13 ~ Gozzo e gozzovigli
Il vortice d'acqua dentro il quale Darlina e Stella si erano tuffate per inseguire Calipso, dopo che questa aveva rapito Sabato, si espanse a dismisura. La Medusa e la Chimera faticarono per riuscire a mantenere la testa fuori dalla feroce corrente, e a gridare tutto il pentimento per la pessima mossa azzardata.
«AAAAAAA MA CHI CE L'HA FATTA FARE?!» tuonò Stella. I serpenti in testa con tutti gli occhi fuori dalle scaglie.
«Non era così che volevo schiattare!» ribatté la Chimera, gli animali sul seno svenuti. Alla muta domanda: quanto fosse profondo l'imbuto vorticante, non seppero dare una risposta. Vero era che più in fondo, piccoli come puntini, Calipso e Sabato stavano cadendo abbracciati, senza toccare il tunnel d'acqua.
«Riesci a vederli?»
«Sì, Stella! Vedo anche che se le stanno cavando meglio di noi!»
«Cerchiamo di_» Le parole di Stella affogarono in acqua insieme a lei e alla compagna. E intanto il vortice infierì, disonesto, come a cancellare ogni cosa di loro. Calipso e Sabato invece, proseguirono il percorso incolumi. L'uomo si lasciava avvolgere dalle esili braccia della maga. Da bravo gentiluomo, mantenne lontane le mani. Anche se ciò che vedeva, soprattutto dalle latitudini del petto, richiese da parte sua un autocontrollo che era sicuro di non possedere.
«Tu sei la creatura più bella che abbia mai visto da quando è cominciata 'sta schifezza di storia.»
«Ohohohoh! Mio civettuolo guerriero! Vedrai, saremo molto felici insieme,» prese a ripetere Calipso, mantenendo la concentrazione sulla magia che stava esercitando.
«Se lo dice lei, signorina...» Sabato aveva per iridi una coppia di cuoricini. Ciononostante non smarrì la spontaneità. «Ma quanto manca, signorina? Non siamo ancora arrivati? Non possiamo fermarci in un bar? Con tutta quest'acqua attorno, mi sta venendo sete.»
«Ti darò tutto quello che vuoi, appena arriveremo a Ogigia.»
«E ci sono le sigarette, signorina? Sa, le ho finite, e il mio amico Basilisco fuma come un turco.»
«Ehi, Capo! Non dire così, mi fai vergognare così!» bisbigliò timido il testone multicolore, ora tutto rosso come un peperone, ammaliato dall'incantevole maga.
In una zona della riva dell'isola di Gozzo, (un fazzoletto di terra in mezzo al mare poco distante da Creta), intanto, dove l'acqua del mare accarezzava placida il bagnasciuga, improvvisamente si formò un vortice. Era grande quanto una rotonda stradale. Pochi minuti dopo, Calipso e Sabato emersero nel mezzo, del tutto asciutti. Almeno fino a quando il vortice non si richiuse, e loro si bagnarono fino ai polpacci. La testa di Sabato era tutto un rimescolio. Era frastornato dal movimentato prodigio appena terminato. Si voltò indietro, e solo in quel momento, vedendo ora chiuso il vortice, si ricordò di qualcosa che gli era sfuggito.
«Ehm, signorina, credo che ci siamo lasciati dietro le mie amiche.»
Calipso si voltò. Lo sguardo languido. Il volto ambrato e gli occhi del mare in tempesta. «Non pensare più a esse. Oramai saranno annegate da un pezzo. E poi,» si avvicinò con passo sinuoso. Il seno ipnotico. La bocca carnosa promettente lussuria. «Ci sono io a consolarti. Tra pochi minuti non ricorderai nemmeno che forma avevano le tue inutili, brutte, antipatiche, vecchie amiche,» gli accarezzò le orecchie, le guance, si mise in punta di piedi, e baciò a fior di labbra Sabato. Il testone del Basilisco divenne porpora. Schizzò fiamme in cielo dalle narici come una fiamma ossidrica. La malia di Calipso, come annunciato, annebbiò la già nebulosa mente dell'uomo.
«Vieni con me. Ti porterò in un posto dove non vorrai più andare via,» promise l'incantatrice. «L'entrata della grotta di Ogigia, è proprio lì.» Indicò la vicina spelonca, poco distante dal bagnasciuga sul quale stava camminando con l'ospite.
Varcata la stretta soglia rocciosa, Calipso batté le mani a ogni nome che pronunciava. «Ombra, Ombretta, Ombrina, Ombrella!»
Un forte profumo di salsedine annunciò la comparsa di quattro splendide nereidi del mare. Sorridenti e danzanti, queste circondarono Calipso, felici e leggiadre.
«Mie care, lui è il mio nuovo guerriero, e starà con noi per sempre.»
«Anche con loro?» domandò Sabato, indicando le fanciulle brune, attirato da tutto ciò che quelle mostravano con le loro vesti succinte e trasparenti. «No, perché dobbiamo essere precisi,» aggiunse, avvicinandosi all'allegro gineceo.
Calipso deglutì. «Ma, ecco, vedi_» Lo squittio delle quattro creature coprì la voce della padrona. Tutte a ridere con falso pudore, passarono a circondare Sabato, e ad accarezzarlo con delicatezza dappertutto. Calipso inarcò le sopracciglia, aprì la bocca, ma ancora una volta la sua voce fu coperta.
«Siete tutte qui per me?» ridacchiò Sabato, distribuendo lo sguardo su ogni nereide, una più vogliosa dell'altra. «Allooora,» indicò ogni creatura man mano che avanzava richieste: «Tu, portami una birra ghiacciata, che sto morendo di sete. Tu cucina qualcosa, che ho fame. Tu vammi a comprare le sigarette, che le ho finite. E tu, sintonizza la televisione sul canale sportivo che dovrebbero iniziare i campionati di nuoto a momenti.»
Calipso fece una smorfia. «Stavolta ho pescato un pantofolaio,» bisbigliò tra se.
Una a una, le nereidi sfilarono via borbottando. «Io cucinare? Ma per chi mi ha preso, per una casalinga disperata?»
«A te è andata meglio, vuole la tv accesa!»
«Se vuoi facciamo cambio, io devo andare in tabaccheria.»
«E a che pro? Tanto devo scendere giù al bar!»
Le deluse ancelle avrebbero continuato a commentare, se Calipso non le avesse riportate all'ordine con un battito delle mani. «Su, eseguite gli ordini ragazze, e senza protestare!»
«Sì, sì, va bene! È già uno strazio saltarti addosso tutte le volte che ritorni a casa, ballando come delle pazze, senza nemmeno ricevere un grazie! Sai che c'è Calipso? Io, quasi quasi mi licenzio,» azzardò a dire la più disinvolta delle quattro ancelle marine.
«Non senza trentuno giorni di preavviso, cara,» rispose Calipso, felice di tornare a essere l'unica donna davanti agli occhi di Sabato.
«Ma dove siamo? Mi hai portato dentro una grotta,» constatò l'uomo Basilisco, girando su sé stesso con lo sguardo per terra, con l'aria di chi cerca qualcosa poco ben definito.
«Ohohohoh, questa è molto più di una semplice grotta. Questo è il mio regno,» disse allargando le braccia. Le pareti strette si mossero, allargando il passaggio. Le pareti vennero giù in più punti, e le rocce staccate si trasformarono in fiori appena toccarono terra, segnando infiniti sentieri che si perdevano nelle molte spelonche che le pareti celavano.
«Bene! Che ne dici? Sono o non sono una forza?» domandò Calipso, il capo chino in una smorfia compiaciuta. Attese una risposta da Sabato, ma lui stava girando su sé stesso. Lo sguardo per terra, ancora.
«Mi sembra abbia perso qualcosa...»
«Ma cosa stai facendo?» La maga cominciava a irritarsi.
«Qui c'è tutto?» domandò Sabato, non convinto.
«Sì, c'è tutto. Qui è un paradiso!» esclamò l'altra, ora seccata.
«Ma tutto, proprio tutto?» Insistette Sabato.
«SÌ!» tuonò Calipso, le braccia sui fianchi. «Qui ci sono posti e luoghi che non hai mai sognato ti trovare. C'è la magnificenza di ogni elemento naturale incontaminato. Le mie grotte sono paradisi sconfinati. Non manca niente di ciò che vorresti avere, te lo giuro!»
«E la toilette? C'è la toilette?»
Calipso rimase perplessa. «Cos'è la toilette?»
«Come la chiama lei, signorina, la toilette, il bagno, il vespasiano, la baracca del cesso, che devo andare a pisciare? Maledetta prostata...» sorrise infine, e Calipso cascò a terra a gambe all'aria.
«Ops, ha un calo di zuccheri, signorina? Non mi stupisce, magra com'è,» commentò Sabato, mezzo piegato, gli occhiali sulla punta del naso.
Sabato, in qualche modo cercava di ricordare, nonostante la malia cancella memoria di Calipso, le sue amiche Stella e Darlina. Ma più passava il tempo, più immane era lo sforzo di memoria. La magia della maga era potente. Forse le aveva già rimosse dalla memoria. Chissà. Comunque, Stella e Darlina, in quel preciso momento, erano in un mare di guai. Letteralmente. Le onde del Mediterraneo si abbattevano impietose contro l'unico scoglio emerso nel bel mezzo della burrasca, dove le due erano aggrappate con la forza della disperazione.
«AAAAAA, NO! QUESTO NO! ASSOLUTAMENTE NO! NON CI VEDO! AIUTO! NON POSSO ESSERE DIVENTATA CIECA!»
«Smettila di gridare! Hai soltanto due stelle marine incollate agli occhi!» disse Darlina, avvinghiata allo scoglio con tutte le sue forze, incurante quasi del polpo che le si era appollaiato sulla testa.
Stella, bofonchiò tra uno schiaffo e l'altro delle onde. Aveva le mani impegnate a non mollare lo scoglio, perciò non poté fare nulla per togliersi le stelle marine che le tappavano le palpebre. Darlina non era messa meglio, anche se il cappello tentacolato non le causava grossi problemi per il momento.
«Ma in che razza di pasticcio siamo capitate!» rimbrottò la Medusa Stella, la chioma serpentesca mezza svenuta.
«Aio! Che male!»
«Cos'altro c'è? Che cosa succede adesso, Darlina? Siamo attaccati da qualche strano mostro? Non mi sorprenderebbe!»
«No, Stella, niente di tutto questo. È che sono stata appena avvolta da un cordone di cozze! Forse il mare vuole offrirci la cena!»
«Sì, e ha cominciato con l'antipasto! Quanto sei cretin_» l'insulto lo ricacciò dentro l'unica spigola che aveva deciso di farsi una nuotata in mezzo al mare in tempesta, finendo il percorso proprio dentro la bocca di Stella.
«Lo vedi che ho ragione? A te il mare ha dato il piatto forte!»
La dannata spigola si dimenava nella bocca della Medusa, provocandole conati di vomito inarrestabili. La mezza dozzina di serpenti ancora vigili sulla testa, forse perché di specie acquatica, sottrassero il pescato fresco dalle fauci della padrona e se lo divisero poco equamente.
«Puah! Che schifo!» sputacchiò Stella. «Dopo questo schifo, non credo possa aggiungersene un altro! Puah!» Manco finì di dirlo, l'ennesimo cavallone che la sommerse, depositò tra i suoi serpenti una murena. «Basta! Non ce la faccio più! Qualcuno mi tolga queste stelle marine dagli occhi!»
«Perché non provi a fare quella cosa dei simboli, Stella! Vedi qualche simbolo qui in giro?»
«Darlina, cara vecchia scarpaccia senza suole, come caspita faccio a vedere con queste cose negli occhi! E poi, esimia polentona, cosa vuoi che possa trovare in mezzo al mare in tempesta e sotto un cielo nero come_» Silenzio. Stella aveva avuto una delle solite intuizioni.
«Che ti prende, perché ti sei zittita? Aaa! Non ce la faccio più, non mi reggono le braccia. E chissà come staranno le mie bestiole,» piagnucolò, disperata per la capretta e il leoncino, da molto tempo ormai sott'acqua.
«Sta zitta un po', e ripeti insieme a me!»
«Cosa vuoi che faccia, parlo o sto zitta, deciditi!»
Stella emise un gorgoglio gutturale simile all'ululato di un lupo mannaro in piena notte di luna piena, prima di suggerire all'amica ciò che le era balzato in mente.
«Poseidone, re di tutti i mari, salvaci!» Invocò Stella, imitata da Darlina. Non avvenne nulla. Ripeterono la formula altre quattro volte. Niente.
«Sei sicura di non aver sbagliato simbolo?» domandò Darlina, che a tutti gli effetti non aveva mai assimilato le lezioni classiche.
«Beh! Siamo immersi nel mare fino al collo, se non è il simbolo del dio del mare questo, non so quale possa esserlo!» ribatté acida l'altra.
Le onde si fecero sempre più alte. Ogni cavallone che si abbatteva, schiumava il mare in modo pittoresco. Qualcosa, però, in mezzo a quel bianco cominciava a emergere, accompagnato da uno sgraziato ritornello, mal cantato.
«Se le giornate sono brulle,
vado a caccia di fanciulle,
quelle belle le amo tutte,
e butto in mare quelle brutte...»
L'insolito cantore tirò le redini, e l'onda gigante alla quale erano legate si fermò. Oltre la muraglia d'acqua, Stella sembrava una condannata a morte bendata con le stelle marine. Darlina, Invece, a bocca aperta, non credeva a ciò che stava vedendo. L'onda in procinto di abbattersi si era arrestata. Stava lì, immobile, mentre le altre facevano il bello e il cattivo tempo in ogni dove. Quella onda era la più enorme. Minacciosa. Era tutta sfumata di blu, azzurro, turchese, celeste. Pensò che fosse proprio una bella onda con la quale annegare.
Ma per quanto Darlina fosse affascinata dalla monumentale massa d'acqua potenzialmente assassina, era niente in confronto all'omaccione in boxer aderenti che vide sbucare un mezzo a quella.
«Sale! Che vedono i miei occhi!»
«Beato te, chiunque tu sia, io non vedo un fico secco!» rispose Stella, ignara di trovarsi davanti a Poseidone in persona. Darlina aveva perso la parola, e soprattutto gli occhi, a furia di guardare quel volto maschio d'altri tempi, la barba castana liquida, la capigliatura riccia, lunga fino a metà schiena, i pettorali scolpiti, la tartaruga lucida e l'evidenza contenuta nei boxer, era tutto troppo, perché trovasse da dire alcunché.
«Sembrate poco abituate al mare.»
«Ma va? Chissà cosa te lo fa credere?» domandò Stella, aggrappata come una disperata a quello scoglio, e sputacchiando ancora il viscidume del pesce che poco prima aveva accolto in bocca.
«Allora, vuol dire che vi darò una mano. Ma prima, quanti anni avete? Non siete vecchie bacucche nautiche, vero?»
«Non vorrai mica chiederci la carta d'identità!» esclamò Stella. Le braccia ormai prossime a mollare la presa. «Su, fai il bravo bagnino, e portaci in salvo!»
Darlina, messa peggio in quanto a forza, sentì di non farcela più, e così, pur di avere una possibilità di sopravvivere, tuonò i numeri dei loro anni. Poseidone sorrise.
«Ma siete appena sbocciate! Io di anni ne ho di più!» rise beffarda la divinità, avvicinandosi allo scoglio. Prese per mano le donne.
«Che intenzioni hai!» esclamò Stella, terrorizzata all'idea di annegare. Darlina invece si fidò. Si lasciò prendere per mano, mosse un passo e notò l'acqua del mare attorno quieta e solida come fosse terra ferma, nonostante intorno infuriava la mareggiata.
«È tutto a posto, Stella! Lascia andare lo scoglio!» disse Darlina, ora libera di togliersi il polipo dalla testa e buttarlo in acqua.
Cieca al momento, la Medusa oppose resistenza. Poseidone sorrise, intenerito.
«Su, bella Medusa, non ti succederà niente,» la voce suadente. Affascinante. Maliarda al punto che finalmente le braccia della donna lasciarono la roccia.
Poseidone le scortò oltre l'onda imbrigliata, che al loro passaggio si aprì a tenda, per poi richiudersi alle loro spalle. Guadagnata un'altra porzione di superficie marina solida, grazie ai poteri della divinità, e libera dalla mano gentile del dio, Stella si staccò le bestiole omonime dagli occhi.
«Ma come caspita mi sono finite in faccia 'ste cose, io non lo so! Eh, tu Darlina, MA COSA! STIAMO CAMMINANDO SUL MARE!» realizzò in forte ritardo, sotto gli occhi dell'amica, che stava constatando lo stato di salute della capretta e del leoncino. Per la sua tranquillità, stavano benone. Belato e miagolio lo confermarono.
«Sì, hai visto! Se usciremo vive da questo pasticcio, non potremo nemmeno raccontarlo ad anima viva, altrimenti ci rinchiuderanno in un ospizio,» biascicò l'altra.
«Sale! Che meraviglia di creatura!» esclamò invece Poseidone, gironzolando attorno a Stella a velocità divina. Era così veloce, che la donna non riusciva a stargli dietro con lo sguardo. «C'è qualcosa in te, bella fanciulla, che mi attrae un abisso!» disse sollevando un lembo del vestito bianco scoprendo le gambe bianche e affusolate, al che lei, oltraggiata, lo colpì in testa con un pugno.
«Giù le pinne, merluzzo!»
«Stella! Lui è il dio del mare!»
«E anche delle mani lunghe!»
Poseidone, frenato un po' l'entusiasmo, ma sempre ammaliato dalla Medusa, le prese la mano e la portò a soffio dalle labbra. «Incantevole Medusa, posso fare altro per voi?»
Stella era confusa. Rifletté più che poté, nonostante la bizzarra situazione marino/romantica la stesse affascinando. "Ma certo! Ora ricordo! Poseidone ebbe una storia d'amore con Medusa!" Pensò ancora, pur godendo dello sguardo profondo del dio che aveva evocato. "Sì, ma io, che c'entro?"
Darlina suggerì a gesti di chiedere acqua, cibo e un letto vero.
«Ma tu, come fai a conoscere il mio nome?» domandò, tanto per dire qualcosa. Poseidone si alzò in tutta la sua fierezza, e con orgoglio le mostrò le mutande, dove in mezzo c'era stampata in oro l'effige della Medusa. Stella si coprì gli occhi, imbarazzata a morte.
«Ecco, vedi, la tua faccia sta su tutte le cose firmate Versace, come sulle mie mutande. Per non parlare poi del gruppo cinematografico. Sei una diva di fama mondiale.» Stella lo convinse di averla convinta, ma solo per evitare di assistere a un altro numero come quello.
«Bene! Oggi siete mie ospiti al palazzo in fondo al mare!»
«In fondo al mare!?» fecero eco le amiche.
«Tanto valeva rimanere sullo scoglio!» convenne Darlina.
«THÁLASSA! GIÙ!» tuonò Poseidone, dopo aver ripreso le briglie allacciate all'onda gigante.
«E, coso, re del mare, non scherziamo...» piagnucolò Stella, non appena l'onda al comando della divinità stava per abbattersi contro quelli che dovevano essere i passeggeri.
«Per una volta, dico, non potevi dargliela?!» strepitò Darlina, un attimo prima che l'onda divina si chiudesse come una conchiglia permalosa sopra a tutti, Poseidone compreso.
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«Dimmelo di nuovo, ti prego!» Mausolo, nel conforto del suo palazzo nell'oasi di Platopolis, importunava Zefiro, la personificazione del vento di primavera, ora nelle fattezze di un giovane dalle ali di tortora, e con in mano un mazzo di fiori. I vestiti erano stracci cenci. Le caviglie perforate da speroni d'oro legati a catene invisibili, trattenute dall'anello che Mausolo portava all'anulare destro. Quando Zefiro si rifiutava di collaborare, Mausolo agitava il mignolo, e gli speroni che gli trafiggevano carne e ossa si arroventavano di colpo, facendolo soffrire in un modo indescrivibile.
«Ho volato a nord, fuori dal perimetro d'acqua di Platopolis, e mi sono fermato presso la fonte della roccia alta. Lì, dall'alto dov'ero, ho visto Calipso trascinare con sé l'uomo Basilisco nel suo portale acquatico. La Chimera e la Medusa, un attimo prima che il varco si chiudesse, si sono buttate dentro. Ora, sono divisi. I mostri sono separati. Ho visto vivo solo l'uomo, che trascorrerà il resto dei suoi giorni assieme a Calipso a Ogigia. Delle altre due creature, non c'è traccia in nessun luogo emersero.» Il volto triste di Zefiro non impietosì Mausolo. Tutt'altro. Obbligò quella sventurata creatura a ripetere ancora e ancora ciò che aveva visto. Lo fece andare avanti fino a che non svenne. Poi, batté le mani, e la grande sala circolare dov'era, si popolò di gente di tutti i tipi. C'erano gli eroi Ercole, Perseo e Bellerofonte, c'erano le Erinni e le arpie, finanche una nutrita rappresentanza di generali reietti egizi.
«Miei amici!» esordì Mausolo alzandosi dal trono. «Ho da dirvi che...» fece una pausa a effetto. Una lunga pausa empatica. Vabbè, qualcuno degli ospiti si addormentò in piedi, prima che gridasse a squarciagola: «Ho vinto contro i mostri di mia moglie! Facciamo baldoria!» Gli ospiti si unirono con un coro sgraziato di urla infernali. Ben presto circolarono tra loro schiavi con in mano vassoi di cibo e coppe di vino. Diedero via a un lungo festeggiamento che si protesse fino all'alba.
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