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Punizione (seconda parte)

L'interludio amoroso con mia moglie mi ha lasciato un sorriso ebete sulle labbra che stenta a smorzarsi, anche se forse dipende dal mio luogo di lavoro che, illuminato da un fioco e coraggioso raggio di sole, fa bella mostra a di sé.

Immensa, unica e potente.

Dove altro potrei lavorare se non qui?

La Torre Bianca è un posto meraviglioso e terrificante allo stesso tempo: al suo interno è nascosto un altro mondo, più inquietante e disincantato di quello che le persone normali vivono ogni giorno della loro vita.

La guardia all'ingresso controlla il mio tesserino e poi mi perquisisce come da prassi: solo allora mi saluta con un sorriso cordiale.

«Buongiorno signor Smith. È un piacere rivederla!»

Danny è un uomo sulla cinquantina, stempiato e col colesterolo sempre troppo alto, com'è solito dire a chiunque gli passi affianco: in realtà non è proprio antipatico, nonostante tutti i suoi difetti.

«Salve, Danny. Che mi racconti di nuovo?» gli domando, solamente per pura cortesia, dato che ho già i miei problemi a cui pensare.

«Sapesse, signor Smith... La mia Dora mi ha fatto fare le analisi e...» Si ferma per una pausa ad effetto che dovrebbe acuire la mia curiosità e poi vuota il sacco. «Il livello del colesterolo è così basso che ho festeggiato con una ciambella glassata al cioccolato.»

Mentre Danny gongola di felicità a stento trattenuta, arriva lei, la mia nemesi, la signora Doe. Una donna dal cuore di ghiaccio e il cervello fine, oltre ad essere una bellezza dai lineamenti asiatici: possiede tutte le carte in regola per arrivare ai vertici.

«Oh, Smith, non ti hanno ancora licenziato?» mi chiede la figlia di Satana, fissandomi con due occhi cosi scuri da sembrare pozzi senza fondo.

«Non succederà...» borbotto per poi mordermi la lingua. Non devo darle corda altrimenti mi impiccherá.

Poco ma sicuro.

Proprio quando lei sta per ribattere, il suo cellulare suona in maniera insistente, tanto da farmi inarcare un sopracciglio.

«Ti conviene rispondere...» Le dico in tono noncurante mentre recupero i miei effetti personali. «Altrimenti il tuo toy boy si potrebbe arrabbiare e poi...» Faccio un gesto eloquente con la mano per mandarle al discorso senza sprecare ulteriori parole e mi riprendo le cose che Danny mi sta porgendo.

Quasi digrignando i denti per non aver avuto una risposta sarcasticamente malvagia con cui zittirmi, la signora Doe scruta il display del telefonino e, d'improvviso, si illumina come se avesse appena vinto la poltrona da Presidente.

Che succede?

Il mio sesto senso, che mi ha salvato più di una dozzina di volte, entra in azione: quella donna sta sorridendo così tanto che fra poco le si spaccherà il volto a metà.

È la mia fine...

Senza ulteriori indugi, abbandono l'entrata e il colesterolo di Danny, a passo svelto, percorro i pochi metri che mi separano dall'ascensore e le porte metalliche riescono a chiudersi prima che qualcun altro mi asfissi con la sua presenza.

Finalmente solo e in relativa tranquillità, permetto alla mia mente di vagare, provando ad immaginare la punizione a cui sto andando incontro. E pensare che doveva essere una missione semplicissima: purtroppo, invece, si è trasformata in uno omicidio di massa.

Tutti i componenti della squadra sono morti, tranne due.

L'assassino, ovviamente, che è riuscito a sfuggirci, e il capitano, un uomo che avevo scelto per la sua integrità morale e il numero elevato di missioni portate a buon fine.

Non conoscevo personalmente nessuno della squadra eppure la loro morte pesa sulla mia coscienza.

Un dling troppo gioioso per i miei gusti mi annuncia l'arrivo al quinto piano: prendo un respiro profondo e indosso la maschera di imperturbabilità che sfoggio quando non voglio far capire i miei reali pensieri, ossia ogni giorno della mia vita.

Il corridoio che appare davanti ai miei occhi è vuoto e minaccioso, ma forse è solamente la mia immaginazione che galoppa quanto uno stallone all'ippodromo. La moquette color panna attutisce i miei passi mentre le telecamere, invisibili ad occhio nudo, controllando ogni mio respiro.

La porta a cui devo bussare è l'ultima, quella in legno scuro, finemente intarsiato, che cozza in maniera clamorosa con il resto dell'ambiente: il Presidente adora l'antiquariato.

Non fare il vigliacco...

Alzo la mano per bussare ma una voce gentile mi ordina di entrare e così eseguo senza discutere. Lui è seduto alla sua scrivania, un oggetto di mirabile fattura, con un dossier aperto davanti agli occhi e mi saluta con un sorriso.

Ma cos'hanno tutti oggi da sorridere?

«Buongiorno, Presidente.» Inchino lievemente la testa un segno di rispetto, chiudo la porta e poi mi avvicino. «Voleva vedermi?»

L'uomo si toglie gli occhiali e mi guarda stancamente prima di chiudere l'incartamento ed appoggiare la schiena alla poltrona rosso cupo.

«John...» Pronuncia il mio nome quasi a fatica e capisco che le note dolenti stanno arrivando. «Non esiste un modo migliore per dirlo quindi... Siediti e non interrompermi, per favore.»

Lui chiede così raramente per favore che per poco non mi cade la mascella dallo sconcerto.

«Sono licenziato vero?» Non riesco a non dar voce alla mia più profonda paura.

Questo lavoro rappresenta tutta la mia vita e perderlo sarebbe come...

Morire.

«Siediti» ripete, stancamente, accompagnando l'ordine con un gesto della mano. «Lo sai che non ti ritengo colpevole per la tragedia avvenuta. Tuttavia...» Il Presidente prende un respiro profondo, quasi soffrisse nel continuare. «Anche se siamo amici, o qualcosa di molto simile, devo prendere una decisione in merito: non posso mostrare debolezze, lo sai. Però non posso nemmeno punire una persona che mi è accanto fin dal mio primo mandato quindi...»

«Quindi...» Lo sollecito a continuare prima che il mio cuore ceda definitivamente.

«Prendila come una sorta di promozione, d'accordo?»

«Smettila con tutte questi giri di parole. Sputa il rospo» sibilo, stizzito, ad un passo dallo strangolare il mio capo nonché amico.

«Ok, ok...» Lui alza le mani in segno di resa e, finalmente, mi svela il destino che mi attende. «Non lavorerai per noi. Almeno ufficialmente. È già tutto predisposto: la tua meta sarà l'Inghilterra. E tua moglie non potrà seguirti.»

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