era solo uno spettacolo di teatro per il re, ma non gli era piaciuto, e l'ha fatto passare alla storia come una cosa vera, solo per attirare le antipatie di tutto il mondo contro me, buhaaa!»

L'epifania sconcertò alquanto Stella. Faticava a credere che la leggenda del minotauro, figlio del re Minosse, condannato alla reclusione nel labirinto di Cnosso sull'isola di Creta, fosse una farsa storica. Che non era vera la storia delle sette fanciulle che annualmente Atene destinava a Creta per soddisfare la fame del Minotauro.

«E, Teseo?» domandò Stella.

«Oh, quello, quello è il fidanzato di mia sorella Arianna. Insieme avevamo messo su lo spettacolo: Il Filo Rosso, l'opera teatrale più sfortunata della storia,» singhiozzò. «Ma ora lui è al servizio di Mausolo,» rivelò, e nessuna notizia attirò di più l'attenzione di Stella e Darlina.

«Anche Teseo è nelle schiere di quel pazzo?!»

«Sì, e mia sorella sta come un'ombra in pena, povera sorellina...»

La Medusa e la Chimera si scambiarono un'occhiata d'intesa.

«Per la tua storia del teatro non possiamo fare un bel niente, ma forse, se saremo fortunate, potremmo trovare Teseo e portarlo a tua sorella,» disse Darlina. Il Minotauro annuì speranzoso.

«Per farlo però abbiamo bisogno del nostro amico,» rivelò Stella. «Hai visto in giro un uomo dai capelli bianchi, che porta sulla spalla una specie di iguana tutta colorata?»

«Sì,» ammise il Minotauro. «Ed è anche per questo che ero venuto a chieder il vostro aiuto. C'è quella controfigura occhialuta di Voldemort che fa fare cose brute alle ninfe, anche contro la loro volontà!» Fece una pausa drammatica. «L'ha portato la padrona Calipso. Calipso stessa sembra cambiata. Non è più la stessa.»

Il ricordo della terribile strega frenò il misero barlume di speranza che per pochi secondi aveva pervaso le donne. Come si può affrontare una strega della portata di Calipso, si domandarono con gli occhi. Eppure una maniera andava trovata, si risposero con un'alzata di spalle sincrona.

«Di preciso, cosa, la controfigura occhialuta di Voldemort fa fare alle ninfe?» domandò incerta di saperlo Stella. Glielo domandò soprattutto perché non sapeva come affrontare l'argomento Calipso.

«Oh, è terribile! È un tiranno! Fa fare cose inaudite, sorde

«Sordide, si dice sordide,» lo corresse Stella con voce secca.

«Mi sembra assurdo solo pensare che Sabato possa... ah! Non voglio crederci,» protestò Darlina.

«Non ci resta che appurarlo di persona,» convenne controvoglia Stella, che già avvertiva conati di acido allo stomaco. «Non ci sono uomini da queste parti?» domandò poi per togliere dalla mente il disgusto di ciò che stava immaginando.

«Sì, quelli belli stanno assistendo la controfigura di Voldemort, quelli o brutti, o vecchi, o vecchi e bruttissimi, li ha cacciati via,» spiegò il Minotauro. «Ci sono poi quelli che fanno teatro come me, che però non interessano a Calipso.»

«Ma non mi dire...» biascicò Stella, consapevole della propensione che aveva Calipso verso gli uomini di un certo tipo, come Ulisse, che se lo tenne per sette anni. Voci postume alla Odissea attribuiscono a lui la paternità di Nausinoo e Nausitoo. Stella cominciava a prendere per buona ogni possibile verità a riguardo di ciò che conosceva della mitologia greca. Cominciava pure a trovare improprio il termine mitologia. "Insomma," si disse, "mi basta specchiarmi per annullare ogni dubbio sul fatto che la mitologia in realtà è la realtà."

Altri mille congetture accompagnarono Stella, mentre seguiva il Minotauro, affiancato da una insolita adorante Darlina, avvinta dall'avvenenza della nuova conoscenza. La grotta dalla quale erano fuggite via il giorno prima era vicina. Tutto attorno, le desolazione di quello che era sembrato un villaggio spettrale, mantenne lo stesso aspetto.

«È strano, la caverna di Ogigia dovrebbe essere un insieme di mondi fantastici, di una bellezza sconvolgente,» ragionò Stella passo dopo passo.

«Questo è il problema, signora maestra,» ribatté il Minotauro. «La padrona Calipso, dopo l'ultimo viaggio, non è più la stessa. E quando lei non è più la stessa, non lo è anche Ogigia. Qualcuno gli deve aver fatto qualcosa di brutto, per far diventare tutto così brutto.»

«Speriamo di non incontrarla prima di Sabato,» disse Darlina.

«No, signora Chimera, non c'è bisogno di arrivare fino a sabato per giungere alla caverna di Calipso, siamo già arrivati,» disse il Minotauro, ignaro del nome vero del Basilisco.

«Sarà, ma perché deve essere per forza così buio questo antro?» protestò Stella, che saggiamente aveva trattenuto il serpente delle rocce teso come un bastone, ora usato per evitare gli inciampi del suolo ricoperto di sassi enormi.

«Non per forza,» ribatté il Minotauro, che battendo due volte le mani accese file di torce affisse ai lati del corridoio roccioso. «Basta fare così, e arriva la luce. Bisogna però farlo un po' spesso perché si spegne dopo pochi minuti,» spiegò lui, felice di sentirsi utile.

L'ennesima cortesia convinse una volta per tutte Stella della bonarietà del Minotauro. Tenne però accesa una minima scintilla d'allerta. Non le riusciva facile abbandonare l'idea che potesse rivoltarsi contro come già successo con Aracne. Sperò altresì di non incontrare nel modo più assoluto Calipso. Ricordava la potenza della sua magia, quando aveva aperto un vortice marino in mezzo al deserto, e come aveva soggiogato Sabato. Vabbè, trattandosi di Sabato non ci voleva poi molto per imbambolarlo, convenne con sé stessa. Fece spallucce all'ultima congettura.

La luce dopo poco tempo si spense, proprio come aveva detto il Minotauro.

«Ci penso io,» disse Darlina battendo le mani tutta divertita. «Sogno da sempre di avere le lampade che si accendono con gli applausi,» squittì amabile.

Procedettero lungo la via, accompagnati dal Minotauro, per varie centinaia di metri.

«Menomale che eravamo arrivati,» borbottò la Medusa.

«No, no, siamo arrivati,» annunciò il nuovo amico. «Questa è la porta della caverna di Calipso,» aggiunse indicandola sul lato sinistro del corridoio. Era un portone di pietra, interamente scolpito a bassorilievo raffigurante un caotico insieme di scena amorose. Darlina l' ammirò, stupita dalla ricchezza dei particolari. Stava per indicare un punto, quando la luce si spense nell'attimo in cui il Minotauro aveva bussato.

Buio pesto.

Il portone si sollevò tipo saracinesca, Stella batté le mani, la luce illuminò lo sguardo feroce di Calipso.

«E che ca_» Stella batté rapida le mani e spense la luce.

«Bella mossa, giraffona, noi non vediamo al buio,» sottolineò Darlina.

«Siate maledette!» esclamò Calipso.

«Ce lo dicono spesso, grazie!» ribatté la Medusa. «Ragazzi, ritiraaataaa!»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro