18 ~ Chi resta, chi va, chissà
Il lungo artiglio della Medusa teneva in ostaggio il collo di Aracne, sorpresa di vedere rivoltata contro la propria trappola. Fiutato il pericolo, Ina scese dal bozzolo che ancora imprigionava Darlina. Lo sguardo feroce. Aracne le fece cenno di no con gli occhi. Nello stesso tempo fece scendere in fila indiana un piccolo esercito di ragni lungo il dannato artiglio, ma appena raggiunta metà lunghezza della grinfia di bronzo, caddero a terra tramutati in pietra, rompendosi come fragili cristalli.
«Maledetta!» sibilò Aracne. Nel frattempo anche il bozzolo divenne di fragile pietrisco, dal quale Stella ne uscì mantenendo il controllo del collo di Aracne.
«Volevi sapere come ho fatto?» domandò alludendo alla contromossa che l'aveva messa al riparo dalla trappola mentale. «I miei serpentelli, hanno fatto qualcosa, mentre le tue ciglia a zampa di ragno vibravano la tua malia,» spiegò fiera della situazione ribaltata. Schizzò lo sguardo contro Ina, in aperta intenzione di rivoltarsi contro. «Non fare un altro passo, se non vuoi diventare una statuina di pietra,» minacciò.
«Sei un mostro!»
«Sai che novità. È così che mi chiamavano i miei alunni del corso universitario,» bofonchiò Stella rimettendosi in piedi. «Ora, io ritrarrò l'artiglio, e tu, Aracne, te ne starai buona mentre libero la mia amica, ci siamo capite?»
Mantenendo il contatto visivo con le due mostruosità, scivolò verso l'altro bozzolo. Posò una mano sulla lanugine malefica, ma avvenne qualcosa che prescisse dalle sue intenzioni. Un fulcro dalla forma cuneata brillò intensamente all'altezza del petto della compagna. Un forte odore di pino si propagò nell'angusta nicchia.
«Oh, e andiamo! Ancora con questi odoracci!» sbottò Aracne coprendosi il naso con le mani. Ina barcollò prima di svenire.
«Certo che siete davvero allergiche ai profumi di pulito voi altre!» esclamò Stella, cercando di non perdere il controllo della situazione. Il bozzolo di Darlina evaporò come fosse acqua, liberandola.
«Per tutte le maionesi impazzite!» esclamò la Chimera. «Non ci crederai, ma ho fatto uno strano sogno.»
«E me lo racconterai più tardi,» suggerì Stella, aiutandola a rimettersi in piedi. «Mi dirai pure come hai fatto a liberarti, ovvio,» aggiunse.
«Ma che succede? Dove siamo? Ricordo solo l'entrata della caverna... io...»
«È stata tutta una trappola. Aracne e Ina volevano mangiarci. La piccola Rosalia è una loro vittima. Povera anima. L'hanno imprigionata perché 'ste due soffrono di solitudine,» chiosò convinta, e lo sguardo rammaricato di Aracne, a malapena percettibile, glielo confermò. «Altro che punizione divina per aver affrontato e perso la gara di tessitura contro la dea Atena. Ti aveva trasformata in un mostro per renderti infelice e sola per l'eternità.»
«Tu dovresti essere dalla mia stessa parte,» sibilò Aracne a volto chino.
«Ah! Ma sei davvero fuori come un balcone! Come puoi supporre ancora che possa esser dalla tua parte se fino a un attimo fa volevi divorarmi?!» ribatté furiosa la Medusa. I serpenti protesi verso Aracne a fauci spalancate. «Hai perso la tua umanità, e appresso ogni forma di logica! Sembri un'adolescente drogata di fumetti e mondi fantastici, che ignora che esiste un mondo là fuori, pieno di cose da fare! Più utili, più importanti e più tutto!»
Dopo la sfuriata, Stella prese Darlina per un braccio. «Andiamo,» la esortò gentile. Darlina si lasciò pilotare verso l'uscita, ma c'era ancora Aracne a ostruirla tutta ghignante.
«Non uscirete vive di qui,» promise. Allargò le braccia e il corpo di Ina, ancora steso a terra, si disfece in una moltitudine di ragni neri a pois rossi che zampettarono rumorosi verso lei, fondendosi col suo corpo. Stella frenò l'avanzata. Darlina a bocca aperta, le tremò il piccolo gozzo sotto il mento.
«Ha assorbito la figlia,» constatò inorridita.
«Ma quale figlia, Aracne non ha mai avuto figli!» esclamò Stella. «L'avevo già capito!» sbottò. «Sei da ricovero!» Aracne non l'ascoltò più. Uscì per prima dalla nicchia, impose le mani, creò una barriera di tela di ragno così fitta da non vedere nulla oltre, sia dentro che fuori.
Stella sospirò. «Che guaio.»
«Che cos'è questo tono? Ti sei già arresa, cara?»
Stella liberò il braccio della compagna, fece una lenta piroetta indicando a vuoto un punto nel soffitto. «Non finiremo mai! Ammesso che riuscissimo a uscire fuori da questo posto, ci saranno altri luoghi e altri individui poco raccomandabili da affrontare, prima di ritrovare Sabato!»
La testa di Darlina oscillò piano. Aveva compreso l'angoscia dell'altra, ma al momento era più curiosa di scoprire cos'era quella lucina di prima. «Visto che al momento non c'è da andare da nessuna parte, ti racconto il sogno,» decise, ignorando bellamente la poca attenzione che Stella le stava dedicando. Era infatti troppo presa a trovare un modo per uscire dalla nicchia. Serafica Darlina si sistemò gli occhiali, lanciò le mani ad accarezzare le bestiole al posto del seno, e iniziò a raccontare. «Sai, ho sognato quel tipo che abbiamo incontrato alla piramide di Cleopatra, quell'uomo alto, mulatto in faccia, e blu e rosso il corpo muscoloso, quello con un vaso da notte in testa_» Darlina interruppe la storia non appena trovò una pigna annodata nella criniera del leoncino. «E questo cos'è?»
«Hai sognato Serapide,» suppose Stella, voltandosi verso lei, ora speranzosa di poter attingere da quella informazione una qualche soluzione. «Da dove salta fuori quella pigna?»
«Stellina cara, che ne so,» liquidò rapida la Chimera. «È uguale alle pigne che aveva in testa "Serpide"_»
«Serapide!» la corresse Stella.
«Non ti agitare, vecchia giraffa brontolona. Ho solo sbagliato il nome!»
«È meglio non sbagliare certi nomi, specie se hai davvero sognato nientemeno che il dio di tutto l'universo concepito dagli Egizi e Greci insieme!» esclamò tutto d'un fiato la Medusa, il diaframma che spingeva ripetutamente in alto i polmoni.
«Ti dicevo,» riprese a raccontare Darlina, «nel sogno mi sono ritrovata a camminare lungo un corridoio buio, in cerca di una uscita. Non vedevo nulla di nulla, senonché a un tratto urto qualcuno. Dico qualcuno perché avevo sentito un contatto a pelle, e poi odorava di persona pulita. Profumava di pino silvestre, pensa un po'.»
Quando sentì il particolare del profumo dei pini, Stella si girò così velocemente che i serpenti subirono uno shock da centrifuga imprevista. Alcuni rettili si ritrovarono con le iridi artigliate incrociate. La Medusa aveva ricordato lo stesso odore che aveva pervaso la nicchia un attimo prima che l'amica si liberasse da sola del bozzolo di Aracne.
«E cos'altro? Che cos'è successo dopo?»
Darlina fece per rispondere, ma l'improvviso trillo del cellulare nella borsa la fece rimanere a bocca aperta. «Scusa un momento cara,» disse alzando il dito. Cacciò fuori il telefonino dalla borsa. «Uh! È mia sorella Matilda!» esclamò gioiosa. Tutta eccitata, non riusciva a decidere quale fosse l'apparecchio telefonico, quale la pigna affusolata. L'ennesimo trillo per poco non la confuse di più mentre soppesava di quale oggetto liberarsi. Optò per la pigna, che lanciò dietro le spalle, in direzione di Stella, che stava con una mano appoggiata contro la barriera di tela di Aracne.
«Pronto "Polentona!"»
Stella era indecisa su quale reazione scegliere di manifestare, se irritata per la telefonata inopportuna, o meravigliata dalla pigna, che nonostante fosse stata lanciata con forza, quella fluttuava lenta a mezz'aria, roteando come un pigro asteroide.
«Ehm, Darlina, ciabattina distratta!» esclamò docile, nel tentativo di dissuadere l'amica dal perdersi in chiacchiere. Non ottenendo l'attenzione dell'altra, decise di staccarsi dalla barriera, senonché scoprì di esserci rimasta incollata. «Ah! Questo poi no! Assolutamente no!» protestò inorridita. Immaginò cose orribili non appena la pigna fosse giunta a contatto con la barriera di seta di ragno. Il fatto che fosse lenta nel percorrere l'esigua distanza non fece che alimentare le pessime sensazioni. «DARLINA!» gridò poi.
Darlina, di spalle, tutta persa nel chiacchierare con la sorella, alzò una mano, come a dire: "un momento! Sono al telefono!" Stella sbuffò col naso. Intanto la pigna iniziava a emanare bagliori dorati.
«Oh! No! Assolutamente no! Qui ci rimango secca!» Fece forza con il braccio per staccare la mano dalla tela collosa, ma non ottenne risultato. Richiamò di nuovo l'amica con il tono più grave che poté.
«Oh, ma insomm_» La pigna fluttuante si accese come un faro sotto gli occhi verde acqua di Stella. «Qui finisco male!» Gonfiò le guance e soffiò forte per deviare quella cosa, ma senza successo. La vide roteare lenta fino sbattere dritta contro la barriera. Stella strinse gli occhi e si preparò all'imminente fragore che da un momento all'altro l'avrebbe assordata. Attese più tempo di quanto aveva prospettato. Nulla. Non sentì nulla a parte Darlina, che di spalle col cellulare in mano continuava imperterrita a farneticare di canederli allo speck e fonduta. Stella azzardò ad aprire una piccola fessura con un occhio. Giusto la coda più prossima al punto della barriera dove la pigna aveva impattato. Ancora niente, a parte il brillio che lentamente andava facendosi più intenso. Aprì bene gli occhi. Darlina sempre di spalle a chiacchierare con la sorella. «Boh!» disse perplessa. Sospirò. I serpenti della chioma iniziarono ad agitarsi, tutti orientati verso la parte opposta alla barriera. «Ehy! Calmatevi! Mi state tirando la testa!» protestò Stella. Un sottile alito di vento profumato al pino le accarezzò la faccia. Le rughe intorno agli occhi dipinsero l'ombra di un sospetto. La barriera cominciò a brillare dal punto in cui la pigna era ancora impigliata. Piano, come i cerchi sull'acqua, la luminosità si espande in tutta la larghezza della barriera.
«Darlina!» gridò con tutte le sue forze, prima di assistere in prima fila alla detonazione più lenta della storia. Il fragore prodotto sembrava modulato da un DJ amante dei ritmi lenti. Era sì, assordante, ma l'onda sonora si propagava lenta e duratura, così come lentamente Stella si ritrovava, con la mano libera, sbalzata verso il fondo della nicchia, dove Darlina era rimasta ignara del prodigio. Si accorse di qualcosa solo quando la vide fluttuare a testa in giù, a quattro zampe, sopra la sua testa. Gli occhi di entrambe spalancati. Una era incavolata, l'altra sorpresa. Solo quando l'onda sonora dell'esplosione investì anche la Chimera, lei riattaccò il cellulare, infastidita da quel rumore incessante.
«Ma quanto chiasso fai? Proprio ora che mi aveva chiamato mia sorella!» trovò l'ardire d'indignarsi l'amica. Atteggiamento che fece nascere in Stella il desiderio di strozzarla non appena fosse riuscita a rimettersi in piedi. Desistette all'istinto mostruoso. Era troppo stupita di non aver accusato nessun danno fisico. Fece spallucce.
«Meglio così! Su, sbrighiamoci, dobbiamo uscire fuori da questa caverna e andare a cercare Sabato. Chissà che cosa gli staranno facendo. Ma, a proposito, ti ricordi di Sabato?» chiese Stella, timorosa che fosse ancora sotto l'effetto amnesico della magia di Aracne.
«Per chi mi hai preso? Ti ricordo che io sono stata sempre presente quando faceva le gare di nuoto, e ancora di più ora che allena i giovani, oh!» esclamò indignata la Chimera, aggiustandosi il vestito giallo e accarezzando le bestiole sul seno. Stella sospirò soddisfatta. Prese l'amica sotto braccio e l'accompagnò oltre la nicchia.
«Guarda un po',» sussurrò Darlina appena vide fluttuare a mezz'aria la pigna. Stella l'afferrò e gliela porse.
«Mettila nella borsa e non perderla, mi raccomando!»
«Che vuoi che me ne faccia di una pigna?» disse prima di lasciarla cadere a terra.
Stella non aveva tempo né voglia di spiegarle l'ennesima intuizione, specie ora che stava assistendo allo sfacelo della camera principale della caverna di Aracne. Di fatti l'esplosione stava coinvolgendo tutto ciò che la barriera riparava all'esterno della nicchia. E procedeva con la stessa lentezza. Mobili, suppellettili, fumetti, ninnoli e le amate action figures della padrona di casa, con appresso la padrona di casa, a braccia e gambe larghe. Tutto era sbalzato in aria come se non ci fosse forza di gravità.
«Stella! Che cosa hai fatto, o, stai facendo?»
«Non ci crederai, ma questa è opera tua, mia cara. Tua e della pigna che ti ostini o non conservare,» disse l'altra, che spazientita si chinò a raccoglierla e gliela ficcò a forza dentro la borsa. «Vedi di non perderla!» ringhiò. Intimorita Darlina si convinse. «Credo che quando Serapide, il dio greco egizio dell'universo, ti regala una pigna del suo vaso da notte, è meglio tenersela stretta.»
«Va bene, va bene, se lo dici tu. Piuttosto è meglio darci una mossa, prima che questa cosa che sta succedendo finisca.» Stella non ascoltò Darlina. Fissò Aracne che stava ancora fluttuando in direzione del muro. Lo sguardo a metà sorpreso e metà inorridito. La bocca aperta ma muta. Era probabile volesse dirne di ogni agli ospiti più impegnativi che avesse mai ricevuto. Tuttavia, malgrado stesse andando a sbattere contro il muro roccioso, non si sarebbe fatta niente, così com'era successo a Stella prima. Ma più che assistere alla disfatta di Aracne, era Rosalia che la Medusa stava cercando. Era determinata a liberare la piccola, tenuta in ostaggio per motivi che ormai non le interessava più sapere. Sentiva che non era quello il suo posto. Se davvero la dea Venere le aveva fatto dono di pochi giorni di vita all'anno, non era certo destinata a trascorrerli nei meandri delle caverne di Calipso, a fare compagnia a quella pazza di Aracne.
Aguzzò la vista, nella speranza d'individuarla. La chiamò. Niente. Darlina, intuendo il proposito dell'altra, si mise a chiamare Rosalia anche lei. Agevolate dal fatto di trovarsi dalla parte opposta all'esplosione ancora in atto, le due amiche poterono muoversi senza il pedante rallentatore sovrannaturale. Stella ebbe il sospetto che pure la bimba era stata coinvolta nella detonazione. Aggirò Aracne, che sospesa a navigare per aria la stava incenerendo con lo sguardo occhialuto. Le mostrò la lingua di rimando, salvo poi mordersela quando scoprì Rosalia alle spalle di quella. Senza nemmeno ordinarlo, il serpente fune tornò ad avvolgerle il braccio destro, Stella lo adoperò per sottrarre la creatura prima del termine dell'esplosione.
Stella si sbagliò. Al contrario di quanto era capitato a lei, Aracne si fece piuttosto male andando a finire con la testa dentro il muro. Letteralmente conficcata come il chiodo più grottesco che ci sia.
«Abbiamo ancora poco tempo,» disse Stella a occhi chiusi, inginocchiata davanti a Rosalia. La bimba sembrava disorientata.
«Rosalia, noi vorremmo liberarti da questo posto,» intervenne Darlina.
«Ma non sappiamo come fare per aiutarti. Ci serve che lo sappia tu,» sussurrò dolce Stella. Gli occhi ancora chiusi.
«Perché non li apri?» domandò l'ingenua creatura. Stella sorrise rincuorata, perché aveva capito che qualcosa era già cambiata, se Rosalia non ricordava che lei era la Medusa.
«Non posso, se mi guardi gli occhi può succedere qualcosa di brutto, e io non voglio. Voglio solo liberarti. La dea Venere ti aveva dato la possibilità di vivere pochi giorni all'anno come una bambina, viva, ricordi?»
Rosalia annuì prima di dire: «sì.» Si scostò i lunghi capelli biondi dal collo, e indicò un sottile filo di seta che fuoriusciva all'altezza della giugulare. «Devi aprire gli occhi, sennò non puoi vedere,» suggerì la piccola. Stella scosse la testa, e Darlina si offrì di farlo lei.
«Oh, santo spirito! Vedessi! Ha un filo ficcato nel collo, povera gioia! Se lo tagliassimo, forse, la libereremmo,» soppesò la Chimera. Stella ebbe un'idea.
«Prima che Aracne si disincastri dal muro, presto! Darlina! Usa uno dei miei artigli.» Allungò un braccio, distese l'indice ed estroflesse la grinfia di bronzo. Darlina impugnò il dito dell'amica come fosse un bisturi.
«Aio! Che male! Mi sono tagliata!» accusò imbronciata, e Rosalia rise.
Stella, anche se era rimasta a occhi chiusi, percepiva la vitalità di quella creatura. «Darlina, devi recidere il filo alla base del collo, mi raccomando,» sibilò. La Chimera fece appello a tutta la sua maestria da cuoca esperta di coltelli. L'ultima cosa che voleva fare in vita era ferire una creatura innocente. Si costrinse a non battere le palpebre mentre faceva scorrere raso pelle l'artiglio della Medusa sul collo di Rosalia.
"Zac!" Il filo svanì. Aracne accusò un contraccolpo, come se avesse ricevuto una sberla.
«Adesso mi avete fatto davvero infuriare!» ringhiò Aracne. Lo sguardo omicida. Le otto pupille, scintillanti di ferocia, a inquadrare la sua bella casa tutta rivoltata come un calzino. Incassò la testa nelle spalle, si piegò in avanti e dalla schiena spuntarono sei zampe di tarantola pelosa. Le chele della bocca rimestavano saliva acida arancione.
«Dov'è l'uscita?» domandò Stella.
«E che ne so,» dissero in coro Darlina terrorizzata, e Rosalia divertita.
«Non dicevo a te,» ribatté Stella, ancora con le palpebre abbassate, rivolta all'amica. Infatti l'aveva chiesto al serpente segnaletico, che solerte strisciò lungo e braccio sinistro della padrona e lo diresse verso il lato della grotta sgombrato dalla detonazione della pigna.
«E adesso?»
«Non ci resta che correre!» esclamò Stella, il tono ovvio dal momento che Aracne si era lanciata all'inseguimento.
«Stella! Stella! Fai una di quelle cose con i simboli!» disse, la corsa rallentata dalla piccola che teneva per mano.
Il pensiero dell'amica stava già da tempo elaborando quella possibilità, solo che non trovava nulla in giro che potesse richiamare un'energia divina. Nulla a parte gli anelli che aveva infilati nelle dita.
Aracne era piegata per terra, sembrava un bizzarro ragno antropomorfo. Dalle fauci espulse boli di acido che colpirono a casaccio ovunque, sciogliendo qualsiasi cosa entrava in contatto. L'uscita era a un soffio, Darlina prese in braccio Rosalia, Stella rimase indietro.
«Che fai Stella?!»
«Mi occupo di questa pazza rognosa!» Aprì gli occhi e guardò intensamente la mostruosità. Gli occhi divennero neri. Tutto ciò che c'era nella caverna di Aracne si tramutò in pietra. I mobili distrutti, i fumetti, le suppellettili, i pupazzetti, tutto pietrificato. Tutto eccetto Aracne che si rigirava su sé stessa, offesa per l'ennesimo affronto.
«Bastarda!» ringhiò indemoniata.
«E non hai visto ancora niente!» ghignò la Medusa. Sfilò un anello con un grosso zaffiro incastonato, lo sbatté a terra non appena raggiunse l'uscita. «Ade, dio del sottosuolo, degli inferi, degli eventi sismici, e degli ottimi gioielli firmati, blocca Aracne per sem_» Non fece in tempo a elaborare la richiesta che l'entrata principale della caverna del mostro crollò sotto gli occhi di Aracne. Il fragore assordante, i massi che continuavano a cadere, esortò le donne a correre via dal raggio d'azione dello smottamento. Rosalia, incosciente come solo ai bambini piccoli è concesso, rideva e rideva.
«Ti diverti, eh!» esclamò Stella, che dovette correre a occhi chiusi per non rischiare di pietrificare la piccola.
Raggiunta una distanza di sicurezza, la Chimera e la Medusa si fermarono. Il fiatone era sinistro come convulsioni febbrili. Darlina depositò a terra Rosalia. Ci vollero parecchi minuti prima che le donne potessero riprendere a parlare. Quando ci riuscirono, scoprirono che c'era una sola cosa da dire.
«Sei libera, anima innocente,» le parole biascicate di Stella.
«Non devi più stare in un posto simile,» aggiunse Darlina.
Rosalia sgranò gli occhietti. Il grande fiocco giallo pendeva da un lato della testolina bionda. Lo sguardo angelica. La bambina più bella del mondo. Tirò fuori dal vestitino tre piccoli sassolini. Sembravano scolpiti a forma di rosa. Darlina allargò gli occhi.
«Stella! Stella! Guarda!» disse indicando i tre oggetti. Stella deglutì socchiudendo appena gli occhi, il necessario per individuare le manine della fanciulla. Poi li serrò all'istante.
«Rosalia, quelli che hai in mano sono rose del deserto?»
Rosalia annuì prima di dire: «sì.» Poi: «Me li ha donato Venere perché così posso stare insieme a mio papà a passeggiare sul Prato dello Aspodello, pochi giorni di un anno.»
Stella sorrise. Non ebbe cuore di correggere il termine Prato dello Aspodello in Prato degli Asfodeli. Il luogo in cui gli ignavi permangono impossibilitati a entrare nel regno degli inferi. Come anche non ebbe il cuore di chiedere alla bimba quelle tre rose del deserto, che avrebbero potuto fare tornare umana lei, Darlina e Sabato.
Darlina strinse il braccio dell'amica, in muta domanda, che l'altra intuì e rispose di no, scuotendo la testa con tutti i serpenti affissi.
«Saremmo davvero dei mostri anche solo chiedergliele,» sussurrò. Poi sì rivolse a Rosalia. «Non perdere altro tempo, tesorino, va da tuo papà e stai insieme a lui tanto, tanto tempo,» sorrise mantenendo gli occhi chiusi. Sentì un lembo del vestito tirare. Stella si inginocchiò. «Che c'è, bellissima?» Rosalia afferò un serpente e tirò anche quello, e la Medusa, ridacchiando, protese il volto verso lei che la baciò su una guancia.
«Anche tu sei bellissima,» disse innocente.
Stella si sentì beata del candore di quel gesto. Si sfiorò la pelle baciata con il dorso della mano. Era arrossita. «Grazie,» sussurrò. Rosalia baciò allo stesso modo anche Darlina. Nell'avvicinarsi alla Chimera, la capretta e il leoncino l'annusarono tutta sotto il mento facendola ridere di gusto. Poi anche lei ringraziò le strane donne, soffiò tre volte sui sassolini a forma di rose e svanì.
Stella poté finalmente aprire gli occhi e alzarsi in piedi. Si diede dei colpetti ai fianchi, guardò Darlina, ancora trasognata dal bacetto di Rosalia. «È stata una vera crudeltà, separare una bambina al padre,» commentò triste.
«Non farmici ripensare, sennò torno indietro e ammazzo sul serio quella tarantolaccia!» esclamò Stella. «Ma siccome non abbiamo tempo, ci conviene trovare Sabato e andare via da qui.»
Darlina non poteva essere più d'accordo di così. Solo che, trovandosi in un antro grosso e largo quanto il tunnel della Manica, con diversi altri accessi disseminati ovunque, sospettò sarebbe stato arduo spicciare subito la ricerca del compagno.
Nella speranza di non sbagliare strada, s'incamminarono fianco a fianco lungo il nuovo percorso. Nel cuore speravano che Sabato fosse ancora vivo. Che non gli fosse successo nulla. Che in qualche modo se la stesse cavando. Questo era l'argomento che accompagnò le amiche durante un gran bel pezzo di strada percorsa. Tutto attorno, nonostante sapessero di trovarsi in una cavità rocciosa, era mutevole d'aspetto. Ora era una strada sterrata, con caverne ovunque, ora un sentiero acciottolato, con buche enormi nel terreno, e ora una strada di città, con l'asfalto scrostato e immerso nel buio della notte. C'era persino qualche casa attorno. Era tutto umido, come se avesse spiovuto da poco. L'aria odorava di frittelle.
«Non so tu, ma credo che forse abbiamo sbagliato direzione,» ipotizzò Darlina. Stella stette sulle sue. Aguzzò vista e udito. Prese sotto braccio Darlina e avanzò nel centro urbano, all'apparenza disabitato. Voltò verso quello che sembrava un parco abbandonato. Oltre grossi olmi notò una cavità rocciosa molto ampia. Vi entrò. La penombra alla quale si erano abituate lasciò il posto al buio più presto.
Darlina manifestò il suo dubbio. «Stella, sei sicura sia la direzione giusta?»
Stella stava per dire qualcosa, quando improvvisamente si udì una voce lontana.
«Siiiiì! Lucidatemi il lucertolone!»
Stella sbuffò. «Io non ho dubbi. È Sabato, e tu?»
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