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Buon...

Dedicato a tutte le ammiratrici di questo splendido soldato 😍🐊

Non appena apro gli occhi, il peso della giornata mi schiaccia il petto, rendendomi difficoltoso il respiro.

La stanza è inondata di luce, nonostante le tende siano tirate, e quando mi muovo, per vedere l'ora sulla sveglia, il corpo caldo, adagiato sopra di me, si scosta borbottando qualcosa di incomprensibile.

«Scusa, tesoro...» sussurro all'orecchio della mia compagna per poi darle un lieve bacio sulla fronte.

Liv socchiude le palpebre, lasciandomi intravedere il verde smeraldo dei suoi occhi, appoggia il mento sulla mia spalla e una mano sul petto, all'altezza del cuore.

«Sei sicuro che non vuoi che venga con te?» domanda con voce arrochita dal sonno.

Un suono così sexy che mi fa sorridere nonostante la triste giornata che mi si prospetta.

«No. Rimani qui a poltrire» rispondo, scivolando lontano da lei.

Mi metto a sedere sul letto, poggiando i piedi a terra, per poi alzarmi con un lungo sospiro. Mi giro e trovo mia moglie che mi scruta preoccupata: sembra una dea con i capelli sparsi sul cuscino e il corpo nudo e snello coperto alla bell'è meglio.

«Va tutto bene. Stai tranquilla» le dico con voce rassicurante, ma noto che non funziona affatto.

Ormai mi conosce troppo bene.

«Ci vediamo per pranzo, d'accordo?»

Mi abbasso in cerca delle sue labbra, che trovo carnose e amabili come sempre, e la tristezza che provo si dirada un poco. Liv mi rivolge un esitante sorriso, carezzandomi il volto con dita leggere, dopodiché mi allontano da lei, e da tutto ciò che mi ispira, per recarmi in bagno a fare una veloce doccia.

Rimango sotto il getto caldo per interminabili minuti mentre i miei pensieri si perdono nel passato. Sono passati svariati anni da quando lei è morta eppure mi manca sempre come il primo giorno: la sua perdita rappresenta una cicatrice indelebile dentro al mio cuore.

Esco dalla doccia,mi asciugo e mi vesto in maniera meccanica. Non indosso la solita divisa, dato che oggi è il nostro giorno di riposo dal Centro, bensì un paio di jeans scoloriti e una maglietta con sopra il logo di un vecchio film di dinosauri.

Scendo al piano terra, cercando di fare meno rumore possibile, e li vedo, stravaccati sul divano letto che abbiamo procurato loro: Connor dorme con un pigiama a righe trasversali rosse e gialle mentre Randall sta raggomitolato accanto a lui, con la testa crestata sul petto del ragazzo e la bocca, irta di zanne, semiaperta.

Sembrano due bambini...

Io e Liv li abbiamo praticamente adottati e non passa giorno in cui non sia felice di aver attorno quei due combinaguai.

In punta di piedi, raggiungo la cucina per bere velocemente un caffè e recuperare portafogli e chiavi della macchina. Lascio un biglietto alla mia dolce metà sulla moka per poi uscire dalla porta sul retro, chiudendomela alle spalle senza fare rumore.

Mi dirigo al SUV del Centro, salgo e mi immetto nel traffico mattutino nel giro di pochi attimi, dirigendomi in centro città. Impiego soltanto una mezz'ora per giungere alla fioreria: un negozietto piccolo, dalle pareti color pastello, che vende splendidi gigli.

Un luogo che frequento molto spesso, anche se ultimamente, con la fine del mondo in atto e tutto quello che ne è derivato, non sono riuscito ad andarci.

Appena entro, uno scampanellio annuncia alla proprietaria il mio arrivo. Si chiama Lynette ed è una signora di circa quarant'anni, molto simpatica e gentile, dall'aria materna e i capelli argentati.

«Buongiorno, Liam!» Mi saluta lei con un sorriso affettuoso, da dietro al bancone.

Il profumo dei fiori mi circonda e mi accompagna fino a lei. Le restituisco un sorriso mesto prima di chiederle un mazzo di gigli, come sempre.

«Certo. Ne ho tenuto un mazzo da parte per te» risponde la donna, scomparendo diretto ad una porta giallina con alcune margherite dipinte sopra. «È da tanto che non ti vedo. Mi stavo quasi preoccupando...»

Dopo alcuni istanti, Lynette torna da me con un magnifico mazzo di gigli bianchi e puri come lo era lei: per un attimo mi manca il fiato e mi pare di affogare nel dolore. Però riesco a riprendermi abbastanza in fretta e rimetto a posto la maschera che utilizzo al lavoro, riuscendo persino a parlare con un tono di voce calmo e normale.

«Grazie mille, Lynette. Sei la migliore. Ma non devi preoccuparti per me, sai che me la cavo sempre.»

Lascio sul bancone una banconota da venti prima di prendere il mazzo. Me lo appoggiò al petto e inspira a fondo il profumo dei gigli per poi voltarmi e camminare verso l'uscita.

«E il resto?» Sento la voce di Lynette che mi richiama, ma le faccio un cenno con la mano ed esco dal suo negozio.

Non mi interessano i soldi, non mi sono mai interessati.

Le cose importanti della vita sono ben altre e io ne ho persa una fondamentale per me.

Resisti...

Prendo un respiro profondo prima di montare in macchina: con delicatezza poggio i fiori sul sedile del passeggero per poi mettere in moto il SUV e dirigermi in direzione della mia meta finale.

Il tragitto è breve e lungo allo stesso tempo.

Breve perché guido veloce, scivolando fra le altre auto con scioltezza, incurante dei clacson che mi strombazzano contro.

Lungo perché sono solo e il silenzio mi fa cadere nel baratro oscuro dei ricordi, un posto dolce amaro, che amo e che odio.

Quando giungo al cimitero, il peso sul mio petto si moltiplica, però scendo ugualmente dal SUV, con i gigli in mano e le lacrime nello sguardo. A quell'ora della mattina non vi è nessuno così posso evitare interazioni umane e prestare ascolto soltanto alla mia eterna sofferenza.

Cammino lentamente sul viottolo di pietrisco, che scricchiola sotto le suole dei miei stivali, con gli occhi fissi sulla sua tomba: in questo momento esistiamo solo io e lei.

Non vedo neppure gli alti alberi che costellano quel luogo tranquillo né odo gli uccellini celebrare la primavera.

Siamo solamente io e la mia tenera, innocente sorellina.

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