𝚝𝚞𝚗𝚗𝚎𝚕𝚟𝚒𝚜𝚒𝚘𝚗 :: 𝟷
✿ ship :: KiriBaku
➭ ✧❁ SMUT alert :: tutta la terza parte
➥✱ song :: "TUNNELVISION", STARSET
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➤♡❆ comfort fic for :: obvjao81194
➸★✺ disclaimer :: io lo dico sempre perchè sia mai, il mio bakugō è un po' soft. io lo vedo come un personaggio aggressivo all'esterno ma molto dolce e affettuoso con chi si fida (kirishima in primis), per cui non lo trovo ooc (out of character), ma è una mia interpretazione personale. (anche sessualmente, per me kat è non solo bottom ma anche sub, proprio perchè è di quelle persone che hanno a lot going on in their lives e hanno bisogno nel privato di mollare completamente il controllo.)
➠♡༊ written :: 24/11/21
⧉➫ genre :: fluff, smut, kinky
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
A me, parlare di me stesso, per quanto sembri che sia una delle mie attività preferite, non è mai piaciuto più di tanto.
Mi piace che gli altri parlino di me, questo sì, perché mi piace essere qualcosa di universalmente riconosciuto come importante.
Mi piace che gli altri mi ammirino, mi temano, mi rispettino.
Non mi piace dover spiegare perché tutto questo, ricada proprio sulla mia persona.
Mi crea grande soddisfazione vedere il mio nome seguito dai complimenti che le reti mediatiche mi affibbiano, perché riconoscono una vita di duro lavoro e impegno.
Non amo, al contrario, che mi venga chiesto perché io l'abbia fatto, quel duro lavoro, che cosa mi abbia portato a farlo e cosa abbia funzionato per me.
Sono geloso di me stesso?
Non lo so, forse sì, forse no.
Non è che sia l'idea di rivelare il mio segreto, ad infastidirmi, ma il dovermi presentare come persona.
Non sono una persona semplice, non lo sono mai stato, non sono qualcosa di esplicabile con qualche risposta a qualche domanda, non basta chiedere "come hai fatto a raggiungere la vetta su cui ora ti siedi così fiero" perché riesca a spiegarlo.
C'è così tanto, così tanto.
C'è tanto dolore, tanta dedizione, tanta passione, tanta forza ma anche tanta debolezza.
E di parlare della mia debolezza, con uno stronzo che mi parla dietro una telecamera, non ho decisamente voglia.
Sistemo una gamba sotto al culo, l'altra la lascio penzolare fuori dalla sedia che mannaggia a loro è troppo alta per me che sono un uomo medio giapponese e non sono particolarmente imponente, chiudo le braccia al petto e guardo l'obiettivo come se fosse un nemico da uccidere.
Dicono che sembro molto più minaccioso quando sono vestito da civile e mi fanno domande in una qualche emittente televisiva che quando mi riprendono mentre esco dalle battaglie.
Forse che c'è quasi sempre Eijirō con me, in quelle occasioni, forse che sono meno intimidito dalla lotta che dalle parole.
Paradossale?
No, non è paradossale per niente, è vero.
Dire agli altri che uccido e frantumo e distruggo è facile, perché non devo farlo ma mostrarlo solo con le azioni, che quelle sono, pure, limpide, pulite e chiare.
Le parole non sono mai state mie amiche e mi mettono a disagio.
Non so perché.
Sono fatto così.
Aspetto che il giornalista si sieda dall'altro capo del tavolo, non gli rivolgo nemmeno uno sguardo, sento i miei muscoli tendersi e rilassarsi al ritmo del mio respiro.
Che merda.
Ma perché cazzo gli interessa così tanto che cosa penso, a questi stronzi?
Non gli basta che sconfigga i cattivi?
Ingrati.
Pretenziosi.
Come se potessero cavare fuori qualcosa di utile dalle mie parole, poveri illusi.
Già sarebbe tanto se riuscissi a rispondere ad un paio di domande senza essere bollato come "contenuto per adulti" e spostato dopo l'orario sicuro.
Oggi sono in diretta.
Che merda, essere in diretta.
Vuol dire che mi devo... contenere.
Io.
Contenere.
Mi viene da ridere, sul serio.
Quando mai mi sono "contenuto" in tutta la mia vita? Ma se lo ricordano cosa ho fatto al primo Festival Sportivo alla UA? Eravamo in diretta e mi hanno dovuto legare, porca di una puttana, che li avrei fatti saltare in aria in un istante, se non l'avessero fatto.
Scuoto un po' le gambe per cercare di rilassarmi, quella libera che balla avanti e indietro nell'aria.
Questa merda di sedia.
Non sono Shinso, io, non ho due metri di corpo da contenere su un paio di braccioli stretti.
Dove l'hanno presa?
Forse nell'ufficio di Eijirō, ora che ci penso.
Oh, ecco, a proposito di Eijirō.
Non credo che riuscirei a passare quest'intervista senza di lui.
Non perché serva a me, ecco, più che altro perché serve a quelli che me la fanno, l'intervista.
Non credo esista al mondo persona che possa fermarmi se mi scaldo, a parte Eijirō.
È qua per salvarli.
Che carino.
Passo una mano sudaticcia sulla fronte per spostare i capelli dalla faccia, mi stendo di più sulla sedia, appoggio la schiena indietro, respiro.
Calmo, Katsuki, calmo.
Nessuno vuole venire a infilarsi nella tua vita privata, nessuno vuole sbatterti in faccia ricordi traumatici del passato, nessuno ti sta sezionando una fettina alla volta per studiare che cosa di te sia tanto speciale.
Spero.
Considerando che la prima intervista pubblica che ho fatto, quando ero ancora al liceo, l'ho conclusa a metà perché mi avevano chiesto dell'incidente del fango che ho avuto in terza media, me lo auguro per loro.
Li avevo uccisi, quelli, o quantomeno c'ero andato vicino.
'Fanculo, non si gioca con i PTSD degli altri.
Sposto lo sguardo verso le persone sedute dietro la macchina da presa, un po' dello staff e un po' di persone venute a sentirmi dal vivo.
Costretto, sono stato costretto, lasciatemi in pace.
Io ed Eijirō, la nostra agenzia, abbiamo uno di quegli eventi sociali merdosi in programma oggi, uno di quelli in cui passo le ore a guardare nel vuoto immaginando quanto sarebbe divertente farli esplodere tutti, uno per volta, mentre chiacchierano dei cazzi loro con me.
Intervista, cena, casa.
Non mi avrebbe fatto impazzire dal fastidio, la cosa, se solo non fosse che...
L'intervista la vogliono fare a me.
Perché a me?
Eijirō è tanto bello, ha la faccia giusta per la TV, è adorabile e tutti lo adorano. Intervistate lui, cazzo, lui che sorride e racconta se stesso senza problemi.
No, invece loro volevano me.
Bastardi.
Vi odio.
Vi ucciderò tutti, tutti, lo giuro.
Sento il rumore dei fogli che scorrono, inizio a prendere in considerazione l'idea di spegnere l'apparecchio acustico e rispondere alle domande completamente a caso.
Sì, non ci sento.
Se esplodi di lavoro, non ci senti.
È tanto improbabile?
No, non lo è.
E poi l'apparecchio acustico funziona alla perfezione, me l'ha fatto quella tipa con i dreadlocks rosa del dipartimento di supporto.
Non è stato carino scoprirlo, che non ci sentivo più, ma è un'altra delle cose che non mi piace raccontare, mettiamola così.
L'intervistatore si schiarisce la voce.
Devo iniziare?
Merda, devo iniziare.
Prima di girarmi verso di lui, giusto per mia sanità mentale, lancio uno sguardo dietro al tizio che tiene la macchina da presa, oltre le sue spalle, verso un viso sorridente che mi fa sentire giusto un po' meno a disagio.
Leggo le sue labbra.
"Puoi farcela, ti amo".
Prendo in considerazione l'idea di rispondere come ha fatto lui, ma opto per chiudere una mano e strofinare l'altra sul dorso.
Sembra una stronzata?
Beh, vuol dire "ti amo" nel linguaggio dei segni, quindi 'fanculo, non è una stronzata, è una delle cose che ho imparato mentre ero completamente sordo.
Sorride, sorrido io, mi giro verso l'intervistatore.
− È pronto? – mi chiede, lo sguardo secco, curioso di chi fa questo lavoro.
Merda, mi sembra che voglia vivisezionarmi.
Calmo, Kat, calmo, calmo.
− Sì. –
Mi mordo la lingua prima di dire "cazzo".
In diretta TV, pomeriggio, ci sono i bambini che ti guardano. Fa' il bravo, fa' il bravo, maledizione.
Non sorride, il giornalista, più che altro si gira verso la macchina da presa e mi annuncia al pubblico, come se gli stronzi non sapessero chi sono.
Se guardano l'intervista lo sanno, testa di cazzo, non credi?
Farà lui.
Cazzi suoi.
Mi si stringono le dita fra di loro ma le sciolgo con calma, cerco di sembrare più rilassato, più tranquillo, fisso lo sguardo su di lui quando finalmente finisce di dire cazzate che sapevano già tutti.
Non so bene che domande mi voglia fare, di solito le mandano prima, ma questa volta no. Hanno dato qualche macro-argomento di base, qualche idea, ma niente di ben definito.
Un altro motivo per il quale sono a disagio.
Prima cosa che mi deve chiedere, il lavoro, questo lo so.
Sul lavoro vado forte, cazzo, vado fortissimo, me lo posso portare a casa senza fastidi.
Vero?
Mi saluta, io saluto, faccio una sottospecie di sorriso all'obiettivo per cercare di far finta di essere normale, mi appoggio col gomito sul tavolo mentre guarda la prima domanda.
− Come ci si sente ad essere il Number Two a soli vent'anni? –
Come ci si sente.
Come ci si sente?
Che cazzo ne so io come ci si sente.
Che domanda del cazzo.
− È fico. – mi viene da dire, di riflesso, e sento un silenzio assordante quando finisco di dire le uniche due parole che mi sono venute in mente.
Mi guardano come se...
Devo dire qualcos'altro?
Che cosa devo dire?
Oh, merda, merda.
Deglutisco la saliva, cerco di respirare.
− È fico perché ho lavorato tanto per arrivare fino a qui, ho fatto molti sacrifici e mi sono impegnato e riuscire dopo uno sforzo del genere dà un senso a quello che fai. – borbotto, cercando un po' di barcamenarmi nel concetto.
− Quanti anni sono che sa di voler fare l'Hero? Quando si è reso conto di essere nato per fare questo? –
− Tutta la vita. –
Su questo non balbetto.
Questo...
Lo so e basta, credo.
Il pubblico fa un verso a metà fra l'ammirazione e l'approvazione.
− È tutta la vita che sogno di essere questo, ed è tutta la vita che ci lavoro su. –
Sorride, l'intervistatore, sorride e sorrido anch'io mentre lancio uno sguardo furtivo verso Kirishima che mima, sempre con le labbra, "stai andando benissimo, amore, niente panico".
Stronzo con i capelli di merda.
Mi sciolgo, così.
− Cos'è che le piace del suo lavoro? Essere un Hero è un mestiere nobile, è vero, ma è anche pericoloso. C'è qualcosa che l'ha ispirata al punto da voler intraprendere questa strada? –
Difficile, difficile, difficile.
È complicato.
Respiro.
− Credo che all'inizio m'interessasse di essere forte, il più forte. Ora mi piace esserlo, mi piace combattere e mi piace anche tutelare la giustizia nella comunità. –
Mi piace perché so che cosa si prova, quando i Villain ti rovinano l'esistenza, ma questo non lo dirò.
Mi piace perché c'è gente là fuori che si sente come mi sono sentito io, e so quanto è difficile.
− Perché ha aperto una sua agenzia, invece di affiliarsi a qualche Hero più esperto come sidekick? –
Menomale, un'altra facile.
− Non mi piace sottostare agli ordini degli altri. Io faccio il mio lavoro come mi pare, non me ne frega un... non m'importa se è economicamente rischioso, non passo la vita a sperare che mi lascino un'eredità, io me la faccio da solo. –
Mi sono corretto all'ultimo.
Mannaggia a me e ai miei modi non particolarmente eleganti.
− Ma lavora con un socio, no? –
− Sì, lavoro con un socio, ma siamo alla pari, è diverso. –
Che io e Kirishima stiamo insieme, lo sanno tutti.
− Non ha appena detto che odia chi le dà gli ordini? Lavorare con un socio implica dover scendere a patti. –
Alzo lo sguardo di scatto.
Cos'era quello? Tono di sfida?
Stronzo, io sono qui per farti un favore, non per farmi contraddire sulla mia vita privata o farmi interrogare come se fossi un criminale.
Mando giù la rabbia.
− Io con Riot non ci scendo a patti, rispetto il suo parere, che è un'altra cosa. –
− Quindi non rispetta il parere degli Hero più anziani? –
M'irrigidisco.
Bastardo che crede di vincere, eh?
No, no.
Proprio no.
− Io e Riot stiamo insieme da cinque anni, quando dico che rispetto il suo parere non significa che quello degli altri sia merda, ma che il suo vale di più. –
Sospiro dalla platea, sospiro che mi scalda le guance.
Mi è scappata una parolaccia?
Eh, cazzi suoi, mi sta innervosendo.
− Oh, capisco. –
Capisce.
Capisce, capisce, non c'è bisogno di scaldarsi. Forse è fan della vecchia generazione, forse si è irritato temendo che non li rispettassi, può avere senso.
Non c'è bisogno di arrabbiarsi.
Non ce n'è.
− Ci sono tante persone che ci guardano da casa, come si sente all'idea di avere così tanti fan? –
Come mi sento?
Ripeto, ma io che cazzo ne so come mi sento.
Felice, credo?
− Mi mette un po' di soggezione, mi sembra ieri che facevo il liceo e ora mi chiedono gli autografi per strada. So che non sembra, ma sono piuttosto riservato. – sbotto, cercando di non sembrare aggressivo mentre lo dico.
Qualche anno reagivo urlando a qualsiasi cosa, nel tempo ho imparato a sezionare e conoscere un po' meglio le emozioni e la verità è che... è vero, sono riservato.
Non odio i fan, è che credo... di essere timido.
− Riservato? Lei? L'ho vista urlare più di una volta e non mi sembrava "riservato". – dice ridendo, come se fosse una battuta simpatica.
Forse lo è.
Dovrei ridere?
Il pubblico ride.
Sorrido, quantomeno tento di farlo.
− Quando siamo sul campo mi lascio un po' trasportare, mettiamola così. – mi ritrovo a dire, non sapendo bene come argomentare.
Cosa vuole che gli dica?
Urlo, sul campo, ma lo stronzo mica si rende conto che essere sul campo ed essere per strada sono due cose diametralmente opposte, pensa che mi comporti mentre combatto e mentre vivo allo stesso modo.
Questo ha il cervello piccolo come un chicco di riso, ci scommetto.
Minuscolo.
− L'abbiamo vista sul campo una settimana fa, era con qualche altra agenzia, ora non ricordo bene quale. –
− C'era Denki. –
− Denki? –
Mi mordo l'interno della bocca. È vero, merda, mi dimentico che ci chiamano coi nomi da Hero, questi pezzenti.
− Chargebolt. –
− Ah, sì, quello che si frigge il cervello. È divertente, quel ragazzo. –
Sento le spalle irrigidirsi, ma le sciolgo con un sorriso.
Cos'ha detto di Denki?
Era una presa per il culo, mi sbaglio? No, in effetti anche Kaminari ci scherza su, è pieno di post che ha fatto lui stesso sulla cosa, non è niente di male.
Vero?
− Pikachu è un fico, anche se non sta mai zitto. – borbotto, lasciando defluire la rabbia.
− Siete amici? –
Annuisco.
− Non mi chieda come, non lo so nemmeno io. –
In effetti, non lo so proprio. Credo c'entri qualcosa Eijirō, perché io e Kaminari, in comune, non abbiamo davvero niente.
Vorrei spalmarmi una mano sulla faccia al pensiero delle mille storie che farà con me in loop che dico che è un fico, ma ignoro la questione.
− Va d'accordo con gli altri Hero? –
Scrollo le spalle, annuisco.
− Davvero? Non sembra davvero il tipo da andare d'accordo con gli altri, lei. –
Vedo Kirishima con la coda dell'occhio.
Sembra...
Mi sorride, mi sorride e tutto il resto diventa ininfluente.
Anche il fatto che abbia le spalle tese.
Chissà perché.
− Non sono gentile, se mi sta chiedendo questo, ma andiamo d'accordo. Si impara a lavorare insieme, se si fa quello che faccio io. Certe volte ti salva il culo. –
L'intervistatore mi guarda, sistema gli occhiali sul naso e annuisce.
− E lei? Qualcuno l'ha mai salvata? –
Mi sembra di sprofondare nella sedia.
Se qualcuno...
Niente panico, niente panico, niente panico.
− È successo, succede a tutti. –
− Ci vuole raccontare com'è andata? –
Giro la testa.
Viso calmo, dolce dietro le spalle di una telecamera.
Ha le gambe larghe, Kirishima, che non c'entra bene sulle poltroncine che hanno messo, una felpa vecchia e nera, i jeans. Ha i capelli sparati col gel perché dice che non avrebbe fatto in tempo a sistemarli prima della cena, ma per il resto sembra uscito da una giornata qualsiasi.
Ha la mano stretta sul bracciolo della sedia.
Qualcosa lo mette a disagio.
Ed eppure, quando lo guardo, sorride come sorride sempre.
Vedo che mi indica, poi disegna un cerchio con il dito nell'aria, incastra il pollice sotto il mento.
"Non sei da solo", linguaggio dei segni anche questo.
− L'ultima volta credo che sia stato Shōto, mi ha parato il culo da un attacco diretto che non avevo visto. Prima non ricordo bene, sono tanti episodi ma per motivi personali preferisco evitare di parlarne. – dico, mantenendo la calma.
Non è essere deboli, evitare la conversazione.
È autoconservazione, è volersi bene ed è essere riservati.
− Shoto Todoroki, il figlio dell'ex Number Two? Non sta con Deku, ora? –
Mi viene quasi da ridere, con la velocità del cambiamento di discussione, ma prendo quel che viene pur di lanciare il discorso da qualunque parte non riguardi la mia sfera prettamente privata.
− Ora? Quei due cretini stanno insieme dal Pleistocene, sono praticamente sposati. –
− Come lei e Riot? –
La mia faccia diventa di fuoco.
Ok, forse era quasi meglio il PTSD.
Mannaggia a loro e mannaggia a Kirishima.
− Io e Riot stiamo insieme da prima di loro, in effetti. Ma siamo meno appiccicosi. – tento, roteando indietro gli occhi.
Mina direbbe che non è vero, che siamo gli schifosi più schifosi del mondo e che siamo due cozze senza speranza, ma non è qui, non può farlo.
− Già, dimostrate molto poco in pubblico, loro sono più espansivi. –
Sento la cima degli zigomi che inizia a scaldarsi, abbasso lo sguardo.
Il rapporto fra me ed Eijirō, se non siamo da soli, è esclusivamente professionale. L'unica volta che ci hanno beccato meno freddi l'uno con l'altro è stato quando siamo andati a fare la spesa qualche mese fa.
A nostra discolpa non credevamo ci fosse nessuno.
E baciarsi davanti ai surgelati non è illegale.
− Non vi baciate nemmeno dopo le battaglie, ora che ci penso. Sicuri di stare davvero assieme? – mi sento chiedere, e di nuovo, per l'ennesima volta, la domanda mi lascia interdetto.
Sta insinuando qualcosa?
E perché, se lo sta facendo, non riesco a capire che cosa sia?
− Teniamo il rapporto fra noi due privato, per noi funziona così. È tanto interessante, che cosa facciamo io e il mio ragazzo a porte chiuse? – sbotto, un po' sulla difensiva.
− Non volevo metterla a disagio, non si scaldi, era solo genuina curiosità. –
Non scaldarmi.
Non devo...
− Pensa che rimarrete insieme in futuro? –
− Eh? –
− In futuro, intendo. Rimarrete insieme? –
Spalanco gli occhi, completamente congelato.
Che cazzo fa, ci prova con me?
No, forse vuole solo infastidirmi.
− Sì. – è l'unica cosa che dico, perché non c'è altro da dire.
Le gambe di Eijirō, ora che le guardo, ballano come se le stesse appena appena scuotendo, come fa quando è nervoso.
È nervoso?
Perché è nervoso?
C'è qualcosa che non va, non è vero?
Non riesco a...
Mi rendo conto che anche il pubblico non sta facendo rumore, quasi per niente. È come se tutti fossero tesi, tesissimi, come se qualcosa stesse per spezzarsi.
Che cosa...
− Non crede che una relazione con un Hero molto più debole di lei la affossi lavorativamente parlando? –
Oh.
Capisco.
Volevano che...
Un fenomeno da baraccone, volevano un fenomeno da baraccone.
Volevano far arrabbiare Katsuki, scrivere un bel titolone acchiappa-soldi su me che perdo la pazienza e prendermi per il culo.
Ecco cosa metteva in ansia Eijirō.
No, che non erano domande normali, erano domande infide, che insinuavano, fastidiose.
Per farmi...
− Scusami? –
− Riot è molto più debole di lei, questa cosa, per il suo lavoro, non è un peso? –
Mi sa che...
Mi sa che ci è riuscito.
Posso dire?
Mi sa che ci è riuscito.
− Il mio ragazzo è due metri di uomo che tira su i muri, sei davvero sicuro che tu possa chiamarlo "debole"? –
− È indietro nella classifica. –
− È sesto. A vent'anni. –
Fuoco.
Fuoco che diventa dinamite sulla pelle, che diventa fastidio.
Si combinano, le cose, da una parte la sensazione di essere stato manipolato come un coglione, dall'altra che...
Oh, ma di che cazzo stiamo parlando?
È Kirishima, quello di cui questo figlio di puttana parla.
− Anche lei ha vent'anni, ed è il numero due. –
− Perché io sono un Hero d'attacco. Eijirō è da difesa, lui non uccide i cattivi, lui salva le persone. –
Fuoco fra le dita, fuoco fra le articolazioni, fuoco che scoppietta ovunque.
Sto per...
− Forse è per questo, che non si fa mai vedere in pubblico con lui, perché la imbarazza? –
Mi alzo dalla sedia.
Le mani si aprono sul tavolo e tutto il resto scompare.
Lavora bene, il bastardo, davvero. Ha talento, ne ha sul serio.
Lavorarmi così, mettermi a disagio con la richiesta di un'intervista, limare lungo i bordi sfiorando il discorso del mio disturbo, dei miei amici, della mia ambizione per poi colpire in pieno petto quando sono talmente confuso da non rendermene conto.
Purtroppo, i bastardi, io li ammazzo di lavoro.
− Prova a dire un'altra volta che m'imbarazza stare con Eijirō e ti ammazzo. –
Le mani si scaldano contro il legno del tavolo.
− Non si arrabbi, è solo una domanda, insomma. –
Sento la mia mascella stringersi.
− Ce l'ho anch'io una domanda, se lei permette. –
− Che fa, mi ruba il lavoro? –
Rido, di una risata amara, per nulla divertita.
Lo vedo, che Eijirō si alzato dietro la macchina da presa, e lo vedo che il pubblico è come completamente rapito da quello che sta succedendo, ma non ho intenzione di fermarmi.
− Tu lo sai perché sono qui? –
− Perché lavora in questo posto...? –
Deglutisco.
Kirishima muove un passo.
Non gli permetto di fermarmi.
− Io sono qui grazie a lui. –
Il silenzio diventa tombale quando indico il mio ragazzo con un gesto del capo.
− Io sono qui perché è l'unica persona che ha avuto la forza di pensare che ci fosse più di una causa persa, in me. –
Stringo le dita sul bordo del tavolo.
− Io combatto e sono il fottuto Number Two, perché Kirishima Eijirō ha continuato ad amarmi per cinque anni, se non l'avesse fatto, non sarei qui. –
Sento qualcuno che sospira.
No, non è una cosa che dico perché qualcuno sospiri.
Lo dico perché è la verità.
− Lei è un ragazzo innamorato, e questo è ammirevole, ma... −
− Tu lo sai cosa si prova a non sentire più niente? –
Merda, merda, merda, non sto per dire in TV quello che penso, vero? Ma devo, devo, perché è la verità, perché Kirishima se lo merita e perché...
− Katsuki, non c'è... − mi sento chiamare di lato, il corpo imponente del ragazzo che amo che mi si avvicina, scuote la testa.
Non c'è bisogno?
C'è bisogno.
C'è...
− Tu lo sai, figlio di puttana, lo sai? Lo sai cosa si prova ad essere seppellito dalle macerie di un'esplosione che non sei riuscito a controllare, mezzo morto, mentre ti rendi conto che non senti più nulla? –
Kirishima si ferma.
Non vuole...
No, non ci piace ricordarlo.
Ma è successo, ed è la verità.
− Non riuscivo a sentire i soccorsi, non riuscivo a respirare, di nuovo. –
Sposto la mano.
Ho lasciato un segno scuro in corrispondenza dei palmi, sono esplosi piano.
− Ho passato tre ore a piangere, là sotto, credendo che sarei morto, che sarei morto da solo. –
Non ho paura e non mi viene da piangere come al solito, mentre lo dico.
No, sono talmente infuriato che non succede niente.
Non urlo, non sbraito, non...
La calma è davvero la più violenta delle emozioni, mi ritrovo a pensare, e dire che in questo modo non l'avevo provata mai.
Non si muove niente.
Non un fiato, non un respiro, niente.
− Lui mi ha tirato fuori da là. Non Deku, non Shōto. Non sapeva nemmeno che fossi io, credeva che fossi un civile. Lui era lì, tre ore dopo l'attacco, a salvare le persone, ignaro che fossi disperso, e ha salvato me. –
Lo ricordo come fosse...
Come fosse ieri.
Io so soltanto che era tutto muto, tutto silenzioso, nemmeno la mia voce faceva più alcun rumore. Ricordo la mia faccia rigata di lacrime, le braccia che tremano, il petto scosso dai singhiozzi.
Ricordo che quando qualcosa si è spostato, quando la pila di macerie che mi lasciava appena lo spazio per respirare ha tremato sopra il mio corpo, sepolto vivo com'ero, pensavo che mi avrebbe schiacciato.
Ricordo la paura.
Ricordo il suo viso, ricordo di aver pensato che aveva senso, che il paradiso per me avesse quell'aspetto.
Ricordo...
− Se conti tutte le cose che ha permesso a me di fare, forse ti rendi conto di che Hero sia Eijirō. –
Ricordo mani che si stringono contro le mie spalle, lacrime di disperazione mista a sorpresa, parole che non sentivo ma che avevo stampate così a fondo, nella mia mente, da conoscere a memoria.
− È facile, dire a me o agli altri che attaccano che siamo dei grandi Hero, perché noi facciamo saltare le cose in aria e a tutti piacciono le cose che fanno rumore. –
Non sto urlando.
Com'è possibile?
Non sto...
− Eijirō si è fatto da solo, si è tirato su da solo, ha creduto in se stesso da solo. Io non ce l'avrei fatta, al posto suo, e non sarei mai arrivato dov'è ora. È la persona più forte che conosca. –
Un altro sospiro in sala che ignoro.
− Prova a dire un'altra volta che è debole. Prova, davvero, prova. –
Il giornalista è impietrito.
Io...
Mi lascio cadere indietro sulla sedia, sfinito. Ero teso, non lo ero forse?
Merda, mi sembra di aver appena combattuto una di quelle battaglie orribili.
Cerco...
Sorride, come sorride.
Leggo le sue labbra.
"Non c'era bisogno", dice.
Oh, amore mio, c'era.
C'era davvero.
Muovo le dita dal basso verso l'alto, poi mi indico.
"È importante per me".
Giro il viso verso il giornalista, che è... non saprei come definirlo, né tantomeno, se posso essere onesto, m'interessa.
− Eri qui per farmi incazzare? – mi viene spontaneo chiedere, poi.
− No, io... −
− Su, dimmelo. –
Sono a mio agio, stranamente, ora. Sono a mio agio dopo aver spiaccicato un mio trauma in diretta televisiva.
Che cosa stupida.
− Erano solo delle domande, non credevamo che... −
− Che dirmi che il mio ragazzo è debole mi avrebbe fatto incazzare? Dai, non prendetemi per il culo. –
Alza una mano verso la macchina da presa, la scuote.
Credo che interrompa la diretta, tanto figura di merda per figura di merda, immagino voglia solo pararsi il culo.
Si gira verso di me.
Eijirō inizia seriamente a camminare.
− Sai com'è fatto questo mondo, volevo solo qualcosa che fosse spendibile e che facesse notizia, ragazzino, niente di personale. –
Ah, niente di personale, ok.
Niente di...
− Hey, tu, grazie e vaffanculo amico, "debole" a chi? –
Divento completamente di burro.
Che sensazione piacevole, miseria.
La spina dorsale che si scioglie, i muscoli che si fanno molli, le gambe che si liquefanno poco a poco.
Mani sulle mie spalle, petto contro la mia schiena, profumo familiare di chi di me, si prende cura per davvero.
− Anche tu, niente di personale. –
− Niente di personale? Avevamo mandato uno script dove si consigliava caldamente di evitare domande delicate e lei le ha chiesto in quali occasioni fosse stato salvato. Ma sa leggere? –
Giro la testa.
− E che c'entra, ora? –
Qualcuno nella sala, credo lo staff, sta facendo alzare le altre persone, la maggior parte credo fossero giornalisti anche loro.
Alcuni, però, fanno un po' di resistenza.
È come se volessero... sentire.
− Kat, ma stai scherzando? Questo bastardo è venuto qui... −
− Che cosa ha detto di te, Eijirō, se mai, cretino. –
− Aah, mi frega niente di cosa dice di me. – tira via, come se davvero non gli importasse.
Io credo che sotto sotto gli importi, un po', ma quando mi appoggio un po' più indietro e mi rendo conto che i suoi muscoli non sono tesi ma rilassati, credo anche che quel che ho detto l'abbia rassicurato com'era giusto che fosse.
Vedo il flash di una foto e mi giro verso un cellulare puntato verso di me.
Non dico niente, però.
Tanto, ormai.
Poi non è che la posizione sia compromettente, siamo solo vicini, è normale.
− Lei non è il reporter che aveva assunto lo sponsor, non è vero? – borbotta Eijirō, dunque, la testa che si avvicina alla mia.
Sì, appoggia il mento sopra la mia testa qualche volta.
È imbarazzante, ma è anche carino.
− Hanno ingaggiato la mia compagnia, ho solo fatto in modo di esserci per gli affari. Ripeto, è solo lavoro, non è niente di personale. –
− E sai cos'è personale? – sbotto fra i denti, guardandolo dritto in faccia.
Personale è il pugno che ti arriva in gola se non smetti di parlare e scompari, è la risposta che vorrei dire, ma dalla spalla la mano di Eijirō arriva al braccio e stringe, come a dirmi di non farlo.
− È personale che lei ora verrà scortato fuori e ci farà il favore in futuro di non mettere mai più piede qui dentro. – completa.
Elegante, troppo elegante.
Rimango saldo sul pugno in gola.
Non mi sembra un'idea malvagia.
− Bah, come volete, ragazzini. È comunque materiale utile, il tuo breakdown di prima, se pensi che non sarà su tutti i titoli domani speri male. – mi fa notare.
Alzo le spalle.
− Non è niente di cui mi vergogni. –
− Meglio così. –
In effetti...
Mi mette a disagio espormi, dire chi sono, aprirmi, farmi conoscere per qualcosa che siano parole, non azioni.
Ma non mi pento e non riesco a farlo, se ci penso, perché quel che ho detto è solo la verità ed è una verità che Eijirō si meritava.
Il giornalista scende le scalette del piccolo palco, i fonici parlottano fra di loro, la segretaria spinge fuori gli spettatori con la cartelletta.
− Come ti senti? –
Mi concedo la debolezza di tirare la testa indietro.
− Sfinito. –
− Ti ha fatto venire il panico? –
− Sì, ma non è successo niente. –
Mano che scende, scende fino al mio fianco, stringe le dita.
Bacio sul retro della testa.
− Mai più interviste da solo? –
− Mai più, merda, è stato orribile. E sai che non mi piace ricordare quello che è successo, cazzo. –
L'altra mano raggiunge la prima, si chiudono di fronte a me, mi spingono indietro.
Casa dolce casa, l'abbraccio di Eijirō, così nel rumore dell'ufficio come nella polvere della distruzione.
− Grazie per tutto quello che hai detto. Non credo ne valesse la pena, soprattutto se ti ha fatto stare male, ma grazie. Significa molto per me e ti amo tanto, Kat. –
Mi lascio avviluppare dalle sue braccia.
− Ti amo tanto anch'io. –
Il suo cuore batte contro la mia schiena, un colpo alla volta, un istante alla volta.
Sto meglio, con Eijirō, sto meglio perché c'è, mi ha dato così tanto, mi ha difeso e protetto e sostenuto per tutto questo tempo, mi ha amato e mi ha insegnato ad essere migliore.
Non mi piace parlare di me stesso.
Ma se servisse a difendere lui, miseria, andrei persino a cena da Deku e il Bastardo a Metà.
− Hanno detto qualcosa mentre chiudevano l'intervista? –
Eijirō era dietro il fonico, aveva il monitor della diretta di fronte.
− Hanno mandato un presentatore in studio a dire che l'intervista era finita, niente di che. Ma Twitter è esploso, se te lo stai chiedendo. –
Alzo gli occhi al cielo.
− Che dicono? –
− Che sei fortissimo e che ti amano e che amano me e che vogliono vederci baciare prima o poi perché renderebbe la loro vita un sogno. –
Sbuffo a metà fra una risata ed un sospiro.
− Invadenti. –
− Mmh, forse, ma un bacetto potremmo anche concederglielo. –
Giro la testa di lato, allungo un braccio verso il suo collo e lo spingo in basso.
È giusto il contatto delle nostre labbra, nulla di più, ma è familiare e mi sento tanto meglio quando lo faccio.
− Se hanno fatto una foto questo faceva scena. – borbotto staccandomi, dalle sue labbra e da lui.
Faceva scena, sì, faceva scena.
Fa sempre scena quando si piega verso di me dall'alto, perché mi fa sembrare minuto, piccino quasi, contro di sé che è tanto più imponente.
− Se non l'hanno fatta peggio per loro. – conviene.
Mi dà un buffetto sul naso davvero idiota, prima di imitarmi e allontanarsi piano, verso le scalette.
Non so che ore siano, so che è sera perché l'intervista doveva essere di sera, e so che al piano terra, vicino all'ingresso, qualcuno sta allestendo il buffet per la cena di lavoro.
Allora, lo so che ho detto che io e Eijirō lavoriamo da soli, ed è vero, ma il posto in cui lavoriamo non è un ufficio sperduto e solitario, ma un edificio dedicato ad uffici.
Aizawa e All Might hanno messo una buona parola quando cercavamo qualcosa che andasse bene ed è fornito di tutta una serie di cose che non credevo sarebbero state utili, ma lo sono.
C'è una sala conferenze, quella dove siamo ora.
C'è un salone centrale, dove andremo a mangiare.
C'è una camera in più vicino al mio ufficio, dove stiamo andando a cambiarci.
Seguo Eijirō per il corridoio, gli tengo la mano nell'ascensore, gli sorrido appena quando mette una mano sulla mia schiena.
Non parliamo molto, nonostante ci sarebbero cose da dire, perché non siamo soli.
L'ho detto, no?
Professionale.
Il nostro rapporto è professionale.
Nel privato, poi, sono cazzi nostri.
− Ma quando ha detto che Denki era scemo? –
− Merda, è vero. – mi viene da rispondere, i passi che si compongono a ritmo sul tappeto mentre punto alla porta della stanza.
− Pensavo che l'avrei ucciso sul posto, quello stronzo. Ma come si permette? –
− Già. Denki è un coglione ma non se lo merita. –
− Giusto, è il nostro coglione. –
Mi viene da ridere, a pensarci. Chissà quante me ne dirà, domani o dopodomani, chissà quanto sarà su di giri, quel cretino con i capelli biondi e il fidanzato alto.
Appoggio la mano sulla porta.
Guardo Eijirō con la coda dell'occhio, che mi lancia un'occhiata e annuisce.
E pochi istanti dopo, siamo soli.
No, non ci saltiamo addosso, non è il momento.
Ora... diventiamo due persone completamente diverse.
Katsuki ed Eijirō sono diversi da Bakugō e Kirishima.
Bakugō è rabbioso, violento, forte, esplosivo. È come povere da sparo, scoppia e non lascia superstiti, attira l'attenzione, colpisce.
Katsuki è timido, è riservato, è ferito ed è vulnerabile. È tenero, forse un po' appiccicoso, tiene molto alle pochissime persone di cui si fida.
E ancora Kirishima è solare, allegro, gentile, disponibile. C'è per chi ha bisogno, salva chi è in difficoltà, sorride anche fra le macerie, tiene sempre il morale alto.
Eijirō, è... meno dolce di quanto ci si aspetterebbe.
Se prima sorrideva, limpido, allegro di fronte a chiunque ci fosse in giro, quando la porta si chiude, quel sorriso scompare completamente.
− Dimmi che non ti ha davvero costretto a dire che cosa è successo quel giorno, Kat, dimmi che me lo sono sognato e che non l'ha fatto. – è quello che dice, al buio, la luce che filtra da una finestrella al fondo della camera.
Questa stanza, non doveva essere nella planimetria, ma c'era.
È il rifugio di quando siamo a lavoro.
Se abbiamo bisogno di parlare, scopare o dormire, veniamo qui.
Ora come ora, dovevamo venire a cambiarci, ma credo che ci scapperà anche qualche parola in mezzo.
− Ei, non è successo niente. –
− Stocazzo, voleva farti venire un attacco di panico in diretta. –
Non è forse... paradossale? Che io gli dica di rimanere calmo mentre si arrabbia, dico. Non è paradossale?
No, non lo è.
Eijirō si arrabbia quando mi attaccano, e si arrabbia molto, molto più di me.
Mi supera e si butta sul futon a terra, le gambe aperte e gli occhi che sembrano volermi trafiggere.
− Venire a provocarti in quel modo, che figlio di puttana. – borbotta, le braccia sopra le ginocchia.
Gli stanno bene, i capelli sparati col gel, mi ritrovo a pensare. Davvero, davvero...
− Non so come tu abbia fatto a resistere, io stavo per staccargli la testa di netto. –
Faccio un passo in avanti, piego la testa.
− Autocontrollo. Un'altra parola e l'avrei fatto saltare in aria. Ma quando mi ha chiesto se pensavo di rimanere con te in futuro? Ma che cazzo faceva, ci stava provando con me? – mi viene naturale lamentarmi.
Mi fissa e schiocca la lingua.
− Non farmici pensare, ti prego. Sei stato super forte, però, quando hai detto "sì" con quel tono, sappilo. –
Avanzo un altro po', arrivo al punto che mi guarda dal basso, seduto praticamente per terra.
Gli spiaccico una mano sulla fronte e la tiro indietro, stando attento a non rovinargli i capelli.
− "Debole". Dov'è che saresti debole, tu? –
Sorride con metà del viso, una fossettina che si forma a lato del labbro.
− Non lo sono? –
Adagio il palmo contro la sua guancia, le dita che percorrono la linea netta, solida e dritta dello zigomo.
− L'ho detto là e lo pensavo davvero, sei la persona più forte che conosca. –
Gli si scalda il viso, un po' credo di scaldi a me.
− Non permetterò che qualcuno dica il contrario, anche se dovessi parlare di tutte le situazioni orribili da cui mi hai tirato fuori. –
− Non devi, Kat. –
Accarezzo l'altra guancia.
− No, non devo. –
No che non devo.
Voglio, che è diverso.
Mi piego per baciarlo e di nuovo, sono solo le labbra che sfregano contro le labbra.
− L'unica cosa che mi preoccupa è che... e se mi avesse fatto tutte quelle domande perché da fuori sembra che io non tenga a te? – borbotto, sistemando qualche ciuffo rosso scappato sulla fronte al pettine di chiunque gli abbia fatto i capelli.
− Ma che ti frega di cosa si vede fuori, io lo so che tieni a me e basta così. – risponde, un po' più sulla difensiva del solito.
− Ma forse... forse avevi ragione. Un bacio ogni tanto potremmo anche... −
− No, stavo scherzando prima. Meglio professionali, è più importante per la nostra carriera. –
Alzo un sopracciglio mentre lo guardo dritto negli occhi.
− Niente baci? –
− In pubblico, intendo. No, in privato puoi darmi tutti i baci che vuoi, anzi, vieni qui che... −
Mi trascina per terra con un movimento e nonostante scalci per liberarmi, non mi lascia andare.
− Eijirō! –
− No, no, un attimo, ancora un attimo, uno solo che... −
Sento le sue labbra contro il ponte del naso, fra le sopracciglia, sulla fronte, sulle guance.
Continua, uno schiocco dietro l'altro.
− Smettila, idiota, lasciami anda... −
− Mmh, zitto, zitto, ho da fare. –
Lo so io, cos'ha da fare, mannaggia a lui.
− Stavamo parlando, perché non... −
Mi bacia sulla bocca.
Non finisco la frase.
Onestamente non m'interessa di finirla quando spinge verso di me la testa, apre le labbra, mi stringe fra le braccia ancora più forte.
Onestamente diventa tutto un po' confuso e mi lascio baciare più che volentieri.
Altra cosa, Kirishima è premuroso, è docile, Eijirō... non proprio.
Eijirō è forte, dominante persino, sicuramente attento ma non esattamente delicato, quando prende qualcosa che vuole. Soprattutto se quella cosa sono io.
Se prima stava spargendo baci idioti sulla mia faccia, ora mi ritrovo inchiodato sul futon dalle sue mani e dal suo corpo.
Ho di che lamentarmi?
Oh, no che non ho di che lamentarmi.
Mi godo la situazione.
So che non abbiamo tempo per questo, so che dovremmo vestirci, so che non inizieremo niente. Ma so anche che gli chiudo le gambe attorno alla vita, le braccia attorno al collo e che lo tiro su di me ancora di più, ancora di più.
Di più, Eijirō.
Fammi sentire di più.
"Debole".
L'uomo che mi fa quest'effetto non è affatto "debole".
Vita fra le mie ginocchia, il bacino sul mio, e tutto quello che volevo dire o pensavo di voler dire scompare come scrostato dal mio cervello a mani nude, un pezzo alla volta.
− Ei, cazzo, dobbiamo, dobbiamo... −
Dobbiamo vestirci?
No, merda.
Dobbiamo continuare a baciarci.
− Arrivo, arrivo, ora smetto, ora smetto. – dice fra un fiato e l'altro, le mani che scorrono dentro la mia camicia fuori dai pantaloni, sulla schiena, sul petto.
− Eijirō, Ei... −
− Sì, ora smetto. –
Denti che solleticano la pelle del collo, sotto l'orecchio, mano che s'infila sotto la cintura.
− Dobbiamo cambiarci, la cena... −
− Ora smetto, ora smetto, ora... −
Non so se intenda smettere per davvero, so però che non m'importa.
Sento una coscia fra le mie, che preme verso l'alto.
Mi sale il centro della schiena nell'aria, m'inarco.
− Eijirō, dobbiamo andare, davve... −
Perdo il controllo sulle mie mani quando inavvertitamente le infilo sotto la sua felpa.
Si perdono fra i muscoli che si muovono, fra le cicatrici, la superficie liscia ma solida allo stesso tempo.
− Non riesco, fammi smettere, fammi smettere. –
Due adulti, o quantomeno presunti tali, avvinghiati come due ragazzini.
È sempre stato un po' così fra noi, un po' frettoloso e pieno di bisogno.
Ma cazzo, se non è difficile dire di "no" a qualcuno come Eijirō Kirishima.
− Smettila, smettila. – sento dire dalla mia stessa voce, poco convinta, più un sussurro che altro.
Mi guarda in faccia, il viso arrossato dalla vampata delle emozioni, prima di rimettere le labbra aperte sulle mie.
Familiari, così familiari ed eppure sempre un colpo al cuore.
Tremo, tremo io e tremano le mie gambe mentre sento la lingua di Eijirō che s'intreccia con la mia, il mio bacino che sale verso di lui.
Lo stringo più forte.
− Voglio... io voglio... − dice, probabilmente anche lui un po' troppo disinibito e un po' troppo eccitato per riuscire a ragionare lucidamente.
− Cazzo, Ei, cazzo, cazzo. –
Spalanco le cosce attorno a lui.
Sento tutto, quando mi si schianta addosso.
Sento tutto.
Mi si mozza il fiato in gola.
− Lo vuoi, Katsuki, lo vuoi? –
So a cosa si riferisce perché questa battuta lo diverte sempre, e la risposta che dovrei dare, quel "no" così responsabile, inizia a diventare miraggio nella mia mente.
− Dammelo, dammelo, ti prego, damme... −
È quando una delle mie gambe lo spinge forte contro di me, che il suo bacino struscia sul mio e la mia testa cade indietro in un gemito a mezza voce.
Ma è anche quando gemo, che sento qualcuno che bussa alla porta.
− C'è qualcuno là dentro? Tutto bene? Stiamo cercando Riot e Dynamight, la cena sta per iniziare. Ha idea di dove siano? –
Se ho idea di dove siano?
Sì, ce l'ho.
Si stanno rotolando per terra come due animali.
− Arriviamo! – si ritrova ad urlare Eijirō, meno in imbarazzo di me e totalmente tranquillo mentre si stacca.
Maledetto lui, io ho il fiatone.
− Ah, siete voi, allora! Lo sponsor è arrivato, ha mandato a cercarvi perché pensava ci fossero stati problemi. Riferisco che state scendendo. –
Termina la frase con una risatina.
Avrà sentito?
Ma no, ma figurati, ma ti pare.
Cazzo, forse devo smettere di gemere come una ragazzina.
Mi tiro su col busto dal futon, Kirishima già in piedi davanti a me, con l'espressione vuota e un po' interdetta.
− Dici che mi ha sentito? –
Si sta sfilando la felpa, quando sorride.
− Amore, ti hanno sentito in tutto il corridoio, hai praticamente urlato. –
− Davvero? –
Rimane a torso nudo e mi alzo prima di iniziare a sbavare.
− No, scherzo. Non credo, in realtà, la porta è spessa, se non è rimasto qui ad origliare è improbabile. –
Si slaccia i jeans, li tira giù.
Nel panico di non riuscire a tollerare le sue cosce nude, inizio a spogliarmi anch'io.
− Boh, forse avrebbe fatto capire che stiamo davvero insieme e non è un teatrino. – ci penso su ad alta voce, tornando all'argomento che stavamo affrontando prima.
Prima che mi baciasse.
Prima che...
− No. –
− In che senso, "no"? –
Alza le spalle mentre si allunga verso il porta abiti distrattamente incastrato sul brutto appendiabiti che abbiamo lasciato qui una qualsiasi altra volta.
− Non c'è bisogno, l'ho detto prima. Non c'è bisogno che fai l'espansivo, in pubblico, io so che stiamo insieme e tu lo sai, finisce lì. Non sforzarti, so che non ti piace. –
È che mi sembra inutilmente rigido, sulla questione.
Mi sembra quasi che non voglia.
E non so bene perché, ecco.
− Non dico di fare chissà che cosa, non sono quel merdoso di Deku che fa le dichiarazioni pubbliche. Ma magari potrei comportarmi come mi comporto... a casa? Ogni tanto? Provarci un po', ecco. –
La sua faccia diventa immediatamente seria.
− Non se ne parla neanche. –
− Ma... −
− No, Katsuki. –
Ok, la situazione inizia a diventare esageratamente stupida.
Primo, è vero che le dinamiche sono diverse in privato rispetto a come lo sono in pubblico, ma io che spingo per poter essere più aperto sulla relazione e lui che si rifiuta è ridicolo.
Secondo, a me, "no", non lo dice.
'Fanculo.
− Tanto lo sai che faccio il cazzo che mi pare. – sputo fuori, mentre apro il bottone dei pantaloni e lascio scendere la zip.
Ride appena.
Ride.
Ride?
Oh, il bastardo lo trova divertente.
− Che cazzo ti ridi? –
− Niente, solo che... −
− Perché non vuoi che sia espansivo? Ti vergogni? Ti ammazzo, pezzo di merda, se... −
Le fossettine si abbassano, scompaiono piano, lo sguardo torna pesante com'era prima che ci ritrovassimo abbracciati sul materasso.
− Non parlarmi così, Katsuki. –
La voce di Eijirō, nella maggior parte dei casi, è calda ma scoppiettante. Non è una voce bassa né alta, ma è vivace.
Qualche volta, però...
− Scusa. –
− Meglio. –
Qualche volta è più seria. Più ferrea, più solida, più cattiva persino.
Mi passa i miei vestiti quando lancio i pantaloni dall'altra parte della stanza, apre per me l'involucro della lavanderia e me li porge uno ad uno.
Perché non può vestirsi prima di me?
Avercelo mezzo nudo davanti mi fa effetto.
Soprattutto se sembra volermi mettere al mio posto.
− Il problema è, Kat, che questa cosa è il mio più grande segreto. – spiega, indicando noi due.
Mi saltano le sopracciglia in alto.
− In che senso? Lo sanno tutti che stiamo... −
− Intendo come sei tu con me. È il mio segreto, è una cosa mia. Non voglio che gli altri la vedano, non mi va proprio. –
Mi aiuta a sistemare la camicia dentro i pantaloni e appiattisce le pieghe con le mani.
− Non riesco a capire che cosa intendi, Eijirō, davvero. –
− Intendo che se tutti sapessero quanto sei carino, adorabile e dolce con me, allora non ci sarebbe niente che a impedirgli di appiccicarsi a te. –
Piego la testa.
Sta dicendo che è geloso?
− A me non piace quando la gente ti si appiccica. Preferisco che abbiano paura di te. E se fosse perché vuoi farlo allora ci starei, per carità, ma se devi rivelare il mio segreto in giro perché hai paura che non si capisca quanto mi ami, allora non ci sto. –
Geloso.
Geloso marcio, Eijirō.
− Lo sai che non basta che qualcuno ci provi perché ti molli, vero? –
− Oh, amore, lo so. Ma mi fa incazzare lo stesso. –
Piega per bene il colletto, lo appoggia verso il basso, apre il primo bottone.
Rimango a metabolizzare le sue parole mentre mi metto la giacca e lui comincia a vestirsi da solo.
Che giornata, miseria, quante cose che succedono oggi.
Prima io che rimango calmo mentre racconto un trauma in diretta TV, poi Eijirō che fa il possessivo.
Chissà quante cose succederanno durante la cena, se questa è la premessa.
− Quindi, fammi capire, il discorso è che deve sembrare che io sia un pazzo maniaco freddo come il ghiaccio così nessuno ci proverà mai con me? –
Si sta chiudendo la cintura, quando mi guarda.
− Detta così sembra orribile. Pensi che sia orribile? –
Se penso che lo sia?
No, in realtà no.
L'ha detto lui, che se fosse qualcosa che io decido autonomamente di fare non sarebbe lui a mettersi di mezzo.
− Un po' egoista, forse. –
− Ti mette a disagio? –
Alzo le spalle.
− Non particolarmente. Mi dà fastidio che la gente pensi che non ti amo, ma alla fine sono cazzi nostri se ti amo o no, vero? –
− Esatto, esatto. –
Però, c'è un "però".
Mi appoggio contro il muro e infilo le mani fino in fondo alle tasche dei pantaloni.
− E quindi ti fa incazzare che le persone vedano il mio lato dolce? –
Alza il colletto per mettere la cravatta.
È bello quando si spoglia, Kirishima, ma è bello anche quando si riveste.
− Mi fa incazzare che la gente ti sbavi davanti e quando sembri meno cattivo del solito lo fanno un sacco. –
− Solo tu puoi sbavarmi davanti? –
Annuisce, ride appena.
− Già. –
Con un colpo delle anche mi stacco dal muro, muovo qualche passo verso il suo corpo.
Scaccio le sue mani dalla cravatta che tentano inutilmente di annodare, le lascia cadere in basso, lo faccio io al posto suo.
− È che già tutti pensano che tu sia bellissimo, che è la verità, tra l'altro, se poi sapessero anche come sei per davvero in una relazione... ho solo paura che magari ti portino via. –
Infilo il lembo di sinistra sull'occhiello fatto da quello di sinistra, giro il tessuto su se stesso, stringo e allaccio.
Per quanto io le odi, le cravatte di merda, su Kirishima mi piacciono e sono molto più bravo di lui a fare il nodo.
È un po' maldestro, grosso com'è.
− Nessuno mi porterà via da te, Kirishima. Devono passare sul mio cadavere. –
− Ma se ci provassero? –
Stringo, sistemo, abbasso il colletto.
Salgo sulla punta dei piedi, lo tiro in basso verso di me, stampo le labbra sulle sue.
− Sarebbero degli idioti senza speranza. –
Sorride, mi prende la faccia fra le mani.
− Non lo molli il tuo ragazzo molto più debole di te? –
Scuoto la testa.
− No. No, no. –
Mi appoggia un bacio sulla punta del naso.
− Neanche se è molto più in basso di te nelle classifiche? –
− Sei sesto, Eijirō, io sono secondo. Te la ricordi la matematica di base? –
Ride, strofina la fronte contro la mia.
− Quinto, se va tutto bene. Mi spiace per Hitoshi, ma quel posto è mio. – si corregge, sempre con quel sorriso da cretino stampato in faccia.
Lo guardo da sotto le ciglia, sospiro.
− Debole, tu. Debole. Dove? –
− Per te sono molto debole, Kat. –
Alzo gli occhi al cielo.
− Sono io che sono debole per te, altroché. –
Mi bacia un'ultima volta prima di lasciarmi andare.
− Siamo due deboli, allora. Andiamo a cenare, debole? –
Che rottura di cazzo, è vero, la cena.
− Andiamo, andiamo. –
Annuisce.
− Andiamo. −
╰┈➤ ❝ continua ❞
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