𝚝𝚊𝚗𝚝𝚛𝚞𝚖
⟿ ✿ ship :: DaiSuga
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➥✱ song :: "Tantrum", AshNikko
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➸★✺ disclaimer :: questafic è scritta in collaborazione con MonicaKatfish
➠♡༊ written :: 30/10/20
⧉➫ genre :: smut
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Il rumore delle chiavi che girano nella toppa della porta di casa mia è musica nelle mie orecchie.
Il sole fuori è calato, l'aria è fredda, frizzante, e la stanchezza avviluppa i miei muscoli indolenziti mentre metto piede nel mio appartamento, distrutto.
Amo tremendamente il mio lavoro, ma non penso di essere mai stato così stanco in vita mia.
La mia mente anchilosata vaga verso le pallide speranze di un bagno caldo, di una cena veloce e di un materasso morbido, quando il viso di Suga si infila nei miei pensieri e sento un morbido calore accendermisi nel petto.
Mi dimentico, a volte, quando le giornate mi sembrano nere e il mio corpo fatto di piombo, che io torno a casa da qualcuno.
Da un qualcuno che sorride come un angelo, che nasconde una personalità fin troppo vivace dietro una facciata amorevole, che mi guarda come fossi qualcosa di meraviglioso e che tutte le sere avvolge le braccia dietro il mio collo, accarezza dolcemente le tensioni della mia schiena e mi dice che mi ama, prima di addormentarsi.
Il mio piccolo corvo bianco.
Kōshi.
Le gambe mi sembrano diventare più leggere quando scalcio via le scarpe all'ingresso, mollo la giacca sull'appendiabiti e marcio fino al salotto più in fretta possibile.
- Amore, sono a casa! - grido, e sento la mia voce riecheggiare nel silenzio.
E dove si è cacciato, ora?
- Amore? - provo ancora.
E poi un rumore risuona nella stanza vuota. Un rumore distinguibile, e chiaro.
Mi rendo conto di sapere perfettamente cos'è.
Quella è la voce perfetta ed erotica di Kōshi che geme. Quello è un fottutissimo gemito.
Prendo letteralmente fuoco. La rabbia pervade ogni centimetro del mio corpo, sento la pelle tendersi, gli occhi bruciare e i pugni che si stringono, mentre cerco di scacciare dalla mente l'unica idea che mi sembra calzante alla situazione.
Kōshi sta gemendo con qualcun altro.
Vedo rosso. Vedo letteralmente rosso.
Sono un poliziotto, sono alto e composto al cento per cento da tessuto muscolare.
Io, chiunque sia, lo ammazzo.
Gli sparo con la pistola del dipartimento, do fuoco al suo cadavere e poi mi suicido davanti agli occhi di Kōshi.
Ed è mentre vedo chiaramente la mia morte davanti ai miei occhi, che il mio malefico piano di vendetta contro il mondo sfuma, quando supero il divano e ci ritrovo Suga addormentato sopra.
Il suo corpo è intrecciato su se stesso, e vedo le sue cosce che premono l'una contro l'altra, la mano stretta sul cuscino, la schiena leggermente inarcata.
Il suo viso meraviglioso è lievemente arrossato sulle guance, giusto una spruzzata rosa sulle punte degli zigomi, e le labbra morbide sono separate da poco più di un millimetro.
Lo sento ansimare.
- Oh, sì, Daichi, ti prego, più veloce... - mormora, e le gambe si stringono ancora.
Rimango di stucco. Quello è il mio nome. E' il mio nome? Sì, è il mio nome.
Cerco di capire se non sia io a star sognando. Geme ancora, la voce che si stringe sulla gola e il corpo teso, e io penso che potrei davvero morire ora, e adesso, perché non penso di aver mai visto qualcosa di anche solo lontanamente così erotico, sensuale e meraviglioso.
Sta mugolando il mio nome, si sta contorcendo sotto i miei occhi, e sta facendo tutto da solo.
Pensando a me. Sognando me.
Oh, e chi sono io per non far realizzare i sogni del mio piccolo adorabile fidanzato?
La maglietta che indossa non copre perfettamente la sua pancia e una linea di pelle cremosa spunta dall'orlo pigramente appoggiato. Mi avvicino lentamente, con delicatezza nel tentativo di non svegliarlo, mentre appoggio le mani sui lati delle sue ginocchia e apro appena le sue gambe lunghe per infilarmi nel mezzo. Sollevo piano il tessuto dal suo corpicino rivelando il petto liscio, e lo guardo inarcarsi ancora una volta, gemendo a voce alta.
Il suo corpo si tende, diventa rigido, duro, e poi si rilassa di colpo.
Un sorriso cattura le mie labbra mentre i tratti del suo volto iniziano a stropicciarsi fra loro e noto che sta per svegliarsi. Sembra che lascerà il suo sogno erotico prima di venire.
Poco male, ci penserò io.
Appoggio le labbra sul suo sterno, e respiro profondamente l'odore delicato della sua pelle, lasciando piccoli baci sulla superficie chiara.
Mugugna un'altra volta, ma ora il rumore è meno lussurioso, più rauco.
Un brivido mi corre lungo la spina dorsale mentre mi allungo quanto basta su di lui per non perdermi il momento in cui le sue lunghe ciglia argentate sbattono un paio di volte e gli occhi insonnoliti di Kōshi si legano ai miei.
Li strofina un paio di volte, accartoccia il viso confuso.
E poi si rende conto che ha smesso di sognare. Che è sveglio. E che io sono qui, davanti a lui.
Inarco le sopracciglia mentre lo fisso, abbassa lo sguardo, e sembra far finta di nulla per un secondo. Ma non ho alcuna intenzione di lasciar perdere.
- E quello cos'era? - gli chiedo, un'espressione eloquente e maliziosa sul viso.
Arrossisce fino a diventare viola.
- Che... che cosa? Di cosa stai parlando? - ribatte, la voce insonnolita ma acuta per l'imbarazzo.
Appoggio una mano sull'esterno della sua coscia e infilo le dita sotto l'orlo dei pantaloncini, stringendo la pelle un paio di volte.
- Sai che parli nel sonno, amore. - rispondo poi, e il suo viso diventa di una sfumatura ancora più scura di quanto non credevo possibile.
Spiaccica una mano sopra gli occhi e scuote la testa.
- Ti prego Daichi, fa' finta che non sia successo nulla. Diamine, è così imbarazzante! - mugugna, prima che io afferri i suoi polsi e li allontani dal suo viso meraviglioso.
Appoggio la fronte sulla sua, chinandomi in mezzo alle sue gambe aperte, e strofino il lato del naso sul suo, le mie dita che corrono fra i suoi capelli d'argento e il suo profumo così inebriante completamente attorno a me.
- No, tesoro, non è per niente imbarazzante. - lo rassicuro, e strofino piano le labbra contro le sue, prima di avvicinarmi al suo orecchio.
- E' sexy, sentirti gemere il mio nome senza nemmeno che io ti tocchi. - confesso poi.
E lo è per davvero. Quest'uomo forse non ha ancora ben presente che effetto mi fa.
Le sue palpebre scendono fino a raggiungere la metà dei meravigliosi occhi castani, la bocca forma un sorriso sbilenco.
- Oh, davvero? - le labbra formano le lettere impastandosi fra di loro, e non sono per nulla sicuro di non aver avuto un minuscolo orgasmo cerebrale a guardarle.
Con questa stessa perfetta e deliziosa espressione lascia che le sue braccia scivolino attorno al mio collo, e il suo bacino si inarca con il mio.
Ancora le caviglie sull'incavo della mia schiena e mi guarda dritto negli occhi.
Le sue dita lunghe si avvolgono fra i miei capelli scuri, indugiandovi per un attimo.
- Non mi sembra vero che tu sia tornato a casa. - mormora, prima di premere le labbra contro le mie e stringermi a sé come se non lo vedessi da anni.
Sono stato molto occupato, negli ultimi tempi, e Kōshi ha ragione. Sembrano secoli quelli passati dall'ultima volta in cui siamo rimasti così, spaparanzati sul divano del salotto, a prenderci cura l'uno dell'altro.
La lingua di Suga è dolce sulla mia, tenera, rilassata. Si gode la mia presenza, si adagia sulla familiarità di un bacio così tranquillo.
Ma a me, che sono ancora ansimante dall'infarto cerebrale che ho avuto quando pensavo che Kōshi mi tradisse in casa mia e ancora pieno di tutti i versi spudorati che la sua voce ha rilasciato nell'aria, inizio ad averne abbastanza di questa calma pacifica.
Le mie mani si chiudono sul suo bacino, i miei fianchi strisciano su quelli di Suga con un movimento profondo, e sento un gemito lasciare le sue labbra quando lo faccio ancora.
Mi aggrappo ai lati della sua maglietta e faccio per sfilargliela quando la sua voce mi interrompe.
- No, un attimo. -
Cerco immediatamente il suo sguardo. Sto facendo qualcosa di sbagliato?
- C'è qualcosa che non va? - domando, le sopracciglia arcuate per la confusione.
Scuote la testa e continua a sorridere.
- Niente. -
Sento l'angolo destro della mia bocca sollevarsi mentre mi avvicino di nuovo al suo viso.
- E allora lasciami togliere quei vestiti di mezzo... -
La mia lingua disegna una linea fine sul suo collo, e sto per affondare i denti sulla pelle color del latte quando la voce rauca per l'eccitazione di Kōshi raggiunge le mie orecchie.
- Daichi... Daichi aspetta un attimo. -
Mi pietrifico. Inizio a preoccuparmi sul serio.
Non sono arrabbiato che Suga mi abbia fermato, assolutamente. Se l'ha fatto un motivo c'è, e voglio saperlo. Voglio che si senta sempre a suo agio e amato, con me.
Circondo il suo viso con le mani e premo la fronte sulla sua.
- Kōshi, amore mio, sono serio. C'è qualcosa che non va? Sai che puoi dirmi tutto, avanti. - mormoro, e cerco di impregnare ogni parola di tutto l'affetto che posso.
Sorrido tra me e me quando sento i suoi muscoli rilassarsi.
Si morde il labbro.
- Sì... no... non lo so. Non è colpa tua, comunque. - risponde poi, le guance assumono una tinta rossastra, prima che ricominci a parlare.
- Ecco... volevo solo farti vedere quello che facevamo nel sogno. -
Immediatamente la mia tensione si scoglie e la preoccupazione si volatilizza, entrambe sostituite da un'eccitazione crescente che si insinua dentro di me.
Tutto di Suga è maledettamene arrapante. Sia il modo timido ma sfrontato con cui mi dice cos'ha in mente sia il suo viso rosso e scostante. Tutto.
- E dimmi, cosa facevamo nel sogno? -
Ancora una volta scuote la testa, ridacchiando piano.
- Spiegartelo è davvero troppo imbarazzante Daichi. Te lo faccio vedere. - risponde, e arrossisce ancora.
Per me, solo meglio.
Le sue caviglie si stringono di nuovo attorno alla mia vita e i suoi fianchi si muovono inizialmente piano, poi sempre più a fondo sui miei. La frizione è deliziosa, quando i nostri bacini si incontrano in questo ondeggiare straziante.
- Kōshi. - lo chiamo, un rumore gutturale, basso, mentre tortura il suo labbro davanti ai miei occhi, strusciandosi contro di me.
- Kōshi, via più pia... - provo a dirgli, ma in un attimo è incastrato contro di me, la sua schiena si inarca e la pressione è meravigliosa.
Gemo forte il suo nome.
- Ssh. - mi sussurra, prima di poggiare le labbra sul retro del mio orecchio e continuare a muoversi.
Sa perfettamente come prendermi.
E' normale che ci sia questa confidenza, nella mia vita c'è sempre stato solo lui e mi auguro che sempre ci sarà. Quello che sono oggi, lo devo anche a lui.
Non esiste al mondo persona che mi conosca più di Kōshi.
Un bacio dolce sulle labbra interrompe il filo labile dei miei pensieri.
Il suo viso accogliente mi osserva carico di aspettativa quando ancora il suo bacino incontra il mio e un minuscolo lamento gli esce dalla bocca.
Affondo il naso sul suo collo e mordicchio giocosamente la pelle morbida proprio sopra la clavicola.
- Daichi... - mormora ridacchiando, e stampo un bacio sulla superficie arrossata dai miei denti.
- Se il Daichi del tuo sogno sono io, immagino di poter prevedere che cosa succederà ora. - gli ricordo poi.
Annuisce speranzoso.
Mi alzo dal divano trascinandolo con me, le mani sul suo - spettacolare - culo, e le gambe che cercano di allacciarsi attorno al mio torso per non perdere l'equilibrio.
Lo sbatto al muro.
Questa volta, il gioco lo conduco io.
Affondo un morso sulla superficie incurvata della trachea, la linea scura del segno che si forma fra i nei chiari della sua pelle bianca, e struscio un'ennesima volta il mio bacino sul suo. Ma più lentamente e tremendamente più forte.
Il tono di voce con il quale geme causerà problemi ai nostri vicini. Lo so.
Mi stacco per un attimo per osservare la mia opera d'arte e, Cristo, mi sembra di essere tornato al liceo per il modo in cui è conciato il collo di Kōshi. Non che non mi piaccia vederlo bello, accaldato e marchiato.
Lo tengo aggrappato a me mentre cammino alla cieca verso la camera da letto, la sua bocca sulla mia e il rumore dei nostri fiati spezzati di sottofondo.
Quando finalmente metto piede nella nostra camera da letto lascio che il mio corpo si sbilanci verso la porta, che viene chiusa dalla schiena di Suga. Le sue gambe si allentano, poggia i piedi per terra e aderisce a me, i movimenti dei suoi fianchi che ora sono involontari, strazianti.
So perfettamente che il bottone dei miei jeans sta resistendo strenuamente alla pressione, ma neanche le mutande di Kōshi sono messe meglio, quando appoggio la mano aperta sul suo basso ventre.
- Mi concedi almeno di toglierti i pantaloni? - gli chiedo, sorridendo al tono evidentemente retorico della frase.
Nemmeno aspetto che risponda e lo lascio adagiare sul letto, prima di agganciare rapidamente le dita all'elastico dei suoi pantaloncini e sfilarli, lanciandoli solo Dio sa dove.
Cari jeans, è giunta anche la vostra ora. Slaccio il bottone, abbasso la zip, via la cintura e anche loro volano tristemente in un luogo non meglio specificato.
Mi sporgo sul letto, i palmi aperti sul materasso e il torso allungato verso di lui, e lo osservo per un attimo. Deve essere stato un attimo piuttosto lungo, perché ad accogliermi quando riprendo la mia concentrazione è un'occhiata confusa.
- Che c'è? - mi chiede.
Sorrido.
- E' che sei così bello. - ammetto, e vedo con piacere la sua faccia diventare rosso scuro e abbassarsi imbarazzata.
Afferro il lobo del suo orecchio fra i denti.
- E anche così bisognoso. - continuo.
Il calore del suo viso aumenta, ma anche la vena maliziosa nei suoi occhi castani, quando pronuncio queste parole.
Mi siedo sul letto ed è lui a salirmi a cavalcioni, ben prima che faccia in tempo anche solo a chiederglielo.
Si muove involontariamente contro di me cercando pressione oltre il tessuto sottile dei boxer, ansima e mi rimane aggrappato addosso con le mani strette sulle spalle, quando si avvicina ancora una volta e preme appena la punta del naso contro il mio.
- E poi il mio sogno continuava da qui. - mormora e qualcosa mi dice che sta alludendo a qualcosa di specifico.
- E come continuava? -
- Con una cosa che mi piace un sacco. -
- E' pieno di cose che ti piacciono un sacco, Kōshi. Potrebbe essere io che te lo succhio come io che ti porto una cioccolata calda, detta così. -
- Daichi! -
Lascia uno schiaffo leggero sul mio braccio, sbuffando, e poi scuote la testa.
- No, non quel genere di cose. Quella cosa che tu fai che mi piace. Hai capito? -
E finalmente il cielo si apre e afferro l'allusione di Kōshi. La cosa che gli piace un sacco, quella che vuole e che brama come se fosse la sua ragione di vita, sono io che prendo il controllo.
Sono io che lo tratto come se fosse una bambola di pezza e lo faccio urlare fino allo sfinimento.
E una delle cose che mi riesce meglio, quando sono in quel mood, è fare il bastardo. Per cui scuoto la testa, la inclino verso la spalla e sbuffo.
- Non so davvero di cosa tu stia parlando, amore. -
Vedo la stizza catturare i suoi occhi che volano da me al materasso, prima che parli ancora.
- Quando...quando tu mi tratti male. E mi chiami in modi brutti e mi lasci i segni sulla pelle. - dice con un filo di voce, ed è quando nota il mio sorriso che capisce.
Capisce che io avevo capito prima. E che lo volevo solo costringere a dirlo ad alta voce.
E la vedo chiaramente, quell'ondata di puro, purissimo piacere che lo attraversa quando rende conto che lo sto finalmente accontentando.
La sua schiena si inarca meravigliosamente, quando stringo le dita fra la matassa morbida dei suoi capelli e le tiro indietro.
L'altra mano raggiunge subito i suoi boxer, ci si infila dentro e si stringe attorno a lui.
Passo il pollice sulla punta, delicatamente, mentre il mio polso continua in un incessante su e giù.
Chiama il mio nome gettando la testa all'indietro e lasciando esposta davanti a me la pelle liscia del collo.
Il suo corpo trema mentre la mia mano si muove su di lui, sembra che stia finalmente per raggiungere l'orgasmo, dopo il sogno insoddisfacente e quello strusciarsi così spudorato di prima.
Ma mi ha chiesto di fare il bastardo. E di prendere il controllo.
La mia mano si ferma alla base e stringe proprio quando lo vedo sull'orlo del precipizio.
Suga spalanca gli occhi e la sua voce mi giunge spezzata.
- Daichi, cazzo, ancora, ancora. - mugola, e vedo i suoi fianchi tentare di muoversi sulla mia mano ma la presa è troppo salda e non riesce.
Spingo i suoi capelli più indietro, e mordo forte il lobo di un orecchio.
- Mmh, non lo so. Perché non provi a convincermi? - ribatto, e sento i suoi muscoli fremere.
- Ti prego, Daichi, ne ho bisogno. -
Scuoto la testa, sbuffo.
- No, non mi piace. Non è abbastanza. Puoi fare di meglio. -
Le sue labbra si aprono appena mentre un singhiozzo scuote la sua cassa toracica. Afferra le mie guance con le mani aperte, la sua bocca è sulla mia, implorante, bisognosa.
- Daichi, amore, ti imploro, ti prego, fammi venire, fammi venire e poi potrai scoparmi bene e a fondo come puoi fare solo tu. Per favore, ne ho davvero bisogno. - riprova e io spalanco gli occhi.
La mia mano ricomincia a muoversi mentre continuo a baciarlo.
- Vedi? Quando vuoi sai proprio essere obbediente. - gli faccio notare.
Poi aumento la velocità del mio polso su di lui, e ascolto i suoi ansimi farsi più frequenti e veloci.
Mi discosto per guardarlo bene nella sua interezza, quando viene.
Non penso che potrei mai smettere di vedere questo. La sua espressione erotica e sfinita, la pancia piatta tesa per la schiena inarcata, le dita che affondano su di me per evitare di cadere, i capelli che scintillano sotto la luce elettrica del lampadario.
Un gemito lungo e sofferente esce dalle sue labbra, chiama il mio nome, risuona nell'aria.
E quando finalmente la razionalità torna in lui si accascia contro la mia spalla, la fronte contro la mia clavicola, e respira a pieni polmoni cercando di smettere di tremare.
Lascio un bacio fra i suoi capelli chiari.
- Come si dice? - chiedo.
Alza lo sguardo sul mio, e brilla.
- Grazie, Daichi, grazie per avermi fatto venire. - mormora, e si morde piano il labbro mentre lo dice. Quanto gli piace fare il bravo bambino quando è con me, lo sa solo il Signore.
Mi lascia un bacio a stampo lieve sulle labbra, prima di indietreggiare con le ginocchia e appoggiare le mani aperte sulle mie cosce.
- Posso... posso toccarlo? - mi chiede, come se davvero potrei dirgli di no, lo sguardo fisso sul rigonfiamento evidente delle mie mutande.
Amo che mi abbia chiesto il permesso.
Strofino la sua guancia magra con il pollice.
- Per...? -
- Per favore. -
Annuisco e una scarica elettrica sembra librarsi dentro di me quando le sue dita sottili si avvolgono attorno a me. Ha il tocco delicato, deliziosamente leggero.
La punta della lingua sfiora la mia erezione quando si abbassa per avvicinarsi ancora, seguita dall'intera superficie che si avvolge attorno a me con un gemito soddisfatto.
Lo tiro via da me prendendolo per i capelli.
- Ti ho detto che potevi toccarlo, non che potevi tirare fuori la lingua e succhiarmi il cazzo. -
Lascio che il palmo della mia mano sbatta, non troppo forte, contro il suo viso, prima di afferrarlo dal mento.
- Troia impaziente. - commento.
Lo vedo, quanto gli piace che gli parli così. Si scusa con il volto avvilito, abbassa lo sguardo. Ma il suo corpo non mente, e vedo la pelle che trema quando la sfioro.
Mi chiede di nuovo il permesso ed è quando glielo concedo che posso ritornare a godermi la sua lingua umida su di me.
Lecca una striscia sottile di saliva per tutta la lunghezza, poi prende in bocca la punta e succhia piano.
Persino il rumore che fa mi eccita.
Accarezzo il suo capo argentato mentre continua a occuparsi di me, intrecciando le dita alle ciocche chiare e ansimando ad ognuno dei suoi movimenti.
Apre di più le labbra e lo spinge dentro, fino a che non sento la sua gola stringersi su di me, e inizia uno straziante su e giù.
- Bravo, amore, così. - lo incoraggio, le mie mani che assecondano i suoi movimenti spingendogli la testa dolcemente.
Geme piano e la vibrazione si spande dalla sua bocca ad ogni angolo del mio corpo.
Un rumore gutturale esce dalla mia gola senza che possa farci nulla, e il ritmo diventa frenetico. Neppure mi rendo conto che sto muovendo il capo di Kōshi in modo aggressivo, sostenuto, mentre il mio bacino si alza leggermente per incontrare le sue labbra e la sua voce risuona spezzata e ariosa.
Mi fermo quando sento il calore formarsi nella mia pancia. Quando il piacere inizia a serpeggiare lungo le mie fibre muscolari, tiro via Kōshi da me e lo interrompo.
Non è dentro la sua bocca che voglio venire. Almeno, non oggi.
- Sul letto. Ora. - gli ordino, osservandolo scostarsi da me e adagiarsi con la schiena sul materasso.
Apre piano le ginocchia.
- Fa' in fretta, Daichi. - mi risponde, sfilandosi le mutande e lanciandomi uno sguardo eloquente.
Sono immediatamente fra le sue gambe aperte, la bocca sulla sua, le mani che vagano dai fianchi al sedere al punto dove spero di entrare fra pochi minuti.
E' bagnaticcio. Gelatinoso.
C'è del lubrificante, qui.
E io non mi ricordo di averne messo, stasera.
- Vuoi spiegarmi cosa significa... questo? - gli chiedo dunque, le dita umide di gel davanti ai suoi occhi.
Arrossisce un po' giusto sulla punta delle guance.
Allaccia le cosce ai miei fianchi e si stringe a me, strofinando le nostre erezioni l'una contro l'altra.
- Mi mancavi. Il sogno era solo una delle cose che mi è successa perché mi mancavi. -
Stringo le mani sulla sua vita, pianto le sue anche sul materasso e mi sposto fino al retro delle ginocchia, alzandogli le gambe fino vederle schiacciate contro il suo petto.
- E cos'altro ti è successo? -
- Daichi... -
- Dimmelo. Ora. -
Scosta il viso.
- Nella doccia, un'ora fa. Ho pensato che se fossi tornato a casa avremmo fatto prima, se mi fossi preparato da solo. - confessa.
Appoggio il retro dei suoi polpacci sulle mie spalle, lo aiuto ad inarcarsi su di me, e mi allineo contro la sua entrata.
- Dio, avevo ragione. Sei davvero una troia impaziente. - commento, e mi spingo completamente dentro di lui.
Kōshi spalanca gli occhi, il fiato gli si mozza e perde le parole, quando un gemito inaspettato gli esce dalle labbra e affonda le unghie sul mio avambraccio.
Se pensa di poter avere il tempo di abituarsi, sbaglia.
Il ritmo è frenetico da subito.
In questa posizione riesco perfettamente a raggiungere quel punto che lo fa urlare come una ragazzina, ed è talmente stretto e delizioso che mi lascio avvolgere completamente dal suo calore.
Sposto i suoi fianchi verso l'alto, perfettamente aderenti ai miei, lascio un morso sul lato della gamba appoggiata a me, mi spingo più a fondo.
Lo vedo perdere completamente la ragione, la voce graffiata da un mugolo dietro l'altro, acuti, quasi inconsapevoli.
- Oh, sì, Daichi, ti prego, più veloce... - mormora, e riconosco le parole di prima, di quando era sul divano e stringeva le gambe magre fra di loro.
Nonostante sia io ad avere il controllo, per una volta decido di ascoltarlo e rendo il ritmo ancora più sostenuto.
Il rumore dei miei fianchi contro il suo culo riempie la stanza, la testiera del letto sbatte contro il muro così forte che ho paura che potrebbe scrostare l'intonaco, le voci mia e di Kōshi si mescolano all'insieme perfettamente.
I nostri vicini ci ammazzeranno.
Poco male.
- Ti prego, Daichi, ti prego. Posso... ah... posso venire? - mi chiede poi, la bocca impastata dalla saliva e il viso arrossato e inebriato dal piacere.
Spingo più a fondo.
- Vieni, amore, vieni. -
Non appena gli do il permesso, la schiena gli si inarca e viene, in modo intenso, meraviglioso da guardare.
Mi servono un altro paio di spinte per raggiungerlo, la sua voce lamentosa e acuta quando mi muovo sul suo corpo tremante che mi manda immediatamente in estasi.
Tremiamo assieme.
I nostri corpi fremono assieme finché non sento il mio corpo riprendere coscienza e riesco a tornare sufficientemente lucido da uscire da Kōshi.
Rimango seduto sul letto a guardare il muro un secondo, solo il rumore del respiro mozzato del mio ragazzo che mi fa compagnia.
- E' stato... intenso. - commento, mentre lo aiuto a tirarsi su e ad appoggiare il capo sul cuscino.
- Intenso? E' stato da fine del mondo, Daichi. - mi risponde, ridacchiando, mentre mi tira verso di sé.
Fa sporgere il labbro inferiore.
- Ora mi fai le coccole? -
Mi tuffo sul letto senza nemmeno ragionare. Raggiungo il suo corpo con le braccia e lo sistemo sopra il mio, il suo mento che mi batte contro il petto, e lascio correre le dita sulla schiena nuda.
Rimaniamo a goderci la vicinanza per una quantità di tempo indefinita, nel silenzio della nostra stanza arruffata dai numeri da circo che ci siamo messi a fare prima.
Pizzico fra le dita la punta di un suo orecchio.
- Mi hai fatto venire un infarto. Pensavo mi stessi tradendo, prima. Ero pronto ad ammazzare il tuo amante e me stesso. -
Scoppia a ridere.
- Non ti tradirei mai. Anzi, lo farei con una persona migliore di te. Ma dato che non esiste, non potrei comunque. - ribatte, e un sorriso caldo cattura il mio viso.
- Tu non hai davvero idea di quanto io ti ami, Kōshi Sugawara. -
Preme le labbra contro la pelle calda fra i miei pettorali.
- Anche io ti amo, Daichi. -
Un secondo di silenzio, poi prende fiato.
- Domani devi stare a lavoro fino a tardi? -
- No, domani ho preso il pomeriggio libero. Ti va di andare a cena fuori? Pensavo che potremmo andare in quel ristorante che ti piace, quello che fa cibo coreano che sembra davvero cibo coreano. -
Annuisce speranzoso.
- Sì, ti prego! E' da una vita che non usciamo insieme, noi due! -
Ha ragione, sembrano passati anni dall'ultima volta.
Si scosta da me e far per alzarsi.
- Vado a prendere l'agenda, devo segnarmi che domani esco. -
- Tanto vai di là mi potresti prendere la giacca del completo? E' sull'appendiabiti. -
Annuisce ed esce.
Non ci mette molto a tornare, la grande agenda di pelle nera in una mano con sopra un miliardo di penne colorate in bilico, e la mia giacca appoggiata alla bell'e'meglio sull'avambraccio.
Gli cade tutto appena mette piede in camera.
Quando qualcosa spunta fuori dalla tasca della mia giacca, nonostante sia nudo, sfinito e steso sul letto, mi alzo di scatto e mi ritrovo per terra, le mani di Suga che tastano il tappeto per recuperare le sue penne e la mia che stringe una cosa in mano.
Tira su il busto spaventato, prima di stringere gli occhi sulla mia mano.
Ormai non faccio in tempo a nasconderlo, cazzo.
Strabuzza le palpebre quando identifica l'oggettino che ho recuperato con tanta foga. Una scatolina di velluto nero.
Ragiono fra me e me per un attimo.
O lo faccio ora o non lo faccio mai più. E' l'unica occasione che ho.
Sbuffo.
Tiro su un ginocchio, l'altro rimane ancorato al tappeto.
- Avevo intenzione di farlo domani, a cena, in pubblico, dopo averti dedicato un magnifico discorso che sto finendo di scrivere. E invece sono qui, nudo, in casa nostra, e non ho idea di cosa dire. - inizio.
I suoi occhi si riempiono di lacrime.
- Daichi... tu... -
Lo zittisco ricominciando a parlare.
- Io ti amo, Kōshi, ti amo davvero. Ti amo dal primo anno di liceo e ti amo ogni giorno, ogni secondo che passa. Non riesco nemmeno a pensare come sarebbe la mia vita, se non ci fossi tu. -
Le lacrime gli rigano il viso e singhiozza.
- Kōshi Sugawara, amore della mia vita, non è che per caso ti piacerebbe diventare mio marito? -
Cade in ginocchio, inizia a frignarmi sulla spalla mentre mi stringe a sé.
Strofina il viso sulla mia guancia e afferra baciandomi piano.
- Sì! -
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