𝚎𝚌𝚑𝚘
⟿ ✿ ship :: KiriBaku
➭ ✧❁ SMUT alert :: "Entro, butto dentro il mio ragazzo, la chiudo alle mie spalle."
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➤♡❆ comfort fic for :: Born_Nobody
➠♡༊ written :: 22/03/21
⧉➫ genre :: hurt/comfort, fluff, introspettivo
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
Non so che cosa aspettarmi.
Tutte le notti, non so mai cosa aspettarmi.
Essere me sembra così divertente, da fuori.
L'immagine che di me ha la gente comune è così... forte.
Potente.
Imbattibile.
Non so cosa la gente si aspetti da me.
Non so cosa la mia famiglia, i miei amici, tutti quelli che ho attorno, si aspettino da me.
Non so nemmeno cosa mi aspetto, io, da me stesso.
Non so niente.
Chiudo gli occhi che non so niente.
Mi addormento che non voglio niente.
E le immagini scorrono.
Katsuki Bakugō è lo specchio di una realtà che si è creato da solo.
Io, sono Katsuki Bakugō.
I pezzi intrecciati assieme di quello che credo, che sento, che voglio.
Il giorno, quando la luce brilla, invade i miei occhi, li illumina e li riempie di sicurezza, allora so chi sono.
So che cosa voglio, chi sarò, per chi combatto.
Ma la notte, la notte no.
La notte chiudo gli occhi e sono con me stesso.
Sono solo.
Non è sempre uguale.
L'incubo, intendo.
Cambia.
Nessuno ci crede, quando parlo di sindrome post-traumatica.
Insomma, l'hai visto, Bakugō? L'incazzato biondino a cui esplodono le mani, intendo.
L'hai visto?
L'hai mai visto vacillare?
L'hai mai visto implorare pietà?
L'hai mai visto piangere?
No.
Non è possibile che ci sia qualcosa di morbido e fragile dentro quella creatura così rigida. Non in lui, non in me, perché alla fine è di me, che stiamo parlando.
Ed eppure, mi rincorre.
È iniziato con quel figlio di puttana del fango.
Prima della Yuei, prima di tutto.
Non respiravo.
Non vedevo.
Non uscivo.
Tutti a cantare le gesta miracolose di un ragazzino che è riuscito a resistere.
Ma ci hanno pensato, a com'era, essere là dentro?
Guardare la vita scorrermi addosso, la paura, il terrore. La costrizione, l'aria che manca, non sapere che cosa guardare, come.
Ho pianto, quando mi ha attaccato.
Tutti pensano che quando è arrivato Deku mi abbia dato fastidio, la sua presenza.
A Bakugō darebbe fastidio, no?
Col cazzo.
Ero così spaventato che me ne fregava davvero poco, che fosse lui. Ho fatto quel che dovevo fare, l'ho mandato a fare in culo perché non doveva permettersi di guardarmi dall'alto in basso, ma alla fine, avevo solo paura.
Una paura fottuta.
E poi, il rapimento.
Perché me?
Perché fra tutti, l'unico che sembrava loro un possibile Villain ero io?
Cosa c'è che non va in me?
A tre centimetri dalle mani che polverizzano la vita di Shigaraki, dalle dita di fuoco di Dabi, dai coltelli di Toga e dalla furia cieca di All for One.
Io.
Quando chiudo gli occhi, è tutta una mescolanza senza senso della paura che ho avuto.
Prima la claustrofobia, prima la costrizione.
L'aria mi manca nel petto in una stanza che si restringe, nel sogno sono con la divisa della scuola.
Tento di coprirmi gli occhi umidicci, sto piangendo.
Non voglio vedere.
Aria, aria, aria.
Poi scompaiono le mie gambe.
Come cenere.
Una mano bianca, quasi trasparente, chiusa sulla mia caviglia che si sfalda.
La sensazione di essere trasformato in polvere, non ho idea di come sia, ma il mio cervello l'ha inventata perfettamente.
Prima la pelle, bianca e liscia, che sparisce.
Inizia a mangiare i muscoli.
Fa male, fa malissimo.
Il chiarore dei tendini fra le fibre lunghe del tessuto muscolare.
Bianco.
Quello è l'osso.
Sta sparendo tutto.
Ho paura.
Non sono niente.
Mi uccideranno.
Voglio scappare.
Ma la stanza è piccola, sempre più piccola, mi schiaccia.
Respiro male.
Piango di un pianto torrenziale, scioccante e duro, cattivo, irritato.
Rabbia, frustrazione.
Terrore.
Voglio uscire, voglio andarmene. Voglio smettere di stare così.
Mi è successo una marea di volte, di avere gli incubi. Succede a quelli come me, a quelli che combattono con i fantomatici traumi del passato.
Non sono il tipo, da fuori, ma dentro, mi mangiano vivo.
Mi scavano nel petto ogni notte.
Ho un metodo solo per calmarli.
Ma devo dare un verso a me stesso prima di potermelo concedere.
Calmo, Katsuki, calmo.
Non è reale, niente lo è.
Sei al dormitorio, sul tuo lettino scomodo, da solo, fra le lenzuola. Hai fatto un allenamento da morirci sopra, oggi, hai studiato fino a tardi. Non stai scappando, non hai paura.
Sei forte.
Sei forte?
Cazzo, no.
Non sta funzionando, miseria, non sta funzionando.
Concentrati.
Prima di pensare a lui devi concentrarti o sprecherai l'unica occasione di uscirne.
Puoi farcela.
Hai sopportato la voce insopportabile di Denki al Karaoke, puoi combattere uno stupido sogno.
Ecco, così.
Datti un tono.
Senti le mani, senti le dita, senti le gambe, ci sono. Senti la pelle, senti il calore, le palpebre chiuse, i capelli madidi di sudore sulla fronte, i muscoli che si contraggono e si rilassano.
Focalizzati.
E poi, come le tue mani, esplodi.
Datti l'unica chance che hai di essere felice ed esplodi.
Visualizza gli occhi rossi, gentili, la cicatrice minuscola sul sopracciglio, i denti ridicolmente affilati, i capelli rossi.
Bravo, così.
Le spalle larghe, i muscoli affusolati, il sorriso dolce, le mani piene di cicatrici, il calore della pelle.
L'odore di quando si è appena fatto la doccia, le braccia forti attorno alla tua vita, le dita fra i tuoi capelli, il respiro delicato contro il tuo viso dopo che ti bacia, le ciglia che sbattono quando guarda il tuo viso, l'espressione che fa.
Funziona.
Ogni cazzo di volta.
Funziona sempre.
Pensa, Katsuki, pensa.
Continua a pensare.
Il dolore familiare dei morsi scherzosi che ti dà sul collo quando ti bacia fra un'ora di lezione e l'altra e sei seduto fieramente sulle sue ginocchia.
L'amore che mette in ogni gesto.
Il volto soddisfatto mentre mangia il cibo che gli cucini, le guance gonfie dalla quantità ridicola di roba che infila nella forchetta, le crocs.
Le fottutissime crocs.
Il braccialetto di pelle che ha comprato in gita e non toglie mai.
La cicatrice a forma di croce sulla spalla, il modo in cui dice il tuo nome.
"Kat", dice sempre.
Poi aggiunge altre stronzate che ti imbarazzano sempre.
Ma quando dice il tuo nome, ti piace, Katsuki.
Calmo, calmo.
Respira.
Mi sveglio che non sto bene.
Non sto bene manco per il cazzo, non sto bene. Ho il fiato corto, sono completamente sudato e mi sembra di aver dormito davvero troppo poco, il terrore mi colpisce ancora la pelle, mi fa tremare.
Mi alzo.
C'è una sola cosa che calma i miei incubi.
La finestra è aperta.
La mia, sempre, perché anche d'inverno, dormire con i vetri chiusi mi sembra che tagli l'aria che c'è in camera mia.
Mi sembra di soffocare.
Esco in balcone, è un balconcino piccolo, quasi minuscolo, ma basta.
Isso un piede sulla ringhiera, una mano sul muro, getto la gamba oltre.
Atterra su un'altra ringhiera.
Perfettamente.
Mi sposto con un gesto elegante, che sono un concentrato di ansia e incubi, ma sono pur sempre un Hero, no?
Quantomeno il mio corpo so usarlo, quando serve.
Anche le finestre di Kirishima, sono aperte.
Lo fa per me.
Non gli ho mai parlato di... questo.
Né degli incubi, né della sindrome post-traumatica, né del fatto che l'unica cosa capace di calmarmi nei miei attacchi di panico sia pensare a lui.
Progetto di farlo, prima o poi.
Ma certe volte ho paura che a rivelargli il Katsuki timido e sofferente, si sentirebbe come... tradito.
Di essere rimasto con una persona che non esiste.
Spalanco le finestre in un attimo.
Non dorme mai, a quest'ora.
Eijirō non si addormenta facilmente, nonostante sia stanco, ma passa quella mezz'ora prima di prendere sonno a guardare video idioti di cani che scodinzolano sul cellulare, scrollando la Homepage di Instagram e mettendo like a qualsiasi cazzata del giorno postata da Denki.
Quando mi vede, non so se sia sorpreso.
Gli cade il telefono sul petto.
Di piatto, schermo contro la pelle.
− Kat? - chiede.
Come inizio?
Che cazzo gli dico?
Ho sonno?
Voglio dormire?
Ho gli incubi e l'unica cosa a cui penso quando i miei demoni mi inseguono è che tanto scapperò fra le tue braccia e nessuno, quando sarò là, potrà toccarmi?
Cazzo.
− Spostati. - è tutto quello che riesco a borbottare.
Alza un sopracciglio.
− Eh? -
− Spostati, Capelli di Merda. Fammi spazio. -
Fenomeno della conversazione, no?
Miseria.
Porca di una puttana.
Non le so usare, le cazzo di parole, ok?
− Vuoi... vuoi venire... nel mio letto? -
No, idiota.
Voglio spiaccicarmi al muro.
− E che cazzo te l'avrei chiesto a fare, se no? - ribatto.
Stiamo insieme... non da tanto.
Stiamo insieme dalla fine del primo anno.
Mi piaceva, gli piacevo, le cose sono successe.
Ma quando ti metti con qualcuno impari l'esistenza di tutta una serie nuova di cose.
Conosci una persona diversa.
Più intima, più vulnerabile.
E io e Kirishima, da quel punto di vista, ci stiamo ancora conoscendo. Esplorando e capendo, e cercando di completarci.
Non è facile, per me.
Lui è solare, divertente ed onesto, ogni lato diverso della sua personalità mi meraviglia e mi colpisce, e non si vergogna di nulla.
Io, sono tutta un'altra storia.
Complesso e complicato, un castello di carte da tirare giù un pezzo alla volta con la delicatezza di un bambino per evitare di far crollare la struttura intera.
Ma se c'è qualcuno da cui voglio farmi scoprire, metaforicamente e non, quello è Eijirō.
Si scosta, l'espressione ancora confusa, ma lo fa.
Mi fa posto.
Mi spiaccico senza pensarci due volte al suo fianco, caccio il viso contro il suo petto, inspiro profondamente.
Ha un odore così rilassante.
So che è il bagnoschiuma in saldo del discount a qualche odore incomprensibile come "pino silvestre" o "oceano".
Che cazzo di odore ha l'oceano, ancora devo capirlo.
Però è buono.
− Va tutto bene, Kat? - mi chiede dopo qualche istante, ancora fisso nel suo momento di confusione a guardare la mia figura incastrata timidamente fra le lenzuola.
− Mmh, non lo so. -
No.
Vorrei dire no.
Ma so che sa che cosa intendo.
Una delle cose che mi hanno fatto innamorare di Kirishima, è la sua espansività. Il modo bonario e affettuoso in cui non riesce a tenere le mani a posto e ha la tendenza a toccarti nei momenti più disparati.
Ama il contatto fisico.
E non credevo l'avrei mai detto, ma lo amo anch'io.
Per cui, quando sento una mano grande appoggiarsi fra le mie scapole, strofinare lentamente la mia spina dorsale dal basso verso l'alto, dolcemente, un po' mi sembra di sciogliermi.
− Vuoi parlarne? -
− Cazzo, no. -
Miseria.
Non voglio ferirlo.
Non voglio che pensi che non gli dico le cose perché non mi fido.
Mi fido, eccome se mi fido, di lui.
È con me stesso, che ultimamente ho problemi.
− Non ora. - aggiungo al fondo, per cercare di migliorare qualsiasi risposta a traverso avessi sputato prima, ma non ce n'è bisogno.
Non ce n'era prima, non ce n'è ora.
Kirishima capisce.
Mi capisce.
La sua mano diventa un braccio, che corre attraverso la mia schiena e stringe il mio fianco, mi preme contro di sé finché il mio volto non è premuto contro un pettorale e il centro della mia testa vicino al suo naso.
Le usa tutte e due, le braccia.
Mi bacia fra i capelli.
− Aspetterò. - ribatte semplicemente.
Dolce, caldo, tiepido.
Istintivamente il mio mento sale.
Cerco le labbra con le mie.
Le sfreghiamo piano, assieme.
− Hai sonno? - mi chiede poi, e sorride.
Il suo sorriso è qualcosa che scioglie davvero qualsiasi rigidità ci sia dentro di me. Qualsiasi angolo spigoloso della mia ansia, della mia autocommiserazione.
Annuisco.
− Sì, cazzo. -
Si sporge un'altra volta.
Mi bacia ancora.
Poi infila le dita fra i miei capelli.
Questi, sono, i "grattini" che piacciono tanto a Deku? Quelli che chiede sempre a Todoroki in sala comune?
Questi?
La sensazione delicata dei polpastrelli contro la pelle, il solletico sottile che mi fa scendere un brivido lungo la schiena, mi fa sentire improvvisamente molle e inerme.
Meraviglioso, cazzo.
− Dormi, Kat, allora. - mi invita.
− Tu? -
− Aspetto che ti addormenti tu. Posso? -
Può?
Può.
Annuisco contro la sua pelle.
Chiudo gli occhi.
La sua voce è bassa, e calda.
− So degli incubi. Viviamo vicini. Ti sento. Ma voglio che tu sappia che non ne parleremo finché non ti sentirai pronto. -
Lo sa?
Come ho potuto pensare che non lo sapesse?
E perché la cosa non mi infastidisce?
Perché che lui sappia che sono vulnerabile, non mi infastidisce?
− Non so cosa passi dentro quella tua matta testolina bionda il novanta per cento del tempo, ma posso pensare che ti dia fastidio dire ad alta voce che c'è qualcosa che non va. Ma sappi che a me, puoi dirlo. Tutto. - riprende.
Inspiro.
Mi sento sempre più debole.
− Non c'è niente che tu possa dirmi che ti renderà meno forte o meno bello ai miei occhi. Non c'è niente che diminuirà l'amore che provo per te. -
Bello, da sentire.
Quanto è bello.
Bellissimo.
− Ti amo, Kat. E lo faccio sempre, sempre, sempre. Non dimenticartelo mai. -
Il sonno, non mi fa paura.
Non è l'onda incerta e tremolante del solito, quando arriva.
Non mi terrorizza, questa volta.
Si espande dentro di me come una coperta.
Non mi fa soffocare, ma mi avvolge e mi scalda, mi fa sentire coccolato e amato, e accolto.
Il sonno, quando mi cattura per la seconda volta nella stessa sera, ha il profumo di Kirishima. Ha il suo tocco, la sua voce, la sua forma.
Mi abbraccia.
E io, mi lascio abbracciare.
Il giorno dopo, facciamo finta di nulla.
È difficile, e brutto da sentire, immagino.
Ma in realtà è una cosa che apprezzo molto.
Che Kirishima non abbia voluto sfruttare la mia debolezza di un momento per sapere che cosa mi tormenta, che mi abbia lasciato spazio di metabolizzare da solo.
Che sia rimasto con me, che abbia continuato ad abbracciarmi tutta la notte non chiedendomi niente in cambio.
Apprezzo.
Quando mi sono svegliato, lui dormiva.
Non so a che ora fosse andato a dormire, di fatto, la sera prima.
Aveva le ombre sotto gli occhi appena più accentuate del solito, ma niente di particolarmente degno di nota.
Sono scappato, stamattina.
Avevo paura di dover affrontare un discorso difficile, e troppo intimo. Avevo paura di mostrare la mia vera faccia a Kirishima, nonostante quello che mi ha detto ieri sera.
Avevo paura e basta.
Immagino abbiate capito che la paura non mi è distante quanto si potrebbe credere dall'esterno.
In ogni caso, quando l'ho visto in classe, non era offeso. Incazzato, niente.
Era il solito Kirishima di sempre.
Non ha detto a nessuno che sono fuggito da lui, stanotte.
Con me non ne ha parlato.
Mi ha guardato in modo diverso, quello sì. Un misto di preoccupazione e interesse che mi ha fatto tremare le ginocchia.
Come se non volesse perdermi di vista un istante.
Ma nulla di più.
Adesso è pomeriggio.
Siamo al Terreno Gamma per un'esercitazione pratica, oggi.
Mi piacciono sempre, questo genere di cose, perché mi rilassano. Mi permettono di lasciar un po' andare la tensione, di impegnare tutta la mia mente e il corpo solo e unicamente nel combattimento e cacciare in un angolo recondito della mia testa ogni forma di terrore che possa provare.
Oggi Aizawa ci ha divisi in coppie, ci ha assegnato una zona ciascuno, ci ha detto di ammazzarci.
Cioè, non di ammazzarci.
Ma io combatto per uccidere.
Non sempre lo faccio, ma quello è l'intento.
Da un paio di mesi a questa parte il mio compagno di esercitazioni pratiche è Tokoyami.
Non direi che mi sta simpatico, ma almeno non lo odio.
Capisco la scelta del professore, il suo punto debole è la luce e lui è abbastanza forte per poter combattere contro di me.
Va bene, credo.
Mi piace combattere con Kirishima, ma più con lui che contro. Mi piace il modo in cui i nostri quirk si completano, mi fa venire le farfalle allo stomaco, anche se sembra stupido.
Ma picchiarlo non mi fa impazzire.
E, come ho detto prima, io combatto per uccidere.
Mi incammino impastandomi le mani fra di loro.
Il primo turno tocca a lui.
Nel suo elemento, intendo.
Al buio.
Poi combatteremo all'aria aperta sotto la luce e lo schiaccerò come un verme, ma è giusto fare i turni. E poi più forte è il nemico, più questa versione di me si prende bene.
Dentro un edificio.
Prevedibile, Tokoyami.
Ti facevo più furbo.
Aizawa dice che faccio troppo casino quando mi avvicino ad un bersaglio. Ho imparato ad essere silenzioso. Riflessivo, calcolato.
Ma non con i miei compagni di classe.
Non con quegli stronzetti che devono ammirarmi.
A loro non lo concedo.
Mi infilo nella porta, il buio è pesto, scuro.
Il rumore familiare della mia mano che scoppia mi fa sorridere, un lampo di luce si accende di fronte ai miei occhi.
Non lo vedo.
Chissà dove cazzo si è infilato.
Aspetto che i miei occhi si adattino all'oscurità e le linee dell'interno dell'edificio si facciano più nette e distinte, inizio a fare mente locale della planimetria del Terreno Gamma che ho visto stamattina.
Tre punti dove nascondersi, mi pare di aver notato.
Destra, fra le travi.
Accendo la mia mano un'altra volta, ma niente.
Sinistra, sotto al tetto.
Nulla.
In fondo?
Avanzo pestando i piedi sul pavimento divelto, fiero della mia audacia fatta di vetro.
Dev'essere qui per forza.
È l'unico altro cunicolo che avevo visto.
Ed eppure, qualche altro passo in linea retta e un'esplosione dopo, non vedo niente.
Che?
Cosa?
Dark Shadow non fa rumore.
Il quirk di Tokoyami, il demone che vive dentro di lui o come cazzo lo chiama, non fa rumore.
Striscia.
All'inizio del liceo al buio non lo controllava.
Ora... meglio.
Quando mi sento scaraventare indietro da una sensazione viscida e ariosa capisco immediatamente che c'è qualcosa che non avevo calcolato.
Una trappola, porca di una puttana.
Mi sento sbalzare in aria, ma faccio appena in tempo ad atterrare in piedi per cercare di elaborare una strategia.
Sono finito nella parte più buia di questo relitto che chiamano edificio.
È... scuro.
Gli occhi di Dark Shadow brillano per un secondo.
Non ho mai paura, il giorno.
La notte, ho paura.
Perché il cielo è... buio.
Non so come le chiamino, queste cose.
Attacchi di panico, ricadute, fasi.
Non ne ho idea.
So che sono un ragazzino in un attimo. So che le mie braccia diventano molli, so che le mie mani non esplodono. So che cerco di muovermi ma qualcosa dice a Bakugō di stare fermo.
Tokoyami si aspettava che contrattaccassi.
Ha liberato Dark Shadow dal suo controllo perché sapeva che l'avrei rimandato indietro e avrebbe fatto in tempo a dominarlo un'altra volta.
Ma invece, io non rimando indietro proprio nulla.
E l'ombra mi inghiottisce.
Non ricordavo che fosse così merdoso, il tizio del fango. La situazione ci somiglia, quando vengo avvolto dal freddo viscoso dell'ombra.
Per un secondo i miei polmoni cercano di riempirsi.
Ci provano.
Che male, fanno, quando non riescono.
Questa volta non è come nei sogni, però. Nei sogni alla fine, in fondo in fondo, lo so che è tutto finto. Lo so che mi sveglierò e penserò al mio meraviglioso ragazzo e la mia vita sarà di nuovo dritta.
Ora, mi sembra di morire.
Non sto per morire.
Non succederà nulla.
Dark Shadow non mi fa male, Tokoyami sta cercando di controllarlo un secondo alla volta, e alla fine da qui uscirò.
Ma mi sembra di morire per davvero.
Vorrei respirare, l'aria inizia a filtrare di nuovo, ma il panico mi blocca, mi congela.
Cazzo, cazzo.
Come faccio a stare calmo?
Come faccio a visualizzarmi steso nel letto se sono stretto in questa cazzo di divisa per davvero, e qualcuno sta tentando di soffocarmi sul serio?
Come cazzo faccio?
Oh, no.
Non cedere.
Non lasciarla andare, la paura.
O non ti abbandonerà mai più, Katsuki.
Non lasciarla vincere, non farlo.
Non farlo, non farlo, non farlo.
E poi Tokoyami urla.
Lo sento distintamente urlare.
Sta chiedendo aiuto?
Forse.
Mi trascina in avanti, Dark Shadow, insieme al mio compagno di classe, penso che qualcuno lo stia tirando fuori.
Calore.
Il sole.
Mi scalda.
Il viscido si ritira, l'ombra scompare.
Un altro secondo e sarei morto.
Ed eppure, anche se sono libero, non lo sono per davvero.
Perché è come una malattia, questa cosa.
Puoi curare il sintomo, ma rimane.
E certe volte, e quando riguarda me questo accade spesso, esplode.
Ed ora, sta esplodendo.
Piango e urlo tutto assieme, le mie mani che si stringono attorno alle mie spalle come per proteggermi, la fronte sui polsi, la bocca contro il petto.
Le gambe salgono.
Le ginocchia premono contro me stesso, il mondo cade.
Pezzo dopo pezzo.
Istante dopo istante.
Ogni centimetro della mia pelle si irrigidisce, mi urla di scappare, di scomparire, di diventare polvere e librarmi nell'aria privo di qualsiasi cosa l'essere materico porti con sé.
Rabbia, furia, terrore, paura.
Lacrime amare, sul mio viso.
Cosa penserà quel figlio di puttana di me?
Il mio compagno di classe, intendo?
Che penserebbero gli altri, se mi vedessero?
Via, via da me.
Andatevene tutti.
Solo... solo lui.
Lui.
Mi venga a salvare, lui.
Venga qui a dirmi che va tutto bene.
Mi dimostri che c'è qualcosa che non è spaventoso in questa cazzo di realtà.
E Kirishima, come al solito, è l'unica cosa che non vacilla.
Non mi sono chiesto chi avesse tirato fuori me e Tokoyami da quel cazzo di ammasso di macerie, ma sotto sotto, lo sapevo, che era lui.
Non Aizawa, non Deku.
Il modo guardingo in cui mi ha fissato tutta la mattina, me l'ha detto.
Quel fondo di protezione negli occhi brillanti, come a dirmi che ci sarebbe stato.
E alla fine, c'era davvero.
Dice qualcosa a Tokoyami, ma l'unica cosa che riesco a recepire è la sua voce.
Forse gli ha chiesto di allontanarsi.
Forse di chiamare aiuto.
Registro solo il tono basso e accogliente.
Si china di fronte a me.
Non mi tocca.
Mi osserva piangere.
E nella foga di questo istante così strano, e difficile, e diverso, mi rendo conto che nemmeno mi fa stare poi così male, questa cosa.
Mi sento come se fossi scoperto.
I nervi a fior di pelle, le lacrime che non smettono di scendere, il tono sfiatato che mi rendo conto solo ora sta chiedendo aiuto.
Ed eppure, in effetti, è come se fosse venuto a salvarmi.
Anzi.
È venuto a salvarmi e basta.
− Kat, va tutto bene. - è la prima cosa che capisco.
Va tutto bene?
− Non è successo nulla, stai bene. Tokoyami sta bene, stanno tutti bene. -
Sto bene.
Stanno tutti bene.
Nessuno si è fatto male.
− Non me ne vado. -
Non se ne va.
− Rimango qui con te finché non ti senti meglio, non ti lascio. Non ti preoccupare. -
Non mi lascia.
− Ti amo, lo sai? Ti amo così tanto, Kat. Ti amo davvero da impazzire. -
Mi ama.
Così tanto.
Da impazzire.
Le cose si spandono ed elaborano nella mia testa in modo lento, e confusionario, e tutto quello che riesco a metabolizzare è che mi deve stringere.
Più forte.
Gli getto le braccia oltre il collo.
Premo il volto contro la sua spalla.
Piango ancora.
− Ei... Eijirō... − sento singhiozzare la mia stessa, penosa voce.
Una mano fra le scapole, mi preme saldamente contro di sé.
− Katsuki. -
− Eijirō. -
− Katsuki. -
Ripete il mio nome ogni volta che dico il suo.
Non so cosa ci sia, in questo, che mi tranquillizza. Forse che ci stiamo dicendo che siamo insieme, forse le lettere che formano una parola che rappresenta solo me dette dalla sua voce così calda e tranquilla, forse anche solo l'abbraccio.
Non smetto di piangere.
Smetto solo di tremare.
− Ssh, va tutto bene. Tutto bene. - continua.
Le dita fra i miei capelli, le ciocche chiare mosse dalla gentilezza del suo tocco.
− Non è successo niente. È tutto finito, Kat, è tutto finito. Non lascerò che succeda un'altra volta, mai più. La prossima volta ti proteggerò meglio, te lo prometto. -
Oh, Eijirō.
L'unica persona che può farlo.
L'unica alla quale posso concedere di stringere il vero Katsuki, quello della notte insonne, e di proteggerlo dal mondo di fuori.
L'unico, e basta.
L'unico per me.
− Ora ti porto in camera, ci facciamo una doccia e ti abbraccio finché non te la senti di dirmi qualcosa, ok? Puoi anche non dirmi niente, è ovvio. -
Non vorrei alzarmi.
Ma so anche che non posso rimanere nella polvere a frignare come un coglione.
Ed eppure le gambe sono molli.
− Mi... mi porti? - chiedo, con un filo di voce.
Non mi prende in giro.
Mi stringe in vita e mi tira su, lascia che leghi le gambe attorno a lui, le mani dietro il collo, che nasconda la vista spremendola contro i muscoli della sua spalla.
Piango ancora, mentre mi accarezza la schiena.
− Ho mandato Tokoyami ad avvertire Aizawa, gli ho detto che ti avrei portato via. Non ti vedrà nessuno, non ti preoccupare. E anche ti vedessero, sai che gli altri ti vogliono bene. Che non ti giudicherebbero mai. - sussurra dopo qualche istante, un passo dopo l'altro verso nemmeno so io dove.
Tiro su con il naso.
− Eijirō... −
− Dimmi. -
− Eijirō... ho... ho paura. -
L'onestà ti prende alla sprovvista, alle volte.
È spaventoso come ti catturi e ti spezzi in frammenti che non credevi di poter vedere ad occhio nudo.
Ma i mille frammenti del mio fragile orgoglio, sembra che Eijirō li ami uno per uno. Sappia come prenderli e rimontarli assieme, come dar forma ad una versione di me nuova e diversa e comunque sempre uguale.
− Lo so, Kat, lo so. Ma non importa. -
− Io non sono... debole... vero? -
− Certo che lo sei. Come lo siamo tutti e come sempre saremo. Sei un essere umano, e non c'è niente che non vada, in questo. -
Respira, sento il suo petto alzarsi ed abbassarsi addosso a me, un passo alla volta.
− Ma non sei fragile. E non ti farai mangiare vivo dalla tua paura, se è questo che mi stai chiedendo. Perché sei uno che combatte finché non vince, e lo so meglio di chiunque altro. -
Lo sono?
− Da... davvero? -
− Davvero. -
C'è qualcosa, nelle sue parole, che mi convince.
Forse la sensazione che stia soltanto esternando qualcosa che io stesso trovo in me, o forse il fatto che creda in me.
Che ci creda per davvero.
E non solo nel riflesso duro e arrogante del primo classificato al Festival Sportivo, ma anche nella pallida immagine delle mie paure.
− Ti... ti amo, Eijirō. Lo sai? -
− Lo so. Mi stupisce ogni volta sentirtelo dire, ma lo so. -
Perfetto.
Che questo deve saperlo bene.
Non mi scollo nell'ascensore che porta al piano terra del liceo, nemmeno quando Kirishima si avvicina agli armadietti e fatica un po' ad aprire il suo.
Rimango attaccato, perché posso, e voglio.
Lo vedo cacciare una mano fra i vestiti arruffati e tirare fuori il cellulare, cercare il numero di Aizawa.
− Professore? Sono Kirishima. Mi scusi se le ho mandato solo Tokoyami, non potevo venire di persona. - dice alla cornetta, appena quello risponde.
− Va bene. Fumikage mi ha raccontato tutto. - sento rispondere dalla voce apatica e calma del nostro insegnante, che finge di essere freddo e distaccato, ma che è così affettuoso con noi che persino ci chiama per nome, ormai.
− Le devo scrivere quando arriviamo al dormitorio? -
− No, no. Mi fido di te. Di' solo a Katsuki di passare da me tra stasera e domani. Vorrei parlargli un po' da solo. -
− Ah-ah, certo. Grazie ancora, prof. -
− Voi ragazzini mi farete perdere anche il poco sonno che ho, lo sai? Fate i bravi. Non fatemi pentire di avervi lasciato vagare da soli per il liceo, o la prossima volta vi faccio fare l'esercitazione pratica con Midnight. -
No, no, no.
Quella donna è troppo... persino per me.
Kirishima ridacchia, borbotta un saluto, chiude la telefonata.
Posa il cellulare nello stesso armadietto disordinato da cui l'ha tirato fuori, con le mani libere mi prende il viso fra le mani e stampa un bacio sulla mia fronte.
− Doccia? O anche bagno, se ti va. Non c'è nessuno, a quest'ora. - chiede.
Ho detto che io e Kirishima stiamo insieme da poco, no?
Diciamo che questo... non l'abbiamo fatto.
Il sesso è una cosa che per me, come tutto il resto, è delicata.
Prima di tutto, nonostante trovi attraente il mio aspetto fisico per la maggior parte dei giorni, la nudità completa ha qualcosa che mi imbarazza.
Forse la vulnerabilità.
E poi, fra due uomini, uno dei due deve stare sotto.
E io... come dire... voglio stare sotto.
Ne abbiamo parlato. Lunghe e timide chiacchierate la notte fonda di fronte a qualche film che non ci interessava.
Ci siamo... toccati, come dire.
Solo quello, il "grande passo", non abbiamo fatto.
A mia discolpa mi ha sempre messo un po' di ansia, l'idea. Forse il timore che qualcosa che a tutti sembra piacere da morire mi possa fare male, o quello di deludere le aspettative di una persona che sembra adorarmi.
All'idea che sono fragile, credo ci siamo abituati tutti, a questo punto.
Però, c'è un "però".
C'è che ho raggiunto il fondo.
Di fronte ai suoi occhi.
E mi ha amato come prima.
E c'era.
E forse inizio a pensare, ad ora, che rischiare ed esporre me stesso per una persona che mi valuta così tanto, possa valerne la pena.
Che alla fine Kirishima accetterà di me anche la parte un po' imbarazzata e timida.
Che se c'è qualcuno di fronte a cui non devo vergognarmi, quella è proprio la persona che ho scelto di avere al mio fianco.
Non la biologia, non è legato a me dal sangue.
Solo dalle scelte reciproche.
Annuisco.
− Bagno. -
− Sicuro? -
− Stai zitto e portami di là. - ribatto, riprendendo un po' della mia aggressività intimidita e arrossendo.
Mi bacia lo spazio fra le sopracciglia.
− Ora sì che ti riconosco. -
Il bagno del liceo è strutturato per essere funzionale.
Ci sono le docce lungo tutte le pareti per lavarsi di fretta e una vasca al centro, per quando si preferisce rimanere a mollo e curare le tensioni della fatica con il calore dell'acqua.
Non mi faccio mai il bagno, io.
Preferisco le cose veloci ed efficienti, non vedo il senso di perdere tempo.
Un tipo da bagni è Deku, e trascina sempre Todoroki con sé perché dice che il Bastardo a Metà gli tiene l'acqua calda.
Però non vedo cosa ci sia di male, ora.
− Il bagno è già pronto? - nota Kirishima, quando entriamo.
La vasca è piena, in effetti.
− Lo fanno sempre quando ci alleniamo. -
− Oh. Non me n'ero mica accorto! -
Adorabile e un po' tonto.
Con mio grande disappunto, per togliermi i vestiti sono costretto a scendergli di dosso.
Mi aiuta a rimanere in piedi vicino ad una delle panche all'ingresso della stanza.
Ho detto che la nudità mi imbarazza.
Non quella innocente, non quella distaccata.
Non quella di quando ci facciamo la doccia dopo gli allenamenti.
Quella che mi spaventa è un altro tipo, di nudità.
Lasciva e voluttuosa, offrirsi agli occhi di qualcuno nello stato più completo dell'intimità, farsi guardare.
Tremo un po' quando raggiungo l'orlo della maglietta.
Ma poi mi rendo conto di come i suoi occhi sono incollati al mio petto.
Poi mi rendo conto del miscuglio di voglia e dolcezza che c'è nel suo sguardo.
La sfilo.
I pantaloni sono più difficili, ma più veloci.
Le mutande mi vergogno.
Ma guardalo, come mi guarda.
Come se non avesse visto mai niente di più bello al mondo.
− Togliti la maglietta. - gli chiedo, poi.
Facciamole a metà, le cose.
− Oh, certo. Mi ero incantato. -
Stronzo.
Così arrossisco.
Il torso di Kirishima è... grosso.
Muscoli ovunque, cicatrici, la pelle abbronzata che scompare nell'ombra delle linee eleganti, la luce che batte sui suoi occhi.
Toglie i pantaloni.
Le gambe anche, mi piacciono.
Lunghe, perché si è alzato e ora svetta sopra di me.
Ci fissiamo per un istante che siamo letteralmente in mutande l'uno di fronte all'altro.
Dovrebbe essere tutto meno timido, credo.
Ma questa dolcezza, mi piace.
Mi fa sentire al sicuro.
Appoggio una mano sul suo petto. Le dita che si aprono, e sembrano così magre e chiare, contro l'aspetto ruvido della sua pelle.
Toccando, lo sto toccando.
− Puoi... toccarmi anche tu. - mormoro dopo un attimo.
Kirishima mi fissa per un istante, prima di seguire il mio consiglio.
Callosi, i polpastrelli contro i miei fianchi bianchi. Lasciano una scia che fa quasi il solletico.
− Sei... bellissimo, Katsuki. -
Arrossisco.
Cosa dovrei rispondere?
− Sei la cosa più bella che abbia mai visto. - ripete.
Ed eppure il suo tono è... meravigliato.
− Grazie. - sussurro alla fine.
Perché non c'è bisogno di essere respingenti, ora.
Non quando stringe in mano tutta la parte più vulnerabile di me.
Infila le dita oltre l'orlo elasticizzato dei boxer.
− Posso? -
Chino lo sguardo, prima di annuire.
Mi aiuta.
Una gamba alla volta.
Mi osserva ancora.
− Bellissimo. - dice l'ennesima volta.
In un secondo l'ondata di imbarazzo diventa insostenibile, e la voglia di nascondermi trova sfogo quando mi scosto e immergo un piede nell'acqua.
Scendo gli scalini di fretta.
Mi siedo per scomparire nell'acqua.
Ma l'acqua è trasparente.
Kirishima penso si tolga le mutande, anche se non lo sto guardando, e l'attimo dopo il rumore dello sciabordio delle sue gambe nel bagno mi fa capire che si sta avvicinando.
Mi raggiunge appoggiando una mano sulla mia spalla.
− Mi siedo, ok? -
− Ok. -
Si siede. La schiena contro il bordo della vasca, il volto davanti al mio.
Mi porge una mano.
La afferro.
Le mie cosce si aprono quasi impercettibilmente, quando mi appoggio, ormai completamente scoperto, su Kirishima.
Eppure la sensazione del suo corpo, solido, sotto il mio, è piacevole.
Quasi come le sue braccia che mi avvicinano a sé, mi cingono la vita, mi stringono.
− Mi sento così fortunato, a poter fare questo con te. - dice dopo un istante.
Dio, Kirishima.
Devi per forza essere sempre così... cazzo.
Perfetto?
− Sono io quello fortunato, Capelli di Merda. -
− Tu dici? -
− Dico. -
Ride appena.
− Sei carino, quando arrossisci. -
− Non sono arrossito. -
− Oh, sì che lo sei. -
Cazzo, sì che lo sono.
Miseria.
− Come ti senti? -
− Rispetto a cosa? A te nudo o quella scenata patetica di prima? - ribatto poi, con più amarezza di quella che avrei voluto, nella voce.
Ma, al solito, a Kirishima non importa, della mia amarezza.
− Entrambe le cose. -
− Tu nudo mi... pi... mi piaci, forse. -
− Forse? -
− No, senza forse. -
Un'altra volta, ride piano.
− Ok, e su questo non potrei essere più felice. -
Un istante di attesa, silenzio che porta parole che portano problemi.
Problemi che, però, forse è il momento che impari a dire ad alta voce.
Che esterni, che esorcizzi.
Che condivida.
− Sindrome post-traumatica. -
− Che cosa? -
− Sindrome post-traumatica. Di questo soffro. -
Silenzio.
− Mi dispiace, Kat. Ma non so davvero che cos'è. Vorrei poterti dire la cosa giusta al momento giusto, ma sono troppo stupido per... −
− Non ti ho mica detto che non puoi chiedermelo, idiota. E che sei stupido posso dirlo solo io, ok? Permettiti un'altra volta e ti uccido. - taglio corto.
Spalanca gli occhi.
− Quanto ti amo, Kat, tu non ne hai idea. Ti va di spiegarmi? -
− Solo se mi fai quelle cose che mi facevi ieri sera. -
Non capisce.
Ma non userò la parola "grattini" in una frase verbale, mi rifiuto categoricamente.
Sembra capire, però, perché alla fine infila le dita fra i miei capelli.
Cazzo, che bella sensazione.
Mi fa venire i brividi lungo tutta la schiena, mi sembra quasi di potermi mettere a fare le fusa.
− Te lo ricordi il Villain del fango? Quello che era uscito nei giornali prima che entrassimo in questo buco di matti che chiamiamo liceo? - inizio.
− Mh-mh. Ho avuto il primo gay panic della mia vita di fronte alla tua foto. -
− Cretino. -
Adorabile cretino.
− Ecco, è arrivata dopo. I sogni, le paure. La prima è stata la claustrofobia. Mi sembrava di rimanerci schiacciato, dentro quel pezzo di merda. Mi viene il panico se penso a un luogo stretto o buio. Per quello, oggi... con Dark Shadow. Mi sembrava che volesse soffocarmi. - spiego.
Prendo aria.
− Poi il rapimento e tutta quella cazzata enorme di Kamino. All Might che si ritira, io che vengo preso ostaggio. Mi hanno fatto più male di quel che credevo. -
Eijirō sorride.
− Certo che ti hanno fatto male, Kat. Sei fatto di carne anche tu. -
Alzo le spalle.
− Immagino di sì. È che mi sembra difficile, crederci. -
− I sogni sono sempre per quello? -
Annuisco.
− Sempre. Mi rincorrono, quei bastardi. -
Mi sembra... ferito. Ferito per me. Ferito al posto mio.
− Vorrei poterti dare una mano in tutto questo, Kat, vorrei tanto. Se c'è qualcosa che posso fare, ti prego, dimmelo e... −
− Tu fai già tutto. - trancio.
Confusione completa nel suo volto.
− In che senso? -
− Come ho detto, tu fai già tutto, Eijirō. -
Confessarlo è come ridirgli una seconda volta "anche tu mi piaci". Come rispondere un "anch'io" al ti amo, come espormi in qualcosa di davvero privato.
Ma, fra tutti, lui se lo merita davvero.
− Mi aiuti. Quando ho gli incubi, penso a te e mi calmo. Quando dormo con te mi sembra di essere al sicuro. Quando ho fatto quella scenata, prima, volevo che venissi a salvarmi. E alla fine, sei venuto per davvero. Non c'è nient'altro che tu possa fare che non hai già fatto tutto questo tempo. - spiego.
Sono viola, e lo so. Mi intimidiscono le stesse parole che sto dicendo.
Eijirō spalanca la bocca.
− Io... io... −
− Tu sei perfetto, Eijirō. Sei perfetto, cazzo, e ti amo davvero troppo. - mi concedo di concludere.
Il sorriso che fa quando lo sente, è un terremoto al mio povero cuore sciolto dall'affetto.
Scuote tutto.
Sorride con il sole negli occhi e la luce nella bocca che si piega, con le guance che salgono e l'amore che mi investe come un'onda.
− Il mio piccolo Katsuki... − borbotta.
E poi, mi bacia.
Sulle labbra, oggi, non mi aveva ancora baciato.
Ed è semplicemente diverso da quello a cui sono abituato.
Forse il fatto che i vestiti ora non li abbiamo più, forse che mi sono appena esposto, forse un miliardo di cose.
So solo che non mi spavento all'idea di aprirla, la bocca, o di intrecciare la lingua con la sua.
Nemmeno del gemito minuscolo e soddisfatto che non trattengo, mi spavento.
C'è questa cosa che voglio fargli sentire quanto mi fa stare bene lui, perché è giusto che lo sappia.
Le sue mani vagano fino alle mie spalle, poi giù, sulla schiena.
Non mi tocca il culo immediatamente.
Si stacca per un istante, mi guarda come a chiedermi il permesso.
E quando annuisco, allora si lascia andare.
Mi afferra come se non aspettasse altro.
− Cazzo, Kat. Cazzo. - commenta.
È un complimento, vero?
Mi infiamma, sentirlo.
Mi dà questa sensazione di essere bello e amato, ai suoi occhi, di essere qualcosa di inimitabile e soddisfacente e persino... eccitante.
Non immaginavo che essere voluto fosse così bello.
Ma mi eccita.
Sapere che Kirishima mi vuole, sapere che gli piaccio io, il mio corpo, i miei versi un po' troppo acuti per essere un ragazzo, gli occhi che sfarfallano nella luce elettrica del bagno, le distese chiare della mia pelle a contrasto con la sua, più scura, abbronzata, spessa.
Lo bacio io, questa volta.
Fondo le mie labbra con le sue, mi spingo verso il suo viso, mi crogiolo nella sensazione di essere stretto, finalmente, da qualcosa che non mi fa paura.
− Eijirō? -
Lascia una scia della sua bocca semi aperta sul mio collo.
− Dimmi. -
− Voglio... voglio farlo, Eijirō. -
− Vuoi farlo? -
− Voglio farlo. -
Aggrotta le sopracciglia come se stesse pensando intensamente.
Nemmeno sapevo fosse in grado di pensare, a dirla tutta.
− Sicuro? -
Troppo dolce, ma, di nuovo, un po' tonto.
− Sono sicuro, cazzo! Che c'è, tu non vuoi farlo? - sbotto di colpo, arrossendo immediatamente per la violenza frettolosa con cui ho parlato.
Sorride e scuote la testa.
− No, no, che dici. Certo che voglio farlo. Voglio farlo da... ehm, un sacco di tempo. -
− E allora che cazzo aspetti? -
Ride, a vedere la mistura di imbarazzo e timidezza che mi investe.
− Qui? -
− No. Non qui. In... camera tua. -
Mi piacerebbe farlo qui, non lo nego, ma penso di avere bisogno di un po' di tranquillità per una prima volta del genere.
Di avere la sicurezza che non arriverà nessuno, che passerò quel momento solo con Kirishima, e basta.
Annuisce.
− Allora laviamoci e poi saliamo, ok? -
− Ok. -
Mi viene da ridere a pensare a quanto velocemente ci laviamo.
Usciamo dalla vasca, sotto le docce, sapone sulle mani e via.
Anche a rivestirci, ci mettiamo un attimo.
Io infilo per sbaglio due gambe nello spazio di una, le mutande nemmeno le tiro fuori dall'armadietto, e Kirishima mette la maglietta al contrario.
Scoppiamo a ridere di una risata davvero troppo dolce e sciocca per il modo in cui prendo le cose di solito, quando ci vediamo l'un l'altro a scappare fuori dallo spogliatoio.
Sembra che ci siamo vestiti al buio.
Il dormitorio non è distante, non particolarmente, e afferro la mano di Eijirō quando usciamo per tornarci, lo trascino letteralmente sul selciato.
Prenderemmo l'ascensore, ma detesto affidare la mia fretta ad uno stupido macchinario, e so che le mie gambe sono più svelte, quindi ignorando completamente il fatto che mi sono appena lavato, corro a rotta di collo su per gli scalini, Kirishima che ridacchia dietro di me.
Vedo la porta.
È aperta.
Entro, butto dentro il mio ragazzo, la chiudo alle mie spalle.
E ora?
Cazzo.
E ora che faccio?
Mi sono concentrato così tanto sull'idea di dover correre in questa cazzo di stanza che mica mi sono reso conto che poi avrei dovuto affrontare... questo.
Gli occhi di Eijirō sono pesanti.
Quando mi guarda, non un grammo di fiatone nonostante la corsa che l'ho costretto a fare, ha qualcosa di pesante.
La solennità, forse.
L'eccitazione, magari.
− Katsuki. - mi chiama.
Volo con gli occhi verso il basso.
− Guardami, Katsuki. Vieni qui. - mi recupera.
Miseria.
Tremo un'altra volta.
Ma non di paura.
Di qualcosa che non so distinguere.
Di una sensazione che mi fa formicolare la pelle e le punte delle dita, che mi fa sentire come se fossi infiammato e caldo ovunque, che mi dice di corrergli incontro.
Obbedisco.
Muovo qualche passo in avanti finché non siamo vicini, attaccati.
Mi bacia un'altra volta la fronte.
Mi prende un braccio fra le dita, lo tira su, preme le labbra sul polso, dove la pulsazione del mio cuore è distinguibile e forte.
Lo fa con calma.
− Tranquillo, Kat. Tranquillo. - mormora.
Bacia l'altra mano.
Poi prende il mio viso fra le mani.
− Cosa vuoi? -
Cosa voglio?
Cosa... voglio?
− Te. - è l'unica cosa che riesco a rispondere.
Ed è così che la fiamma esplode.
Come quando si accende un petardo e lo si lancia lontano, l'attesa impaziente di sentirlo scoppiare.
Io e Kirishima, in questa situazione, siamo esattamente in quel modo.
La tensione che si accumula, e si accumula, e si accumula.
Ma poi, ad una certa, per forza, esplode.
Prende fuoco.
Non so in che ordine succedano le cose.
So che l'attimo immediatamente dopo le sue mani sono sulla mia vita, la mia schiena contro il letto, il peso del suo corpo sopra il mio, le labbra ovunque.
Lingua contro lingua immediatamente, i capelli umidi della doccia che sgocciolano ovunque, la mia voce che non riesce a trattenersi.
− Kat, cazzo, Kat. -
− Eijirō... −
Denti affilati sul collo.
Affondano piano, lentamente, la sua bocca succhia appena.
Bacia la linea della mascella, il punto che collega la mia testa alla spalla, la clavicola.
Mi tira su.
Toglie la mia maglietta.
Mi lascia cadere indietro sul materasso una volta ancora, e poi si spoglia anche lui.
Bello, da morire. Bello, Kirishima.
Bello, e cazzo, mio.
Chiudo le braccia attorno al suo collo quando scende su di me, il mio bacino che sale contro il suo, le ginocchia premute attorno ai suoi fianchi, la voce che non si trattiene.
"Baciami, Kirishima, baciami" sembro pensare, e forse lo dico anche, chi lo sa.
Chi può capirlo.
Labbra su labbra, il respiro che trema, e gemo. Senza vergogna, cazzo, senza un grammo di vergogna.
− Non sai quanto cazzo ho aspettato questo momento, Eijirō. - mi ritrovo a sbottare, una delle sue mani che si inerpica contro il mio fianco e scende sotto i miei pantaloni.
− Non quanto l'ho aspettato io di sicuro. - risponde.
Dita sulla pelle.
Aria, sulla pelle.
Sfilameli di dosso, questi cazzo di vestiti. Toglimi di dosso qualsiasi cosa ci separi, diventa uno con me. Fonditi con quello che sono, fammi sentire completo.
Dammi tutto te stesso, Eijirō.
Dammi tutto te stesso.
Le mie anche si sollevano per aiutarlo a togliermi i pantaloni, e come ho detto prima, non ho le mutande sotto.
Ma l'imbarazzo della nudità è sostituito, ora, da quella sensazione di essere potente e bello.
Guardami, nudo.
Guardami e dimmi che ami.
Guardami e fammi sentire come se non ci fosse niente che non va in me, come se potessi davvero prendere in mano i pezzi rotti delle mie paure e custodirli nell'aura forte e dolce che hai.
E Eijirō mi guarda.
E mi sembra di non aver mai provato niente di simile nella mia vita.
− Ti amo, Katsuki. - sussurra, ancora.
− Anch'io. Anch'io ti amo, cazzo. -
Non toglie i pantaloni.
Si scosta per raggiungere il cassetto vicino al letto.
Io e Kirishima, questa cosa, non l'abbiamo fatta mai.
Con nessuno.
Ma io, le cose che dovevo, le ho fatte. Ho letto qualsiasi cosa che trovassi per sapere cosa fare e come.
E l'ha fatto anche lui.
E non tanto su cosa piacesse a lui, ha fatto ricerche.
Su come fare a non farmi male.
Su come far star bene me.
La bottiglietta di lubrificante mi fa arrossire. Chissà quando l'ha comprata. Chissà che pensava quando l'ha comprata.
La apre con i denti.
Non so se sia naturalmente portato, nemmeno se si possa essere naturalmente portati per una cosa del genere.
Ma i movimenti sono sicuri.
Non sembrano l'imbarazzo impacciato di chi non sa cosa fare.
− Sembra che tu l'abbia fatto una marea di volte. - borbotto, guardandolo appoggiare una mano su una delle mie cosce per tenerla aperta.
Sorride.
− Grazie! Ma in realtà ho un sacco di paura. -
− Di che? -
Mi guarda ed è lievemente rosso sul ponte del naso.
− Di farti male... immagino. Non lo so, di farlo male, o di non essere capace, o... −
− Cazzate. -
Si blocca.
L'altra mano che stava aiutando la mia gamba a scendere stretta sulla mia pelle.
− Non mi farai male. E mi sembra di star andando a fuoco, cazzo, solo per come mi guardi. Mi vergogno, a dirlo, ma penso che durerò veramente poco se continui ad essere così cazzo... te. - mi ritrovo a dire.
− Ooh, Katsuki. -
− Non prendermi per il culo o ti faccio saltare in aria, Capelli di Merda. -
Aggrotta le sopracciglia, e forse le mie parole hanno un po' gonfiato il suo ego, o la sua sicurezza in se stesso, perché i movimenti che già prima erano sicuri, hanno qualcosa di quasi aggressivo.
Mi guarda.
Dove sa di dover mettere le mani e se stesso, mi guarda.
Si lecca le labbra.
− E io che speravo di farlo per davvero. - ribatte.
Qualcuno mi dica se non è l'essere più bello, idiota, inspiegabilmente sensuale, virile, adorabile e cretino sulla faccia della terra.
No, perché mi sento letteralmente avvampare.
Poi, prima che possa metabolizzare le sensazioni che sto provando, spreme il lubrificante su di me.
La sensazione è strana, viscida e umidiccia, e sto per lamentarmi.
Quando poi... mi tocca.
L'ho fatto da solo, non lo negherò.
Per sapere di voler stare sotto avevo bisogno di sapere che cosa si prova, e come.
Ma le mie dita sono più sottili e più corte di quelle di Eijirō.
Le sue sono lunghe, e ruvide, dentro di me.
La sensazione è strana.
Io non sono mai riuscito a... venire con me stesso.
E invece, anche solo l'idea che sia di Eijirō, la mano dentro di me, è piacevole e mi fa vedere le stelle.
− Male? -
− No, continua. -
Mi tiene fermo per un fianco.
Sembra che stia ragionando per un istante, quando mi guarda.
Le tira fuori, le infila un'altra volta dentro, e poi piega le falangi.
Una volta, due.
Che cazzo fa?
Sta... cercando qualcosa?
Sto per sbottare che non è divertente mettersi a fare la caccia al tesoro in quel punto, tra tutti, quando in un secondo, sono in un'altra dimensione.
Una scarica elettrica?
Uno spasmo?
La vista mi diventa improvvisamente bianca.
Trema, il mio corpo, la schiena si inarca.
E un gemito davvero troppo, troppo forte, esce dalle mie labbra.
− Trovato. - commenta, soddisfatto.
Non faccio in tempo a rispondere, che il mondo scompare.
Le dita di Eijirō si muovono là, dentro e fuori e poi là, premono e accarezzano quel punto specifico dentro di me.
Mi stringo.
Contro di lui, mi stringo.
E chiamo il suo nome.
− Dio, Kat, sei indescrivibile. - sussurra, guardandomi cedere cellula dopo cellula alle sue mani.
Mi trema la voce.
− Ei... Eijirō... anco... ancora... −
− Insaziabile, eh? -
Obbedisce, più forte questa volta.
Sento le lacrime agglomerarsi ai lati dei miei occhi.
− Cazzo, cazzo, cazzo... −
− Sì, sì, dopo. -
Arrossisco.
Non era quello che intendevo, brutto pervertito.
Ed eppure, ancora una volta, rispondergli male mi è del tutto impossibile. Non quando ne mette un altro, di dito, dentro di me.
Le allarga fra di loro, con calma straziante le muove.
Curiosità, nei suoi occhi.
Nei miei confronti.
Quando le mette in fondo, dove sa, ormai, che mi piace, urlo un po'. La mia voce si stringe e il mio corpo trema, le gambe mi sembrano fatte di gelatina e la schiena si alza dal letto proprio nel centro.
− Dio, lì, cazzo, lì, ancora... − mi ritrovo a pregarlo.
− Così? - mi chiede, un tono retorico e arrogante, spingendo più forte.
− Sì, sì, cazzo, cazzo... −
Sto per...
Di fronte a lui.
Da solo.
Con la sua mano nel...
Posso?
Posso farlo?
Voglio?
− Eijirō, Eijirō... Ei...jirou... − mormoro, come se volessi avvertirlo.
Capisce quando mi sente stringermi e irrigidirmi, che sto per sciogliermi.
− Vieni, Kat. Fammi vedere, ti prego. - risponde.
Farti vedere?
Qualsiasi cosa ti farei vedere, di me, Kirishima.
Tutto.
Perché so che la ameresti a prescindere da quanto brutta io pensi che sia.
Vengo con un gemito.
Le lacrime mi scendono ai lati del viso, il mio stesso orgasmo mi bagna la pancia nuda, i miei muscoli si contraggono e rilassano così velocemente che mi sembra di avere gli spasmi, la schiena che si inarca.
E Eijirō mi guarda.
Mi guarda fisso, dritto, onesto e concentrato.
Riprendo vita con respiri profondi, quando esce da me.
− È stata la cosa più... cazzo, la più sexy che abbia mai visto, Kat. Pensavo che sarei venuto anch'io. - commenta, con il tono carico di meraviglia e... amore, credo.
Arrossisco ancora, nonostante sia inutile, ora.
− No, te lo giuro. Voglio vedetelo fare ancora, e ancora, e ancora. Non posso nemmeno dirti a parole quanto cazzo sia stato bello vederti... venire. - continua.
− Stai zitto. - borbotto.
− Non posso, Kat, non posso. È stato allucinante. -
− Idiota. -
Ridacchia.
Poi si alza da me, mi fissa mentre si toglie i pantaloni.
Sfila le mutande.
Dio, se è eccitante.
Vedere che... mi vuole.
Avere quella prova che è decisamente inconfondibile.
− Non vedo l'ora di entrare dentro di te, cazzo. - commenta, appoggiando una mano su se stesso e muovendola in su e in giù un paio di volte.
Questa visione è meglio di quanto potessi anche solo fottutamente immaginare.
Con tutta la timidezza spezzata che mi pungola il petto, apro le gambe ancora di più.
Schiaccio le ginocchia sul letto, come ad invitarlo qui.
Con me.
In... me.
Dammi tutto quello che hai, Kirishima.
Fammi sentire come se il mondo non esistesse, attorno a noi.
Fammi vedere che questo amore che abbiamo è meglio di qualsiasi stupida pretesa della realtà, distruggimi e rimettimi in piedi, mangiami e mandami giù, stringimi nel buio dell'unica cosa che non mi fa paura.
Prendi tutto quello che ti do.
Dimmi che ti basta, quello che ho e che ti offro come non potessi fare altro.
Guardami, baciami, investimi con quello che sei, coprimi, abbracciami, inghiotti me e le mie stupide paure, falle diventare trasparenti e lontane, uccidile.
Fammi prendere fuoco.
Amami.
Kirishima arriva fra le mie gambe con qualche passo incerto, appoggia le ginocchia sul materasso, mi prende il bacino fra le mani.
Lo alza.
− Pronto? -
− Mmh, sì. -
Fa male.
Non malissimo, un dolore sordo cancellato dalla sensazione di piacere.
È largo, brucia appena.
Ma è Kirishima.
È Kirishima, dentro... dentro di me.
Stringo le gambe attorno alla sua vita.
Lo premo contro di me.
− Tutto, tutto. -
− Ma... −
− Dammelo tutto, Eijirō. -
I dubbi si sfaldano.
Quando lo prego, si sfaldano.
Si spinge completamente dentro, l'aria che scompare dai miei polmoni, una sofferenza piccina che si accende e sfrigola nella mia pancia, e poi, l'onda piacevole delle sensazioni del mio corpo... pieno.
− Cazzo, Kat, sei... stretto. -
La sua voce è bassa, è scesa.
Quasi gutturale.
Non si trattiene.
Il cuore mi martella nel petto e ho la sensazione di sentire persino il sangue che scorre nelle mie vene.
− Muoviti. - ordino.
− Ti fa male? -
− No, muoviti. Per... per favore, Eijirō. -
La gentilezza è una debolezza che da me non si aspettava e lo sorprende.
Probabilmente lo eccita persino, perché il suo bacino è pesante contro il mio, nel primo dolce movimento delle anche.
Dentro, fuori.
Il rumore è osceno.
Una sorta di bagnaticcio mescolato al respiro affannoso.
Al secondo affondo, piega di più il mio bacino, lo tira appena più su, dentro, in fondo, in fondo.
Arriva lì perfettamente.
E io, che sono sensibile, già venuto, debole e inerme, mi lascio prendere.
− Cazzo! - esclamo, quando me ne rendo conto.
− Certo, certo. Tutto tuo, amore, tutto tuo. -
Stringo più forte le gambe attorno a lui.
Le sue mani mi scavano nella pelle del bacino.
− Sei così stretto che faccio fatica persino a muovermi, vuoi staccarmelo? - chiede, scherzando con quel tono strafottente di chi sa di essere in una posizione di potere.
− No, no, no... no! -
− No? -
Si ferma.
Un secondo che sembra un'ora.
Poi è più forte.
Mi devo contraddire, temo.
− Sì, sì, sì, Eijirō, sì, cazzo... −
− Guardati, Kat, guardati. - risponde, accompagnato da una risata che termina con un gemito, calda e bassa e sotto un certo punto di vista... minacciosa.
− Eijirō... −
− Guardati. Sei distrutto, solo per... ah, solo per me. -
− ... per te... −
− Per me, cazzo, per me. -
Più forte.
Dimmi più forte che sono per te.
− Anco... ancora... −
− Ancora? Vuoi morirci sopra? -
Devastami e fammi male, perché anche il dolore che mi dai ha il retrogusto dell'amore.
− Più forte, più forte... dammelo più forte... −
− Cazzo! -
La voce di Eijirō è l'ultima cosa che sento prima di impazzire.
Dita che scavano fino a macchiare la pelle del rossore dei marchi, Kirishima che si china, denti affilati e violenti sulla carne.
Male, fa male.
E fa male in un modo così bello.
Il bacino di Eijirō sbatte, contro il mio, forte, sempre più forte, sempre più forte, più forte, più forte, più forte...
− Dio, Kat, Dio, cazzo, cazzo, cazzo! -
Che cosa sta dicendo?
− Eijirō! -
− Katsuki, Katsuki... −
− Baciami, baciami, ba... mi... −
Lingua contro lingua, labbra che si mescolano.
Sapore familiare, dolce, accogliente.
− Kat... sto per... −
− Dentro, dentro... −
Affannato.
Questo momento è affannato, difficile, si ripete in un secondo di completa perdizione in noi stessi.
Amami, Kirishima, amami.
Dammi tutto te stesso.
Fonditi con me.
Espanditi nel mio corpo, prenditi quello che ti appartiene, possiedi gli stralci di un'anima che vuole solo te.
Salvami.
Salvami da me stesso, e urlami che c'è qualcosa che vale, in me.
Perché quando mi guardi, l'insicurezza scompare.
Diventa flebile e sola, sussurrata, invisibile.
Mi fai sentire così forte, Kirishima.
Mi fai sentire in grado di fare tutto.
Non ho mai amato nessuno quanto amo te.
− Dentro... − ripeto, nella confusione del momento.
Veniamo insieme.
Inizia prima lui, ed è quando lo sento tremare all'interno del mio corpo, sciogliersi dentro di me, che anch'io lo raggiungo.
Più forte del primo, così tanto da eliminare ogni grammo di energia in me.
Prendi la mia stanchezza, Kirishima.
Prendila e dipingi la forma in bianco e nero della vita che mi sono concesso della felicità che solo tu mi puoi dare.
Rimettimi a posto.
O amami rotto.
Eijirō finisce di tremare prima di me.
Non esce subito.
Aspetta qualche istante, prima di farlo.
Mi bacia la fronte madida di sudore, osserva le mie iridi mangiate dalle pupille, le ciglia che sbattono appena, lo sguardo pesante.
− Ti amo, ti amo, ti amo. -
− Anch... anche io... ca... zzo... −
Esce.
Si adagia sul letto al mio fianco.
Naso fra i pettorali nudi, odore di sudore, e di sesso, immagino.
− Sono così felice che tu abbia voluto farlo con me. È stato... wow, non so nemmeno che cazzo dire. Ti amo davvero troppo, Kat. -
− Ri... facciamo... lo. -
Ridacchia piano.
− Ora? -
− Dopo. -
Mi specchio nei suoi occhi quando riesco a vedere di nuovo decentemente.
Caldi, come un abbraccio, sensibili, puntati solo su di me.
− Amami. - mormoro, questa volta, ad alta voce.
− Ti amo. -
− Amami ancora. -
Sorride.
Labbra contro le labbra.
− Amami per sempre. - dico poi, con un filo di voce incerta.
Sospira.
− Per sempre. Kat, per sempre. −
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➠♡༊ beta-read by --sparkles __meryblxck MonicaKatfish
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