11 ~ Marasma e miasma
«Da-Darlina?» Sussurrò Stella, malferma sulle ginocchia, le mani sulla bocca e i lucciconi agli occhi. Si obbligò a raggiungere il muro interno dove l'amica era affissa, infilzata dalla moltitudine di frecce che aveva colto di sorpresa tutto il trio. La luce diffusa dal Basilisco sfarfallava, segno che si stava dirigendo verso l'entrata della grotta per scoprire chi aveva scoccato quei dardi.
La mano della Medusa Stella sfiorò una caviglia inerte della Chimera. Con la testa piegata in avanti. Come a imitare le testoline penzolanti delle bestiole che l'altra aveva al posto del seno. «Non può essere,» bisbigliò. «Non ci credo, piccola ciabattina_» Un'altra freccia invase la grotta, sfiorò il braccio destro di Stella e poi si piantò sulla caviglia che aveva accarezzato. Si voltò. La mano sul braccio ferito. «No...» disse con un respiro. Sembrava in trance. Strappata dalla logica del presente, iniziò ad avanzare verso l'uscio roccioso, dove Sabato stava facendo scudo ad altre frecce scoccate. Gli rimbalzavano sul corpo producendo scintille.
«Sabatino. Lei. È.»
«Cerchiamo di non esserlo anche noi,» suggerì l'uomo, mentre si affaccendava come poteva per parare quante più frecce possibili.
«Chi le sta lanciando?» Domandò retorica Stella, raccogliendo una freccia respinta dal Basilisco. «Dardo egizio. Sono reietti armati questi qua!» Si girò verso l'esterno della grotta, cercando d'inquadrare l'origine dell'assalto. Nel buio della notte, mescolato all'orizzonte nero, un plotone di reietti in corsa sollevava nuvole dense di sabbia. La moltitudine era tale da poter sentire il rumore dei passi di corsa. Le grida di carica rimbombarono nella caverna.
«Lo sapevo che non era per noi una cosa così folle!» Piagnucolò Stella, incapace di fare alcunché, a parte trascinarsi avanti e indietro nella grotta per vegliare l'amica, e attendere la fine a firma dei reietti prossimi all'assalto.
«Ehi! Capo! Qui la situazione comincia a non piacermi. Ti lascio il comando?»
Le guance cascanti di Sabato si sollevarono di pochi millimetri. Le frecce alle quali stava facendo da bersaglio aumentavano di attimo in attimo. Presto non avrebbe più potuto fare da scudo a tutte.
Si voltò. Vide Darlina, ancora affissa come un manifesto di morte sulla parete della grotta. Si accigliò al ricordo di quando l'aveva conosciuta. Era avvenuto al quinto anno delle elementari. Era successo dopo la prima medaglia d'oro vinta ai giochi della gioventù, specialità nuoto stile libero. Una vittoria che, sommata alle tre precedenti, avevano reso Sabato Dello Montesilvano uno tra i più popolari dell'istituto. A un passo dall'adolescenza, era più alto della sua età, e gli occhi celesti sotto il ciuffo biondo erano calamite per le ragazzine. Grazie a Stella, che già conosceva sin dai tempi dell'asilo, Darlina aveva trovato l'occasione per scambiare le prime due parole con lui. A dire il vero era una intervista per il giornale della scuola, del quale Stella era la direttrice e Darlina giornalista.
L'uomo Basilisco sorrise ricordando quella Darlina bambina, pienotta e sempre con una merenda fatta in casa a portata di mano nel cestino. Sorrise ricordando, dopo tanto tempo, le prime parole: «Quanto coraggio ci vuole per affrontare l'acqua? Io ne ho una paura matta!» Aveva riso e arrossito di sé stessa la sua amica.
«Ehi! Capo! Ti sei incantato?»
Sabato scosse la testa. Si sistemò meglio gli occhiali di onice. «Non so cosa devo fare,» ammise.
«Allora sei pronto, Capo!»
«Abbi pazi, io_ OOOO!» Il corpo, già fluorescente di suo, s'illuminò per un attimo, poi si spense, il chitone porporato si ritrasse, la schiena si ingobbì, il collo tirò così forte da sembrare volesse staccarsi dal busto, le braccia si ingrossarono a dismisura e costrinsero l'uomo a posarle a terra.
Stella, rannicchiata dietro un masso all'interno della spelonca, stava a tormentarsi le labbra con le nocche a furia d'inorridire osservando l'amico soffrire senza una ragione apparente. Però, nonostante il momento incasinato, il suo sguardo acuto percepì un luccichio provenire dalla fossa dove prima c'era l'acqua. Non ebbe modo di verificare cosa fosse, poiché una immensa coda di rettile si aggrovigliò all'improvviso all'interno della caverna, e per un soffio non rimase schiacciata.
«Ah, no! Questo proprio no! Non ci voleva pure un mostro extra per farci fuori! Siamo già sulla buona strada!» Seguì con lo sguardo lo snodo di quella coda iridata, grossa come una sequoia gommosa, e individuò il corpo dal quale si dipanava.
«MA! SABATO! RITIRA LA TUA CODA, SE MI SENTI!»
«Scuuusaaaa!» La voce più cavernosa e lugubre mai udita. Spaventevole al punto che i cammelli e il dromedario, rimasti poco lontani dal rifugio, svanirono nel nulla.
«Niente scuse, e vedi di uscire fuori dalla grotta, per Dio! Non vorrai mica farla franare?!» Il pericolo che aveva sottolineato la costrinse a tornare con lo sguardo all'infelice dipartita della Chimera Darlina, affissa indegnamente alla parete. Prese coraggio e decise di staccare le dannate frecce dal suo corpo. Nello stesso tempo però, rispose al richiamo della curiosità dovuta alla smisurata coda del Basilisco Sabato. Ora, non solo la coda, ma anche il collo aveva raggiunto almeno venticinque metri di lunghezza. La pelle tutta scaglie iridate. La testa era solo quella animale a governare il corpo, tozzo come quello di un elefante. Anche le zampe erano simili.
«Che mi venga un colpo, e solo in senso figurato! Sabato! Sei diventato una specie di diplodoco!» La valutazione di Stella si perse nell'aria. Il Basilisco aveva assunto la sua forma naturale. Per quanto incredibile, l'amica convenne d'aver visto bene cos'era in realtà il mostro assegnato all'uomo. Meglio di lei lo vide l'orda di reietti ormai arrivati a pochi passi. Il Basilisco Sabato ondeggiò la testa in cima al collo, emettendo versi a dir poco agghiaccianti. Alle frecce ancora scagliate addosso senza sosta, rispose con frustate di collo così potenti da spedire in cielo decine di arcieri per volta.
L'attacco del mostro amico indusse a liberare la caverna dalla coda, e così Stella poté raggiungere Darlina. Con le mani tremanti afferrò la prima freccia e la tirò. Era dannatamente ben piantata. Fece molta fatica a estrarla.
«Eh, no! Davvero no! Accidenti! Che senso ha avuto diventare la Chimera, se poi sei schiattata veloce come una scarafaggia sotto una vecchia ciabatta!»
Un sonoro rombo interruppe le lamentele. Con un moto di disgusto si voltò verso l'uscita della grotta, dove l'arco roccioso incorniciava il Basilisco che a colpi di collo e coda stava avendo la meglio sull'esercito invasore. Un altro rombo sinistro però, la indusse a lottare contro un conato di vomito.
«Ehi! Sabato! Cerca di non scoreggiare mentre fai la guerra! Che schifo!»
«Lascialo stare. Sono rutti, non scoregge.»
«Lo difendi sempre tu,» disse Stella, rivoltando la testa verso le frecce. I serpenti cominciavano ad aver il mal di mare a furia di esser sventolati in ogni direzione. Ma non potevano farci nulla. Nemmeno quando la padrona si rivoltò verso la fossa asciutta ora sgombra, dove un raggio di luna fece brillare quel qualcosa di cristallino che tanta attenzione stava attirando.
«L'hai vista anche tu?»
Stella socchiuse gli occhi, accennò un sì, sottovoce, e poi tornò a sfilare le frecce dal corpo di Darlina.
«Fai attenzione cara, quella mi prude da matti.»
«Oh, scusa, scus_» deglutì, cacciò un urlo, cadde a terra, gli occhi sbarrati dritti su Darlina affissa alla parete. La indicò con un braccio in preda a spasmi di sorpresa, paura, e pure terrore. «T-t-t-tu, sei?»
«Oh! Falla finita vecchia scema! Non sono morta! E fammi scendere che mi prude tutta la schiena, davanti e pure l'altro davanti più sotto!»
«Oh, non posso!» Esclamò l'altra, ancora a terra. «Mi fai più impressione adesso che hai riaperto gli occhi e parli, che prima, mentre eri... più o meno morta, adesso non lo so nemmeno come devo dire.»
«Prima che ti dica io qualcosa, muoviti!»
Una dozzina di frecce vaganti bersagliarono alla cieca gli angoli dentro la caverna, Stella decise di non aver più paura, si alzò e come poté e riprese a sfilare le frecce dal corpo della Chimera.
«Guarda qua che roba! Ti hanno ridotto a un puntaspilli più brutto di sempre!» Disse mentre sfilava l'ennesimo dardo che infilzava la testa della capretta. L'animale appena liberato, riprese vitalità e belò all'impazzata, indecisa se slinguazzare Stella o la padrona Darlina. Lo stesso fece il leoncino quando arrivò il suo turno.
Tolta l'ultima freccia, nessuna delle due donne aveva previsto che la salvata sarebbe crollata addosso alla salvatrice, procurando a quest'ultima l'incrinazione di un terzetto di vertebre.
«Quanto pesi! Menomale che sei piccola!»
Darlina, a carponi su Stella, allungò la vista fino fuori dalla grotta, e vide il putiferio che si stava consumando tra le dune.
«E adesso che altro ci è capitato? Sabato dov'è? Non sarà finito nella pancia di quel mostro!»
«Sabato è quel mostro,» la informò Stella, mentre l' aiutava a rimettersi in piedi. Le fece un rapido riassunto, e appurò che avesse capito il minimo sindacale della faccenda. In realtà meno di quanto finì per credere.
Stella rimase a osservare Darlina. La fissò cupa.
«Hai da dirmi altro?»
«È solo che, nonostante tutte le frecce che ti hanno trafitta, non hai versato una sola goccia di sangue.»
Darlina si osservò tutta. Nemmeno il vestito giallo dorato era rimasto leso. Fece una smorfia. «Che ti devo dire. Sarà perché sarò davvero diventata immortale come la Chimera. Vai a pensare tu...»
Ancora una volta il luccichio sul fondo della fossa vuota catturò l'attenzione di Stella. Ma non ebbe modo di scoprire cosa fosse. Darlina la trascinò fuori dalla grotta.
«Se come hai detto, Sabato è quella cosa con coda e collo lunghissimi, dobbiamo fare qualcosa per aiutarlo, non credi?»
«Mm... no, credo se la stia cavando bene anche senza di noi tra le zampe!» Disse Stella, mentre lanciava un'altra occhiata fuori. «Guarda come brilla sotto il firmamento, e come frusta i reietti! Che accidenti pensi potremo fare noi? Il Basilisco si è rivelato essere un diplodoco preistorico, lungo almeno cinquanta metri!»
La curiosità trasmessa da quel particolare, motivò con maggior ragione Darlina a uscire allo scoperto. I ruggiti del Basilisco erano antichi, i movimenti del collo e della coda rapidi. Colpiva all'impazzata gruppi di assalitori per volta. Ma nonostante ciò, i reietti non accennavano ad arretrare. Era come se qualcosa di molto oscuro e perverso li costringesse ad avanzare, a buttarsi in faccia al mostro Sabato.
«Per quanto tempo resisterà ancora?» Domandò Darlina, ammirata e spaventata a osservare quella scena guerresca.
Si riscosse però, non appena una nube di frecce piovve su lei e Stella, la quale urlò la ritirata. Darlina, malgrado il coraggio ostentato, seguì l'amica spilungona che le faceva strada verso il nascondiglio. Dietro esse le frecce affondavano sulla sabbia seguendo la stessa retta direzione. Sembrava un domino al rovescio.
«Che sarà successo?» Bisbigliò Darlina, rannicchiata assieme a Stella, dietro un masso dentro la caverna.
«Eh, Sabato non ci sta più dietro, ormai sarà stanco!» Ansimò la Medusa, ancora una volta distratta dall'oggetto brillante depositato nella fossa in mezzo alla caverna. «I reietti cominciano a prevalere!»
Di fatti, una decina di antichi uomini dalla pelle mulatta, armata di spade storte, lance e archi, erano già sulla soglia. La capretta e il leoncino odorarono la loro presenza e iniziarono ad agitarsi. A nulla valsero i tentativi di Darlina di quietarli per non segnalare la loro posizione, e accelerare il secondo tentativo di uccisione.
Stella radunò con le mani i suoi serpenti in modo da appiattirli il più possibile, per poter dare una sbirciatina fuori senza farsi notare, e constatare le condizioni in cui versava Sabato. Ci riuscì e ne fu sconvolta. Il Diplodoco Basilisco Sabato era stato fatto prigioniero. Lo vide avvolto in migliaia di funi trattenute da centinaia di reietti.
«Questa è la fine con i contro zebedei!» Esclamò Stella, di nuovo con i lucciconi.
«Uscite dal nascondiglio, mostri!» Esordì un affascinante vocione maschile. Era inopportuno, ma le donne non poterono fare a meno d'incuriosirsi. Ma si trattennero dall'obbedire all'ordine, solo perché amavano ancora tanto navigare con la propria pelle, possibilmente integra.
Se solo ci fosse stato un minimo di silenzio, chiunque presente nella grotta avrebbe sentito due cuori battere alla follia. Darlina e Stella, a visi vicini, si scambiarono sguardi d'intesa.
«Allora?! Abbiamo già catturato il Basilisco. Mancate solo voi, vecchie orribili mostruosità!»
«Vecchie a chi?!» Fecero eco Darlina e Stella, rendendosi conto in ritardo d'aver dato la posizione del nascondiglio. Sospirarono. La Chimera fece per balzare fuori, ma la Medusa la trattenne. Sbucò lei per prima. Di spalle.
«Io sono la Medusa! Il mio sguardo pietrifica chiunque lo incroci!» Un paio di reietti armati indietreggiò. Darlina sbirciò la scena. I serpenti della chioma brulicavano minacciosi a difesa della schiena nuda della padrona. Un vento fresco la colpì e Darlina, insospettita, si voltò cauta verso l'uscita ostruita dai reietti. Uno tra tutti spiccava in stazza. Era muscoloso e pure niente male, a suo giudizio.
«Tu! Non puoi essere la Gorgone ellenica! Qu-qu-questo non ce l'avevano detto all'ufficio collocamento eroi!» Il vocione divenne stridulo.
Stella intanto mantenne la posizione di spalle. "Se scoprono che come Medusa faccio schifo, facciamo tutti una fine da schifo!" Ora i lucciconi erano lacrimoni che mezza dozzina di serpenti stavano succhiando. «Toglietevi di mezzo! Non è proprio il momento!» Sussurrò arricciando il naso.
Darlina riuscì a scorgere, oltre il corpo principale del Basilisco che si stava paurosamente ingrossando come un pallone aerostatico, una vecchia conoscenza: la nuvola blu contornata di fulmini. "È Mausolo!" La risata pronta lo confermò. Anche Stella lo riconobbe nonostante fosse di spalle.
Nuvola blu era non più grande della testona del Basilisco, ora spalmata sulla sabbia, come tutto il resto del corpo oblungo, imprigionato dalle funi. Sembrava soffocare. Le fauci a vaga forma di becco di gallo faticavano ad aprirsi. Gli occhi rosso rubino accesi erano pieni di frustrazione. Cercò di mettersi in contatto in qualche modo col fido amico mostro da spalla, ma fu inutile. Comprese che cedendo il comando della bestia mitologica la comunicazione tra loro si interrompeva in automatico. "Sono nei guai! Non riesco a muovermi! E credo di avere in corso un attacco di reflusso gastroesofageo!"
«È stato più facile di quanto pensassi!» Tuonò la voce di Mausolo dall'interno della nuvola blu decorata a fulmini. «La mia cara mogliettina si è ingegnata al massimo assoldando e tramutando in mostri antichi tre vecchietti!» Rise. «Chissà che cosa l'è saltato in mente?» Rise ancora. «Bene! Eroi antichi senza onori e glorie! Prometto un posto eterno nel Pantheon dei meritevoli a chi mi porterà la testa di questo Basilisco acciaccato, la testa della Chimera pigmea, e soprattutto la testa della Medusa più vecchia del pianeta!»
"E ti pareva se la situazione non precipitasse ancora di più!" Deglutì. "Però poteva risparmiarsi gli insulti! Giuro che se riesco_" Bloccò il pensiero non appena vide ai suoi piedi l'oggetto brillante. "È a portata di mano! Se solo potessi piegarmi senza destare sospetti!"
«Voltati lentamente e senza aprire gli occhi!» Ordinò voce affascinante.
Darlina non ne poté più di stare nascosta. Socchiuse gli occhi. "Tanto siamo vecchi. Meglio morire lottando, che in un ospizio dove nessuno viene a farti visita!" Accarezzò la capretta. «Ehi, tu! Se mi capisci, fai quella cosa con le spine!» Le pupille verticali luccicarono tra le iridi azzurre. Trattenne il respiro e balzò come un pupazzo a molla, e nel frattempo la capretta dagli occhi azzurri sputò una quantità sbalorditiva di spine contro la decina di reietti concentrata su Stella. Atterrò con mala grazia all'altro lato della spelonca. Non si poteva dire avesse colto di sorpresa i reietti, nonostante le spine li avessero centrati tutti. Tutt'al più scatenò un trambusto generale dando il via all'acchiappa la Chimera salterina. «Aaaaaa! Non era quello che volevo!» Esclamò la Chimera, balzando e sfuggendo a numerosi assalti degli omaccioni.
«È peggio che rincorrere una gallina!» Esclamò qualcuno dei reietti.
«Tua nonna è una gallina!» Ribatté Darlina, insolitamente divertita.
Stella scosse la testa, indecisa su come giudicare l'amica. Sospirò. Per lo meno ebbe modo di studiare l'oggetto luccicante.
«Resta ferma!» tuonò signor voce affascinante. Lo stridio del suo arco teso avvalorò l'ammonizione. Era l'unico che non stava partecipando ad acchiappa la Chimera.
«Deciditi, cosa vuoi che faccia? Resto ferma o mi volto, così ti pietrifico e buonanotte!» disse Stella, ostentando una sicurezza che non le apparteneva. Nel frattempo il verso di sofferenza del Basilisco le fece capire la mole di guai in cui versava Sabato. Mausolo, infatti, lo stava bersagliando di fulmini, aiutato dai reietti che seguitavano a scagliare frecce.
Stella si chinò. Afferrò l'oggetto. Era in cristallo cavo. Sembrava vetro fuso. Aprì gli occhi alla scoperta.
«È un simbolo!» Strinse le meningi e aprì un cassetto della memoria. "Silicio! La sabbia, ma certo! È piena di silicio! Un fulmine durante un temporale avrà centrato il buco sul soffitto e, colpendo la sabbia, l'ha fusa, formando un cristallo di folgorite, e poi la pioggia ha riempito la fossa d'acqua piovana!"
Solo per un attimo le tremò la mano con la quale stringeva il cristallo. Era lungo quanto la canna di un fucile. Una minuscola scintilla si materializzò sul fondo cieco. Stella sorrise, nonostante il reietto dalla voce affascinante la stesse ricoprendo d'insulti.
Anche Mausolo non era da meno col suo monologo vittorioso e la furia con la quale stava martoriando il Basilisco. Darlina intanto continuava a sfruttare il getto di spine della capretta, nella speranza di affossare almeno uno degli energumeni.
Stella si voltò nell'esatto momento in cui il reietto affascinante scoccò la sua freccia. Il dardo volò veloce, ma la chioma serpentesca della Medusa lo intercettò, lo avvolse in una spirale unica e lo buttò a terra in modo stizzito. Quando la Gorgone fu faccia a faccia con quel tipo, aveva già posato sul dorso del braccio sinistro il cristallo di folgorite, e con un occhio aperto individuò all'istante il bersaglio.
«Per Zeus!» Tuonò fiera.
Non avvenne un bel niente.
«Oh, porco Zeus!» Biascicò delusa. Un fragore di tuono sorprese tutti, più del fulmine che scaturì dal cristallo di folgorite, e che sfiorò l'orecchio del reietto dal timbro affascinante; il quale rise.
«Non hai una buona mira, vecchia!»
«Il mio unico hobby è tiro al piattello, e non era a te che stavo mirando!»
Un nuovo grido di dolore fece voltare l'antico bellimbusto in direzione della nuvola blu, ora non più blu ma rossa e priva di ghirlanda di fulmini.
«AAARG! MALEDETTA!» Lamentò Mausolo da dentro la sua nube che sfarfallava impazzita. Sembrava un fumoso disco volante danneggiato, o un piatto di nuvola vorticante in procinto di dissolversi.
Darlina affossò la testa tra le spalle, incredula. «Ma come caspita hai fatto?» Domandò a Stella, ora con il vestito mezzo annerito di fuliggine, il volto graffiato come se avesse lottato contro una colonia di gatti, e i serpenti ritti e tesi come se avessero preso la scossa. Il cristallo, ancora in mano, si polverizzò al minimo movimento.
Ricordò le parole di Cleopatra: "i simboli si possono usare solo una volta." Lanciò un'occhiata nel fosso nella speranza di trovare un altro cristallo di folgorite, ma non ne trovò.
L'effetto sorpresa lasciò interdetto l'esercito di reietti. Mausolo svanì promettendo morte molto brutta ai mostri. Il bellimbusto, privo della guida, lanciò un urlo che inneggiava al massacro. Stella, in modo poco casuale, si ritrovò in prima fila ad accogliere l'energumeno urlante.
«Stella! Fai un altro fulmine!»
«E con cosa lo faccio! Ho finito le munizioni!» Disse la Medusa impietrita, a braccia incrociate sul viso come unica difesa alla spada del bestione. Avvenne qualcosa. La spada colpì di taglio orizzontale le braccia incrociate di Stella e si spezzò in mille pezzi. Quelle braccia erano di pietra bianca e lucida come alabastro. Scoprì di poterle muovere come fossero di carne. Scoprì altresì che due serpenti delle rocce l'avevano morsa e fatta diventare immune alla spada appena in tempo.
«Grazie ragazzi,» sussurrò sentita. Poi inquadrò il tizio fascinoso con un cipiglio più duro della pietra. «E ora ti faccio rimangiare tutte le offese! Anche perché non so quanto dura quest'effetto.» Allargò le braccia e le unghie di bronzo divennero artigli lunghi due decine di centimetri. Il reietto, a corto di armi, si lanciò contro la Medusa, caricò un pugno e perse tutto il braccio. Lo vide, sbigottito, affettato in più parti e poi diventare sabbia appena toccato terra. Inferocito come un animale che non ha più nulla da perdere, si lanciò contro la mostruosità. Stella lo bersagliò come una gatta permalosa fino a sbudellarlo tutto. Infine il reietto divenne tutto sabbia, la stessa dalla quale era stato rigenerato.
«Stella!» Esclamò Darlina. «Fai paura quando fai Wolverine!»
«Devi ammettere però che mi stanno bene queste dita affusolate!» Rispose ammirando gli artigli. «Ora, andiamo ad aiutare sul serio Sabatino!» Aggiunse con un vigore fino a pochi minuti prima assente.
«Ti seguo cara,» disse l'amica ora timorosa. «E di questi, cosa facciamo?»
La Medusa quasi non aveva fatto caso al resto del gruppo di reietti ancora presenti nella grotta. La guardavano con un certo senso d'inquietudine. Poi però caricarono Stella tutti insieme. Darlina si coprì gli occhi. «Non voglio guardare!»
«Toglietevi di torno, sacchi di merda!» Tuonò Stella. Gli occhi verde acqua divennero oscuri. Neri completamente. Un attimo dopo i nove reietti si bloccarono sul posto. Darlina sentì un odore nauseabondo. Più disgustata che curiosa, abbassò le braccia e vide i reietti tramutati in statue di sterco. Fece una smorfia da vomito.
«Meglio cambiare aria,» sussurrò schifata.
Nemmeno Stella era felice dell'effetto, nonostante il risultato apprezzabile. Fece spallucce. «Meglio di niente.» E si avviò verso l'uscita. Sicura. Fiera. E con la voglia di respirare aria pura, non ebbe timore di affrontare quanti reietti la assalirono, poiché fece fare loro la stessa fine ingloriosa degli altri.
«Fatevi sotto! Ammirate il mio sguardo pietrific_ vabbè, quello che è o che fa,» rise di mala grazia. Tuttavia, almeno così, riuscì a raggiungere il Basilisco, camminare lungo un fianco, e liberarlo dalla stretta delle funi usando gli artigli man mano che avanzava. Di tanto in tanto dovette fermarsi per affrontare con lo sguardo i reietti più audaci.
Darlina le fu dietro, sventolando le ali di oca per allontanare l'afrore prodotto dall'effetto dello sguardo singolare dell'amica Medusa.
Il Basilisco Sabato dovette attendere la fine della passeggiata di Stella per tornare a respirare. Infatti, la quantità di funi occorse per imprigionarlo era stata sbalorditiva.
«Ah! Quanto sono figa!» Disse Stella sculettando, felice di esser lei di pietra, e di cacca gli sventurati che osavano affrontarla.
Tagliata l'ultima fune, il Basilisco tirò tutta l'aria che fino a quel momento gli era mancata, si sollevò sulle zampe, e issò alto il collo fino in cielo. La luna piena come sfondo al ruggito più spaventoso mai udito da nessuno. Stella sgranò gli occhi.
«Oh, cacchione! Sembra che non ci riconosca, oppure Sabato è incavolato marcio!» Ma poi le si aprì un altro cassetto della memoria, quando notò il rigonfiamento dello stomaco del Basilisco risalire il collo. "L'alito del basilisco è mortale!"
«Darlina! Presto! Tappati il naso! Non respirare!»
«Secondo te me ne sto a tirare aria di montagna, che ti possano!»
Stella indietreggiò, incurante di tramutare in concime chiunque la guardasse. Il Basilisco chinò il collo e spalancò le fauci liberando un infinito miasma che odorava di olive in salamoia. Metà dell'esercito di reietti svanì nella sabbia, l'altra metà subì l'effetto della Medusa. Poi silenzio.
Darlina respirò tranquilla l'aria viziata, senza accusare effetti. Stella zigzagò tra le statue flatulenti, fino a raggiungere il Basilisco, che finalmente stava rimpicciolendo. Il trio si ricompose, più acciaccato che mai, ma redivivo. Per il momento.
Sabato ondeggiò molte volte avanti e indietro, facendo sballottare il testone multicolore del suo compagno da spalla.
«Tranquillo Capo! È la sindrome della bestia fantasma, tra un po' passa!»
«Ragazze, avete una mentina?»
Stella e Darlina scoppiarono a ridere. L'allegria insperata fece tornare verdi gli occhi della Medusa e ritrarre gli artigli.
«Adesso che facciamo? È ancora notte. Potremmo tornare nella caverna e riposare,» propose Stella.
«Non credo. La caverna è sottovento,» disse Darlina tossendo, e indicando il prodigio puzzolente dell'amica.
«Ah, ma allora non sono stato io.» Realizzò Sabato, accendendo una sigaretta per sé e per il compagno in spalla.
«No, è stata Stella, col suo potere della Medusa, e il suo sguardo.»
Sabato espulse una nuvola di fumo. «Che potere di merda.»
Stella incrociò le braccia, ma non era risentita.
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