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𝚋𝚕𝚊𝚌𝚔𝚘𝚞𝚝

⟿ ✿ ship :: ShinKami

➭ ✧❁ SMUT alert :: "Piano b, Hitoshi"

➥✱ song :: "Blackout", Solence

⤜⇾ parole :: 9.010

➤♡❆ comfort fic for :: Void_Malfoy

➠♡༊ written :: 15/05/21

⧉➫ genre :: smut, kinky, fluff

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

La cosa migliore del mio terzo anno di liceo?

Ce ne sono diverse.

L'ufficializzazione del mio affidamento esclusivo ad Aizawa, il tirocinio con quello che ora è mio padre nelle settimane di vacanze invernali, la mia sorellina che mi porta i disegni dalla scuola elementare ed è finalmente abbastanza serena da poter dormire da sola, e tante altre cose.

Ma se egoisticamente dovessi metterne una sulla griglia delle mie esperienze, insomma, direi di certo che...

La cosa migliore del mio terzo anno di liceo, è che non sono più single.

So che sembra una frase da quattordicenne in un romanzo rosa, ma insomma, è vero.

Sì, sono enormemente felice che la mia famiglia sia stabile, e sì, anche che le persone che amo inizino a stare sempre meglio, ma se parlo di me stesso, in completa solitudine, allora...

Denki è la cosa migliore di quest'anno.

Denki è tutto quello che volevo solo per me stesso.

Non per motivi d'amore familiare e non per condivisione.

Per me, solo per me.

Come ci siamo messi assieme, è una storia che penso sappiamo già tutti. E come siamo finiti da guardarci come due ragazzini durante le ore di lezione a dormire abbracciati, è un'altra ancora.

Ma come sono arrivato fino a qui, per quanto possa essere sicuramente una vicenda divertente, non è nulla in confronto a tutto ciò che vivo adesso.

Tranne per una cosa.

Una cosa piccina, ma che per me, che sono sempre stato un po' in disparte, inizia ad ingrandirsi fino a catalizzare tutta la mia ansia e il mio dubbio.

Partiamo dal presupposto che Denki è bello.

E magnetico.

Chiacchiera costantemente, fin troppo, urla e ride e assorbe l'attenzione di tutti.

Aggiungiamo l'interesse per le persone coi capelli viola di cui sono perfettamente conscio, che gioca a mio favore fino ad una certa, e la passione per le belle voci.

Arriviamo a...

Denki che mi dice da tre sere a questa parte che no, non viene a dormire da me, che ha da fare con Jirō e che devono parlare di "cose" che a quanto pare a me non può dire.

Non sono geloso.

Ok, sono geloso.

Ma diciamo che più che geloso, sono insicuro.

Non credo di essere bello, Denki me lo dice, ma insomma, parliamone. È vero, sarò anche cresciuto in questi due anni nella sezione Hero, ma sono pur sempre uno che ha le occhiaie fino a metà viso e i capelli viola, per la miseria.

Sicuro non sono bello quanto lui.

Si è visto?

Tutti, l'hanno visto?

Il modo scherzoso in cui la sua pelle prende le forme scure dei fulmini quando lascia andare scariche elettriche un po' più forti del normale, gli occhi che brillano e i capelli biondi.

Le spalle sottili, la carnagione chiara, le labbra morbide.

Il modo in cui...

Di Denki mi piace tutto.

Tutto tutto.

Tutto quello che si può dire e tutto quello che non si può dire.

Non riesco a capacitarmi del fatto che lui stia... con me. So che è un po' pessimistico, ma ci sto provando, sul serio. Inizio a credere di meritarlo, mi convinco a darmi una chance, ma alla fine, siamo seri.

Io sono un musone con un quirk da Villain.

E lui è la bellezza elettrizzante e scoppiettante della gioia giovanile.

Per quello mi dà fastidio, che stia con Jirō. Non perché non mi fidi, né perché penso mi tradirebbe mai, ma perché non ci credo nemmeno un grammo, in me stesso.

Non penso di avere le carte in regola.

So come fare certe cose, è vero, ma meritevole di amare qualcuno di prezioso come Denki? Inizia a diventare impensabile.

Stasera non mi ha detto niente.

L'equilibrio di una relazione come la nostra, si mantiene su cose che ci distinguono e cose che ci accomunano.

Ci distingue il rumore delle nostre voci, per esempio.

Ma ci accomuna la grande passione per il contatto fisico.

Viene a dormire da me dai primi giorni in cui uscivamo. Scusa per fare sesso, su questo sono d'accordo, ma anche stare vicini e spiaccicati assieme dopo è qualcosa che adoro.

Mi piace come profuma la sua pelle e come si alza e si abbassa il suo petto, mi piacciono le tracce delle sue dita attorno alle spalle e gli occhi che si aprono uno alla volta la mattina.

Come dicevo, di Denki, mi piace davvero tutto.

Tre giorni di seguito che mi privo di questa cosa. Tre giorni, miseria.

Un'eternità.

Ma scherziamo?

Sono un ex adolescente emo, è ovvio che voglia le coccole. Come fa a tradirmi in quel modo per andare a fare chissà che cosa con una versione più bassa e carina di me?

Merda, non pensarci, Hitoshi.

Che poi diventa ossessione.

Stendo le gambe sul letto - che è un futon buttato in mezzo alla stanza che pare sia la cosa più comoda per la mia insonnia - apro le braccia a stella marina, fisso il soffitto.

Se stasera mi dice che va da Kyōka lo mollo.

Ma no, cosa dici, non riusciresti mai.

Mi metto a piangere?

Seh, certo, come no. Da quanto non piangi? Probabilmente non ne sei nemmeno capace.

Se stasera mi dice che non c'è mi bevo quattro caffè e passo la notte a mandargli onde cerebrali molto arrabbiate dall'altra parte del muro.

Non che non lo faccia già, capiamoci.

Ma sul serio.

Tiro su il cellulare con una mano.

No, non mi vergogno di avere gli Widget del mio Iphone tutti a tema Denki. So che è sdolcinato, so che non aderisce al mio personaggio, ma è il mio cellulare e ci faccio quello che cazzo voglio.

Scorro fino al nome del mio ragazzo.

[You] >> Dove sei? <<

[Denki <3] >> doccia arrivo subito <<

[You] >> perché stai usando il telefono nella doccia? <<

[Denki <3] >> per risponderti <<

Alzo gli occhi al cielo.

Adorabile idiota.

[You] >> muoviti <<

[Denki <3] >> ti manco? <<

Certo che mi manchi, cretino. Mi manchi che non ti vedo da quasi due ore, e mi manchi perché non dormi con me la notte.

Sento il mio viso scaldarsi.

[You] >> muoviti e basta <<

[Denki <3] >> aaaaaarrivo <<

Metto via il cellulare.

Non ho intenzione di umiliarmi rimanendo qui a sorridere come uno scemo di fronte ad una chat sul cellulare, miseria.

Che poi sorrido lo stesso, ma questo non è importante.

Rimango fermo nel mio inerme tentativo di far passare il tempo.

Viene qui, no?

Ha detto che viene qui.

Non va a dormire fuori, non c'è alcun bisogno. Dividiamo il tempo fra amici e ragazzo, non è giusto che passi tutto il tempo con me ma non è giusto nemmeno che lo passi con loro.

Capisco di non poterlo monopolizzare, anche se non mi dispiacerebbe, ma almeno un pochino di affetto me lo meriterò, insomma.

Oh già, sicuramente.

Aspetterò che entri qui dentro, si spalmi su di me e lo terrò talmente stretto che l'idea di andare dalla sua amica manco gli passerà per la mente, stretto strettissimo mentre aspetto di prendere sonno con lui che ronfa pacificamente fra le mie braccia.

Non sono uno psicopatico geloso, so cosa vuol dire avere spazi equilibrati in una relazione e sto attento a darne quanto di dovere a Denki.

Ma io sono un introverso, e le persone introverse ragionano separando nettamente il mondo di fuori, che può essere talvolta divertente ma è minaccioso, e quello all'interno, una bolla di pace e solitudine che ci fa sentire completamente al sicuro.

Far entrare qualcuno nel proprio spazio intimo, non è facile.

Toglierlo poi? Ancora peggio.

Denki è diventato parte del mio posto felice, e ora non penso che sia così piacevole, la solitudine, se lui non c'è.

Sono un coglione innamorato, diciamocelo.

Non gli ho detto "ti amo" che mi pareva di aver letto da qualche parte che dirlo troppo presto, e io e Denki stiamo assieme da poco più di due mesi, è spaventoso.

Ma lo sappiamo tutti e due, che lo amo.

Lo amo in un modo che mescola l'affetto e l'eccitazione sessuale e la dolcezza e tutto quello che c'è nella mia testa.

Lo amo e basta, credo.

Non sapevo cosa volesse dire amare qualcuno, prima, ma quando lo fai lo sai, che è amore, quello. Quando ti senti tanto più felice e tanto più completo.

Per me è come quando riesco a trovare quel posto comodo sul letto che abbatta la mia insonnia e mi permetta di dormire, amare Denki. So che può sembrare una metafora sminuente, ma non lo è. Mi sembra che qualcosa abbia preso il verso giusto, che un pezzettino di me che prima non voleva stare a posto ci sia scattato immediatamente, mi sembra...

Di essere sereno.

E non c'è niente che mi piaccia di più.

Cerco di spazzare via tutto questo smielato romanticismo che non mi si addice fuori dal mio cervello, mi alzo sui gomiti per guardare che ore siano sull'orologio al fondo della parete, stiracchio il collo e in un attimo, ecco il mio silenzio che scompare.

Denki fa rumore.

Come un tuono, fa rumore.

Rimbomba.

Spalanca la porta con un calcio, perde l'equilibrio e tenta di reggersi sul cornicione a cui non arriva perché è troppo basso, muove un passo in avanti e si spiaccica come un cadavere di faccia sul futon per terra.

Tutto questo urlando un "eccomi" davvero ridicolo.

Scoppio a ridere.

Come potrei?

Come potrei non amarlo?

Insomma, guardatelo. Goffo e buffo e pur sempre delicatamente elegante, tenero con la linea dell'abbronzatura sul naso e le guance rosse per la doccia, i capelli umidicci, il profumo del deodorante.

− Sei vivo? - chiedo, appena riesco a riprendermi dalla mia risata torrenziale.

Appoggia le mani aperte ai fianchi delle spalle, si tira su e mi guarda.

− Stavi ridendo di me? -

− Assolutamente. -

Strizza gli occhi.

Poi sale carponi sul letto.

− Come ti permetti? - chiede ancora, con il tono scherzoso mentre si avvicina.

Appena è a tiro lo afferro dalla vita, lo trascino su di me, cavalcioni.

Dio, quanto mi mancava.

− Mi permetto eccome. Sei caduto come un cretino. Che era tutta quella fretta? -

Cosce che si aprono, petto contro il petto, occhi dorati che mi guardano dall'alto come se scintillassero.

− Ero di fretta per venire da te, Hitoshi. -

Da me?

Penso intendesse "con me" ma non glielo farò notare, piccolo seduttore.

− Davvero? -

Annuisce, sporge il mento in basso, sfarfalla con le ciglia lunghe e chiare prima di appoggiare le labbra sulle mie.

Amo baciarlo.

Ha la bocca che sa sempre di qualcosa di stupido, un po' come lui, come la Coca Cola aromatizzata alla vaniglia o le caramelle scoppiettanti che non vuole mangiare nemmeno Eri, e mi piace anche il rumore del suo respiro che ballonzola al fondo per ristabilirsi.

Amo come si scoglie fra le mie mani, come fosse fatto di burro.

Come si fonde a me.

Amo che...

− Non ho tanto tempo, stasera, devo andare a dormire da Kyōka. Ma se facciamo in fretta forse riusciamo anche a fare sesso! -

Mi blocco.

Che cosa ha detto?

Che cosa... ha detto?

Ha detto che...

Misurato e calmo, Hitoshi.

Tu sei freddo e rigido, tu sai come vanno fatte le cose, tu non ti lasci andare nelle cose fatte tanto per, tu non sei uno che reagisce d'impulso, tu sei il figlio di tuo padre, freddo e calcolatore.

Shōta Aizawa non le fa queste cose, prendi lui ad esempio.

Tranne quando ha quasi fatto secca una maestra delle elementari che aveva messo in punizione Eri in uno stanzino buio. O quando a Yamada è venuto un capello bianco e l'ha tenuto abbracciato quattro ore dicendogli che era lo stesso bellissimo.

O quando era disposto a mettere a ferro e fuoco il dipartimento amministrativo di questo liceo per farmi avere le opportunità che secondo lui meritavo.

Esempio sbagliato, forse proverbiale.

Un uomo di ghiaccio che prende fuoco per le cose che ama, immagino.

Penso che potrei essere così anch'io.

Solo un po' acerbo.

− No. - è tutto quello che rispondo in quell'istante.

Denki si stacca, cosce chiare e guance morbide, alza un sopracciglio.

− Che? -

Ormai l'ho detto, non mi posso tirare indietro.

− Ho detto di no. - ripeto.

Silenzio.

Silenzio tombale.

− E perché hai detto... di no? - chiede, dopo qualche istante.

Ah, miseria, Denki. Ti amo come fossi l'unica cosa al mondo, ma sforzali un po' quei due neuroni bolliti dentro la tua adorabile scatola cranica, ogni tanto.

− Non voglio che tu vada da Jirō. -

− Oh, capisco. -

Capisce?

Metabolizza l'attimo dopo.

− E perché non vuoi che vada da Jirō? -

Alzo le spalle.

− Perché voglio che tu rimanga qui con me a letto. -

Annuisce.

− A fare sesso, intendi? Posso sempre andare dopo, non c'è problema, possiamo... −

− Denki, non è quello il punto. - lo interrompo.

Non sembra davvero afferrarlo, il concetto.

Penso che potrebbe aver bisogno di un disegnino, se andiamo avanti così.

− Voglio che tu stia con me. Voglio stare da solo con te. - provo ad elaborare, le mie stesse parole che mi intimidiscono persino.

Sorride.

− Vuoi che rimanga a dormire qui? -

Annuisco senza rispondere.

Fa spallucce.

− Domani sarò tutto tuo, allora. Oggi devo andare, le ho detto che ci sarei stato, non vorrei che si offendesse e... −

Vorrei interromperlo seccamente.

Non vorresti che lei si offendesse, Denki?

E se mi offendessi io?

Ma dubito che sarebbe l'approccio giusto.

Denki è una persona libera, sempre stata, potrebbe non essere corretto da parte mia tentare di far leva sul senso di colpa per ancorarlo a questo posto come una proprietà.

Ingenuamente vorrei farlo, forse, ma so che non è la cosa giusta per lui, e ingoio quelle parole affilate in un attimo.

Piano b, Hitoshi.

− Facciamo sesso almeno. - rispondo e basta.

Denki sarà un buon amico e Dio sa cosa di Jirō, ma non rinuncerà a questo e lo so. Sembrerò pure io dei due quello più svergognato, ma Denki è insaziabile e la sua voglia sessuale inesauribile, so che non si tirerà indietro.

Ed è qui che voglio arrivare.

Denki che sorride, annuisce e si abbassa di nuovo dalla sua posizione per baciarmi, il bacino che scende verso il mio con più violenza di prima.

Non ha capito, scontatamente, cosa ho l'intenzione di fare.

Ho intenzione di fare in modo che finita questa cosa sia talmente devastato che il pensiero di alzarsi dal letto per andare da Jirō sarà un lontano ricordo, che l'unica cosa che possa voler fare sia addormentarsi come un morto sul mio letto.

Non vuoi dormire da me?

Ridiciamocelo dopo.

Per il momento, mi limito a reggere il suo gioco, labbra aperte e fiato a mezz'aria, bearmi dolcemente della sua presenza.

Andiamo per gradi, andiamo per...

− Su, Hitoshi, spicciati, non posso fare tanto tar... −

Il mio quirk si attiva senza che nemmeno riesca a ragionare.

L'attimo prima ero tutto bello convinto della mia calma e sicurezza, e quello dopo mi ritrovo con Denki che mi fissa con lo sguardo vitreo ed eccitato dietro una patina di confusione.

Ho reagito d'istinto.

In fretta?

"Spicciati"?

− Te la ricordi la nostra parola, vero? - gli chiedo, poi.

Risponde in modo meccanico.

− Sì. -

− Vorresti usarla ora? -

Denki fa "no" con la testa. L'avevo detto, no? Insaziabile e irremovibile. Potrebbero esserci una marea di motivi per cui ho reagito in quel modo alle sue parole, ma se il cervello di Denki è settato sulla modalità "sesso", il resto diventa completamente incomprensibile.

Amo di lui la semplicità confusionaria con cui ragiona.

Sembrerà pure un idiota, ma è onesto.

Penso che sia questo a rendermi così al sicuro con lui.

Gli altri saranno pure miei amici, ma quella paura che io prenda il controllo delle loro menti, non lo cacciano via del tutto. Temono la menzogna, temono l'onestà che potrei imporre loro.

Denki dice quel che pensa quirk o meno.

Non ha paura di me.

Sorrido appena.

Iniziamo?

Iniziamo.

− Vieni, gattino. -

Non sono un sadico, è che amo vedergli fare questa cosa. Non credevo funzionasse bene, così bene almeno, ma è quasi scioccante con quale facilità questa cosa prenda un verso quando la faccio.

Cinque lettere ed è alla mia mercé.

Denki che viene? Un'altra cosa che amo.

Un insieme di dettagli che oscillano fra l'essere lascivi o osceni, dalle labbra che si aprono alla voce che si libera in aria, gli occhi che rotolano appena all'indietro e i muscoli che si tendono e contraggono, le unghie che si piantano sulle mie braccia su cui si reggeva.

Lo lascio andare con calma.

Scivola via da lui, il controllo mentale, mentre lo guardo venire.

Se non bastasse il fatto che sia spiaccicato sopra di me ad eccitarmi, questo farebbe il suo dovere.

Quando sei uno che teme un potere tanto grande che non hai chiesto, uno sempre solo perché la gente ha paura di te, un po' la senti la tentazione proibita di farci cose che non dovresti fare, con questa magica capacità che hai solo tu.

Non amo usare il mio quirk per dar fastidio agli altri, ma Dio se lo amo per rendere Denki in questo modo.

Fiato che entra nei polmoni un grammo alla volta, si espande, la sua voce che smette di tremare e si interrompe un attimo.

Prima ripresa.

− Un po' di preavviso, la prossima volta. - borbotta, cercando di respirare.

Storco il naso.

− Non mi sembra che tu ti sia lamentato. -

Sbuffa.

− Non ho detto che non mi sia piaciuto, ma insomma, Hitoshi, vacci piano. -

Andarci piano?

Ti riderei in faccia, amore mio.

No, non ci andrò piano. Ci andrò così forte che la tua testa sarà fatta di ovatta, a fine serata, e le uniche parole che registrerai saranno "dormire, letto, Hitoshi".

So che sembra un piano del cazzo, ma è obiettivamente geniale.

Si vede che mi ha cresciuto per metà Yamada, forse.

Lasciamo perdere.

− Spogliati, Denki. - rispondo, cambiando discorso.

− Impaziente. -

Denki è abituato al modo in cui facciamo sesso, ed è abituato agli orgasmi forzati, dopo tutto il sesso che abbiamo fatto.

Gli tremano le ginocchia, ma niente di più.

Per ora.

Si alza dal letto, sfila un indumento alla volta, ridacchio quando vedo che non ha le mutande.

Rido, rido, finché poi non mi rendo conto che...

Merda, ma doveva andare da Jirō. Che ci va a fare da Jirō senza le mutande? Oh, cazzo.

Panico.

− Denki? -

− Dimmi, Hito... −

Possiedo la sua mente di nuovo.

− Vieni un'altra volta. -

Non è colpa mia. Sono insicuro, dubbioso, e l'unica cosa che di sicuro posso dare io come non mai al mio meraviglioso e adorabile ragazzo è questa.

Cade a terra, gambe molli e ginocchia che sbattono contro il materasso, la schiena che si inarca indietro.

Miseria, la vista.

Spazza via un po' di preoccupazione.

Allunga il collo, il sole che ha dipinto la sagoma del choker in un'abbronzatura assente, le labbra morbide semiaperte e le clavicole magre che spuntano dal collo della maglietta.

Ha questa cosa, quando viene, che gli sale la parte iniziale delle sopracciglia un pelino verso l'alto, come se stesse piangendo, e il suo viso diventa pura bellezza lasciva.

"Me lo merito?", mi chiedo, in questo istante.

Che ironia.

Ho io il potere, quello totale, di manipolarlo.

Ma è lui ad avermi completamente in mano.

Lo lascio andare che sento me stesso iniziare a scaldarmi sul serio.

− Hito... shi... − rantola quando si libera.

Rimango fermo, steso sul letto, il potere della mia voce che aleggia ancora nell'aria, lo fisso.

− Hitoshi... cazzo. -

− Piaciuto? -

Non riesce a spogliarsi, iniziano a tremargli le gambe.

Piccolo ingenuo.

Pensi che te la caverai con un tremorino alle gambe?

− Spogliami. - risponde e basta.

Ridacchio.

− Lo prendo per un sì. -

− Lo era. Decisamente. -

Mi sporgo per aiutarlo a sfilare la maglietta, la sua pelle scintilla quando la scopro, sembra così liscia e morbida.

Per i pantaloni tiro via una gamba alla volta, le mutande che iniziano ad appiccicarsi alle cosce le tiro in un angolo della stanza relegandole ad un problema del me del futuro, lo osservo nudo.

Anche così, mi sembra davvero di non meritarmelo.

È così... bello.

Sono innamorato di questo nanetto biondo e rumoroso che luccica, miseria. Davvero un sacco.

− Vieni un po' qui, testone. - mi dice dopo qualche istante, come riconoscesse il modo in cui lo fisso incantato.

Mi accoglie a braccia aperte, quando mi sporgo.

Mento sopra la mia spalla, labbra vicino all'orecchio e corpicino esile e completamente scoperto contro di me.

Le mie mani vagano sulla distesa della sua schiena, su ogni avvallamento delicato, tastano e strizzano quasi con urgenza.

− Ti piaccio così tanto? - si lascia scappare, un filo di voce.

Sorrido che so non può vedermi con quest'espressione cosí come sono ora, col viso che intravede giusto la sua schiena.

− Che cosa vuoi dire? -

− Mi tocchi come se non riuscissi a smettere. -

Bingo, Denki.

Inspiro ed espiro l'odore pulito della sua pelle lavata, mi godo la vista pacifica che conosco e amo.

− Non riesco a smettere e non voglio farlo, gattino. - decido di rispondere qualche istante dopo.

Rimane in silenzio.

È come se ci fosse qualcosa di teso, e lo sento. Come se volesse dire qualcosa che sa di non potermi dire, e il pensiero inizia a pungolare anche lo stato pacifico che sto vivendo.

So di essere troppo complicato per essere un ragazzo che sta per fare sesso, ma la cosa non posso davvero migliorarla in alcun modo.

Non sono l'eccitazione o la mia erezione quasi dolorosa che impediranno al mio cervello di vagare nelle parole che Denki dice e negli atteggiamenti che mette in atto, mescolarli e metterli insieme.

E questo modo incredulo in cui mi chiede le cose, mi si stampa a fuoco.

"Ti amo", vorrei dirgli.

Ma temo e sono spaventato, per cui non lo faccio.

Arriverà, quel momento, e lo so.

Non potrei evitarlo nemmeno lo volessi.

Ma dopo quella confessione, non potrò cambiare le cose.

E al momento non credo abbastanza in me stesso per prendere una decisione così grande.

Mi limito a rimanere qualche altro istante fra le sue braccia, nella pacifica sensazione di essere accolto, in silenzio e in attesa.

Devo ancora distruggerlo, e non voglio abbandonare il mio piano, ma in questo singolo secondo è la sensazione di essere compreso che mi invade.

Forse mi faccio troppi problemi.

Forse non ha senso questa gelosia insicura per la sua migliore amica, forse devo smettere di dubitare così tanto di me stesso.

Denki non ha fatto sesso solo con me.

Ma questo non gli impedisce di stringermi come se si ancorasse al mio corpo, e questa cosa non cambierà.

Mi stacco quando mi sento sufficientemente al sicuro per farlo.

Ha un sorriso meschino, sulle labbra, infido.

− Stenditi. - sussurra.

Non lo dice come volesse il comando, sa che mi piace averlo in queste situazioni, lo dice come sapesse come lusingare il mio ego dominante con quel tono servizievole.

Mi lascio cadere all'indietro, schiena sul materasso.

− Cosa vuoi fare? -

− Ripagare lo sforzo. -

Si lecca le labbra, in quel viso già rosso dal piacere che ha forzatamente ricevuto.

− Posso? -

Amo che me lo chieda, quanto lo amo.

− Fai pure, gattino. -

Mani sull'elastico dei pantaloni del mio pigiama che sembrano velluto, dalla delicatezza urgente con cui le muove.

Non incerte, nemmeno troppo sicure.

− Vorrei farlo tutti i giorni. - mormora il secondo dopo, quando sento i polpastrelli freddi a contatto con la pelle bollente del mio bacino.

Lo vorrei anch'io, Denki.

Ma tu scappi.

E allora devo riportarti qui.

Gemo quando infila le dita completamente nelle mutande, mi prende fra le dita strette, muove un paio di volte in un pacifico su e giù.

− Lo amo. - confessa.

Potrebbe riferirsi a tante cose e immagino nonostante questo di sapere a cosa si riferisca, ma non riesco a trovare la disinibizione per chiedergli spiegazioni, non lo faccio.

Registro le parole come lava contro di me.

− Non eri tu che mi hai detto di muovermi? Cosa aspetti? - lo incalzo, alzandomi sui gomiti per avere una visuale completa di quello che sta tanto svergognatamente facendo.

Tira fuori la lingua, la passa un paio di volte sulla punta facendo cadere a pezzi il mio respiro.

Quando mi guarda, gli occhi scintillano di pura e onesta sottomissione.

Certo, determinate cose per farlo cadere a pezzi le saprò pur fare bene, ma lui non è da meno. Siamo fatti per stare insieme, continuerò a dirlo, perché nonostante tutto ci combiniamo in una chimica che non lascia alcun tipo di spazio all'incertezza.

− Usami, Hitoshi. - prega, l'istante dopo.

Miseria.

Non è il momento di farsi trasportare, devi mantenere il controllo, devi...

Quando lo prende in bocca il mio autocontrollo va direttamente a puttane.

Sento il mento salire, il bacino scattare contro la sua testa l'istante successivo, la mia voce che danza nell'aria e le labbra di Denki.

Strette, minute come lui, la bocca umida e non stento a dire esperta, il rumore osceno della saliva.

Inizia da solo, nonostante la preghiera di usarlo, a farsi usare.

Sale e scende, dall'alto verso il basso, poi lo lascia uscire e traccia linee di saliva lungo tutta la lunghezza, mormora e borbotta parole fin troppo lascive, ricomincia daccapo.

Cazzo, Denki.

Sei un artista.

Davvero un artista.

Mi godo la sensazione per un po', l'affaticamento e l'impegno che ci mette per farmi star bene, la sensazione di essere potente a lasciare che qualcuno si prenda cura di me, i rumori e le anse del suo corpo nudo accasciato sul mio.

Bellissimo.

Meraviglioso, eccitante.

"Ti amo, Denki. Ti amo come non amerei null'altro".

Non escono, le parole.

Ma escono i versi.

La mia voce è bassa e a Denki sembra piacere parecchio, non la trattengo. La lascio volteggiare mentre osservo fisso la sua bocca che lascia comparire e scomparire quella parte di me che adora alla follia, il calore che si accumula sul mio cervello e sui muscoli, il corpo che diventa gelatina.

Fallo questo, a Jirō.

Fallo, visto che ti piace tanto.

Scommetto che nessuno se lo fa fare come faccio io, Denki, nessuno con questo amore negli occhi.

Vampata di gelosia che torna, un po' di insicurezza, le idee ferree del modo che ho scelto per avere quel tempo con lui che forse non mi merito ma voglio con ogni angolo del mio corpo.

Infilo una mano fra i capelli, spingo la sua testa.

La sua gola si stringe quasi strozzata, quando è dentro completamente.

− Che c'è, non volevi essere usato? - chiedo retoricamente.

Patina di lacrime sui suoi occhi che specchia la luce, preghiera di qualcosa che penso sia un misto fra un nudo "sì" e un timido "no".

Non mi lascio fermare.

Denki sa cosa fare per farmi smettere, finché quel momento non arriva, non smetterò.

Lo spingo su di me, forte, sempre più forte, il calore che mi si costruisce nella pancia e la liberazione del momento che arriva, la sensazione che qualcosa si stia accumulando dentro di me, che si stratifichi, ed eccolo, lo sento che...

− Denki? - chiedo, tremando.

Non risponde con una parola ma mugugna, e basta.

Controllo.

− Vieni, Denki. Vieni con me in bocca. - ordino.

Terza volta, diversa e più violenta, che si mescola alle lacrime versate per lo sforzo, eccolo che si spezza di fronte ai miei occhi mentre lo faccio io.

Strige più forte le labbra.

La gola si fa piccina e contratta.

E so di liberarmi dentro di lui nell'istante esatto in cui la sua voce supera le barriere dell'avere la bocca piena e mi colpisce in un gemito sofferto.

Minuti interi.

Mi sembra di continuare per minuti interi.

Che immagino a Denki possano iniziare, adesso, ad assomigliare ad ore.

Esco da lui col fiatone.

Lo guardo.

Inizia a disfarsi.

Pezzo a pezzo, dolore a dolore, voglia a voglia.

Eccolo che frigna e piange come un bambino che non sa come controllarsi, che vuole qualcosa ma ne vuole talmente tanto da strabordarne, impaziente e distrutto.

Si appoggia con le mani aperte sulle mie cosce, riprende aria, trema.

Come una foglia.

Denki trema come una foglia.

− Io devo... devo... − inizia a blaterare.

Non voglio che dica che "deve andare da Jirō".

Non voglio.

Voglio che dica che è distrutto e stanco, che rimarrà qui.

Respira male, come se non avesse nemmeno le forze di prendere aria, indietreggia sul letto e si stende con la schiena a contatto col materasso, fissando il soffitto.

Sembra avere quello sguardo di chi è tanto ubriaco e aspetta che le pareti smettano di girare.

Mi sfilo i pantaloni, mi tiro su, gli bacio la fronte dall'alto.

− Te la senti di andare avanti? -

− Avanti? Che ti è preso, oggi, Hitoshi? -

Già, che mi è preso?

− Smettiamo? -

No, dimmi di no, ti prego.

Vorrei mi dicessi di no.

Se fosse un "sì", ad uscire dalle tue labbra, non mi permetterei di fare null'altro di quello che so che è meglio per te, ma vorrei ancora un po', essere sicuro che non scapperai, che rimarrai con me.

− Jirō mi ammazza. - mormora, poi, e sorrido nonostante il nome mi infastidisca.

Perfetto.

Lo bacio ancora un po', sempre dall'alto, fondendo le nostre labbra assieme, trovando un ritmo che si adatti meglio al suo respiro.

So che sono venuto da poco anch'io, ma sono giovane e particolarmente resistente quando si tratta di questo specifico tipo di cose.

Denki, invece, per quanto sia una creatura decisamente sessuale, immagino patisca un pochino di più.

Beh, l'ho fatto venire tre volte da quando abbiamo iniziato, in effetti.

No, niente "in effetti", Shinso, tu hai una missione, oggi.

Vai e metti in pratica le tue malvagie speculazioni.

− Posso usarlo su di te ancora? - chiedo di nuovo.

So che mi ha praticamente detto di sì, ma non voglio che si senta costretto nemmeno se sto cercando di circuirlo con il sesso a farmi le coccole.

Perché è questo che sto facendo, per quanto ridicolo possa sembrare.

− Va... va bene, immagino. Cazzo, mi dovrai raccogliere con la paletta, dopo, lo sai? - ribatte, ridacchiando.

E bravo il mio Denki, insaziabile mostriciattolo carino.

− Nessun problema. -

Strizza il naso in un sorriso.

− Sei davvero un sadico, stasera. Voglio ancora capire che ti sia preso, ma sappi che non mi dispiace per niente. - scherza.

Non ti dispiace?

Vuoi essere scopato così forte per evitare che tu abbia le forze per socializzare ed essere praticamente costretto a dormirmi addosso tutte le sere?

Certo.

Al tuo servizio, Denki Kaminari.

Sulla punta della lingua, quelle due parole, ancora.

Le ricaccio indietro lasciando andare il mio quirk su di lui.

− Prendi il lubrificante sulla scrivania. - è la prima cosa che ordino.

Nudo, con le gambe che so chiedono pietà ma non possono averne, perché ora non appartengono più a lui ma a me in ogni loro parte, si tira su dal letto.

Il ginocchio che cede lo vedo, ma Denki non cade.

Rimane in piedi.

Zompetta fino alla scrivania, sa dove cercare quando apre il cassetto appena sotto il piano di legno scuro, prende la bottiglietta fra le mani e si rigira.

− Torna a letto. -

Obbedisce, perché che altro potrebbe fare?

Dio, amo avere il potere.

Non lo confesserei ad alta voce a nessuno che non sia Denki, ma questa cosa di muoverlo come un oggetto che mi appartiene mi eccita davvero a livelli inauditi.

− In ginocchio, gattino, su. -

Rimango steso sul letto con le mani dietro la nuca solo ad osservarlo.

Si trascina sulle ginocchia, le cosce che si aprono sul lenzuolo e la schiena inarcata.

− Vuoi usare la parola? Rispondimi, Denki. -

− No. -

Perfetto.

Prendo un grande respiro.

− Preparati da solo. -

Spalanca un pelino gli occhi, me ne accorgo. Non può sfuggire dal controllo mentale, e lo so perfettamente, ma si vede quella vena di stupore che permea il guscio reale di lui stesso.

− Ti va? - aggiungo alla fine, perché come penso di aver detto una marea di volte, ormai, continuo ad essere il re degli insicuri.

− Sì. -

Menomale.

Rimango a guardarlo con lo sguardo fisso.

Penso di averlo sentito definire il mio sguardo "dominante", una volta. Non so quanto ci sia di dominante, so solo che è completamente concentrato su di lui, come non esistesse nient'altro, come se nulla avesse in quel momento la stessa decisa importanza.

Timidezza cancellata, la sua, mentre lo vedo tirare indietro la mano.

Schiocco la lingua.

− Il lubrificante, Denki. Sei così impaziente che nemmeno ti ricordi come si fa? Ti ho viziato troppo, ultimamente? -

Non risponde alla provocazione, prende solo il tubetto fra le mani e spreme un po' di liquido gelatinoso fra i polpastrelli.

Ripete il gesto di prima.

− Voglio sentire quanto ti piace, Denki. - ordino ancora.

Che gusto c'è se non fa rumore?

Nessuno, ve lo dico io.

Nessuno.

Inizio a lasciar scivolare via il controllo dalla sua testa un secondo alla volta.

Se lo faccio con sufficiente lentezza, non si accorgerà che l'ho fatto, continuerà ad essere ingenuamente convinto di fare certe cose per costrizione e poi...

Quando si rende conto delle cose che fa senza che io glielo imponga, c'è un'umiliazione nel suo sguardo di cui sono, ovviamente, profondamente innamorato.

Inizia un dito alla volta, la voce che si stringe in un gemito, il rumore bagnaticcio del lubrificante su di lui.

Sfarfallano le ciglia chiare.

− Hitoshi! - mi chiama.

Amo sentirlo dire il mio nome.

Sorrido.

− Ancora, gattino, su. -

Non glielo sto ordinando con il mio quirk, ma Denki obbedisce lo stesso. Bravo bambino, segue sempre le direttive quando uso questo tono.

Aggiunge un altro dito, la schiena si piega più un avanti, la testa cade indietro.

− Ah, cazzo... −

− Ancora. -

Stringe la mascella, le ginocchia che premono contro il materasso così forte da rendere visibimi i muscoli delle gambe flessi, la pancia piatta e tesa, il viso arrossato...

− Hito... Hitoshi... −

Meraviglioso, Denki.

Come potrei non volerti tenere tutto per me? Guardati, piccolo essere malvagio e sensuale. Sei la personificazione di qualsiasi cosa bella ci sia al mondo, non posso permettermi di lasciarti in mano a qualcun altro.

So che è infantile e insicuro da parte mia, ma sono terrorizzato all'idea che ti rubino da me, Denki.

Non voglio perderti.

È ipersensibile, lo so da come geme e da come i suoi occhi si chiudono un po' più forte del normale quando le dita entrano completamente dentro di lui, so che non vorrebbe ma il piacere è dolorosamente vicino ad ogni istante che si sussegue.

Non può farci nulla.

La stimolazione eccessiva fa male, lo so.

Un male fisico e di costrizione.

Ma per qualcuno come Denki, che adora quella violenza muta del sesso, a cui il dolore piace e che si sente amplificare le sensazioni dalla sofferenza, è un paradiso.

Lo so.

Mi tiro su, prendo il suo viso con una mano.

Si ferma.

− Non smettere. Ti ho detto di smettere? -

Si rende conto.

Se si è fermato, e l'ha fatto di riflesso, senza che io glielo dicessi, il potere non ce l'avevo io.

Umiliazione che diventa fuoco.

Si rende conto di quello che ha fatto con e per me di fronte ai miei occhi di sua deliberata spontanea volontà.

Raggiungo la sua mano dietro di lui, la spingo all'interno, premo le labbra sulle sue, e l'istante dopo, quattro.

Viene la quarta volta.

Distrutto.

Posso dirlo, che è distrutto, ora.

La voce gratta, quando geme, gratta come se fosse sfinita, e i muscoli sono mollicci e a pezzi quando si accascia su di me.

Trema come una foglia.

Piange.

Singhiozza forte.

Chiama il mio nome una, due volte, e non faccio altro che godermi egoisticamente lo spettacolo del mio ragazzo che cade su di me.

Meraviglioso e mio, Denki.

Non scappare via.

Rimani da me.

Un'altra volta, indietro, nuca sul letto e capelli biondi sul mio petto, accarezzo la sua schiena che è tanto esile contro le mie mani grandi, lo aiuto e aspetto.

− Hitoshi... − frigna, dopo qualche minuto, tirando su con il naso.

− Dimmi, Denki. -

− Sei un bastardo, Hitoshi. -

Rido.

− Forse...? -

Quando mi guarda non c'è odio nel suo viso, e vederlo mi rassicura. Lo sapevo, che scherzava, ma rendersene effettivamente conto, è persino meglio.

− Se mi chiedi di scoparmi in queste condizioni ti faccio saltare in aria le luci. - borbotta.

Alzo un sopracciglio.

− Come se non lo volessi anche tu. -

Si morde il labbro.

− Devo andare da Kyōka, Hitoshi. Come faccio se sono distrutto, mi spieghi? -

So che una persona un pelo più sveglia avrebbe capito da prima, qual era il mio intento, ma a discolpa di Denki non è mai stato né particolarmente brillante né tantomeno è nelle condizioni di poterla ragionare, questa cosa, a mente lucida.

− Ti accompagno dopo. - cerco di pararmi il culo.

− Bastardo. - sibila, un'altra volta.

Incastro le dita fra le ciocche dei suoi capelli, sulla pelle e sul retro del collo.

− Guarda che se non ti va per davvero sai che non ci sono problemi, gattino. - mi concedo di dire, onestamente.

Sbuffa.

− Il problema è che mi va, per quello sei un bastardo. - mugugna di tutta risposta contro il mio petto.

Le sue lacrime mi hanno bagnato la pelle, me ne rendo conto solo ora.

− Ah, capisco. Un dilemma, Denki? -

− Che è un dilemma? -

− Lascia stare. -

Non ho intenzione di mettermi a fare comprensione del testo, al momento. No davvero.

Eppure non muovo ancora un muscolo.

Ancora un minuto, diamogli. Voglio sfinirlo, ma non voglio ucciderlo. Si può morire per un orgasmo? Non ne ho idea, ma di certo non voglio essere il primo uomo sulla terra a scoprirlo.

− Fammi stare sotto. Non ce la faccio a stare sopra. - borbotta dopo un attimo.

− Sicuro? -

Preferisce star sopra, di norma.

Non penso ne abbia le forze, al momento.

− Ah-ah. -

Prendo un grande respiro.

Lo faccio?

Un attimo ancora o lo faccio ora?

No, non avrebbe senso aspettare.

Sia mai che si riprenda e decida di essere abbastanza pimpante per uscire da questa stanza dopo. No, no. Deve avere le gambe di burro e non riuscire ad alzarsi.

Non sono particolarmente violento quando lo tiro su dal mio petto e lo adagio sul letto, solo un po' frettoloso.

Aggiungo un po' di lubrificante su me stesso.

Lo guardo in faccia.

− Che aspetti? - mi chiede, leccandosi appena le labbra secche.

Mi chino e gli bacio la punta del naso.

Sorrido.

Entro con un movimento fluido.

Denki spalanca gli occhi.

La sua voce balla nell'aria.

Alzo un angolo della bocca.

− Vieni, Denki. -

Non si era accorto che avessi ripreso il controllo, vero? Questo ho imparato in due anni di addestramento. Ad essere subdolo e non farmi notare.

E Denki si spezza.

Denki si spezza quando sente le mie parole ed è costretto ad obbedire.

In quel primo, singolo istante, eccolo che si tende e si tira, ecco che i suoi muscoli si fanno tesi e duri, che le lacrime scendono in un litro in viso, che le dita si stringono attorno alle mie braccia.

Viene fra noi con quello che sembra un lamento.

Lascio andare.

E inizio a muovermi.

Trema.

Il suo corpo trema come una foglia, trema e oscilla nelle vibrazioni chiare di qualcosa che diventa troppo, davvero troppo, su di lui.

Strabordano, le sensazioni.

D'altro canto, la sensazione di lui che si stringe spasmodicamente su di me, la inseguo e la cerco. Non riesco tanto nemmeno io a controllarmi, che averlo visto fare tutte queste cose proprio di fronte ai miei occhi con quella verve servizievole e sottomessa, mi ha reso più eccitato di quanto mi rendessi automaticamente conto.

Quindi il rumore della pelle che sbatte contro la pelle riempie la stanza, la mia voce bassa, gutturale quasi che chiama il suo nome e la sua lamentosa e sotto un certo punto di vista femminile che urla il mio, le lacrime, i singhiozzi.

− Denki, Denki, Denki, Denki... − ripeto.

Non vorrei dire il suo nome.

Vorrei dire un'altra cosa.

Ci sono quasi.

Lo so che ci sono quasi, so che queste due maledette parole prima o poi spunteranno dalle mie labbra.

Ma non ora, Hitoshi, resisti.

Non puoi.

Non so nemmeno se ci sia coscienza, dentro Denki.

So che mi guarda con gli occhi vitrei, che ha la testa gettata all'indietro, che ha un angolo della bocca inumidito dalla saliva e sembra essere sull'orlo di svenire.

Troppo?

È stato troppo?

Quanto è bello, però.

Stringe le braccia mezze inermi dietro il mio collo, mi spinge in basso.

Fonde le sue labbra alle mie, il bacio è lento e bagnato, non riesce a reagire.

Piccolissime scariche elettriche passano dal suo corpo al mio, non le controlla.

Dentro, fuori... stretto, cazzo.

Stretto, Denki, nonostante lo prenda ogni volta che può, come non volesse altro, anche così, anche distrutto, continua a prenderlo, a volerlo, continua e continua e....

Inarca la schiena.

Stringe le cosce alla mia vita.

Mormora una parola.

Non so cosa sia.

Capisco dopo.

E quando capisco che è "dentro", che intendeva, qualcosa di sblocca.

Ritmo serrato, Denki distrutto, meravigliosamente distrutto, il rumore delle nostre voci e nient'altro, io dentro di lui, lui completo solo di me, solo noi due.

Soli.

Forse il pensiero di averlo, forse il piacere fisico, forse la preghiera nonostante la condizione in cui l'ho ridotto, forse una marea di cose.

Ma mi lascio andare.

Basta così, Hitoshi.

Basta così.

Vengo prima di lui.

Sarebbe qualcosa di cui mi preoccuperei, se solo non l'avesse fatto già quattro volte. Erano cinque? Non mi ricordo.

Vengo dentro di lui che mi si stringe contro con le braccia esili e le cosce magre, la voce che mi chiama e mi chiede di finire dentro di lui, mi sento accolto.

Finisco che vorrei davvero dirglielo, che lo amo.

Non lo faccio, ma lo capisco sempre di più.

Vero, miseria, quando è vero.

Quando la vita ricomincia a fluirmi nel corpo, esco da lui.

Abbiamo finito?

Denki non è venuto, alla fine.

Faccio per aprire bocca, ma poi la lucidità torna in me.

Non ce l'avevo, quando ero dentro di lui, ora me ne rendo conto, ma, cazzo...

Non è distrutto, è devastato.

Denki è devastato.

Le tracce di tutti gli orgasmi forzati che gli macchiano la pancia, gli occhi gonfi dal pianto e la saliva che esce dall'angolo della bocca, le labbra gonfie e i capelli arruffati, le gambe che tremano con violenza, i segni delle mie mani sui fianchi, lacrime sul suo viso...

Miseria.

Cazzo, cazzo, non è che forse...

Quando dice quella parola, poi, me ne rendo conto.

Mi rendo conto che forse, stavolta, è anche il caso di smettere.

Mi guarda e con la voce che trema, timida e flebile, piagnucolosa, lo dice.

Tira su con il naso.

E dice la nostra parola.

Denki dice "Gamma".

Il Campo di Addestramento Gamma non è il primo posto in cui ci siamo visti, ma il primo dove abbiamo parlato.

È una parola che ha un significato speciale per entrambi.

E quando dovevamo deciderne una, che riuscisse a riportarci immediatamente alla lucidità in un solo, singolo istante, non ce n'era altra più appropriata.

Una parola che mi comunicasse che qualsiasi cosa io stessi facendo, dovevo smettere subito.

Denki non l'ha mai usata, prima d'ora, con me.

Non ha mai detto quelle lettere che proteggono entrambi dai momenti un po' troppo coinvolgenti.

E sentirla mi fa un effetto quasi scioccante.

Ci sono tante cose che si accendono nella mia testa, altrettante nel mio cuore, ma quello di cui mi rendo conto l'istante esatto in cui quelle lettere rotolano via nell'aria, è che non mi posso preoccupare delle mie reazioni.

Non posso stare a rimuginare su quel che provo o come lo provo, niente seghe mentali infinite né ragionamenti contorti su impressioni che ho, niente gelosie o domande, niente dubbi, niente.

In questo momento non sono io ad aver bisogno di attenzione.

No.

Dopo un primo istante di indecisione, quello che faccio è ben preciso.

Dipingo sul mio viso il sorriso più rassicurante che posso, per quanto io stesso non sia particolarmente a mio agio nella situazione, espiro, e lascio andare la tensione.

Denki non ha smesso di piangere.

Non so se lo faccia per la catarsi di essersi spinto fino al punto in cui gli è stato necessario dirmi di smettere, per il piacere che è diventato persino troppo, perché sente dolore.

So solo che piange.

Calmo, Hitoshi. Per quanto tu voglia metterti ad urlare e sbraitare a te stesso che sei un cretino, per aver lasciato che le cose diventassero tutte un po' troppo, non è delle tue paure che ha bisogno Denki.

Quando stai con qualcuno devi imparare, in alcuni momenti, a mettere il suo bene prima del tuo. Non sempre, non sacrificare l'amor proprio.

Ma quando la persona che ami sta male, farla stare meglio è il dovere di ogni innamorato.

Almeno, credo.

− Va tutto bene, Denki. Non è successo niente. - inizio, con il tono più tranquillo che riesco a trovare.

Singhiozza.

− Non è successo niente. Non faccio niente, non avere paura di me. -

Chiude le gambe e si gira di fianco, verso di me.

Tira su con il naso.

− Non... ura di te. - borbotta.

− Non capisco. -

Prende più aria nei polmoni, questa volta.

− Non ho paura di te. - ripete.

Egoisticamente, dirò che sentirlo mi fa stare davvero meglio.

Ma torniamo a Denki, che è lui il piccolo ammasso tremolante che voleva fuggire.

− Posso toccarti? - chiedo, con un filo di voce.

Non voglio che si senta obbligato a rispondermi di sì, nemmeno imporgli il contatto fisico. Potrebbe farlo star meglio come metterlo ancora più a disagio e chiedere è l'unica vera cosa che posso permettermi di fare.

Annuisce senza rispondere.

Inizio piano.

Mano che scorre sulla schiena, dolcemente, contro la pelle sudata, su e giù con tranquillità.

È lui a volerne di più, non io che lo obbligo a farlo.

Tende le braccia magre verso le mie spalle, come a volermi abbracciare, e si accoccola sul mio petto nascondendo la testa contro lo sterno, il respiro ancora tremolante.

Stringo delicatamente.

Sono fortunato, non è vero?

Idiota di un Hitoshi, ad essere geloso di un'amica. Nemmeno era insicurezza, la mia, era netta e plateale stupidità.

Continuo a credere di non meritarmelo fino in fondo, ma i dubbi si sfaldano poco a poco.

A chi pensi che permetta di vederlo come lo stai guardando ora tu? Come potrebbe farlo con altri? Si vede che ti dona questo tipo di affetto con un'intimità che riserva solo a te, che dubbi devi avere?

Piccino, inerme, indifeso, addosso a te a cercare la tua parte più gentile come l'aria.

Gli bacio l'incavo della spalla, la guancia, la fronte.

Non nel modo caldo e caloroso del solito, con semplice e nudo affetto.

− Sei stato bravissimo, Denki, bravissimo. Non c'è niente che non va, te lo prometto. Va tutto bene, fidati di me. -

− Non andare... via. - è tutto quello che riesco a rispondere.

− No, no, mai. -

Aspettiamo insieme, pazientemente, che tutto in lui si calmi.

Continuo con i complimenti e le adorazioni, mentre il tempo scorre, che se c'è qualcosa che voglio fare in modo che succeda è che Denki si senta al sicuro.

Dopo un po', non calmo ma meno tremante, parlare gli è meno difficile.

− Avevo paura che volessi distruggermi. Sembrava che volessi distruggermi, Hitoshi. - confessa, cercando con il naso l'angolo della mia clavicola dove il suo viso s'incastra perfettamente.

Il suo tono sembra chiedermi scusa.

E non voglio scuse.

− Non è colpa tua, non devi giustificarti. Se hai usato quella parola quello che stava facendo qualcosa che non andava ero io, Denki, non tu. -

È vero.

Io ho sbagliato.

Io ho tirato troppo la corda.

Abbiamo un metodo per fermarle, le cose, quando diventano aggressive, ed è giusto usarlo, senza remore né rimorsi, perché si tratta di sicurezza, non di un gioco.

− Sei... sicuro? -

Sorrido contro i suoi capelli.

− Sicurissimo. Scusami tu, Denki, per essermi spinto troppo in là. -

Tira su un'altra volta con il naso.

− Non mi odi? -

Fatico a non scoppiare a ridere, davvero.

− Odiarti? E perché dovrei odiarti? - rispondo, quasi incredulo.

− Perché sono appiccicoso, urlo troppo, non sono abbastanza bello, che ne so. Ce ne sono un milione di motivi per cui uno come te potrebbe odiare uno come me. -

Dolce insicurezza, Denki.

La riconosco.

È anche la mia.

Uno dei due, questo passo, lo deve fare. Deve spezzarli, questi dubbi. E Denki non è nelle condizioni di farlo perché l'ho ridotto così, ed è giusto che allora, questa cosa, la faccia io.

− Io ti amo, Denki. Sei appiccicoso, ma se ti appiccichi a me la cosa è perfetta, la tua voce la amo anche se parli con un tono un po' troppo alto, e nessuno sulla faccia della Terra è anche solo lontanamente bello quando sei bello tu. Uno come me può solo amare uno come te, gattino, te lo garantisco. -

Si ferma.

Il pianto di Denki si ferma.

Trattiene il fiato.

Poi con ritrovata energia mette le mani sulle mie spalle e si tira improvvisamente indietro, occhi spalancati e mascella che cade verso il basso.

− Che cosa... che cosa hai detto? -

Distolgo lo sguardo, un po' intimidito.

− Lo so che magari tu non puoi dirmi la stessa cosa, ma me lo tengo dentro da un po' e mi sembrava che fosse giusto che lo sapessi, insomma, non hai motivo di dubitare di te stesso, ecco... −

Sorride in un modo euforico che mi manda in fiamme il petto, tira con una mano il mio viso verso di lui, per farsi guardare negli occhi.

− Hitoshi, sono tre giorni che passo le serate a rompere i coglioni a Kyōka cercando di capire come confessarti che ti amo. Col cazzo che non posso dirti la stessa cosa. Ti amo, Hitoshi. - risponde.

Ora capisco cos'era quel balzo nel suo respiro.

Ti manca l'aria.

La felicità e la gioia e il calore e tutto, ti tolgono l'aria dal petto.

Ti senti...

In apnea.

− Solo che ultimamente eri sempre giù di morale e non trovavo il modo per dirtelo, ho continuato a chiedere a Jirō ma lei mi ha detto che è stata Momo a dirglielo per prima e allora pensavo che magari non fosse il momento giusto, e allora ho iniziato a chiedermi se magari stessi con me solo per il sesso ma magari a letto non sono così bravo e... −

Quanto straparli, Denki. E quanto sei tenero quando lo fai.

Lo interrompo sorridendo, non uno di quelli accennati e non uno di quelli a metà.

Un sorriso vero, puro e limpido.

− Tenevo il muso perché ero geloso. -

Spalanca gli occhi.

− Geloso!? E di chi stavolta? -

Mi sento un coglione.

A mia discolpa non credevo stesse con Momo, giuro.

− Jirō. -

Scoppia a ridere.

So che ride di me, ma me lo merito, e ridacchio un po' anch'io.

− Davvero? La più grande fan delle tette della Yuei e tu credevi che ti tradissi con lei? -

− Ha i capelli viola, una bella voce, pensavo la trovassi più interessante di me. - continuo.

Si asciuga una lacrima, questa volta per aver riso troppo forte, dall'angolo dell'occhio.

− E io mica ti amo perché hai i capelli viola o una bella voce, cretino. Mi piacciono, lo sai, ma tu sei tu, non il colore dei tuoi capelli e la tua voce da sesso. -

Sono un idiota?

Sono un idiota.

Davvero un idiota.

Un grande e grosso idiota.

Centonovanta centimetri di idiozia.

− Anche se amo la tua voce da sesso. - si corregge l'istante dopo.

− E anche i tuoi capelli. -

Beh, forse è un idiota anche lui.

− Ma amo anche un sacco di altre cose. Le serate a dormire abbracciati, il sesso, il tuo quirk, la faccia che fai quando combatti, il sesso, il tuo profumo, il tuo corpo, la tua intelligenza, il sesso, la tua maledettissima faccia, le occhiaie, le tue mani, il sesso, il tatuaggio dietro al collo, le felpe, il se... −

− Penso di aver capito che ami il sesso, Denki. - rispondo, non trattenendo le risate.

Me lo sono trovato un po' tonto, forse, ma non credo mi annoierò mai di questa sua ingenuità e dolcezza.

− Ma amo più te. - borbotta alla fine.

Lo riprendo fra le braccia, bacio il centro della sua testa dall'alto, poi scorro con le mani fino al suo viso e tasto appena i tratti di quel volto che adoro.

− Non faremo quella cosa da film per ragazzine dove discutiamo su chi ama più chi, gattino. -

Sospira.

− No, no. Tanto io amo più te di sicuro. -

Scemo.

Scemo lui e scemo io.

− Non ho voglia di discutere. Io ti amo di più. -

La mia dignità, il mio orgoglio.

Dove sono finiti?

− Vinco ancora io. -

Sporge la lingua fra le labbra come per prendermi in giro.

− No, io. -

Mi chino, premo le labbra contro le sue.

− Dobbiamo andare a farti un bagno. - cerco di cambiare discorso.

Annuisce, come a lasciar cadere l'argomento.

Ma poi sorride trionfante.

Sono un ragazzo competitivo.

− E ti amo più io. -

Mi pizzica il naso fra le dita.

− Quanto hai intenzione di continuare questa scemenza? Io, Hitoshi. -

Ridacchio.

− Non lo so, mi piacerebbe per tutta la vita. -

Un'altra volta trattiene il respiro, arrossisce sulla parte alta del viso, gli occhi grandi che sbattono e sfarfallano di fronte a me.

Un'altra volta, lo bacio.

Mi avvicino al suo orecchio, inspiro e...

− E comunque ti amo più io. −

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➠♡༊ beta-read by mianonnaincarriola

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