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Capitolo 3

Appena varcata la soglia di casa, Connor si scrolla come un cane, bagnando dappertutto, ma non me la sento di rimproverarlo.

Sotto sotto mi fa tenerezza.

《Aspetta qui!》Gli ordino, gettando le buste umide sul mobiletto al mio fianco.

Mi tolgo le scarpe e procedo a piedi nudi. Il pavimento è gelido, ma ormai ci sono abituata: non uso pantofole o ciabatte.

Con le chiavi di casa ancora in mano, inizio ad accendere le luci in tutte le stanze che visito. Lascio Connor all'ingresso, confidando che non muova un muscolo, e mi dirigo in cucina per appendere le chiavi, giusto sotto il calendario dove da 4 anni a questa parte spunto i giorni passati senza Kevin.

La tazza del caffè è dove l'ho lasciata, triste e sola in mezzo al tavolo: la recupero e la metto nel lavandino pieno di stoviglie che mi aspettano.

Continuate ad attendere...

Devo aprire vari cassetti prima di trovare uno strofinaccio abbastanza grande da portare a Connor.

《Asciugati con questo mentre ti cerco dei vestiti asciutti.》Gli lancio lo scampolo di stoffa per poi correre verso il primo piano.

Appena salite le scale mi dirigo dritta all'ultima porta del corridoio, ossia la camera matrimoniale, un luogo in cui non entro da molto tempo.

Il corridoio mi sembra interminabile, ma alla fine giungo alla mia meta. Col cuore in gola, appoggio una mano tremante sulla maniglia, forse per il freddo, forse per altro; devo racimolare un po' di coraggio prima di abbassarla.

La camera non è cambiata per nulla: ampia e severa, non rispecchia per niente la mia personalità.
Dopotutto l'ha arredata Kevin e, si sa, gli uomini non hanno molto senso estetico.

Le pareti sono tinteggiate di grigio fumo, un po' cupe, con vari titoli ed articoli di giornali appesi.

Ero...

Sono così orgogliosa di mio marito.

Scaccio le lacrime che minacciano di uscire e, con due falcate, raggiungo il grande comò in legno scuro, dove ci sono ancora tutti i vestiti di Kevin.

Forse dovrei...

Disfarmene...

Ma appena formulo questo pensiero subito lo scaccio.

No, non ce la farei.

Io...

Ho bisogno di tempo.

Ho solo bisogno di tempo.

Sei un'illusa, Liv...

Un potente starnuto mi risveglia dai miei cupi pensieri.

Connor!

Mi sono completamente dimenticata di lui.

Velocemente e senza riflettere ulteriormente, apro il secondo cassetto, quello delle magliette, e recupero una polo nera, che abbino ad un paio di pantaloni grigi di una tuta, presi dall'ultimo cassetto.

Fatto ciò, scappo da quella stanza come se avessi le fiamme dell'inferno alle spalle, e chiudo la porta, stavolta a chiave.

《Arrivo!》grido, continuando a correre, quasi rompendomi il collo scendendo le scale due gradini alla volta.

《Non si preoccupi!》esclama Connor a voce piuttosto alta.《Tuttalpiù mi prenderò la bronchite...》Anche se crede di aver borbottato sottovoce, l'ho sentito ugualmente, ma evito di fare commenti.

《Ecco! Dovrebbero essere della tua taglia!》gli dico, porgendogli i vestiti di Kevin.《Il bagno è di là!》Gli indico la via giusta con l'indice prima di aggiungere.《Non vorrei che ti venisse la bronchite!》

Non ho resistito.

Connor arrossisce fino alle orecchie, bofonchia qualcosa che, fortunatamente, non capisco e schizza verso la porta in fondo al corridoio.

Ridacchio come un'adolescente mentre torno in cucina con l'intenzione di preparare qualcosa di caldo. Apro un po' di antine, ma sembra che la mia dispensa sia stata razziata da un branco di lupi.

Dovrei fare la spesa...

Da quando sono rimasta sola, vivo in maniera irregolare: dormo sul divano e mangio quello che mi capita a tiro. Fortunatamente ho un buon metabolismo quindi smaltisco presto tutti i grassi che ingurgito.

《Quando sei pronto vieni in cucina!》grido all'indirizzo di Connor ed aspetto una sua soffocata risposta prima di continuare la mia ricerca.

Eureka!

Con il barattolo del caffè stretto in mano ed un'espressione di vittoria dipinta in volto, inizio, con gesti rapidi, a preparare la vecchia moka che mi ha regalato Kevin.

Mentre il caffè è sul fuoco, torno in ingresso, decisa a leggere la posta, ma le buste sono così umide che prima le asciugo, aiutata dal calore sprigionato dal piano cottura.

La prima lettera è di un mio collega americano che vuole un mio parere a proposito di uno studio sulla paleobotanica, materia in cui sinceramente non eccello.

La seconda, invece, arriva dalla mia banca che mi propone per l'ennesima volta il bancomat.

Insistenti!

Sbuffo, quasi rassegnata, mentre apro la terza busta che, stranamente, non ha l'indirizzo scritto sopra.

Strano...

Forse è stato cancellato dalla pioggia...

Do' una breve occhiata alle altre, ma, anche se sbavato, loro l'indirizzo ce l'hanno ancora.

Una strana sensazione inizia a farsi strada dentro di me, quasi un brivido di paura, ma scaccio tutto, scuotendo la testa.

Non essere stupida, Liv...

È solo una busta...

Che male può fare?

Con dita un poco tremanti la apro e scopro che non contiene una lettera, bensì una fotografia, alquanto sgranata a dire la verità.

Perplessa e curiosa, la poggio sul tavolo e la studio in ogni suo particolare.

A prima vista sembra un fotogramma ricavato da una telecamera di sorveglianza: si vede una figura, forse un uomo, che corre verso un bosco, con la testa girata all'indietro come per controllare se qualcuno lo insegue.

Aguzzo la vista e focalizzo la mia attenzione su quell'uomo mentre il cuore inizia ad accelerare i battiti, in preda ad una crescente paura.

È alto, ha capelli scuri, incolti e scarmigliati, una barba di tre giorni che ne altera i lineamenti, però...

La maglia che indossa...

È bianca con l'impronta, di colore nero, della zampa di un T-Rex, ma quello che mi fa tremare è la macchia rossa appena sotto il disegno.

Non è possibile...

Dopo tutto questo tempo...

Mi alzo con uno scatto che fa quasi cadere la sedia, mi allontano da quella foto, terribilmente spaventata come se potesse divorarmi da un momento all'altro, e corro in soggiorno alla ricerca della mia lente d'ingrandimento.

È l'unica cosa che può fugare ogni mio dubbio.

Dove l'ho messa?

Nella mia frenetica ricerca, getto a terra libri e documenti, creando una confusione pazzesca, ma non m'interessa. La devo trovare anche se dovessi mettere a soqquadro l'intera casa.

Il mio corpo è scosso da brividi incontrollati mentre il respiro si fa difficoltoso: ho paura di sapere, ho paura di conoscere la verità. Ma, nella stesso tempo, io voglio far luce su quel mistero.

Potrebbe trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto, atto solamente a ferirmi, però non lo credo possibile.

Quello che penso è molto più spaventoso.

《Prof! Che succede?》mi chiede uno sconcertato Connor, ma non gli do' udienza.

Potrebbe cadere il mondo ed io nemmeno me ne accorgerei, concentrata come sono sul difficile compito di trovare la mia fida lente.

Trovata!

Finalmente riesco a recuperare quell'odioso oggetto: era finito, chissà come, fra i cuscini del divano.

Immediatamente vengo sommersa da un'ondata di sollievo così impetuosa che rischio di annegare.

Torno velocemente in cucina, mi siedo e cerco di calmarmi per quanto possibile. Poi, con l'ausilio della lente appena ritrovata, analizzo nuovamente la fotografia.

Quei lineamenti.

Quella maglia rovinata.

Anche se la qualità dell'immagine non è il massimo ed il volto della persona ripresa è nascosto dalla barba, io lo riconosco.

Lo riconoscerei ovunque.

Quello è Kevin.

Mio marito.

Ed è vivo.

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