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Salvato (prima parte)

Il sole è alto nel cielo ed il vento è poco più di una leggera brezza: la primavera è la sua stagione preferita.

Il parco è deserto.

Ci siamo solamente noi due e gli alberi, accarrezzati dal vento fresco, che gioca con i suoi capelli lunghi e corvini, scompigliandoli.

《Mi spingi?》domanda lei con voce squillante come mille campanelli argentati.

È seduta sull'altalena, fatta di legno e corda, ed agita le gambe come una bambina piccola: indossa un abito bianco, puro come la sua anima, che le arriva al ginocchio.

《Agli ordini!》le rispondo, scherzosamente, posizionandomi alle sue spalle.《Pronta per toccare il cielo?》

Le sue mani delicate stringono la corda mentre io inizio a spingerla delicatamente.

Man mano che aumento la forza, lei comincia a ridere con viso rivolto al cielo limpido sopra di noi.

Amo ascoltare la sua risata.

Amo sentire il suo profumo di fiori.

Ma so che si tratta solamente di un sogno.

So cosa accadrà fra pochi istanti, però...

Per quanto io voglia interrompere questo sogno, preferisco svegliarmi gridando e godere ancora un po' della sua compagnia.

Come previsto lei scompare dall'altalena e per comparirmi alle spalle, con un gemito soffocato.

Non voltarti...

Non voltarti...

Non voltarti...

Lentamente, ma inesorabilmente, mi volto e lei è lì, bellissima più che mai: di poco più bassa di me, possiede i miei stessi occhi chiari insieme ad una dolcezza senza pari.

Perché?》domanda con voce soffocata dal pianto.

Le lacrime che le solcano le guance sono rosso cremisi.

Il colore del sangue.

《Mi dispiace...》

Parole vuote pronunciate da un uomo vuoto.

I suoi occhi azzurri si scuriscono fino a diventare due pozzi oscuri, privi di vita.

Il suo viso si deforma per la furia ed i lineamenti delicati vengono soppiantati da un'espressione quasi demoniaca mente lei punta il dito verso di me, accusandomi.

《È colpa tua!》


《LISA!!!》

Apro gli occhi di scatto per fuggire dal mio passato e dalle mie colpe, ma so che questo peso non svanirà mai.

Chi afferma che il tempo cura tutte le ferite è solamente un bastardo bugiardo.

Il tempo cosparge di sale le ferite e le fa sanguinare ancora di più.

Per l'eternità.

Uno squillo, decisamente troppo acuto per la mia povera testa, mi trapassa il cervello, facendomi emettere un guaito di dolore.

Dove sono?

Appena riesco a mettere a fuoco l'ambiente che mi circonda, capisco che stavolta ci sono andato davvero vicino.

Mi trovo in bagno, sdraiato sul pavimento, con accanto una pozza di vomito dall'odore nauseabondo: non sono nemmeno riuscito a centrare la tazza.

Con molta fatica, mi metto a sedere e mi massaggio le tempie in un futile tentativo di alleviare il martellante mal di testa che mi sta uccidendo.

Allungo il braccio sinistro finché la mia mano non sfiora il bordo del lavandino, dopodiché mi aggrappo e mi alzo, barcollando. Poggio anche l'altra mano sul lavabo, non vorrei cadere proprio ora che ho conquistato la posizione eretta, ed il mio sguardo finisce sullo specchio.

Non mi riconosco più.

I capelli, arruffati e lunghi, sono unti ed appiccicati alla testa.

Il viso sembra quello di un malato terminale: le guance sono scavate, come se non mangiassi abbastanza, cosa assolutamente vera, gli occhi vuoti e senza alcuna scintilla di vita, la barba di quasi una settimana è incolta e decisamente sporca.

Dovrei farmi una doccia...

Sto meditando seriamente di seguire questo impulso, ma poi ci ripenso: che senso ha?

Lei non tornerà più.

Ed è tutta colpa mia.

《Lisa...》mormoro, con un gemito soffocato, accasciandomi sul lavandino come un animale ferito.

Un altro squillo interrompe il flusso di dolore che mi attraversa il cuore e l'anima.

Allora non l'avevo sognato...

Asciugandomi le lacrime dal volto provato e distrutto da troppo alcool e notti insonni, esco incespicando dal bagno e, ringraziando Dio di non dover fare le scale, mi trascino fino alla porta d'ingresso, cercando di non inciampare in tutto il pattume che riveste il pavimento dell'appartamento.

Appena guadagno la maniglia, il campanello suona ancora, facendomi infuriare; così spalanco la porta con rabbia ed inveisco contro l'idiota che mi compare davanti.

《Razza di stupido nanetto! Ti pare il caso di suonare a quest'ora della mattina?! Non hai altro da fare che rompere le palle?!》ringhio, sfogando la mia ira sul pover'uomo dall'identità sconosciuta.

Il tipo, vestito in maniera molto elegante e compassata, mi guarda per un secondo per poi guardare il suo costosissimo orologio da polso.

《È l'una del pomeriggio di mercoledì》osserva con voce pacata.《La gente normale a quest'ora non sta vomitando abbracciata alla tazza.》

Lo fisso con occhi sgranati: non so chi sia questo tizio, ma pare che non gl'interessi trovarsi di fronte ad un ex soldato infuriato.

《Non mi guardi così. Vorrebbe prendermi a pugni, ma, conciato così, non riuscirebbe neppure a colpirmi. Comunque...》Il nanetto entra in casa, scostandomi dalla porta con una manata sulla spalla.《Non sono venuto fin qui per parlare dei suoi problemi. O della sua igiene, anzi della mancanza di quest'ultima.》

《Allora se ne vada!》esclamo, scioccato ed incuriosito allo stesso tempo.

Da quando sono stato congedato dall'esercito, non ho mai ricevuto una visita ed ora mi capita quest'emerito sconosciuto, basso e schizzinoso.

《Purtroppo non posso》sospira lui, guardandosi attorno, arricciando il naso.《Le dispiacerebbe aprire una finestra? Questo posto è una discarica.》

《Casa mia, regole mie. Non si apre nessuna finestra finché non mi dice chi è lei è cosa vuole da me》ribatto, incrociando le braccia al petto, in una posizione che spero essere minacciosa.

Indosso solamente un paio di pantaloni della tuta quindi muscoli e cicatrici che mi ornano il petto sono in bella vista: magari il tipo si spaventa e se ne va.

Magari no...

Noto il suo sguardo determinato e capisco che non se ne andrà finché non avrà concluso il suo compito, qualunque esso sia.

《Capitano Liam Becker. Congedato dall'esercito per motivi di salute. Almeno questa è la versione ufficiale. Quella ufficiosa è decisamente più interessante...》Inizia a raccontare il nanetto, continuando a fissarmi.《Ha deciso di fare la cosa giusta ed è stato punito. Questa è la sua seconda occasione.》

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