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Capitolo 1

Trecentossessantacinque tacche.

Un anno preciso.

Sospiro e riconto i graffi che ho procurato alla robusta radice alla quale sono appoggiata.

Sono proprio 365...

Getto a terra il pezzo di osso, che ho affilato sulle rocce poco distanti dal mio rifugio, e mi sdraio a terra con un gemito.

Ormai non ho più alcuna speranza di tornare a casa, al mio tempo, però, ogni tanto, ci penso ancora.

Ripenso con nostalgia al forte sapore del caffè, al gustoso aroma della cioccolata, all'asprezza del pompelmo rosa.

Ma non mi crogiolo soltanto nel ricordo lontano del cibo.

La cosa di cui sento la mancanza è il contatto umano.

Il calore di un abbraccio.

Il rumore di una risata.

La dolcezza di un bacio.

Sento una lacrima solitaria sgusciare fuori dal mio ferreo controllo, rigarmi il volto e cadere fra i ciuffi d'erba arida che fungono da pavimento al mio rifugio.

Non devo...

Non posso...

Chiudo gli occhi, respiro profondamente e mi passo le mani sul viso per togliere qualsiasi traccia di dolore. Poi mi rimetto seduta e controllo le scarne provviste che mi rimangono.

Il rifugio che ho trovato quel terribile giorno consiste praticamente in una cupola formata dalla radici di una mangrovia.

Se non fosse che le mangrovie vivono in ambienti paludosi mentre la mia nuova casa si trova nel profondo di una foresta.

Comunque non posso lamentarmi.

Il mio nascondiglio è grande quanto un mini appartamento di due stanze, il che in tempi difficili come il Triassico rappresenta un posto di lusso. Il giaciglio dove dormo consiste in un mucchio di felci e foglie che ho raccolto durante le brevi battute di caccia mentre tutto ciò che possiedo lo indosso.

I vestiti, una volta chiari ora tendenti al beige, da maglietta e pantalone sono diventati canottiera e short.

Ho dovuto utilizzare qualche striscia di stoffa per medicare le mie ferite dopo che sono quasi stata mangiata da un grosso teropode affamato e poi c'è stato l'attacco del branco di piccoli Saltopus e...

Beh, da quel giorno la mia vita è stata continuamente minacciata da così tanti dinosauri che alcuni nemmeno li ricordo più.

《Devo andare a caccia...》mormoro fra me e me, un'abitudine che rappresenta l'ancora di salvezza della mia salute mentale.

Un anno passato in solitudine, fra pericoli mortali e nessun contatto umano, farebbe impazzire chiunque, quindi, molto spesso parlo da sola oppure conduco conversazione immaginarie con Liam e Connor.

Anche se quello non la faccio da un bel po' di tempo.

Fa troppo male pensare a loro.

E il mio cuore non riesce a sopportare così tanta sofferenza.

Scrollandomi di dosso la depressione, recupero la mia affilata arma d'osso e, con circospezione, inizio ad uscire dalla protezione dalla mangrovia.

Un Sole giovane ed infuocato riscalda l'ambiente, quasi soffocando le diverse forme di vita che prosperano sotto la sua luce. L'aria puzza un poco di zolfo, ma, tutto sommato, è respirabile: devo solamente ricordarmi di non correre altrimenti, a causa della mancanza di ossigeno, potrei facilmente svenire.

I miei polmoni non sono adatti all'atmosfera del Triassico.

La foresta è abbastanza silenziosa questa mattina e non so come interpretare questo fatto.

Di solito il silenzio è carico di tensione e prelude a feroci attacchi, ma potrebbe anche significare che gli animali debbono ancora svegliarsi.

Ora o mai più...

Il momento più adatto per uscire dal mio rifugio è la mattina presto.

Dopo potrei incontrare dinosauri che non vorrei mai trovarmi davanti.

Pensa positivo, Liv...

Oggi sarà una giornata fantastica...

Con la schiena addossata ad una nodosa radice, perlustro con gli occhi l'ambiente senza notare nulla di preoccupante.

Non riesco, tuttavia, a rilassarmi.

Con un sospiro, lascio a malincuore quella che è diventata la mia casa e mi avventuro nel folto della foresta.

Subito la luce viene smorzata dagli alti e frondosi alberi e io riesco a respirare un po' meglio.

Almeno finché non sento un fruscio provenire da dietro un cespuglio dalle foglie così scure da sembrare nere.

Il mio pranzo...

Al solo pensiero il mio stomaco gorgoglia contento: i miei pasti sono così irregolari che la fame è diventata la mia migliore amica, oltre alla paura ovviamente.

Una rapida occhiata mi fa capire che non c'è nessuno oltre a me.

Rinserro la presa sull'arma d'osso ed avanzo con circospezione e la schiena curva: non so cosa ci sia dietro la bassa boscaglia e devo essere pronta a tutto.

Arrivo a pochi centimetri dal mio obiettivo, allungo una mano per scostare il cespuglio e colpire la mia preda quando questa decide di balzare fuori e attaccarmi.

Nella foga nel momento non riesco ad identificare la specie, ma questo è un dettaglio di secondaria importanza.

Al primo posto c'è la sopravvivenza.

Il dinosauro spalanca le fauci e tenta di azzannarmi alla gola, ma io lo schivo, scartando di lato e lui va a schiantarsi contro il tronco di un albero.

Rimane immobile per qualche istante e io riesco, finalmente, ad identificare la specie a cui appartiene.

Ahia...

L'animale che ho di fronte è un Proterosuchus, una specie di piccolo coccodrillo che vive in prossimità di fiumi e laghi.

È un po' distante da casa...

La cosa mi mette subito in allarme perché questo dinosauro non può essere venuto da solo dato che la più vicina pozza d'acqua si trova dalla parte opposta a quella dove siamo.

Finché il coccodrillo preistorico mi fissa con i suoi occhietti piccoli e affamati, noto che il suo corpo squamoso è solcato da numerosi graffi come se fosse reduce da un'aspra lotta, e inizio ad arretrare lentamente.

Chiunque sia il suo avversario potrebbe trovarsi ancora dei dintorni.

E io non voglio farmi trovare qui quando tornerà.

Prima che il Proterosuco mi attacchi nuovamente, dal fogliame verde brillante sbucano numerose piccole teste, poste su colli serpentiformi, che fissano me e il coccodrillo con molto interesse.

Forse troppo interesse.

Coelophysis bauri...

Di norma si ciba di insetti e lucertole, ma un branco formato da una decina di esemplari potrebbe decidere di cambiare dieta.

I dinosauri si scambiano un'occhiata molto umana prima di puntare la loro preda, cioè me.

Maledizione...

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