𝚙𝚑𝚎𝚗𝚘𝚖𝚎𝚗𝚘𝚗 :: 𝟷
⟿ ✿ ship :: KiriBaku
➭ ✧❁ SMUT alert :: "Così rabbioso ma così affettuoso, non lo è forse?", tutta la seconda parte
➥✱ song :: "Phenomenon", Thousand Foot Krutch
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➤♡❆ comfort fic for :: __ssnakee__
➸★✺ disclaimer :: ehm alcun* di voi lo sanno ma magari altr* no, il mio bakugō è piuttosto soft. non credo che sia ooc (out of character, ovver fuori dal personaggio) perchè di lui ho sempre pensato che fosse fatto esattamente come lo descrivo, aggressivo per nascondere le insicurezze e a grandi linee una persona che è affettuosa solo quando si sente davvero al sicuro, ma se cercaste il bakugō cattivissimo che urla e basta non credo possiate trovarlo qui :D
⇉❃➶ attenzione !!! :: la storia è divisa in due parti, trova le seconda subito dopo questa
➠♡༊ written :: 21/09/21
⧉➫ genre :: fluff, smut
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
Katsuki non è, come si penserebbe, una persona mattiniera.
È però, una persona puntuale.
Katsuki mette la sveglia un'ora prima di quanto non sia davvero necessario, per illudere il suo cervello assonnato di avere ancora un sacco di tempo per poltrire, inconscio del fatto che non sia vero.
Katsuki ama il caldo, le coperte e i piumoni, ama spiaccicare la faccia sul cuscino ed essere stretto forte mentre dorme, ama il contatto fisico e i baci sulla fronte, ama le dita fra i capelli e rotolarsi sul materasso, e ama tutte quelle cose perché non è una persona mattiniera, ma una che adora dormire e adora farlo, lo dico con davvero tanto orgoglio, con me.
Credo piuttosto fortemente di amare tutto di lui, la rabbia e il carattere spigoloso e le parolacce, ma credo anche che Katsuki alla mattina sia una di quelle cose che mi abbiano fatto davvero dire "ok, è quello giusto."
Stamattina mi sveglio con il rumore della suoneria che proviene dal suo telefono, quando si agita al mio fianco stringendomi la maglietta e trascinandola piano.
− Togli... sveglia. – lo sento borbottare, prima di aprire gli occhi per guardarlo.
Io, a differenza di Katsuki, non sono una persona puntuale, ma sono una persona mattiniera.
Svegliarmi la mattina, so che molti mi odieranno per averlo detto, non mi pesa.
Per sollevo le palpebre, le sbatto un paio di volte e mi tiro in basso verso il tappeto per scorrere sulla scritta "interrompi" della sveglia di Kat.
Di solito, l'avrebbe rimandata di un po', e poi un po' ancora, finché non si fosse stancato di farlo e avesse deciso di alzarsi effettivamente dal letto.
Ma da quando ha deciso che per lui dormire da solo è infattibile e che tutte le notti viene qui e rimane da me, la routine è un po' diversa.
Mi sposto di nuovo sul materasso, mi giro di fianco ed eccolo che fa quello che fa tutte, tutte, tutte le mattine.
Kat non è un ragazzo esile e di certo non è piccolo, ma è di statura un po' più bassa di me che ho avuto questa sorta di esplosione di crescita al secondo anno e per motivi puramente pratici è anche meno... massiccio.
Dev'essere agile, a lui serve essere agile e veloce.
A me di non farmi buttare giù.
In ogni caso, nella combinazione di me alto e più grosso e lui più piccino e inaspettatamente tenero perché i suoi neuroni non sono ancora abbastanza attivi per incazzarsi, Kat si spiaccica su di me, incastra le gambe sulla mia vita e appoggia la fronte al centro del mio petto, come alla ricerca di calore.
Stamattina lo sento mugugnare qualcosa.
Istintivamente ignoro la questione perché sono mezzo rincoglionito anch'io e gli accarezzo i capelli e basta cercando di riprendere un po' di lucidità.
Ma quando sento le sue mani incastrarsi contro la maglietta e tirare, allora capisco che c'è qualcosa che non gli piace.
Kat è una persona morbida, fragile, dentro, e lo so. Credo di saperlo più degli altri, questo, credo di averne una coscienza tutta mia.
Lui non si sente mai a suo agio, è sempre sulla difensiva, sempre pronto a distruggere e far esplodere e uccidere continuamente, non si rilassa mai.
Per questo, quando è in quei pochi momenti dove la tensione lo abbandona, tendo a fare qualsiasi cosa mi chieda nei limiti del possibile.
Perché voglio che sia a suo agio.
A suo agio... con me.
− Kat? – chiedo, con la voce roca per il sonno.
− La maglietta, Ei. –
Aggrotto le sopracciglia.
− Che ha la mia maglietta? –
Non apre gli occhi, ma perché li apra ce ne vorrà ancora un po' e la cosa non mi turba, piuttosto arruffa il viso e gli si formano delle rughette sul ponte del naso che trovo adorabili.
− Toglila. –
Ok, so come suona, e certe volte suona proprio in quel modo.
Ma questa volta no.
Questa volta suona come "ti prego, voglio dormire" e non è che comprenda bene la richiesta ma, come già detto, lo farò ugualmente.
Mi tiro un po' su dal letto, sfilo la maglietta, la lancio indietro e torno a letto.
Kat riassume la posizione iniziale e questa volta, quando la sua fronte batte fra la linea che separa i miei pettorali, fa un verso di pura soddisfazione.
− Molto meglio. –
Ridacchio fra me e me, ma lascio perdere correndo con una mano sulla sua schiena e premendolo dalle scapole contro di me.
Si accoccola meglio.
− Vuoi alzarti? – provo, sapendo quale sarà la risposta.
È sempre la stessa.
− Cazzo, no. –
Sorrido anche se non può vedermi.
− Cosa vuoi fare, allora? –
Una delle sue braccia si infila dietro la mia schiena, scorre contro la scapola e si ferma alla base della nuca.
− Dormire. –
− E vuoi dormire in questa posizione? –
Sembra di parlare con un bambino, quando vedi Kat la mattina appena sveglio, ma è davvero troppo dolce per il suo stesso bene.
− Tu non dormi. –
Tiro su le coperte su di noi, le sistemo al livello delle sue spalle.
− E che faccio? –
− Mmh, lo sai cosa. –
Di nuovo, so come potrebbe suonare e certe volte è suonato esattamente in quel modo.
Questa volta, no.
− Continuo a farti le coccole finché non hai voglia di alzarti? –
Annuisce senza rispondere, sistema la guancia sul mio braccio, mi bacia appena il punto del torace in corrispondenza del cuore e poi ritorna a sonnecchiare mentre non smetto di muovere le mie mani su di lui.
Io amo tutto di Kat, davvero, anche i difetti e i problemi, anche i litigi, tutto.
Ma amo la mattina, con Kat, perché sembra essere molto più sereno e felice di quanto sia in realtà, sembra che niente e nessuno l'abbia mai ferito, sembra solo tranquillo.
E sono solo molto molto felice di poter dire che Katsuki Bakugō è così perché è con me.
Fisso il suo visino delicato che si perde nel sonno e studio le ciglia bionde, le sopracciglia chiare e la pelle lattiginosa, le labbra e il taglio affilato degli occhi, la bruciatura che gli ha fatto ieri Todoroki durante l'esercitazione pratica e che ha lasciato nulla più di un arrossamento sparso.
Mi mancherà.
So che è solo una settimana, ma mi mancherà.
Siamo nella fase "Luna di Miele" della relazione, dice Denki, che finge di essere un esperto di relazioni ma non ne fa una giusta mai, ed è normale che ci piaccia stare sempre insieme ed appiccicati.
Ma in realtà penso che la cosa vada un po' oltre.
Kat è... l'ho detto, è fragile.
Non è debole, è fragile.
È impegnativo per lui, aprirsi, accettare il fatto che ora della sua vita faccio parte anche io e che può condividere.
Dall'altra io sono un po'... troppo protettivo con lui, direi, e ho questa forte tentazione ogni volta che lo vedo di proteggerlo da qualsiasi cosa potrebbe accadere che non è facile da gestire, ecco.
Vorrei non dover andare per stare qui e controllare che non succeda nulla.
Ma Fat Gum ha bisogno di me e Tamaki a Osaka per una missione, per cui io sono praticamente già lì.
Salgo con la mano sul suo viso e osservo le mie dita scorrere contro la sua tempia.
Mi sporgo per baciargli la fronte.
Vorrei che venisse con me.
Vorrei potermelo portare dietro ovunque.
Ma anche lui ha le sue cose da fare, lui deve seguire le lezioni e fare pattuglia qui, non può.
Penso che sarebbe bello, prima o poi, se aprissimo un'agenzia insieme, per lavorare senza star separati più spesso. Mi piace combattere assieme a lui e mi piace vedere cosa fa e cosa succede, l'idea di mollarlo in missione da solo mi terrorizza.
E so che la cosa vale anche per lui.
Mi ha detto ieri sera, prima che ci togliessimo i vestiti di dosso, che mi avrebbe ucciso se mi fossi ridotto anche solo lontanamente come al primo anno quando ho lavorato per la prima volta con Fat Gum contro Chisaki.
E il tono era cattivo, ma gli occhi dicevano "tornami a casa intero e dopo aver vinto, Ei, ti prego" e mi si è stretto il cuore.
Credo che sia questo che intende Aizawa quando parla di motivazione al combattimento, dicendo che un eroe è migliore se ha un motivo forte per combattere.
E se Deku vuole salvare il mondo e Uraraka aiutare i suoi genitori, io, che credevo semplicemente di voler dimostrare di essere forte, penso di combattere ora per tornare a casa da Kat come un vincitore.
E non so ma allo stesso tempo so che tornerò, ogni volta che lo guardo.
Te lo dicono, quando inizi il corso da Hero, che la tua vita sarà costellata da pericoli e difficoltà, che le cose andranno e verranno, che tutto potrebbe cambiare in così pochi secondi da scuoterti in ogni punto del corpo.
Ma credo di aver capito al primo anno, quando Aizawa è quasi morto per difenderci all'USJ e Mic è corso da lui in infermeria e non ha lasciato la sedia a fianco della barella finché non si è alzato vivo, che questa vita rende anche i tuoi legami più importanti, più forti.
Sai che non sarà tutto facile, quindi ti godi tutto il tempo che hai.
E io con Kat, mi godo tutto il tempo che ho.
Chiudo gli occhi pur sapendo che non mi addormenterò solo per cullarmi nel calore del suo corpo sul mio, nel suo odore, nella sua presenza.
Le mie dita rimangono incastrate nei suoi capelli, a muoversi dolcemente, poi scendono e descrivono un arco sul fianco nudo per superare l'orlo dei pantaloni e atterrare sulla coscia appoggiata contro la mia vita.
Stringo la mano sulla carne morbida del suo corpo premendolo contro il mio.
Mi fa sentire forte, Kat, anche se dice che sono io a rendere lui in questo modo.
Mi fa sentire forte e meritevole oltre tutta l'incertezza che ho sempre provato, perché mi rendo conto ogni istante, ogni momento, del fatto che uno come lui abbia scelto me.
Kat poteva avere di tutto.
È folle e rabbioso, ma anche bello e potente, vittorioso, ambizioso. È una persona affascinante, una che ti fa venir voglia di tentare di domare la belva che ci vive dentro.
E lui ha scelto me.
Forse è perché di domarlo non ho mai avuto neppure l'intenzione.
Forse perché mi piace così com'è, rabbia e urla e tutto il resto.
Si mostra così vulnerabile a me, che penso di avere tra tutte la fortuna più grande del mondo.
Infilo le dita dietro il ginocchio, fra il punto morbido dove la coscia si trasforma in gamba e l'inizio del muscolo del polpaccio.
Quando lo tocco qui, trema sempre un po'.
È uno dei suoi punti sensibili.
Lo sento mugugnare un verso appagato e inarcare un po' la schiena per spingersi più forte contro di me.
− Non dormi? –
Tra la foschia del mattino, lo vedo sporgere appena il labbro inferiore.
− Dormicchio. –
Perfetto, ottima spiegazione.
Rido appena con il suono che rimbomba contro il mio sterno.
− Mi dai un bacio, Kat? –
Sale con il mento verso di me pur non aprendo gli occhi.
− 'Fanculo, prenditelo. – risponde borbottando quello che non sembra ma è palesemente un "sì, non vedevo l'ora".
Premo le labbra sulle sue e le allontano strofinandole appena, prima di incastrare la sua testa sotto il mio mento e stringere forte le braccia su di lui.
− Ti amo, Kat. –
− Anche io ti amo, scemo. –
Mi sento sorridere.
− Sei adorabile. –
− Io non sono adorabile. –
Mette su un broncio carino, quando gli dico questa cosa.
− Non fare quella faccia adorabile, se non sei adorabile. –
− Non sto facendo nessuna faccia. –
Come no? Ed eppure la vedo bene, la vedo.
La mano sulla mia schiena tasta le scapole con calma, sente sotto i polpastrelli la texture dei graffi che mi ha lasciato e quando è soddisfatta, scende verso la mia e ci intreccia le dita contro.
Le porta unite nello spazio che ci separa, come volesse anche solo sentirle contro si è.
Prende un paio di respiri più profondi del solito, poi apre gli occhi.
Sono scarlatti, affilati e un po' gonfi per il sonno, quando mi cercano.
− Se mi torni con un osso rotto, te lo rompo ancora di più. – sbotta.
Appoggio il naso sul suo.
− Tornerò sano e salvo, Kat, te lo prometto. –
Sbuffa.
− Sarà meglio. –
Scorre con lo sguardo sul mio viso.
− Anche a te sembra di morire quando vado in missione? – chiede, dimostrando un po' di dolcezza, cosa più che rara per lui.
− Mi sembra che qualcuno mi stia pugnalando, Kat, e rimango in ansia nera finché non mi chiami e mi dici che va tutto bene. –
Stringe più forte le dita sulle mie.
− Che cosa fai per distrarti? –
− Mi alleno con la prima persona che trovo. Ma in realtà non è che mi distragga per davvero, alla fine ci penso così tanto che mi distraggo e mi faccio mettere K.O. il doppio delle volte. –
Sorride appena.
− Scarso. –
− Preoccupato. –
Lo sento sospirare.
Pochi istanti dopo slaccia le nostre mani e getta il braccio oltre la mia spalla, prima di spingermi con la schiena sul letto e spiaccicarsi sopra di me.
Tiene il viso piegato sul mio petto, la guancia contro lo sterno, richiude gli occhi e aspetta che lo stringa forte a me.
− Due minuti e ci alziamo. – mugugna dunque, richiudendo gli occhi.
Annuisco e sorrido.
− Come vuoi. –
Sento la sua bocca piegarsi contro la mia pelle.
− Come voglio. – risponde, e ricomincia nel suo rito adorabile di uscire e rientrare nel sonno come fa tutte, tutte, tutte le mattine.
Per il resto quel mattino ci siamo alzati, abbiamo fatto lezione insieme e siamo andati a pranzo.
Kat non è una persona che dimostra emozioni forti dall'esterno, ma è una persona affettuosa.
Ho notato una delle prime volte che sono stato a casa sua, prima ancora che ci mettessimo insieme, che nella sua famiglia il linguaggio dell'amore si manifesta in contatto fisico anche molto randomico.
Sua madre gli arruffa spesso i capelli, suo padre gli tocca la spalla, non sono timorosi all'idea di toccarsi.
Kat è come loro.
Non mi sale in braccio a caso, non si lancia in passionali baci in pubblico, ma mi tocca senza problemi.
Quando passa per uscire dall'aula, sfiora la mia spalla con le dita, quando mangiamo si siede talmente vicino che le nostre gambe si toccano, mi sistema i capelli quando sono in disordine e certe volte mi prende la mano quando non se ne accorge nessuno.
E non lo fa solo con me, non tocca solo me.
Ma non sono geloso di questo, anzi, sono fiero che riesca ad ammettere a se stesso di avere amici, perché ha fatto così tanta fatica per capire di meritarli.
Sistema la divisa di Denki dicendogli che è un "incapace che non sa vestirsi" nonostante lui stesso la porti completamente disordinata, tocca Jirō quando le deve parlare anche se basterebbe chiamarla, abbassa la testa sulla spalla di Mina quando dice qualcosa di idiota e non salta di spavento come faceva qualche anno fa quando Sero mette le gambe sul suo grembo sul divano comune.
Non è una persona che dimostra di volere bene agli altri in maniera plateale, ma è affettuoso.
È uno di quelli che magari non diresti mai coinvolto, ma se fai attenzione ai dettagli, ti accorgi che non è così.
Mi ha fatto la valigia usando la scusa che "non sono in grado di piegare i vestiti", mi ha aiutato a sistemare i capelli col gel dicendo che "da solo fai sempre un casino", ha infilato i biscotti che ha fatto ieri in una scatolina al fondo del mio zaino, perché "non sei capace di andare a comprarti da mangiare, cretino".
Se ascoltassi solo quello che dice, sembrerebbe uno stronzo senza speranza.
Ma io non sono uno che si fa irretire dalle parole, sono un tipo pratico e materiale quando si tratta di giudicare qualcuno, e quello che mi fa effetto sono i gesti.
E tutti i gesti di Kat dicono che mi vuole bene e che è una persona affettuosa.
Fa un po' fatica ad essere aperto su questo, e la cosa mi fa solo tenerezza.
L'altro ieri, dopo un'uscita di pattuglia, Todoroki mi ha detto che è stato cinque minuti interi a tastare le braccia di Midoriya sbuffando che "sei talmente coglione che potresti esserti rotto qualcosa, scemo", e a me, come credo anche al suo strano amico d'infanzia, la cosa è sembrata davvero fuori dal comune.
Voleva vedere che stesse bene, no?
Sono così felice di quanti progressi stia facendo.
Lui che odiava la compagnia, fino a qualche anno fa.
Sono felice che sembri più sereno.
Ha dato il suo numero a Tamaki, oggi nella pausa fra le lezioni, sbottando che se si fosse rotto il mio cellulare forse avrebbe potuto chiamarmi in quel modo, e so che quando me ne sono andato ha sbottato di "avvertire su qualsiasi mio movimento inconsulto, che sarebbe venuto immediatamente per pararmi il culo e ammazzarmi lui".
Mi fa strano, quando nei giorni peggiori pensa di non meritarsi l'amore di tutti o di non poter essere amato da nessuno.
Mi fa strano perché ai miei occhi è tutto così dolce, così premuroso che non riesco a capire cosa ci sia di cattivo o negativo in lui.
So che alle persone fa paura il carattere esplosivo, ma se inizi a conoscerlo non è altro che qualcuno che combatte con le sue stesse paure.
Mi ha detto che se lo avessi conosciuto alle medie lo avrei odiato, che era solo uno stronzo senza cuore che picchiava gli altri per sopperire alle sue stesse incertezze.
E credo di avergli risposto, quel giorno, che non è il mondo ad avergli fatto una grazia, ma lui stesso ad aver fatto progressi, lui ad essere stato in grado di farsi amare dalle persone, che magari era davvero il peggiore dei bastardi ma conta la persona che è ora, non quello che ha fatto in passato.
Se è stato in grado di perdonarlo Midoriya, ed è stato in grado, vuol dire che le persone possono davvero cambiare.
Sono di fronte al bus che aspetta me e Tamaki, ora sono le tre del pomeriggio e non fa particolarmente caldo né particolarmente freddo, si sta bene e basta, credo.
Tamaki è già dentro, vive stabilmente a Osaka ora, ma era in città per qualcosa che non ho ben capito. Non credo c'entrasse con Mirio che vivono insieme, ma in ogni caso.
Io ho messo nel bagagliaio la valigetta con il mio costume, ho chiesto ad Amajiki di sistemare il mio zaino nel sedile in fondo, e sono con le mani che si mischiano fra di loro di fronte a Kat che mi guarda dal basso.
Devo partire e non sono spaventato, non ho paura di combattere, non vedo l'ora.
Ma non mi piace che staremo separati.
Kat ha la faccia decisa, un po' spaventata e un po' fiera, le mani sulle mie spalle e il ponte del naso rosso.
Non ci siamo solo noi due, ci sono diverse persone, immagino sia un po' in imbarazzo.
− Guarda che ci siamo salutati stamattina, non c'è bisogno che mi fai una dedica d'amore in pubblico. – sussurro verso di lui, che aggrotta le sopracciglia e mi lancia un'occhiataccia.
− Non volevo farti una dedica d'amore in pubblico, scemo. –
− Oh, capisco. –
Stringe le mani contro i muscoli delle mie spalle, poi le chiude contro il mio collo.
Mi sento tirare in basso e chino la testa.
− Fai del tuo meglio e torna da me. – dice, con un filo di voce.
Il cuore mi esplode nel petto.
L'ha detto?
L'ha detto.
È la cosa...
Fondo le labbra con le sue, incastro i nostri nasi insieme spostando di lato il viso, lo sento sciogliersi piano piano verso di me.
È la cosa più carina che mi abbia mai detto.
No ok, forse ne ha dette altre, ma credo che rimarrà nel mio cervello per sempre, questa frase.
Potrei farmi una maglietta con su scritto "Katsuki Bakugō mi ha detto di fare del mio meglio e tornare da lui", e portarla come un trofeo tutti i giorni della mia vita.
Sai di essere un fidanzato amorevole quando il tuo piccolo e stronzo ragazzo ti dice una cosa del genere.
Mi stacco che ha la faccia più rossa di prima.
− Tornerò prima che tu ti accorga che me ne sono andato. –
Annuisce, si allontana da me.
− Ora vai. Prima che muoia d'imbarazzo. – borbotta.
Mi chino per baciarlo un'altra volta.
− Ti amo, Kat. –
Sbuffa.
− Anche io. Ti amo anch'io, Eijirō. –
Se prima ero "non spaventato", ora sono davvero carico a molla. Li ammazzerò tutti, quei bastardi, e quando saranno a terra e la polizia li starà trascinando via urlerò verso le loro facce "perdonate la violenza, è che devo tornare dal mio ragazzo, non è colpa mia".
Tanto che ci sono, gli bacio la fronte che ho a tiro e mi allontano anch'io.
Vorrei prenderlo in braccio e stringerlo e schiacciarlo fra le mie braccia, ma non voglio metterlo a disagio e come gli ho detto, ho avuto modo di farlo prima, quando eravamo da soli.
Mi infilo nel bus piegando la testa.
Noto Tamaki con le ginocchia tirate su sul sedile in uno dei primi posti, col cellulare in mano e i capelli che gli coprono la faccia.
Mi chino e gli bacio la guancia quando lo vedo, e si spaventa.
− Kirishima! –
Sorrido a trentadue denti.
− Ciao, Tamaki. –
− Mi hai salutato prima. –
− Non posso ri-salutarti? Non eravamo amici noi due? –
Sbuffa, alza lo sguardo su di me.
È rarissimo che guardi una persona negli occhi, da quanto ne so lo fa solo con Mirio, Fat Gum, Nejire, i suoi genitori e me. Per esempio di Kat ha una paura fottuta, anche se lo tollera senza attacchi d'ansia.
− Siamo... amici, credo. –
Pizzico la punta di una delle sue orecchie.
− Perfetto. –
Ho lasciato la mia roba al fondo perché so che dopo la prima ora mi sale il sonno, ma ora come ora voglio stare qui seduto a chiacchierare con Tamaki.
Ci vediamo poco, ora che non è più al liceo, e siamo amici da un sacco.
− Posso stare vicino al finestrino? – chiedo, inclinando la testa.
Annuisce e fa per alzarsi.
Se fosse stato Denki, Kat o chiunque altro, mi sarei lanciato oltre di lui e mi sarei sistemato seduto ignorando il fatto che ci fosse un'altra persona.
Ma Tamaki non ama il contatto fisico e le cose che succedono di sorpresa, per cui più di un bacio sulla guancia, preferisco evitare che si spaventi ancora di più.
Mi sistemo sul sedile e guardo fuori.
Denki ha appoggiato un braccio sulla spalla di Kat che fa finta di nulla e sta agitando la mano verso di me come se stessi partendo per sei mesi in Afghanistan.
C'è Shinso dietro che lo guarda in un misto di amore e rassegnazione, Sero, Mina e Jirō in cerchio che si dicono qualcosa, Aizawa con la solita faccia assonnata contro il muro.
− Sei sicuro di stare comodo? – mi sento chiedere da Tamaki, prima di rendermi conto di avere le ginocchia praticamente sul petto.
− Ah-ah, non ti preoccupare. – rispondo.
Sono cresciuto in fretta e tutto di botto, faccio un po' fatica ancora a rendermene conto.
− Quanto diavolo sei alto? –
Faccio spallucce.
− Un metro e novantadue l'ultima volta che ho guardato. Ma lui... − indico Shinso con il dito sul vetro – è un metro e novantanove. È altissimo! –
Tamaki ride appena.
− E il tuo ragazzo arrabbiato? –
− Si è fermato al metro e settantacinque. –
Rimane in silenzio un attimo.
− Non ti ha ancora ucciso per questo? –
Faccio spallucce.
− Quando ci siamo rivisti dopo l'estate del secondo anno mi ha chiesto chi cazzo fossi e come avessi fatto ma sono piuttosto sicuro che la cosa... gli piaccia. –
− Oh, capisco. –
Era settembre, ricordo, e lui era di fretta nei dormitori perché non trovava qualcosa. Mi era arrivato addosso e ho stampata nella memoria la sua faccia che si piega verso l'alto mentre mi guarda.
All'epoca non stavamo assieme, ma avevo pensato che mi sarebbe piaciuto dover piegare il collo per baciarlo.
Lo guardo un'altra volta oltre il vetro.
− In ogni caso non vinco quasi mai quando lottiamo. – commento.
La cosa mi dà fastidio?
No, in realtà no.
Mi stimola a migliorare, mi stimola a dare di più, e dall'altra mi rende anche fiero, perché quello che è praticamente inarrestabile è il mio ragazzo, il mio, cazzo.
− Il ragazzino arrabbiato è forte come dicono? –
Sorrido mentre sento il rumore del motore che si accende.
Muovo la mano da destra a sinistra verso i miei amici.
− Molto di più. –
Il giorno dopo, tutto quello che so è che TetsuTetsu è arrivato stanotte e mi ha svegliato con il suo casino, che sto mangiando così tanto che mi vergogno di me stesso e che domani dobbiamo andare in missione.
Sono felice di essere a Osaka, mi manca Kat, ma sono felice lo stesso.
L'agenzia di Fat Gum è un po' casa per me, in fondo è il primo vero Hero che abbia creduto in me e abbia visto il potenziale in fondo al mio essere un po' tonto e un po' ingenuo, Aizawa escluso, mi fa sempre piacere tornare qui.
Sono mezzo nudo, con i pantaloni e i capelli fradici dalla doccia, seduto sul mio letto con TetsuTetsu che mi racconta del più e del meno rotolandosi fra le coperte.
− Sai una cosa strana che mi è successa l'altro giorno? – chiede.
− Dimmi, dimmi. –
Si gira verso di me e ridacchia.
− Ho sognato che non mi ero ancora fatto l'operazione e avevo delle tette enormi, più grandi di prima. Davvero, enormi. –
− Davvero? –
− Ah-ah. Allora andavo da Kendō e le dicevo che avevo le tette più grandi delle sue. –
− E lei? –
Lo vedo guardarsi il petto e appoggiare distrattamente le dita sulle cicatrici arcuate sotto i pettorali.
− Mi diceva che amava gli uomini con le tette. –
Sorrido verso di lui.
− Che carina. –
− Però poi mi picchiava perché le chiedevo di toccare le sue per verificare che fossero effettivamente più piccole delle mie. –
Gli rido in faccia.
− Perché non avrebbe dovuto, è la tua ragazza! –
− È quello che le ho detto io! –
Si alza di poco dal letto e alza le sopracciglia verso di me.
− Però poi mi sono svegliato e non avevo più le tette. Ho avuto la gender euphoria migliore della mia vita. E ho anche toccato le tette di Kendō, quelle vere! –
Mi sporgo dal letto e gli arruffo i capelli.
− Ti ha picchiato? –
− Ovviamente. –
Kendō è un po'... manesca, sì, in effetti lo è.
− E comunque non hai le tette ma i tuoi pettorali sono fantastici, amico. In un'altra vita credo che ti morirei dietro. – commento.
− Meglio di quelli di Bakugō? –
Alzo le sopracciglia.
− Non correre. –
− Oh, ok, scusa. –
Ci sono cose che non si possono battere. Chi ha la faccia più attraente della terra? Momo Yaoyorozu. L'odore migliore? Uraraka Ochaco. Il carattere più adorabile? Midoriya. Il cazzo più grosso del mondo? Il professor Aizawa.
Ma se dovessi dire qualcosa che Kat ha, sono i pettorali più belli del mondo, e il culo credo. Adoro i suoi pettorali perché sono di quel tessuto muscolare perfettamente formato che è morbido al tatto, e quando facciamo sesso fanno un po' su e giù e credo che l'immagine mi faccia sbavare più di ogni altra cosa.
− A proposito di Kendō e Kat, dovremmo scrivergli. – borbotto, cercando il telefono.
Lo schermo è spento, ma ci sono un paio di messaggi non letti.
Trovo quello di Denki, quello del professore e quello dei miei, ma nulla più.
Sorrido, guardando la chat con Katsuki.
[You] >> ciao kat <<
[You] >> vado a dormire ora <<
[You] >> ti amo ci sentiamo domani <<
Bastano pochi secondi prima che legga "online" sotto il suo nome e quella stessa scritta si trasformi in "sta scrivendo".
[Kat <3] >> come stai? <<
So che non mi scrive perché s'imbarazza, e so anche che aspetta che lo faccia io.
Mi pesa, la cosa?
No, perché so perfettamente che non è che non mi cerchi, ma che certe volte è intimidito lui stesso dalle emozioni che prova.
[You] >> carico, un po' in ansia, tutto bene <<
[You] >> tu?? <<
A questa, non ricevo risposta.
Anzi, non è più online.
Mi dico che magari starà parlando con qualcuno, e rispondo agli altri messaggi con calma.
− Kendō dice che devo dimostrare al mondo quanto è grosso il mio cazzo. – mi borbotta Tetsu con il telefono appoggiato sul petto.
− Kendō ha ragione. –
− Ma io... −
− Hai il cazzo, anche se non lo vedi. L'hai sempre avuto. –
Silenzio e meditazione.
− Hai ragione, sei davvero un bro, Kiri. –
Sporgo il braccio oltre il letto e aspetto che batta il pugno contro il mio.
− Quando vuoi. –
La tendina si abbassa mentre apro Instagram per guardare il feed della pagina di shitposting di Denki e ridere un po', e vedo che...
Ci schiaccio sopra.
Mi alzo di scatto dal letto.
− Amico, che cazzo fai? – mi chiede Tetsu.
Senza maglietta sul mio letto, senza le mutande nemmeno, in ginocchio e di spalle rispetto allo specchio, girato col busto verso il telefono.
Si vede...
Il collo sottile, i segni delle mie mani sulla vita, i muscoli dell'addome stirati verso di me, il culo, metà del viso palesemente arrossato.
Sotto, c'è scritto "se hai bisogno di rilassarti e far passare l'ansia".
− Vado a fare la doccia, Tetsu. –
Marcio verso il bagno.
− L'hai appena fatta! –
− Ah... ehm... non c'è uno senza due. Ciao, Tetsu. –
Mi chiudo in bagno l'istante dopo.
Ventiquattro ore dopo, sono vivo.
Vivissimo.
Incredibilmente vivo.
La missione era... pericolosa, cazzo, davvero pericolosa.
Kat mi ucciderà, mi dico, perché Recovery Girl a parte non posso proprio nascondergli il fatto che mi sia rotto quattro costole e che mi sia fatto un male bastardo durante il corso di tutto quello che è successo.
Tetsu è messo peggio.
Vivo, ma messo peggio, la considero una vittoria, credo.
Tamaki e Fat Gum sono rimasti completamente indenni ma sono due Hero professionisti, direi che la cosa non è poi strana come potrebbe sembrare.
Mi sono visto la morte passare in faccia un paio di volte.
Ma... non ho ceduto.
Non mi sono rotto.
E sono stato sbalzato via da una finestra al terzo piano, mi è caduto un muro di mattoni addosso, ho difeso un civile con il mio corpo e ho dovuto correre ferito per non perdere, ma sono vivo.
Stendo le gambe lunghe sul lettino d'ospedale che sento i muscoli intorpiditi e le punte delle mani che sembrano distanti e quasi assenti.
Fa male, quando il tuo osso si rigenera da solo, è per un periodo breve e fra poche ore starò bene, ma fa male.
Non male quanto morire, certo.
Prendo un respiro tremante mentre finalmente accendo il cellulare spento.
"Sono vivo", posso dirgli.
"Sono vivo e ho vinto, Kat, sono vivissimo".
Sono fiero di me stesso, del mio quirk banale e della mia bruta forza fisica. Sono fiero di essere uscito vincitore una volta ancora da uno scontro potenzialmente letale, di aver salvato delle persone e di aver fatto quello che un Hero doveva fare.
Ma nell'intimo, una parte di me un po' meno coraggiosa, tira un sospirone di sollievo all'idea che non è ancora il giorno in cui verrò forzatamente strappato via da tutte le cose che amo.
Il cellulare esplode in una marea di notifiche.
Due messaggi da Denki e settantaquattro chiamate perse di Kat. Sono suoi anche quarantadue messaggi.
Quelli di Denki sono i più recenti, li leggo per caso, non darei loro la priorità, nonostante voglia davvero bene al mio amico.
[Denki l'amico migliore del mondo] >> amico ho appena visto kacchan andare da midoriya a chiedergli di picchiarsi perché non riesce a stare fermo so che non puoi non sapere questa cosa ti prego è stato bellissimo <<
[Denki l'amico migliore del mondo] >> farai meglio ad essere vivo o quello stronzo ci fa secchi tutti non l'ho mai visto così è fuori di testa <<
Per la cronaca, il suo nome se l'è scelto da solo.
In ogni caso... che cosa tenera, credo?
Non è la prima volta che sono andato in missione da solo ma...
Cazzo, la TV. Ci hanno dati in rete nazionale, me n'ero scordato. E chissà quante cose brutte avranno detto e quali immagini avranno trasmesso.
Merda.
Scorro velocemente fra i messaggi e noto un paio di cose.
[Kat <3] >> se non torni qui ora ti sparo <<
[Kat <3] >> ti prego torna <<
[Kat <3] >> cazzo sembro ridicolo non so cosa sto dicendo <<
[Kat <3] >> ho visto in tv che ti è caduto un muro addosso se ti fai uccidere da una merda di muro ti ammazzo <<
[Kat <3] >> eijirō ti prego se non ritorni io muoio <<
[Kat <3] >> ti amo ti amo ti amo ti amo <<
[Kat <3] >> non è vero che i capelli sparati col gel ti stanno una merda ti stanno benissimo non so come fare a vivere senza di te ti prego dimmi che sei vivo <<
[Kat <3] >> se leggi queste cose e non sei morto mi vergognerò per il resto della vita <<
[Kat <3] >> sto iniziando a pensare se farmi cristiano e pregare dio <<
[Kat <3] >> la prossima volta che vai in missione senza di me ti ammazzo <<
[Kat <3] >> ti prego se tu muori io non so che cazzo fare non mi sopporta nessuno sei l'unico che non deve morire io credo che lavorare separati sia una merda ti amo stronzo ma tornami vivo <<
Oh, merda.
Hanno dato la scena di me sotto un muro di mattoni, cazzo, e credo anche molte altre cose non promettenti, ma sembra che nessuno abbia dato l'immagine di noi che usciamo vittoriosi dalla missione, quantomeno non me.
Dev'essere...
Mi si stringe il cuore.
Quanto cazzo posso essere innamorato io di quest'uomo, non ne ho nemmeno idea.
Mi tremano le dita, quando cerco il suo numero nella rubrica.
Non avevo fretta di farlo, prima, pensavo che qualcuno avesse detto che ero vivo da qualche parte, ma pare che non sia così e farlo soffrire, anche solo l'idea, mi distrugge.
Risponde... che il cellulare manco ha squillato.
− Se sei qualcuno che mi chiama dal telefono di Eijirō per dirmi che è morto io esco dalla finestra e mi butto dal balcone. Lo giuro, lo faccio. Io non voglio sentire che... −
− Katsuki, sono io. –
Ha la voce umida, un po' nasale, il tono affannato e stanco e...
Giurerei di sentire il fiato che si spezza nella sua gola quando sente che sono io a star parlando.
Non risponde.
Non risponde ma... piange.
− Katsuki, sono io, sono l'amore della tua vita, l'incredibile, bellissimo, unico e solo magnifico Eijirō Kirishima. – riprendo, per sdrammatizzare.
Piange, continua a piangere e singhiozza.
− Cretino! –
− Ah, ti amo anch'io Kat. –
Tira su con il naso, sento la stanza che rimbomba per cui intendo mi abbia messo in vivavoce, immagino per non bagnare lo schermo del telefono.
− Nessuno ti ha fatto vedere vivo in TV e Fat Gum ha chiesto di non riprendere interviste perché stavano portando via qualcuno, cazzo. Io... io... −
− Tetsu si è rotto il femore, non riusciva a camminare e non vuole che lo riprendano perché i suoi genitori sono dei pazzi e non vuole che sappiano chi è, quale sia il suo nome e che cosa stia facendo ora. –
Singhiozza e ha la voce rotta, quando parla.
− Stai bene? Non è che mi chiami per dirmi che ti rimangono due ore di vita? Io in due ore non ce la faccio ad arrivare lì, mi dovrò far portare da quel Quattrocchi di merda di Iida e... −
− Sto bene, Kat. Mi sono fatto un male porco e mi sembra di aver combattuto contro un dinosauro sputafuoco grande quando la città intera, ma sto bene. –
Lo sento ridere appena, mi si rilassa la tensione nelle spalle al suono.
So di star sorridendo da solo, ma sto sorridendo.
È bello sentire che la persona che ami... ci tiene davvero.
Non che non mi senta apprezzato da Kat, no, ma poter tastare con mano tutto questo è... bello.
− Quando torni? –
− Quattro giorni, amore, sai che dobbiamo fare le interviste e parlare con la polizia e firmare le carte per queste cose. –
Mugugna qualcosa tipo "ma che cazzo" e tenta, sento che tenta di smettere di piangere, fallendo miseramente.
− Devo dire agli altri che sei vivo, cazzo, ma non posso farmi vedere così. –
− Così come? –
Potrei giurare che stia alzando gli occhi al cielo e mi aspetterei un "non te lo dico, stronzo", ma credo che lo spavento l'abbia momentaneamente addolcito.
− Sono sul tuo cazzo di letto con la tua cazzo di felpa e il tuo cazzo di cuscino che piango da un'ora e mezza perché sono cazzo terrorizzato all'idea che tu sia morto. –
Sorrido.
− Cazzo. – rispondo.
Di nuovo, appena ride, con la voce che trema.
Rimaniamo un attimo in silenzio, io a sentire il mio cuore che batte e lui credo a riprendere un po' di lucidità dopo tutto quello che è successo in... cinque minuti?
Lo sento sospirare con la voce che trema.
− Possiamo fare che diventi tipo la moglie che sta a casa e vado a lavorare solo io? Ti do un sacco di soldi, cazzo. – borbotta dopo un po', facendomi ridere.
− Non staresti mai con una persona che si fa chiudere in casa, tu. –
− Lo so, ma meglio chiuso in casa che morto, Ei, e mi sono preso un infarto. –
Mi sembra di sentire rumore di lenzuola. Forse si è alzato.
− Non leggere i messaggi che ti ho mandato. Cancellali senza aprirli, ti prego. – chiede l'attimo seguente, col tono un po' imbarazzato.
− Troppo tardi. –
Sta alzando gli occhi al cielo, so che lo sta facendo.
− Non è come sembra. – tenta, ma mozzo questo suo momento anti-romantico sul nascere.
− Sembra che tu sia tanto innamorato di me e tanto preoccupato. Non è vero? –
Sbuffa.
− Non è non vero. – borbotta.
Sento il mio viso sorridere da solo.
Di sottofondo mi pare che Kat apra una porta.
− Ti senti meglio? – chiedo poi, sentendolo respirare piano.
− È tutto un po' una merda, ecco, mi manchi e ho avuto paura e mi sono preso un attacco di cuore ma sono anche così felice e... non ne ho idea, Ei. – risponde.
Ha la voce più salda, ora.
Più solida.
− Sto bene, Kat. Sto bene, ho vinto e torno a casa da te. –
− Farai meglio. –
Sorrido ancora di più.
Così rabbioso ma così affettuoso, non lo è forse?
− Vogliamo parlare di qualcos'altro così ti distrai? –
− Tipo? –
− Tipo la tua foto di ieri sera. Come mai eri nudo sul mio le... −
Altri passi e silenzio.
− Se finisci la frase volo fino a Osaka a suon di esplosioni e ti stacco la testa. –
Sì, a Kat imbarazza il sesso. Un attimo, non è che lo imbarazzi, lo imbarazza che gliene parli come se fosse una cosa totalmente normale, come è in realtà, se non siamo in orizzontale nudi che stiamo per farlo, ecco.
Ma, gli piace.
− Ti mancavo così tanto? Oh, il mio piccolo Kat, me ne vado e ti disperi? – lo stuzzico, abbassando di un po' il tono della voce.
Non sembra, ma a Kat piace essere definito "piccolo" ed essere trattato come se fosse una cosina delicata e fragile.
Perché?
Perché è un uomo forte.
Uno pieno di responsabilità, uno che deve essere sempre il migliore, sempre più grande di se stesso, uno che conta e che vuole contare.
E ci sono aspetti della vita di una persona, aspetti nascosti come quello sessuale, dove uno vuole sentirsi diverso.
Non è una cosa strana.
Kat pensa che lo sia, combatte con questa idea, ecco.
Ma non è strano.
Se tutto il tempo tieni il peso di un lavoro fatto di responsabilità sulle spalle, è normale che quando sei da solo, con il tuo ragazzo, spogliato di qualsiasi cosa ci sia all'esterno, tu voglia sentirti libero da tutto.
Kat si mette così tanta pressione che immagino gli piaccia sentirsi coccolato da me.
− Non sono disperato, è che mi mancavi. E ho pensato che ti avrebbe aiutato a distrarti. –
Già il tono si è fatto meno arruffato e impositorio.
Non è una cosa su cui gli piace resistermi.
− Mi ha aiutato molto, credo di averti mandato una foto su quanto mi abbia aiutato, Kat. – rispondo.
So che le dick pic richieste sono un millesimo di quelle che sono mandate nel mondo, ma giuro su qualsiasi cosa vogliate che le mie ne fanno parte.
Non dice nulla per qualche momento, poi mi sembra di sentire i passi che si fermano.
− Se te ne mando un'altra? –
Oh, Katsuki. Se me ne mandi un'altra sarò costretto a fare qualcosa di poco elegante nel bagno di un ospedale, con le costole che cercano di riformarsi dopo che le ho rotte e le braccia stanche.
− Se me ne mandi un'altra sarò l'uomo più felice del mondo. –
Ok, sono debole.
O, come dice sempre Denki, sono giovane.
− Se te ne mando un'altra mi chiami al telefono? –
Sesso telefonico in ospedale dopo che tu hai pianto un'ora perché credevi che fossi morto e io sono quasi morto?
− Che domande, come vuoi amore. –
Quanto cazzo sono giovane.
− Ok, allora aspetta un secondo. –
Sporgo le gambe oltre il lettino dell'ospedale.
Se Fat Gum mi becca a intrattenermi nel bagno invece di riposarmi, penserà che sono un maniaco, vero? Ma perché dovrebbe entrare nel bagno? Sarebbe lui, il maniaco, nel caso.
Camminare è facile ma un pelo faticoso.
'Fanculo.
Lo sento ricominciare a camminare, più velocemente, aprire un'altra porta e urlare.
− Eijirō è vivo, stronzi! Per oggi non ucciderò le vostre famiglie per sfogarmi. –
Torna indietro ancora più in fretta, i passi non più incerti ma direi piuttosto decisi, riapre la porta che intendo essere della mia stanza, sento il rumore delle lenzuola.
− Come la vuoi? –
− Che cosa? –
M'infilo in bagno, chiudo la porta dietro di me.
− La foto. –
Come la...
− Mettiti una maglietta delle mie. –
− Mmh, ok. –
Molla il telefono lontano perché non sento più nulla, torna un paio di istanti dopo.
− Ei? – chiede, come per sapere se ci sono ancora.
Ci sono, certo che ci sono.
− Togliti i pantaloni, magari anche le mutande e stenditi. –
Il materasso emette il rumore delle molle, quando Kat si butta giù di schiena.
Entro in bagno, chiudo la serratura, mi appoggio al muro.
Sto per farlo davvero?
Certo che sto per farlo.
Sono giovane, in fondo.
− Apri le gambe, Kat, e fatti una foto. –
Lo sento trattenere il respiro.
− Come quando... −
− Sì, Kat, come quando ti salgo sopra e apri le gambe per me. –
Non ho bisogno della foto per ricordare quell'immagine, no. Voglio vederla perché voglio osservarne ogni particolare con calma, ma so di cosa sto parlando.
So com'è Katsuki quando facciamo sesso.
Accendo la luce del bagno.
So che è imbarazzante praticarsi autoerotismo a luce accesa, ok? Cioè alla fine sto guardando un cazzo che è il mio, miseria.
Ma uno fa quel che può e io non posso proprio rischiare che carichino sull'assicurazione di Fat Gum la pulizia del bagno perché ho deciso di farmi una sega dopo essermi fatto picchiare da un Villain.
Il mio telefono vibra l'istante dopo.
Apro la foto immediatamente.
Merda, se c'è un angolo di Kat che non sia bello in quel modo.
Ha la linea del torso liscia e definita, le cosce magre, il petto che s'intravede dalla maglietta appena tirata su.
Non guarda l'obiettivo, perché si vergogna, guarda dall'altro lato della stanza.
Caccio la mano dentro i pantaloncini senza pensarci due volte.
− Ti piace? – chiede, quando non dovrebbe chiedere perché cosa dovrei dirgli, di "no"?
Non lo direi se fosse vero, ma cazzo, non è vero manco per niente.
− Sei sempre così bello per me, Kat. – rispondo, con un autocontrollo nella voce che mi sorprendo ogni volta di avere.
Dice che sembro tanto sicuro di me e ok, certe volte lo sono anche, ma non credo si renda davvero conto dell'effetto che mi fa.
− Quanto ti piace? –
Ah, ho capito.
Vuole sentirsi dire una cosa.
E diamogliela pure, no? Chi sono io per negarglielo?
− Sono così duro che mi fa male, Kat. –
Risponde con un mugugno strano.
Sento altro rumore di lenzuola che si spostano, capisco quando sento il tappo di una bottiglietta aprirsi che cercava il lubrificante.
È arrivato il momento di calarsi le braghe, vero?
È arrivato.
Kat mi guarda sempre come se fosse in adorazione, quando mi spoglio, e lo trovo molto eccitante e molto soddisfacente. Vorrei vedergli quella faccia addosso.
Ma la conosco bene, bene davvero.
− Mi manchi così tanto, Ei, vorrei che fossi qui. – lo sento dire, con la voce che diventa più lagnosa, quando facciamo questo genere di cose.
− Qui dove? –
− Sopra di me, come fai di solito. –
Ok, non posso spegnere le luci ma posso chiudere gli occhi.
Oh, merda, la vedo, quell'immagine.
Quella di quando mi stringe i polpacci dietro la schiena e mi spinge contro di sé.
− Non hai idea di quanto vorrei essere là anch'io, Kat. Vedere che ti contorci quando ti tocco e mi preghi di metterlo dentro. – rispondo, il calore che si espande nella mia pancia quando mi decido a stringere questa miseria di mano attorno all'erezione che inizia a farmi davvero male.
− Vorrei che lo mettessi dentro anche ora. – risponde.
Merda.
− Usa le dita. –
So che ha il lubrificante, ma credo che più passano i secondi più si senta sicuro di se stesso, per cui non nasconde il suono della sua bocca che ci si chiude attorno.
Mi sembra di vederlo.
Davvero, mi sembra di vederlo.
− Le hai succhiate? –
− Vorrei non doverlo aver fatto con le mie dita ma con te, Ei. –
Merda, merda.
− Amo quando mi vieni in gola. –
Devo stringere la mano per non avere un orgasmo immediato.
Che ha detto?
L'ha detto?
Con le parole?
Oh, porca puttana.
Porca...
Per coronare tutto questo, mi geme nell'orecchio e parla di nuovo.
− Sono troppo sottili, cazzo! –
Mi sento sorridere di quella che so essere arroganza.
− Insoddisfatto? Piccino, ti ho viziato. –
Si lagna con un lamento piuttosto erotico, devo dire.
− È che tu sei così... grosso. –
Mi piacciono i commenti sulla mia taglia? Sì che mi piacciono, a chi non piacciono?
Mi eccitano parecchio, devo dire.
Lo sento gemere un'altra volta al mio orecchio e riconosco il tipo di voce che ha fatto. Quando tocca il suo punto debole, fa quella voce.
− Quanto torno te lo faccio sentire, quanto è grosso, Katsuki. –
− Merda! –
Lo vedo, davvero, lo vedo.
So che è la mia mano, quella che sento, ma se ci penso un po' più intensamente, se mi concentro sulla sua voce, mi sembra di essere là con lui.
Le gambe aperte, la faccia un casino e lacrime agli occhi, la schiena che si inarca dolcemente in aria e le unghie che mi affondano sulla schiena.
− Quando torni mi devi scopare così forte che non riuscirò ad alzarmi, Eijirō. – mi sento rispondere qualche secondo dopo, la voce un filo spinoso di promesse e preghiere.
− Quanto torno farò in modo che tutto il dormitorio sappia quanto al mio piccolo Katsuki piaccia il mio cazzo dentro di sé. –
Perde a questa frase.
La sua voce si stringe.
La mia mano si fa più veloce con lei.
Chiama il mio nome, io credo di chiamare il suo.
Poi, per un attimo, con gli occhi chiusi, con le dita su me stesso e l'odore di ospedale nelle narici, mi sembra di non essere più qui.
Mi sembra di essere in camera mia, con le luci soffuse del campus che entrano dalle tende, con Katsuki piegato di fronte a me. Mi sembra di sentire il suo odore zuccherato, il calore delle sue mani che mi esplodono contro la pelle, quanto sia stretto contro di me.
Mi sembra di vedere i suoi occhi e il suo corpo, la sua schiena e il suo addome teso.
Mi sembra di essere da un'altra parte.
Poi come se fosse un'ondata dentro di me, tutto finisce, e mi ritrovo a tremare con una mano sul muro e l'altra... beh, sappiamo dov'è l'altra.
− Eijirō? – mi sento chiamare dal telefono, e mi rendo conto di quello che è appena successo.
− Sono... −
− Anche io. Facciamo finta che non sia mai successo? –
Stacco la mano da me stesso l'attimo dopo.
Devo lavarla, credo.
Sistemo i pantaloni con le punte delle dita.
− È stato veloce, lo so, ma siamo tutti e due molto stressati, non c'è bisogno di essere in imbarazzo per questo. – tento, con tutta la calma del mondo mentre incastro il cellulare sulla spalla e apro l'acqua.
Ho le gambe molli.
− Siamo durati cinque minuti, Ei. –
− Molto stressati. –
Ride appena.
− Non pensavo che... −
− La parte in cui dici che ami quanto ti vengo in gola puoi ridirmela di persona? Ti, prego credevo di essere in paradiso. –
Finisco di lavarmi le mani e le asciugo.
− Katsuki? –
Oh, dev'essere...
A mani asciutte, prendo il telefono.
Ha chiuso la telefonata.
Mi ha chiuso in faccia.
Forse me lo meritavo.
╰┈➤ ❝ continua ❞
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