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Nel nulla (quinta parte)

Prima di scendere sottocoperta, io ed Evan ci mettiamo in disparte a parlare, nonostante le occhiate ansiose di Connor e la riluttanza di Mick. Da un lato sono felice che Todd sia tornato indietro, ma dall'altra parte forse avrebbe potuto darmi manforte per convincere il suo amico che ho ragione, almeno per quanto riguarda questa situazione.

«Professoressa, prenda questi» mi dice il giovane soldato, porgandomi una piccola torcia e una pistola nera.

«Non ho mai sparato» ribatto, incerta se prendere l'arma oppure no.

«Lo immagino, però quando troverà il capitano, la prima cosa che le chiederà sarà una pistola» replica Evan, con un leggero sorriso sulle labbra.

«Credi davvero che ci riuscirò? Il tuo amico Mick non è molto convinto dalla mia teoria...» mormoro, accettando l'arma da fuoco e soppesandola prima di nasconderla dietro la schiena.

Il posto mi risulta un po' scomodo, ma in mancanza di una fondina è l'unica opzione disponibile.

«Ah, Mick è scettico su ogni cosa» ridacchia il soldato, con affetto. «Io, invece, ne ho viste troppe per rimanere fermo sulle mie convinzioni. E poi il capitano parla sempre di lei, professoressa...» aggiunge, facendomi l'occhiolino.

C-come?

Prima che io possa replicare in qualche modo, Evan si allontana e recupera Connor e Mick per poi andare sottocoperta, nonostante gli stati di protesta del suo amico scettico.

Rimasta sola, decido di fare una passeggiata sul ponte. Il peso della pistola dietro la schiena è quasi confortante mentre la torcia, che continuo a rigirarmi fra le mani, sta diventando scivolosa per colpa del sudore dei miei palmi.

Il cielo si è completamente oscurato a causa di alcuni nuvoloni neri, carichi di pioggia, così accendo la piccola torcia, stringendola nella mano destra. Appoggio la sinistra al parapetto e lascio che il fascio di luce si perda fra le onde nere che circondano lo yacht.

Non li sento arrivare.

Un attimo prima, è tutto tranquillo, l'acqua è placida e il tempo pare essersi fermato, l'attimo dopo lo yacht comincia a dondolare in maniera allarmante e un odore selvatico mi solletica le narici.

Il mio istinto di sopravvivenza si risveglia nel giro di un battito di ciglia.

Mi volto rapidamente e il fascio della torcia illumina il suo corpo: la caratteristica principale sono sicuramente le ali, che so essere immense nonostante ora siano ripiegate affinché non ostacolino i suoi movimenti.

Il becco, lungo e affilato, che termina con una punta acuminata, si spalanca quando il Pteranodon lancia il suo grido d'attacco.

Rimango immobile, affascinata da tanta, perduta bellezza, mentre una voce dentro di me continua a urlarmi di scappare, correre lontano e cercare un riparo.

L'animale si avvicina, camminando goffamente a causa delle sue dimensioni: è decisamente troppo grande per stare sul ponte del Venezia.

In quel momento realizzo una cosa fondamentale, una falla nel mio piano.

E se non volesse catturarmi, ma divorarmi?

Al diavolo!

Inizio ad arretrare man mano che il Pteranodon guadagna terreno, sperando che la caccia lo intrighi abbastanza. I suoi occhi, piccoli e neri, mi rivolgono uno sguardo predatorio mentre le sue zampe rigano il legno pregiato del ponte dello yacht di lusso.

L'imbarcazione oscilla ancora quando un altro animale si aggiunge al primo. Si trovano fianco a fianco ed entrambi mi fissano per poi attaccare a colpi di becco.

Scanso le punte acuminate delle loro armi naturali e giro loro le spalle per scappare, ma dopo qualche metro mi blocco: un Pteranodon, che non avevo sentito atterrare, mi sta aspettando.

Sono circondata.

Niente panico, Liv...

Sta andando tutto secondo i piani...

Appoggio la schiena al parapetto e fisso le tre creature. Il cuore mi martella nel petto mentre il respiro si fa sempre più rapido e affannoso.

Voglio farmi prendere.

Non voglio morire.

Non posso morire.

Opto per una mossa disperata e corro incontro ai due animali alla mia sinistra. Come previsto, sono eccitata dalla caccia e si intralciano i movimenti l'uno con l'altro, dandomi il tempo di scivolare fra loro e mettermi in salvo.

Ripercorro il tragitto che ho fatto per sfuggire al primo attacco e torno al punto di partenza mentre osservo, un poco affannata, le creature colpirsi vicendevolmente col becco appuntito.

D'un tratto, si leva un grido stridulo che zittisce i due litiganti, facendogli alzare il muso al cielo, e mi fa tremare le gambe. Intorno a me cala il silenzio, un silenzio pieno di aspettativa, e i due Pteranodon abbassano la testa per rivolgermi tutta la loro attenzione.

Stordita da questo repentino cambio di atteggiamento, arretro lentamente, dandomi della stupida e dell'incosciente: ho pensato erroneamente di poter aiutare il capitano mentre ora mi trovo in una situazione senza via d'uscita.

Mi dispiace Liam...

Stranamente, però, le creature non mi attaccano, anzi sembrano in attesa di qualcosa che soltanto loro possono percepire.

E la risposta mi arriva dopo pochi secondi.

Un brivido mi corre lungo la schiena mentre un senso di consapevolezza si fa strada dentro di me. I miei sensi, acuiti dalla presenza dei predatori, percepiscono un lieve cambio della mia situazione: con mosse calcolate, quasi mi muovessi, a rallentatore, volto la testa per controllare alle mie spalle e lo vedo.

Fiero e immenso, batte le ali piano, senza produrre alcun rumore, a parte un lieve increspare di onde, e mi scruta con occhi attenti e quasi gioiosi.

Era una trappola!

Succede tutto in una frazione di secondo.

Qualcosa, presumibilmente il suo becco, mi colpisce in mezzo alla schiena così forte da farmi sbattere contro il parapetto di fronte. Cado a terra, senza fiato, e mugolo dal dolore che sboccia improvviso e intenso. La vista mi si è offuscata, ma il grande maschio non vuole darmi tregua.

Atterra sul ponte e afferra la mia giacca col becco per poi strattonando e lanciarmi dalla parte opposta del ponte.

Grido quando mi ritrovo nuovamente a terra, sdraiata sulla schiena.

Il mio corpo è una massa pulsante di dolore e sofferenza.

Avverto qualcosa di liquido bagnarmi i capelli e il viso: con sforzo sovrumano mi porto una mano al volto e la ritraggo sporca di rosso.

Sto sanguinando...

Mi sento quasi distaccata quando osservo il sangue colare fra le mie dita, come se non si trattasse di me. Volto lo sguardo verso il predatore alato che avanza per finirmi e realizzo che dopotutto non sono così in gamba come mi dipinge sempre Connor.

Ho fallito...

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