𝚐𝚑𝚘𝚜𝚝𝚜'𝚗'𝚜𝚝𝚞𝚏𝚏
⟿ ✿ ship :: KuroKen
➭ ✧❁ SMUT alert :: "O la va o la spacca con la terza stanza."
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➠♡༊ written :: 20/02/21
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Kenma non va mai alle feste.
Intese come evento generico, come adunanza di persone tutte insieme, tutte appiccicate, possibilmente fra fiumi di alcol e qualche sigaretta ritoccata e chissà cos'altro, il rumore della musica, la gente che ride, il sudore della pelle stretta contro la pelle.
Io sono una persona socievole, e mi ci diverto.
Ma Kenma, lui, di solito, no.
Non è tanto il tipo, ecco.
Preferisce cose più tranquille, più sicure, uscire con i nostri amici, magari a cena e a bere qualcosa in qualche posto che conosciamo e non è troppo lontano da casa, tornare nel nostro appartamento e infilarsi appena brillo fra le mie braccia, addormentarsi come un bambino.
Per cui, quando questa volta mi ha detto che voleva assolutamente andare a questa festa, mi è venuto un coccolone.
Kenma ad una festa universitaria?
Kenma ad una festa universitaria a casa di Yūji Terushima?
Non potevo crederci.
Ci ho provato più volte, a cercare di capire cosa gli passasse per la testa, ma tutto quello che sono riuscito a recepire è un "c'è Akaashi e mi ha chiesto di andare, è codice d'amicizia, Tetsu, e tu vieni perché se poi succede qualcosa e tu non ci sei mi viene l'ansia".
Adorabile? Sì.
Però incomprensibile.
Dunque tutto questo ha raggiunto il suo apice finale in questo esatto momento, il corpicino tremante e incerto di Kenma al mio fianco, le mani che si impastano violentemente fra loro, mentre parcheggio la macchina sul bordo del marciapiede a un paio di centinaia di metri dalla casa che emana già quell'aura sfatta e rumorosa delle feste di Terushima.
− Davvero, micetto, sei sicuro? - chiedo un'ultima volta, studiandolo per un secondo con la coda dell'occhio prima di girare le chiavi nel quadro e sfilarle.
Kenma non mi guarda in faccia, anzi, le sue guance assumono un colorito rosato come se fosse in imbarazzo, quando vola con gli occhi verso il basso.
− Perché me lo chiedi? Pe... pensi che non sia adatto per queste cose? - mormora.
No, Kenma, no.
Non metterti a fare l'insicuro adorabile gattino ora.
O alla festa non metteremo mai piede.
Sospiro.
− So che non ti piacciono i posti affollati, e non vorrei che ti trovassi male, tutto qui. -
Allungo una mano verso il suo viso, il pollice che scorre sulla guancia e spazza via un paio di ciocche chiare dei suoi capelli.
− Ta... tanto ci sei tu, no? -
Morto.
Ora del decesso: ventuno e quarantadue minuti.
Kuroo Tetsurō passa a miglior vita.
C'è troppa, troppa, troppa tenerezza in quel minuscolo corpo perché io sopravviva, ammettiamolo. Mi uccide ogni volta.
− Certo che ci sono. E non me ne vado finché non vuoi andartene tu. -
Kenma si gira per un istante, mi guarda dritto negli occhi e arrossisce ancora, prima di sporgersi con il collo sottile verso di me e aspettare che lo imiti.
− Allora non c'è nessun problema. -
Lo bacio e lo faccio piano, dolcemente, senza spalancargli le labbra con le mie come faccio di solito, senza afferrarlo dalle spalle e tenerlo fermo e saldo a me, no.
Con calma, per fargli sentire che ci sono e per godermi il rumore delicato e adorabile del suo respiro che si spezza.
Mi allontano per scendere dalla macchina.
Kenma si sta infilando i capelli che ricadono lisci di fronte al viso dietro l'orecchio, gli occhi appena lucidi e le labbra bagnate.
Non penso di poter resistere.
Il tragitto fino a casa di Terushima è altrettanto delizioso.
Ken è timido, e palesemente spaventato dal rumore che sente quando ci avviciniamo, per cui intreccia le dita alle mie saldamente, si appiccica al mio fianco, sembra voglia saltarmi in braccio.
Strofina la testa contro il mio braccio proprio come un gatto, e stringe impossibilmente la mano sulla mia quando ci facciamo strada in una porta spalancata e nelle volute calde del fumo annidato nella casa.
− Tutto bene? - mi concedo di chiedergli all'orecchio, mentre continuo a procedere.
− S... sì. -
No.
Non è vero.
Devo trovare un punto più isolato di questo ammasso di corpi uno contro l'altro.
Che qui non va bene proprio niente.
Grazie a Dio, conosco qualcuno a questa festa, e quel qualcuno potrebbe avere la personalità più rumorosa e riconoscibile del globo che lo rende assolutamente facile da trovare anche in mezzo alla gente.
Bokuto urla quando mi vede prima ancora che lo riconosca.
− Kuroo! Amico, sei qui! - esclama e sorride a trentadue denti in modo così caloroso che persino Kenma con i nervi a fior di pelle inizia a rilassarsi.
Agito la mano libera verso di lui, dall'altra parte di un salotto ricoperto di persone.
− Terushima? Dov'è? - grido poi, che in effetti andare alla festa di qualcuno senza salutare quel qualcuno potrebbe non essere la più educata delle cose.
Scuote la testa.
− Fa su e giù. Prima con una bionda, poi con un ragazzo con i tatuaggi, ora non so con chi. Volato via. - lo sento rispondere, mentre riesco finalmente ad avvicinarmi.
Terushima.
Irresponsabile caotico bisessuale innamoratissimo di qualcuno che non potrà mai avere.
Ma la storia di come una foto polaroid di Yamaguchi sia finita nel suo portafogli e il suo cuore sia stato spezzato in un milione di frammenti minuscoli, è un'altra.
E non riguarda me.
Alzo le spalle.
− 'Kaashi? - chiedo, più per il piccolo ammasso tremolante vicino a me che per me stesso.
Bokuto indica il divano con un gesto del capo.
− Aspetta il suo amichetto del cuore. - ridacchia.
Oh, perfetto.
Era davvero vero, allora, che Ken è qui solo per Akaashi.
Adorabile anche questo.
− Hai sentito, micetto? C'è Akaashi che ti sta aspettando, vuoi che ti accompagni? - gli sussurro all'orecchio poi, per farmi sentire oltre lo sbraitare della gente attorno a me, direttamente fra i sottili capelli biondi.
Annuisce.
− No, no, ce la faccio. È sul divano, vero? -
Faccio sì con la testa.
Fa per allontanarsi di un paio di passi, poi stringe le nostre mani collegate e si sporge per baciarmi velocemente le labbra.
− Se vuoi andare a fare qualche cazzata con Bokuto fai pure, con Akaashi sto bene. Ma fai il bravo, e torna ogni tanto per farmi vedere che sei vivo. - si raccomanda, gli occhi caldi e affettuosi e intimiditi dalle sue stesse parole.
Sorrido di fronte allo spettacolo più bello del mondo, il mio ragazzo.
Annuisco.
− Come vuoi, micetto. Se hai bisogno mandami un messaggio e corro da te. -
− Idiota. -
− Amore della mia vita. -
Si allontana sorridendo appena, passa accanto a Bokuto e lo saluta con un mezzo gesto della mano, poi zompetta allegramente in linea retta per qualche metro, prima che veda un paio di braccia lunghe e chiare sporgere dal divano e attorcigliarsi su di lui, tirandolo giù.
Akaashi e Kenma sono troppo per il mio cuore.
Troppo.
− Ken ha detto che possiamo fare qualche cazzata. - avverto il mio migliore amico che guarda la mia stessa scena con gli occhi spalancati.
− Ah sì? Tipo? -
− Non lo so, non mi ricordo come si fa ad essere giovani. -
Bokuto alza le sopracciglia, ed espira rumorosamente.
− Quando siamo diventati così noiosi? -
Chiedilo a me.
− Non siamo noiosi, siamo solo... sottotono. Dai, su, inventiamoci qualcosa. - propongo poi, cercando di scavare nel mio cervello alla ricerca di qualcosa che mi diverta che non riguardi le mille declinazioni di Kenma o la chimica.
− Giusto, giusto. -
Rimaniamo un attimo in silenzio, attorniati dal rumore e dalla confusione di una festa che somiglia molto a quelle a cui partecipavamo al liceo.
Ma l'enorme differenza che c'è è che ora non siamo due ragazzi soli tormentati dalle ridicole imprese amorose fallimentari che cercano di distrarsi.
Non c'è più nulla che valga la pena di dimenticare.
Perché, di fatto, alcol, erba, stronzate a parte, siamo entrambi molto, molto felici.
− Che cosa ti piace fare? - chiedo al mio amico poi, tentando di ripiegare sulle sue passioni piuttosto che sulle mie.
Alza le spalle.
− Sesso con Akaashi. E dormire con Akaashi. E mangiare il cibo che cucina Akaashi, farmi fare le coccole da Akaashi, guardare Akaashi che studia, comprare regali ad Akaashi e... −
Lo interrompo con un gesto della mano.
− Qualcosa che non riguardi Akaashi. -
Rimugina un po'.
− Giocare... giocare a pallavolo? -
Niente da fare.
Anche Bokuto, come me, ormai è troppo contento con se stesso per cercare qualcosa di adrenalinico per scaricare la tensione.
− Cerchiamo Terushima. Forse se troviamo lui troviamo anche qualche cazzata da fare. - borbotto alla fine, guardando il mio amico convenire con me annuendo.
Terushima ha decisamente quella voglia di fuggire dalla realtà che sfocia nelle più eclatanti puttanate del globo.
− Dove l'hai visto l'ultima volta? -
− Mi sa in cucina col beer pong. -
Ok, è un inizio. Sempre se non si sia messo a fare il milleseicentesimo round della serata col primo sconosciuto attraente che passava.
Afferro il polso di Bokuto, che è davvero difficile da trascinare perché è composto al settanta percento di muscoli - e ignoreremo che il restante trenta siano i suoi neuroni bruciati - e mi dirigo schivando gente sudata verso la cucina.
La prima cosa che noto, è il casino.
Gente che urla, birra ovunque, bicchieri di plastica ordinati a forma di piramide su un tavolo che non sembra vedere uno straccio dalle ere antiche.
Poi un ragazzo appollaiato sul bancone della cucina con una sigaretta penzoloni fra le labbra, lunghe braccia completamente tatuate e i capelli biondi che ricadono disordinati attorno al viso.
Eccolo.
Beccato.
− Teru! - urlo, guardandolo.
Bokuto si accoda e ci avviciniamo in un tempo relativamente breve.
− Oh, Kuroo, non pensavo saresti venuto davvero. Tu e Kenma siete introvabili, di questi tempi. - veniamo accolti.
Squadro un istante il mio amico.
Non è ubriaco. Non so nemmeno se abbia bevuto. È troppo... controllato?
In ogni caso.
Sorrido, il mio ghigno di default sul mio viso, mentre annuisco.
− Ora sono qui, no? -
− Oh, sì, certo, certo. -
Prende il filtro della sigaretta fra le dita, inspira e aspira verso l'alto e si lecca le labbra, il metallo scintillante del suo iconico piercing alla lingua che brilla appena.
− Bokuto. Sei più grosso dall'ultima volta che ti ho visto. Akaashi deve avere il suo bel da fare a scacciare i pretendenti, eh? -
Bokuto fissa Terushima con la faccia completamente vuota.
Ha capito?
Probabilmente no.
− Bokuto è sempre più bello, Teru, ma è anche sempre più idiota. - controbatto, meritandomi un colpo dal mio migliore amico che questo, invece, l'ha capito.
− Sono bellissimo e intelligentissimo, stronzi. - afferma.
Sì, certo.
− E tu, invece? Guarda che ti ho visto salire e scendere almeno una decina di volte, se vai avanti così prima o poi ti cade. - risponde poi alla provocazione iniziale Bokuto, un sopracciglio chiaro alzato sul viso strafottente.
Terushima prende un altro tiro alla sigaretta, alza le spalle.
− Non è colpa mia se tutti qui vogliono un pezzo di questa magnifica creatura. - completa la frase indicandosi platealmente.
Sbuffo.
− Come no. -
E torniamo al punto di partenza.
Siamo ad una festa, dobbiamo divertirci perché se no che cazzo siamo venuti qui a fare, e l'unica cosa lievemente fuori dal normale che abbia fatto ad ora è stato prendere per il culo il mio migliore amico. Che per carità, attività buona e giusta, però, insomma.
− Siete qui per il beer pong? O cercavate solo me? - ci incalza poi dopo un istante Terushima.
− Per te, il beer pong è da sedicenni che vogliono rimorchiare. -
Bokuto piega gli angoli della bocca all'ingiù.
− Ma a me piace il beer pong, Kuroo! -
Alzo una spalla.
− Come volevasi dimostrare. -
Il mio migliore amico pizzica la lingua fra le labbra in un'espressione di pura presa per il culo.
− Quando eravamo più piccoli eri tu il cretino che voleva rimorchiare, non io. Io volevo solo fumare erba e piangere perché avevo letto su WikiHow che pensare che il tuo migliore amico è carino è una cosa gay. -
Bokuto scioccato che mi chiede "ma secondo te se quando sono eccitato penso a 'Kaashi vuol dire che mi piace 'Kaashi?" è un ricordo davvero troppo idiota persino per me.
− Non che possa darti torto. -
Terushima spegne la sigaretta sul primo bicchiere che trova, mollandola nel liquido giallognolo che immagino sia birra, poi scende dal bancone e si stiracchia le braccia.
− Su, allora, beer pong sia. E poi avevo poca birra quindi ci ho messo dentro il gin. -
E vorrei lamentarmi ancora ma purtroppo non ho idee migliori.
A beer pong non è che non voglia giocare perché non è divertente. Non voglio giocarci perché faccio davvero, davvero cagare. E Bokuto non è da meno, lui e la sua mira traballante, che ci portano solo la sconfitta ai primi cinque turni.
Noi due da soli contro Terushima.
E stiamo perdendo.
In due.
Penoso.
Attorno al tavolo si è formata una calca non da poco, gente ovunque, in ogni angolo, che tifa per noi o per Teru totalmente a caso.
Dopo l'ennesimo punto del nostro avversario, Bokuto allunga la mano verso il bicchiere dove la pallina è fatidicamente caduta, la toglie e beve d'un fiato solo tutto il contenuto.
Riprende fiato asciugandosi molto elegantemente la bocca con il braccio.
− Cazzo, così mi ubriacherò prima del previsto, e come cazzo ci torno a casa? - borbotta.
Osserviamo una mano stringersi sul suo bicipite. È quella di un uomo, ma è sottile, elegante. Non quella di Akaashi.
− Se vuoi ti ci riporto io, nessun problema. - dice il ragazzo che la possiede, quella mano, biondo, un bel viso, più basso di entrambi noi due.
Schiocco la lingua.
− Mmh, non lo so. Sempre se vuoi essere ucciso. - commento.
Vediamo un paio di sopracciglia bionde aggrottarsi mentre Bokuto rimane con gli occhi spalancati verso il suo braccio.
− E perché mai, scusami? E comunque stavo parlando con il tuo amico. -
Ridacchio appena.
− Perché il ragazzo del mio amico, come lo chiami tu, è una furia. Fatti beccare con le mani addosso a Bokuto e Akaashi ti ucciderà a mani nude. -
Le dita si allontanano immediatamente dal braccio.
− Oh, Cristo, non credevo. Scusami. -
Vedo una testa bianca abbassarsi in un gesto noncurante.
− Non preoccuparti. -
Il ragazzo scompare.
− A proposito, secondo te sono ancora vivi? -
− Chi? -
− Keiji e Kenma. -
Flash nel mio cervello annebbiato dalla gin del mio ragazzo acciambellato sul divano.
− Non lo so. Scopriamolo? -
− Un secondo, prima facciamo punto contro questo stronzo e poi andiamo. -
Terushima sorride a trentadue denti di fronte a noi. Attorniato da ragazze e ragazzi di ogni genere, i capelli tirati indietro e la giacca di pelle ormai buttata da qualche parte senza ritegno, un'ennesima sigaretta fra le dita.
Dovrebbe smettere di fumare.
Lo rende ansioso.
− Hey, che c'è? Vi tirate indietro di già? Non avete fatto neanche un punto! - ci provoca, il tono di voce basso e strafottente.
− Figlio di puttana. - borbotto fra i denti.
− Scusami? Non parlo la lingua dei perdenti. - ribatte.
Ok, Tetsurō, concentrati. Tocca a te. Concentrati.
Devi solo mettere una pallina dentro un bicchiere.
Che tra l'altro ora che ci penso Bokuto-ace-della-Nazionale-giovanile ha se è possibile una mira anche peggiore della mia per cui se fallisco di certo lui non può biasimarmi.
Ma devo vincere.
Un punto.
Uno solo.
E quando lancio questa stupida pallina di merda, non so se per benedizione del cielo o cosa, va veramente a finire dentro un bicchiere.
Sono magnifico.
Bokuto esulta tirandomi su con le braccia sulla mia vita, Terushima mormora un'imprecazione, e io inizio a sentire il calore dell'alcol che si fa strada nelle mie vene sempre più velocemente nel marasma di questa piccola ma meritata vittoria.
Sono davvero un grande.
− Ho sempre creduto in te, amico. L'ho sempre saputo che in fondo in fondo eri bravo. - mi sento dire da un Bokuto che inizia un po' a biascicare, forse, mentre la vampata d'orgoglio della vittoria mi investe.
− Tutta fortuna, stronzo. -
Teru ha una ragazza spiaccicata a fianco, una con delle tette davvero troppo grosse per il loro stesso bene, che inizio a credere abbiano qualcosa di innaturale perché mi fanno quasi paura, che si allunga al posto suo a prendere il bicchiere.
Il mio amico le sorride, prima di appoggiare l'orlo di plastica alle labbra.
E poi, si blocca.
Appena prima di bere, si blocca.
Non sento bene nel marasma cosa stia succedendo ma capisco quando lo vedo afferrare il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni, sbiancare, appoggiare il gin sul tavolo e scostarsi la ragazza di dosso.
Viene verso di noi come volesse allontanarsi, prima di rispondere.
− Tadashi? - dice alla cornetta.
Oh, no, ci risiamo.
Ancora.
Sempre così.
Il volto di Terushima non è mai in quel modo. Mai se non quando Yamaguchi lo chiama, o gli parla. Quel misto di sofferenza consapevole ed emozione.
− È Yams? - sento chiedermi da Bokuto.
Annuisco.
E Teru parla al telefono ancora, dice cose che non riesco a comprendere, so solo che quando la telefonata si chiude ha ritrovato la giacca di pelle per terra, e se la sta infilando.
− Amico? - provo a chiedere, ma scuote la testa.
− Niente ramanzina stasera, Kuroo. Ha litigato con quella faccia da culo del suo fidanzato e dice che non sa dove andare. Non posso fare altro. -
Ecco, sì. Tsukishima e Terushima si odiano.
Parecchio.
Davvero, davvero tanto.
− Teru, sei sicuro che sia una buona idea? - questa volta è Bokuto a parlare.
− È meglio questo di nulla. -
Non voglio nemmeno immaginare come possa essere, una cosa del genere. Non potersi ribellare a qualcosa che sai che ti fa male.
− Torno subito, vado a prenderlo e torno. - continua, le dita che tremano quasi quando riprende il cellulare in mano.
Alzo le spalle.
− Come vuoi. Hai bevuto? -
− Non una goccia. Non andrei a prendere Tadashi da ubriaco. -
Sento Bokuto sospirare, e poi Terushima scompare, le mani al fondo delle tasche della giacca di pelle e quel viso che tanto sembra provocante piegato nell'espressione più afflitta che mai gli abbia visto fare.
Ancora, mi spiace per il mio amico, ma a questo punto, con l'alcol in corpo e il rumore della festa che mi circonda completamente, non sono davvero cazzi miei.
− Tetsu, mi sono depresso. Beviamo. -
Grande, Bokuto. Sei il mio spirito guida.
− Sì, sì. Prendi il gin. -
Il gin fa una fine prevedibile. Ne tiriamo giù almeno due bicchieri a testa, per toglierci di dosso quella sensazione di sbagliato che l'amore non corrisposto di Terushima ci ha fatto venire.
− Amico, mi sta salendo. - dice Bokuto di colpo, distogliendomi dal mio rimuginare.
− Cosa? -
− Boh, l'alcol, la voglia, qualcosa. Voglio andare da Akaashi. -
In effetti.
Appoggiare le mani sulle cosce chiare di Kenma potrebbe essere una soluzione più che calzante ai miei mille problemi del momento.
Annuisco e vengo ritrascinato al contrario nel salotto della casa, e ad ogni passo che mi avvicino riesco a vedere meglio il tavolino davanti divano.
Pieno di bicchieri.
Vuoti.
− Keiji, polpettina, dove sei? - chiede il mio amico vagando con lo sguardo melanconico per tutta la stanza.
Nessuna risposta.
− Keiji, se ci sei dimmi dove, sono solo e triste senza di te, sto per morire di dolore. -
Ancora niente.
− Akaaaaaaaaaashi! -
Vediamo qualcuno sobbalzare sul divano, una mano che si alza, si appoggia sullo schienale e un secondo dopo una testa che spunta.
Akaashi è devastato.
Bello come al solito, questo sì, ma devastato.
I riccioli sono completamente disordinati, l'eyeliner sbavato sotto gli occhi, il volto rosso da quello che immagino fosse alcol.
− Bokuto Kōtarō, vieni immediatamente qui. -
Non penso di aver mai visto il mio amico correre più velocemente.
Io ci metto un po' di più.
Recepisco Akaashi che si fa sollevare da Bokuto e il secondo dopo non esistono più.
Scompaiono.
Perché Kenma, Dio, Kenma è anche meglio.
Arrossato in viso, come il suo glorioso compare, i capelli arruffati e le palpebre pesanti, le iridi dorate che mi fissano da sotto le ciglia, il maglione sul bracciolo del divano e le sue braccia sottili scoperte di fronte a me.
− Micetto, tutto bene? -
Lo vedo annuire, scostarsi, indicarmi il divano.
Mi siedo.
E l'attimo immediatamente seguente un paio di cosce sottili sono ai fianchi delle mie, Kenma a cavalcioni del mio grembo e un nasino proporzionato a pochi millimetri dal mio.
− Ho caldo, Tetsu. Ho caldo ovunque. -
Sorrido a metà.
− E allora spogliati. -
Non l'avessi mai detto.
Kenma, che in una situazione normale avrebbe detto qualcosa come "sei un cretino, Tetsu", sembra non avere la minima inibizione quando corre con le dita all'orlo della maglia e inizia a tirarla su.
Fermo il suo movimento prendendogli le mani fra le mie.
− Stavo scherzando, micetto. -
− Davvero? A me sembrava una buona idea. -
Sbatte le palpebre e c'è qualcosa di tremendamente lascivo nel modo in cui mi guarda.
Sposto per un secondo solo la testa, giusto per vedere se Bokuto è ancora intero o Akaashi l'ha già mangiato, e vedo solo un'ombra dei suoi capelli bianchi fra le dita lunghe del suo ragazzo prima che un paio di manine sottili mi si chiudano sulle guance e mi girino verso di loro.
− Tetsu, guarda me, non gli altri. -
Subito.
Quando vuoi.
Come vuoi.
Potrei morire guardandoti, se me lo dici con quella voce.
Annuisco.
− Certo, micetto, certo. A proposito, quanto hai bevuto? -
Sorride, si lecca le labbra secche, la sua schiena si inarca appena e circonda le mie spalle con le braccia.
− Un po'. Non so quanto. -
Beh, insomma, chiarissimo.
− Come ti senti? -
− Caldo. E... ho voglia. Kuroo, ho davvero voglia. -
Le informazioni iniziano a sommarsi nel mio cervello, ma sono troppo rincoglionito per capire al volo e mi ritrovo con una faccia che ho visto fare più volte solo al mio migliore amico a chiedere una cosa idiota.
− Voglia di che? -
Ma Kenma non è il mio micetto carino, oggi.
Il mio micetto carino sarebbe arrossito, avrebbe indicato qualcosa con un gesto del capo, mi avrebbe fatto capire timidamente quello che voleva.
E invece questo Kenma imbottito di alcol si avvicina ancora, mi bacia la linea della mascella con calma, inspira accanto alla mia clavicola e si avvicina all'orecchio.
− Ho voglia di avere te dentro di me, Tetsurō. -
Sono morto?
Sono vivo?
Sono davvero Kuroo Tetsurō?
Il mio cervello sta perdendo conoscenza.
Il sangue sta fluendo verso il basso e inizio a credere di essere finito in una realtà parallela.
Nel dubbio di quello che sta succedendo, decido di prendere la palla al balzo.
Stringo le mani sulla vita di Kenma, alzo il mento, e lo bacio.
Ma di nuovo, oggi il mio adorabile ragazzo ha grandemente deciso di farmi venire un'erezione in pubblico e soprattutto sedurmi sul divano di casa di un nostro amico perché mi tiene ferma la testa con le mani, mordicchia il mio labbro inferiore e lascia uscire un gemito talmente sottile che penso possa averlo sentito solo io.
− Che ne dici? Ti sembra una buona idea? -
Nemmeno penso.
− Sì. -
E sarei pronto a caricarlo elegantemente in mano, cosce lattiginose e tutto, che però questo magnifico bellissimo e tremendamente sensuale stronzo decide di no.
− Fra un po'. -
Che?
Vuoi farmi venire nei pantaloni, Kenma?
− In che senso? -
− Nel senso che ora voglio aspettare un pochino. È un problema? -
Eh insomma, stronzetto, sei tu che ti stai strusciando su di me, dimmelo tu se è un problema.
− No...? - mi ritrovo a rispondere, e la mia voce sta diventando un po' più acuta.
− Perfetto. -
L'istante dopo si alza sulle ginocchia, la testa ad un livello più alto della mia, le dita fra i miei capelli che mi tirano indietro, gli occhi che mi fissano nemmeno volessero mangiarmi.
Sfiora le mie labbra con le sue.
− Vuoi uccidermi, Kenma? - chiedo poi, esasperato.
− Forse. Ti dà fastidio? -
Dovrebbe essere sì la risposta, vero?
Ma che cazzo ne so io.
− Assolutamente no. Fammi quello che vuoi, micetto. -
− Bravo, Tetsu. Vedo che hai capito chi comanda. -
Eh?
Come?
Prima che i miei quesiti trovino anche solo una parvenza di risposta, la mia testa è angolata all'indietro, il mento fra le dita salde di Kenma, e mi sta baciando.
È violento, denti ovunque e la lingua che si intreccia alla mia con un ritmo che non credevo fosse qualcosa che potesse piacergli, le ginocchia che spingono verso l'interno attorno alla mia vita, la voce che geme direttamente nella mia bocca.
Aiuto.
Non penso che riuscirò a uscire vivo dalla situazione.
Poi si stacca di colpo, guarda qualcosa dietro di me.
− C'è quella troia che ti sta fissando da un'ora. Ora mi alzo e la uccido. - borbotta e non riesco a spalancare gli occhi abbastanza in fretta.
− Kenma, non dare della troia a una ragazza che non conosci. È sessista. -
− Sai quanto me ne frega? -
Sembra gli abbia ucciso tutta la famiglia, da come la guarda.
Si abbassa sedendosi di nuovo sulle mie cosce, e poi si avvicina con il bacino sul mio.
Uno scintillio malvagio sulle iridi chiare.
E poi sa esattamente cosa sta facendo quando preme contro di me, le sue anche che sfregano contro la mia − ormai impossibile da nascondere − erezione in un movimento fluido e deciso.
Mi cade la testa verso l'indietro.
E l'alcol che ho in corpo mi impedisce di trattenermi.
E quindi sì, gemo. Un rumore basso e gutturale che esce dalla mia gola assolutamente inconfondibile.
Non so che faccia abbia la ragazza cui Kenma ha parlato.
Ma so che una mano chiara mi stringe la guancia e prima che lo stesso movimento si ripeta su di me la voce del mio ragazzo è chiara.
− Mio. Capito? Mio e basta. -
Ah, su questo non c'è alcun dubbio.
Si avvicina per baciarmi ancora e questa volta è davvero uno di quei baci che di solito ci diamo quando siamo da soli.
Saliva ovunque, bagnato, bisognoso, qualche versetto qua e là e i nostri corpi intrecciati.
Ok, sto davvero per cedere.
E anche Kenma, quando si stacca col fiatone e mi fissa.
− Ok, facciamo sesso. Qui. Ora. -
Un secondo.
− Ti porto su, reggiti. -
− No, no. Qui. -
Esibizionista? Kenma ubriaco è davvero... esibizionista?
Cioè non che non sia perfettamente d'accordo con le sue magnifiche intenzioni, ma sono piuttosto sicuro che a nessuno qui freghi di vederci nudi.
Magari a qualcuno, ma non è comunque una buona idea.
− Non fare il testardo, micetto, su. Ti prendo in braccio, va bene? -
E poi il suo volto cambia immediatamente.
Che probabilmente, anzi, sicuramente è l'alcol, però passa letteralmente da sensuale ed eccitato a ferito e tradito in un istante.
− Ti... ti vergogni di me, non è vero? -
− Ma che cosa stai... −
− È perché non mi ami più. Io lo so che non mi ami più. -
No aspetta un secondo, cosa sta succedendo?
− Micetto... −
− Non chiamarmi "micetto"! Lo so che lo fai solo per non confonderti con tutti i tuoi amanti! -
I miei amanti?
Cosa?
Ok, Tetsurō, pensa.
Pensa, pensa a qualcosa per consolarlo.
Se solo tutto il mio sangue non fosse sul mio cazzo questo istante forse riuscirei ad elaborare la situazione.
Ma sono inerme.
Do un'occhiata velocissima al mio fianco, Bokuto, che sta trascinando via Akaashi per il braccio, mi guarda e fa sì con la testa.
"Sì" cosa?
Perché ho pensato che fosse una buona idea guardare Bokuto?
Quando mai ha fatto o detto qualcosa di intelligente?
Idiota di un Tetsurō.
Pensa.
Oh, sì, cazzo, idea.
− Non dire puttanate, Kenma. Non voglio scoparti davanti a tutti perché non mi piace proprio l'idea che tutti vedano quanto sei troia. -
Prego ogni divinità in cielo per tutto l'istante che passa prima che risponda.
E poi la tensione si scioglie con il volto da gattino del mio ragazzo che diventa appena rosso sul naso, perde l'offesa e intimidito guarda in basso.
L'alcol e Kenma non vanno d'accordo.
O forse sono una combo epocale.
− Allora mi ami ancora? -
Mi sporgo per baciarlo.
− Che domanda idiota. Io ti amo sempre, micetto. -
− Sicuro? Al cento per cento? -
− Al duecento per cento. -
Ok, crisi evitata per un pelo.
Sono un genio.
− Tirami su, Tetsu. - mi chiede poi, e coraggioso da parte sua assumere che abbia più energia di lui nelle gambe.
Di fatto mi tremano parecchio, e i miei pantaloni sono costrittivi al punto da farmi quasi male, ma se Kenma chiede qualcosa, Kenma l'avrà.
Lo aiuto a stringere le cosce attorno a me e poi, raccogliendo ogni singola fibra della mia capacità motoria, mi alzo.
Stabile? Stabile.
Le scale non sono lontane.
Posso farcela.
Se solo il mio adorabile gattino non avesse deciso di tornare alla sua verve seducente.
Inizia a muoversi chiaramente contro il mio busto ad ogni passo, la voce che si piega in qualche verso sottile ad ogni ancorarsi del suo bacino contro di me.
Basta, lo faccio qui davanti a tutti.
Non posso resistere.
E invece devo.
Mi aggrappo con qualsiasi forza - ed è davvero pochissima, cazzo - al corrimano delle scale e salgo gli scalini attentamente, cercando di non sbilanciarmi.
Un corridoio pieno di porte.
So per esperienza che ci sono tante camere da letto.
Che di fatto Terushima ha una famiglia bella grande.
La prima stanza che apro è un bagno.
Non abbastanza comoda.
− Muoviti, Tetsu. -
− Ci provo. -
Piccolo bastardo, sai a che sofferenza fisica mi stai sottoponendo? No, perché penso che potrei davvero avere un infarto, al momento.
E invece continuo.
Apro un'altra porta.
E diciamo che un vedo una testa di riccioli scuri fra un paio di cosce muscolose che conosco.
Chiudo prima di sentire un "Keiji" mormorato da una voce strozzata e ariosa.
− Non andava bene? -
− Vuoi scopare con 'Kaashi e Bokuto a fianco? -
Kenma diventa rosso in viso.
− No, quello non lo facciamo più. -
Brutta storia. O bella storia, dipende dai punti di vista.
Diciamo che l'alcool è tanto ma non abbastanza per ripetere quell'esperienza.
O la va o la spacca con la terza stanza.
E quando la apro e vedo che il letto è disfatto e disordinato ma meravigliosamente vuoto, potrei avere un orgasmo dalla felicità.
Nell'ordine lancio Kenma sul materasso, chiudo la porta, mi tolgo la maglietta e finalmente, finalmente, sono mezzo nudo, in un posto relativamente privato con il mio recentemente scoperto fidanzato ninfomane.
− Siamo da soli? - mi chiede fissandomi.
− Spero. -
Sempre se non c'è qualche guardone nascosto nell'armadio.
Ma anche in quel caso, è il suo giorno fortunato. Perché non ho intenzione di fermarmi nemmeno sotto tortura.
Rimaniamo fermi un istante, poi diventa tutto un casino.
Io che cerco di alzarmi ma vengo scaraventato in basso dal corpo di Kenma che mi scala, sale sopra di me e si spiaccica contro il mio petto strofinando la testa contro il mio sterno.
− Mmh, ora, lo voglio ora, cazzo. - borbotta.
− Ci serve del lubrificante. E devo prepararti. -
Infila la mano nelle tasche e la sua faccia diventa vuota.
− Me l'ha dato Akaashi, è nella felpa. Di sotto. -
No, cazzo, no.
Dio, ma mi detesti oggi?
− Devo andare a prenderlo? - sono costretto a chiedere, perché sono un fidanzato meraviglioso che sa quello che deve fare.
Kenma ci pensa su un secondo, e poi annuisce.
− Ti prego. Se lo fai te lo succhio. -
Porca troia, corri, Tetsurō. Corri.
Prima di scaraventarmi di sotto, petto nudo e pantaloni che lasciano poco all'immaginazione, punto l'indice verso di lui.
− È una promessa. -
− Sì, giuro. -
La corsa al contrario la faccio davvero a rotta di collo.
Miracolo che non mi sia ucciso scendendo le scale.
La felpa di Ken è arruffata sul bracciolo del divano, dove la ricordavo, ma quello che mi colpisce per un solo, minuscolo istante, è Terushima.
Terushima che sta dicendo alla gente che la festa è finita, che deve andarsene via.
E Yamaguchi con gli occhi gonfi che piange sul divano, le cosce fra le braccia e il viso sfatto.
Non mi vede quando prendo la felpa.
E faccio in modo di non farmi vedere.
Teru sa che ci saremmo fermati a dormire nel momento stesso in cui abbiamo iniziato a bere, e so che non è un problema, se rimaniamo noi.
Quindi decido che la situazione non mi riguarda minimamente e scappo sulle scale una seconda volta.
Passo oltre la porta di Akaashi e Bokuto e sento cose che non volevo sentire, e un istante dopo torno dal mio, di problema.
Dal mio piccolo problema che si è tolto ogni indumento ed è languidamente steso sul materasso con le gambe accavallate e gli occhi chiusi.
− Kenma, eccomi. -
− Ci hai messo un'era. Stavo quasi per cominciare da solo. - risponde, aprendo piano le palpebre e chinando la testa per guardarmi.
− Micetto impaziente. -
Annuisce.
Mi getto sul letto e torniamo alla posizione iniziale, lui steso sopra di me e io bellamente circondato da ogni angolo del suo corpo.
− Vuoi riscuotere la tua promessa ora o in un altro momento? - mi chiede poi, le labbra a pochi millimetri dalle mie, le mani che si aprono sui miei pettorali.
− Ora. Sì, cazzo, lo voglio ora. -
− E poi sarei io l'impaziente. -
Poggia la bocca sul mio petto, la pelle bollente contro la sua più fresca.
Inizia a tracciare lentamente una linea languida verso il basso, io che tremo quasi ormai ma lui straziantemente paziente.
− Kenma, su, muoviti. -
Non risponde, ma ride piano.
Poi afferra i miei pantaloni con le dita, slaccia lentamente il bottone dei jeans e lascia scendere la zip fra i polpastrelli che tremano e mi aiuta a tirare su il bacino per sfilarmeli quel che basta.
Mi tocca attraverso i boxer e penso di poter prendere fuoco.
− Dio, Tetsu, eri così eccitato anche prima? Dev'essere doloroso. - mormora, il tono dannatamente sarcastico.
− E di chi pensi sia la colpa? Stronzo. -
Ride sotto i baffi prima di tirare fuori la lingua e tracciare una linea umida sulla mia erezione ancora coperta.
Il mio bacino sale verso l'alto senza che possa farci niente.
− Porca puttana, micetto, fallo per bene. -
Ancora, di nuovo, mi ride in faccia.
Come se non fosse lui quello che mi aveva pregato di scoparlo un secondo fa.
E inizia a ribollirmi il sangue nelle vene.
− Sì, sì, con calma. -
Con calma?
Te la faccio vedere io, la calma.
Rimango zitto quando lo tira fuori, nonostante lo continui a fare con movimenti misurati e lenti, e sento l'eccitazione accumularsi fin quando non prende la punta in bocca e succhia piano.
È meraviglioso, perché le sue labbra sono sottili e piccine e fanno bene il loro lavoro, ma è poco.
Troppo poco.
E inizio a incazzarmi.
Di nuovo, il mio bacino si alza e Kenma mi lascia uscire.
Lo tiene in mano e basta.
E mi guarda.
Ok, l'hai voluto tu.
Il secondo dopo ho le dita strette fra i suoi capelli biondi, forte, più di quanto non faccia di norma, e gli occhi sui suoi.
− Apri quella cazzo di bocca e stai zitto. -
Gli scintillano le iridi.
Si lecca le labbra e obbedisce.
So che lo prende tutto, e non mi preoccupo quando lo muovo esattamente contro di me ed entro in un unico movimento fino in fondo alla sua gola.
Oh, sì, cazzo. Di questo stavo parlando.
Di come si stringe contro di me come se si stesse strozzando.
Lo muovo un paio di volte su e giù.
− La prossima volta che mi provochi e poi ti tiri indietro finirà peggio, micetto. Hai capito? - dico, e darò la colpa all'alcol ma sappiamo tutti che sono un sadico bastardo quando si tratta di sesso e mi sto semplicemente trattenendo meno.
La gola di Kenma si stringe su di me.
− Perché non mi rispondi? - chiedo.
Perché? Beh, perché ha il mio cazzo fino alla gola.
Mi guarda attraverso le ciglia folte come se mi stesse pregando, ma so che non vuole che smetta. Se avesse voluto mi avrebbe lanciato un'occhiata diversa.
Kenma si sta divertendo quanto me.
Lo lascio uscire un istante giusto per riprendere fiato.
E non fa altro che asciugarsi la bocca con il braccio e leccarsi le labbra.
− Ancora, Tetsu, più forte. -
Più forte?
L'alcol ti trasforma, Kenma.
Ma chi sono per disobbedire?
Quindi non aspetto che si riprenda e di nuovo, mano fra i capelli, stretta impossibilmente fra le ciocche chiare, e mi spingo dentro di lui ancora.
I movimenti si fanno più violenti, la sua voce che si strozza assieme alla gola che si stringe appena, le unghie che scavano i miei fianchi.
− Cazzo, Kenma, come fai a prenderlo tutto così bene? -
Le domande sono palesemente retoriche, e lo so, ma il complimento nascosto un po' accarezza il suo ego e lo fa sentire più sicuro di sé, quando sento chiaramente il movimento della sua bocca che si apre quel che basta perché il suo naso sia premuto nello spazio proprio sotto il mio ombelico.
Meraviglioso, lascivo, sensuale micetto.
Ormai i movimenti sono davvero secchi.
Il mio bacino che si alza e la mano che abbassa la sua testa, l'aria che inizia a mancargli quando mi lancia un'occhiata di preghiera.
− È troppo? - mi prendo un istante per chiedere.
Come può, scuote la testa, ma gli permetto ugualmente di staccarsi e respirare.
La sua voce è rotta, roca, sfinita, quando parla.
− Posso... posso toccarmi? - mi chiede.
E una vampata di calore mi investe quando sento che me l'ha chiesto, invece di farlo.
− No. Vieni solo su di me. -
− Ma Tetsu... −
− Ho detto di no. Non farmi incazzare. -
Mette su un broncio davvero adorabile, prima che le lacrime inizino a farsi strada sul suo viso. Lacrime di frustrazione.
Davvero eccitanti, sul suo viso che mi sta pregando.
E comunque la scoperta che facciamo sesso violento quando siamo ubriachi è magica.
In ogni caso, tolgo le mani e le pianto verso il materasso.
− Fammi venire e forse ne parliamo. -
− Eh? -
Intendo quello che ho detto.
− Fammi venire da solo, e poi vediamo cosa fare di te. Devo ripeterlo un'altra volta? -
Scuote la testa, ma è ancora interdetto.
E poi si convince.
Forse il fatto che io sia a molto, molto poco dal venire anche se non mi tocca, o forse, di nuovo, la sua neopersonalità alcolica.
Non ne ho idea.
So solo che prende la mia richiesta tremendamente sul serio quando passa la lingua di piatto sulla punta un paio di volte, e mugugna il mio nome.
E poi stringe le dita attorno, le muove sempre più velocemente, e mi guarda dritto negli occhi.
− Vienimi in faccia, Tetsu, su. - chiede.
Dio, se non c'è qualcosa di più eccitante della voce da sesso di Kenma.
Ma non posso fare lo stronzo e poi obbedirgli in quel modo un secondo dopo.
Perderei la mia credibilità.
Quindi, tento strenuamente di resistere.
Poi le labbra si aprono appena, la lingua appoggiata su quello inferiore, le pupille che seguono solo me.
− Per favore. -
Credibilità?
No.
No, no, no.
Zero.
E il secondo dopo sto tremando fra le dita del mio ragazzo, il mio orgasmo che gli bagna il viso, e la mia voce che non riesce a star zitta.
Porca troia.
Non posso proprio resistergli.
Mi riprendo in quelle che sembrano ere, ma forse sono secondi, il fiatone e la bocca secca.
− Pensavo ci avresti messo di più. Non sai proprio resistermi, eh? - mi sento chiedere da qualcuno che non si è degnato di pulirsi la faccia perché probabilmente vuole farmi morire in questo istante.
− È stato troppo persino per me. -
E comunque com'è questa storia che sono appena venuto ma sono ancora duro?
Eh?
Alcol?
Kenma?
La biologia che mi tradisce?
Io che sono una divinità incredibile del sesso?
Mmh, sì, questa mi piace.
Però cazzo a parte, tutto il resto non reagisce. Ho i muscoli distrutti.
− Tocca a te. Avevi detto che mi avresti fatto venire. -
− Ehm... un secondo? Mi hai ucciso, Kenma. -
Questa volta altro che lacrime e broncio adorabile. No, questa volta Kenma si incazza proprio. Diventa di fuoco.
Si scosta da me, procede per tirarsi su e il rumore che fa la sua mano quando la spiaccica senza pietà sul mio petto somiglia a quello di un ceffone.
− Dov'è finito il Tetsu bastardo che mi costringe a fare le cose? Eh? - chiede, scrutandomi in viso.
L'hai distrutto. Non è colpa mia.
Poi si avvicina e poco prima di baciarmi si ferma.
− Se non ti alzi e mi scopi come Dio comanda scendo quelle cazzo di scale e trovo qualcun altro, Tetsurō. -
La gelosia è un sentimento che non sopporto.
E con i freni inibitori completamente andati mi fa davvero tremare.
− Che cosa? -
− Hai sentito bene. -
Il dolore ai muscoli è qualcosa di cui, in questo istante, mi dimentico. Tornerà peggiore domani, ne sono perfettamente consapevole, ma posso lasciarlo perdere.
Posso quando scosto Kenma da me e mi tiro su, quando premo le sue spalle contro il materasso con il bacino in alto, quando lascio andare la mia mano contro la pelle morbida del suo culo.
Forte.
− Chiedimi scusa. -
− Hai intenzione di scoparmi? -
− Se continui così non ti preparo neanche, Kenma. Ti faccio piangere finché non implori pietà. -
Agita le anche di fronte alla mia faccia come se fosse davvero contento.
− Allora col cazzo che ti chiedo scusa. -
Le emozioni si accumulano davvero troppo nel mio cervello, e finisco per... sorridere?
− Ti amo, micetto, cazzo. -
E Ken ridacchia con la faccia sul letto.
− Anche io, cretino. -
Che strano.
Poi lo sculaccio comunque, perché è un bastardo, ma ho questa sensazione frizzantina nel petto che mi fa davvero il solletico.
Ha un non so che di davvero lascivo il segno della mia mano sul culo del mio ragazzo.
Se avessi una coscienza ora farei una foto.
Ma il mio cervello è sciolto.
Mi chino all'indietro - rischiando di cadere dal letto perché mi sono ripreso ma sono ancora un ammasso di muscoli inutili - e prendo una bottiglietta taglia viaggio di lubrificante dalla tasca della felpa di Kenma buttata lì.
− Te l'ha dato Akaashi, hai detto? -
− Ah-ah, dice che a lui viene sempre voglia di scopare quando beve e che sarebbe venuta anche a me. È un vero amico. -
− Come faccia a stare con Bokuto lo sa solo lui. Lo adoro, ma quell'uomo è un coglione. -
− Ha parlato. -
Lo schiaffeggio ancora.
− Ti sembra il caso di prendermi per il culo, micetto? -
− L'inverso sarebbe proprio perfetto. -
Ridacchio fra me e me mentre apro la bottiglietta e faccio per spremerne un po' fra le dita. So che ho detto che non volevo prepararlo ma...
− No. Fallo e basta, Tetsu. Posso sopportarlo. Voglio sopportarlo. -
Oh, Cristo.
− Micetto, non è una buona idea. Ti farà dannatamente male e non camminerai per un paio di giorni. Non per vantarmi o cosa, ma non è proprio una passeggiata prenderlo tutto, insomma. -
− Ti stavi vantando. -
− Forse. -
Aspetto che ci pensi pazientemente - ovvero soffrendo tantissimo perché ho il culo del mio ragazzo di fronte alla faccia e ho la resistenza fisica di un cadavere da ubriaco - e quando lo sento parlare di nuovo non posso quasi crederci.
− Ora. Lo voglio ora. -
Io l'ho avvertito.
L'ho fatto.
E ora quello che vuole lui son cazzi suoi.
Aspetta un secondo.
No, il cazzo è mio.
Ok, sono confuso.
Ma in ogni caso spremo il lubrificante, e lo spremo tutto che almeno questo posso farlo, un po' su di me e un po' su di lui.
Abbiamo fatto sesso ieri pomeriggio, mi pare, quindi non dovrebbe essere tanto incredibile, penso.
E invece, quando afferro saldamente le sue anche con le mani e inizio a spingermi verso di lui, mi rendo conto che lo è.
Non entra.
Non vuole entrare.
− Spingi. - sento chiedermi da una voce che inizia ad essere sfiatata.
Oh, lo vuole davvero.
E obbedisco, e lo tengo più saldamente e lo costringo a entrare.
È stretto, quasi troppo. Quasi eccessivamente.
Le cosce di Kenma si aprono, il bacino trema fra le mie dita, e geme in quello che sembra un lamento.
− Tutto, Tetsu, lo... lo voglio... tutto. - riprende, quando mi fermo a metà strada.
Raggiungo il fondo.
E mi sorprende che non sia venuto una seconda volta.
Perché è come se mi stritolasse.
− Come va? - chiedo tentativamente, cercando di rimanere fermo prima di muovermi.
− Fa male. Mi piace. -
− Masochista. -
− Sadico. -
− Posso muovermi? -
I muscoli interni di Kenma si stringono su di me per un istante, ed è come se non volesse davvero lasciarmi uscire da se stesso.
− S... sì. -
Inizio il più piano che posso.
Che non è piano, perché mi muovo prima di decidere come farlo, l'alcol che ha tagliato completamente i ponti fra i miei muscoli e il mio cervello, ma comunque non è forte quanto vorrei.
Kenma gira il viso appoggiando la guancia sul letto, tira su, e mi accorgo che sta piangendo.
Mi fermo di nuovo.
− Micetto? Fa così male? Devo smettere? Cazzo, te l'avevo detto che... −
Mi interrompe piegando le gambe dietro di me, i polpacci premuti contro il retro delle mie cosce.
Muove il bacino su di me.
− Non smettere. Non... non farlo, Tetsu. -
− Ma... −
− Ancora. -
Non riesco a trattenermi. Non quando spinge indietro verso di me e quando mi fissa con quegli occhi sfocati.
Il mio addome sbatte quasi contro di lui.
Forse è troppo forte.
Non me ne rendo conto.
L'unica cosa che sento è quanto stretto Kenma è su di me, e quanto è meravigliosa la sua voce che geme e piange contemporaneamente.
Chiama il mio nome, impreca, afferra la testiera del letto con una mano nel tentativo di reggersi a qualcosa.
Il risultato è solo che il letto sbatte contro il muro.
Tutto più rumoroso.
− Tetsu... cazzo... dammi... b... − sento ad un certo punto, e non distinguo bene le parole.
− Che? -
− Un bacio. -
Oh, piccolo Kenma, hai ragione. Anche io voglio darti un bacio ora.
Cerco di esaminare le possibilità e concludo un istante dopo che la cosa migliore è girarlo. Per cui esco da lui che si lamenta platealmente e lo ribalto con la schiena sul letto.
Le sue gambe si aprono automaticamente attorno a me, e con una mano guido me stesso di nuovo al suo interno, prima di chinarmi e baciarlo.
Ha le labbra dolci, e il viso un casino, fra il mio orgasmo di prima, le lenzuola contro cui l'ho premuto, il sudore e la saliva.
Ma è davvero troppo bello.
Distrutto, ma meraviglioso.
Lascivo.
Il modo in cui si ancora a me, le braccia dietro il collo e i polpacci che spingono il mio corpo sul suo, è accogliente.
Nella confusione del nostro stato di ubriachezza di questo mi accorgo.
Di quanto sia rilassante, alla fine, fare tutto questo con Kenma. Di quanto mi faccia sentire al sicuro.
− Cazzo, micetto, ti amo davvero troppo. - borbotto, il mio bacino che continua a muoversi come fosse una parte di me che non controllo.
Kenma affonda le unghie sulla mia schiena.
− T...Tetsu! -
Oh, riconosco quella voce.
Lo bacio ancora, afferro la sua vita con le mani, la spingo verso il letto.
So dove gli piace che lo scopi.
E so cosa sto facendo quando inizia a contrarre e rilassare ritmicamente i muscoli.
Quando sta per venire, Kenma si inarca.
− Sei vicino, micetto? - chiedo, una domanda chiaramente retorica.
Come può annuisce.
E affonda i denti contro il mio collo quando colpisco quel punto esatto, e inizia a tremare ancora più forte, quando si irrigidisce, quando viene fra me e lui.
E non lascia la presa quando non smetto.
Anch'io devo venire, e posso resistere ancora quel paio di minuti che mi permettono di vedere Kenma piangere per davvero.
E lo fa, quando ricomincio senza curarmi che lui sia venuto.
Si mette a singhiozzare forte, le mani aggrappate alle mie spalle, il piacere che diventa troppo e lo invade in ogni angolo, tanto da fare quasi male.
E prega.
− Basta, Tetsu, ti prego, basta! - chiede, gli occhi che ruotano verso l'alto ad ogni spinta, la schiena così tesa che sembra quasi la pelle stia per spezzarsi.
Ma non ho intenzione di smettere.
Non mentre sento il calore che si forma nella mia pancia.
Non mentre Kenma si stringe dentro di me.
Non quando prendo il mio ragazzo fra le dita e le muovo in un su e giù serrato, mentre lo vedo piangere ancora, artigliarmi le scapole, mordersi il labbro.
Non mentre lo costringo a venire un'altra volta, peggio e meglio di prima allo stesso tempo, e mi lascio finalmente andare dentro di lui.
E penso che la sbronza si diffonda quando mi intorpidisco, la vita mi scorre letteralmente via dal corpo e mi ritrovo a sentirmi quasi come se una scarica elettrica mi stesse attraversando le vene.
Ho il fiatone.
Riesco solo ad uscire da Kenma prima di spiaccicarmi con la schiena sul letto e vedere le pareti girare per un istante.
− Tetsu. - sento al mio fianco.
Sbatto le palpebre.
Una testolina bionda si appoggia sul mio sterno, un corpicino tremante scalcia le coperte e le tira su di noi che non ci siamo né lavati né rivestiti, poi si ancora a me.
− Ti amo, Tetsu. -
Pigramente riconosco la mia stessa mano che si apre sulla schiena minuta del mio ragazzo, la circonda.
− Anche io. -
E poi mi addormento come un morto.
No, davvero, mi spengo.
E quando mi sveglio qualche ora dopo, mi sembra di essere stato tirato fuori da una tomba.
Mal di testa? Sì.
I muscoli? Distrutti.
E Kenma? Kenma inerme, nudo, pieno di liquidi che non ho intenzione di specificare sulla pelle chiara, ancorato al mio braccio con i capelli un casino che dorme profondamente.
Cazzo.
Forse è stato un po' troppino.
Lo scosto da me cercando di non svegliarlo e bestemmio apertamente quando mi tiro su.
Ho male alla schiena, cazzo.
La tocco e ritiro indietro le dita macchiate di sangue.
Quanto cazzo devo averlo scopato forte per essermi fatto letteralmente pugnalare la schiena?
Sono un mostro.
Frugo alla ricerca dei miei vestiti e quello che trovo sono unicamente le mutande e la maglietta, quindi metto quelli, che tanto non avevo comunque voglia di infilarli, i jeans.
Devo andare di sotto, cercare dell'acqua e degli antidolorifici per me e soprattutto per Kenma, cercare di capire la situazione e vedere il da farsi.
Sono un fidanzato responsabile, io.
Non quello che ha ceduto all'ubriachezza molesta e ha sbattuto il proprio piccolo micetto senza prepararlo come se non ci fosse un domani.
No no.
Maledetto gin.
Scendo le scale con calma, uno spiraglio della porta accanto alla mia che mostra Bokuto spiaccicato pancia sotto sul letto, gloriosamente nudo, con la bava alla bocca.
Akaashi non c'è, dev'essere di sotto.
Quando passo in salotto la scena è malinconica, e cerco di non fissare troppo intensamente.
Teru guarda con occhi sognanti una testa di capelli lisci sulle sue cosce, il volto lentigginoso di Yams addormentato sulle sue gambe, le dita del mio amico fra le ciocche verdi.
− Dorme? - chiedo, più per curiosità che per altro.
Terushima annuisce.
− Ha avuto un brutto litigio. È stanco. -
Che cosa può aver fatto a quest'uomo il piccolo, adorabile, tenero Yamaguchi Tadashi, io non lo so. So soltanto che quello che era lo stronzo più intoccabile che conoscevo, uno che passa da un letto all'altro senza rimpianti e fa qualsiasi cosa senza il minimo ritegno, ora è devastato di fronte ad un nasino pieno di lentiggini.
Mi avessero detto che Terushima avrebbe smesso di fare lo sciupafemmine - e sciupamaschi che quel concentrato di ormoni non si fa problemi - per il piccolo pinch server del Karasuno non ci avrei mai creduto.
− Tu come stai? -
So che non sono cazzi miei, ma è pur sempre mio amico.
− Una merda. Ha passato due ore a piangermi addosso che Tsukki non lo amava più come se fosse la cosa peggiore che gli sia mai capitata nella vita, e poi si è addormentato così. Non se lo merita, quel bastardo. Tadashi non dovrebbe piangere mai. -
Cazzo, che situazione.
Alzo le spalle.
− Sta meglio? -
Lo guarda un istante, tirando una ciocca dietro il suo orecchio.
− Spero di sì. Non è giusto che stia male, nessuno dovrebbe farlo stare male. -
− Non è meglio se lo porti a letto? -
− Non voglio metterlo a disagio. Se volesse essere toccato da me dovrebbe dirmelo, non ho intenzione di fare più di questo se no. -
Terushima Yūji, che ti è successo?
Sospiro.
− Come vuoi. Vado in cucina. -
Il mio amico annuisce, e riprende i movimenti timidi ma pacati fra i capelli del ragazzo che dorme, il volto che è talmente innamorato che fa male persino a me.
Io scappo di là.
E prevedibilmente trovo Akaashi con un'enorme maglietta non sua e un bicchiere d'acqua in mano appollaiato sul tavolo pieno di qualsiasi cosa ci fosse sopra ieri.
− 'Giorno. - borbotta.
− 'Giorno. -
Lo imito e rovisto fra i cassetti alla ricerca di un bicchiere, poi prendo l'acqua del rubinetto che non mi fido assolutamente di nulla di quello che Terushima ha dentro le bottiglie.
− Kenma? È vivo? -
Alzo le spalle.
− Più o meno. -
Akaashi ridacchia scuotendo le spalle.
− Idem Bokuto. Quell'uomo mette tutta l'energia del mondo nel fare le cose ma poi è come se morisse quando si addormenta. -
− Non voglio sapere che cosa stava facendo ieri sera. Sono entrato per sbaglio e quei due secondi che ho visto mi sono bastati. -
Akaashi spalanca gli occhi azzurri e arrossisce.
− Co... cosa? -
− Ho sbagliato porta. Ma ero talmente preso che non so nemmeno più bene cosa steste facendo. -
Scuote le spalle sottili.
− Oh. Ecco... scusa, immagino. -
− Scusa tu. -
Ridacchio fra me e me mentre mando giù un sorso d'acqua.
− Hai qualcosa per il mal di testa? -
− Ovviamente. Su in camera, quando saliamo ti do tutto. Ho anche i cerotti per il mal di schiena di Kenma. -
Tu sia benedetto, Akaashi.
− Posso chiamarti mamma? -
− Se vuoi. -
Ridacchio piano appoggiandomi con il busto sul bancone della cucina, le gambe lunghe di Akaashi che ballano nell'aria.
− La prossima volta lo invito ad un'altra festa o è una cattiva idea? - mi sento chiedere poi, e sollevo le sopracciglia mentre elaboro le sue parole.
− Che intendi? -
− Kenma. Si è divertito o è stato un fallimento totale? Volevo che facesse qualcosa di nuovo ma se è stato uno schifo la prossima volta evito. -
È stato uno schifo?
Cioè, il letto dove sta dormendo al momento è uno schifo.
Probabilmente anche i suoi capelli.
E la mia schiena di sicuro.
Ma il sesso, quello non è stato per niente uno schifo.
E Kenma che cambia umore ogni venti secondi e mi fa venire il batticuore da quanto è carino e sensuale allo stesso tempo nemmeno.
Anzi.
Sbuffo.
− Tutte le feste che vuoi, 'Kaashi. Invitalo a tutte le feste che vuoi. −
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
➠♡༊ beta-read by __meryblxck MonicaKatfish a-artemix
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