𝚍𝚊𝚗𝚐𝚎𝚛𝚘𝚞𝚜 𝚠𝚘𝚖𝚊𝚗
⟿ ✿ ship :: DaiSuga
➭ ✧❁ SMUT alert :: "Che persona, mi sono trovato."
➥✱ song :: "Dangerous Woman", Ariana Grande
⤜⇾ parole :: 10.810
➤♡❆ comfort fic for :: bejedd
➠♡༊ written :: 20/04/21
⧉➫ genre :: fluff, smut
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
Essere un ragazzo di vent'anni con un sogno, posso dirlo onestamente, certe volte è davvero una merda.
Non fraintendetemi, so per cosa combatto e per cosa mi alzo la mattina, so che cosa voglio fare e ci sono tante persone che nel mondo la possibilità che ho io di realizzare un'ambizione nemmeno la sognano, ma, insomma.
Cazzo.
Sono stanco.
E sono stanco sul serio.
Sto facendo l'università. Fin qui piuttosto normale, no?
Solo che sto facendo anche l'accademia di addestramento delle forze dell'ordine.
In contemporanea.
Sfinito.
Immaginatevi svegliarvi tutte le mattine alle sei, andare a correre, tornare a casa e fare colazione con chissà quale cosa proteica faccia bene ai muscoli, andare all'università e seguire i corsi incomprensibili di diritto privato, palestra in pausa pranzo e corsi al primo pomeriggio, arti marziali verso le cinque, tirocinio alla sera.
Sono. Fottutamente. Stanco.
E sono stanco a metà del pomeriggio quando, la fronte imperlata di sudore dall'allenamento a cui oggi non ero particolarmente partecipe, mi infilo nello spogliatoio della centrale.
Nota mentale per Daichi Sawamura, non essere partecipe ad una lezione arti marziali fa male. Fisicamente.
La centrale di polizia di questo distretto di Tokyo è più grande di quanto mi aspettassi quando l'ho vista da fuori. C'è la palestra, sotto terra, e uno spogliatoio abbastanza grande, oltre a tutta la zona aperta ai civili di sopra.
Mi abbasso sulla panca, appoggio una mano aperta sulle travi e prendo un po' d'aria.
Quando ho visto per la prima volta che la persona che ci avrebbe fatto queste fantomatiche lezioni di arti marziali era una donna, lo stereotipo per un minuscolo secondo si è fatto strada nella mia mente.
Ecco, avete presente il karma?
Mena come un camionista, quella donna.
È alta dieci centimetri meno di me e pesa probabilmente quanto una mia gamba, ma diavolo se non mi distrugge ogni volta.
Apro l'armadietto per tirare rimettere dentro l'asciugamano, e noto un messaggio non letto sul mio cellulare.
Sorrido.
So chi è.
Ricordate quando ho detto che essere un ventenne che segue i propri sogni è una merda? Non sto per contraddirmi, continuo a pensarlo.
Ma per quanto la mia vita possa essere tremendamente sfiancante, l'unico motivo per cui la faccio e riesco anche ad andare avanti, è proprio lo stesso per cui sorrido come un cretino di fronte alla notifica che si accende sulla parte alta dello schermo che tengo in mano.
È arrivato prima, oggi.
Vorrà dire che passerò a salutarlo prima di farmi la doccia.
Potrei farmela prima e farlo aspettare, ma sarebbe maleducato. E poi non lo vedo da stamattina, ne ho decisamente bisogno.
Infilo il cellulare nella tasca dei pantaloncini della tuta, mollo l'asciugamano sopra la borsa, procedo a passi svelti verso le scale.
Sorrido.
Sorrido ancora prima di vederlo.
Sorrido anche solo per il pensiero.
Suga è...
Bellissimo.
Sempre stato, ai miei occhi, e immagino anche a quelli degli altri, ma ogni giorno che passa, ogni secondo che procede incessante nella vita che scorre, ogni minuto, Suga mi sembra sempre più bello.
Non so se sia io a parlare o l'amore che ci lega da tempo, ma non m'importa.
Luccica.
Luccicano i suoi capelli chiarissimi e gli occhi color nocciola, la pelle morbida e distesa e il neo familiare sotto l'occhio, la linea dritta del naso, il corpo sinuoso avvolto da un paio di pantaloni stretti e un maglioncino color crema aderente sul busto.
Sorride come penso di star sorridendo io, quando mi vede.
Per un attimo, mi sembra che il mondo si fermi.
− Daichi! - lo sento dire ad alta voce, qualche istante dopo, le guance che si alzano verso di me e i fianchi che ballano in un movimento tondeggiante, quando si avvicina, e mi avvicino anch'io.
Ah, come profuma.
Lo riconoscerei ovunque, l'odore buono che emana dalla sua pelle.
− Kōshi, sei arrivato prima. - commento, prima di ritrovarmelo addosso.
Mi irrigidisco.
− Non mi sono fatto la doccia. - borbotto.
Suga ride, prima di baciarmi una tempia e stringere ugualmente le mani dietro il mio collo come se volesse sprofondarci, addosso a me.
− E allora? Sai che effetto mi fa vederti tutto sudato, Daichi. - borbotta.
Ridacchio anch'io, e tanto che ci sono, me lo godo fino in fondo.
Rinvigorente.
Il profumo della pelle di Suga e le sue mani eleganti che si aggrappano alle mie spalle, le labbra che incontrano le mie in un bacio che è giusto uno stamparsi di bocca su bocca, come per dire "ciao" in un gesto inconfondibile e affettuoso.
Mi fanno tornare alla vita.
Mi fa ancora male tutto, ma sono così felice che non m'interessa.
− Ero di strada, ho pensato di passare a prenderti. Prendiamo il cinese stasera? - mi chiede, senza sfuggire dalla stretta, le mani aperte sopra le mie spalle.
− L'abbiamo mangiato ieri, se continuiamo così metto su peso. - mi lamento.
Storce il naso.
− Non c'è un filo di grasso in quel tuo corpo tonico, Daichi, e non ho alcuna voglia di cucinare. Su, non fare il musone. -
E come faccio io a dirgli di no?
Non si può davvero.
− Mmh, va bene. Però dammi un bacio prima. -
Strofina il naso contro il mio, si sporge ancora in quel gesto intimo e rilassato di prima.
− Tutti quelli che vuoi, Daichi. -
Oh, il mio piccolo Suga. Creatura del paradiso, mandato dal cielo per rendere perfetta la mia vita.
Mi stacco dopo qualche istante, che siamo comunque in un posto di lavoro, ma mi concedo di risistemare una ciocca chiara dei suoi capelli a posto, prima di muovere un passo indietro.
− Mi faccio la doccia e arrivo, allora. -
− Mh-mh, fai in fretta. Mi sei mancato tutto il giorno, oggi. -
Annuisco.
Faccio per indietreggiare, ma mi sento trattenere per il polso e mi fermo a metà strada.
Suga si avvicina, sinuoso come una lince, lo sguardo che è più affilato del normale e le iridi che scintillano in quel modo di fare che conosco bene, e so che cosa sta per fare, ma non lo fermo.
− Non ho messo le mutande, oggi. - sussurra, non appena è vicino al mio orecchio, prima di lasciarmi andare.
Dire che corro a fare la doccia, è un eufemismo.
Mi ci fiondo, sul serio.
Suga sa come farmi muovere, decisamente.
Sono giovane, e per quanto io e Suga ne abbiamo fatte parecchie, di cose di questo genere, non mi stanco mai.
Mi insapono di fretta come se ne andasse della mia sopravvivenza, l'acqua bollente che si mescola alla mia fantasia che vaga fra i ricordi annebbiati della pelle chiara di Kōshi, morbida, delicata e così bella quando si arrossa, e la sua voce, e il modo in cui si contorce e...
No, amico, calmo.
Spogliatoio uguale docce aperte, e decisamente non vogliamo avere un problema di quel genere, no?
Inverto tendenza, penso alle cose peggiori della mia vita.
A quella volta che ho visto un piccione spappolato per strada, a Hinata che vomita in autobus quando facevamo il liceo, alla mia oscena maestra di matematica con il monociglio delle elementari.
Da una parte mi sembra di essere sotto effetto di un afrodisiaco, con le immagini del mio dolcissimo e bellissimo ragazzo senza vestiti, o con quelle mutande di pizzo che si mette il giorno del mio compleanno e con cui si fa fare la festa...
No, cazzo, Daichi.
Maestra di matematica.
Ma Suga...
Maestra di matematica.
Tutto questo succede nel mio simpatico cervello pieno di ormoni nel giro di non più di cinque minuti, mentre mi lavo alla velocità della luce.
Almeno vestiti, prima di metterti in imbarazzo in quel modo, coglione.
Sì, l'auto insulto funziona. Il mio ragazzo è provocante abbastanza perché l'abbia imparato. Quello e il ferreo controllo su me stesso, che stare con Suga potrebbe sembrare una passeggiata ma non lo è per nulla.
Oltre a essere inspiegabilmente bellissimo ogni cosa abbia indosso, dalle mie magliette che mi fanno un effetto scontato persino alle mantelline del parrucchiere, poi, ha un qualcosa che gli piace nel farmi andare su di giri in pubblico.
Si diverte, dice.
E mi diverto anch'io, per carità, ma ci sono voluti anni di solido allenamento.
Mi vorrei mettere i jeans ma dovrei aspettare di asciugarmi per bene che sulle gambe umidicce non scorrono, quindi opto per i pantaloni della tuta e una maglietta che ho messo dentro l'armadietto Dio sa quando, i capelli li lascio bagnati che tanto fa caldo, prendo la mia roba, e sono fuori in un istante.
Ok, torniamo per un minuscolo istante alla mia vita da studente stressato, ora.
Un altro dettaglio da aggiungere alla lista di cose che mi rendono costantemente sfinito, sono i responsabili dell'addestramento del corpo di polizia.
Sono miei superiori, per ora, per cui devo abbassare la testa e filare dritto.
Ma sono insopportabili.
Due di quegli uomini sulla cinquantina convinti di avere il mondo in mano quando sono a malapena alfabetizzati, uno che puzza costantemente di sigaro e l'altro di birra, con la parlantina viscida e l'incazzatura facile, con lo sguardo che sembra colla.
Amo che Suga mi venga a prendere qui, perché amo vederlo.
Ma odio guardare come lo guardano.
Non è la prima volta.
Kōshi ha iniziato a presentarsi all'incirca da quando hanno spostato la sede della sua università, fa i corsi qui vicino e i nostri orari combaciano di tanto in tanto, per cui, nonostante non sia regolare, è piuttosto frequente che compaia con il suo viso elegante e i capelli chiari a farmi un saluto e ripescarmi da questo posto.
Il problema, perché non avrei mai immaginato di dirlo ma è un problema, è che Suga è troppo bello.
Ero sinceramente convinto che quei due, quei due vecchi bavosi che ucciderei a mani nude ne avessi l'occasione, fossero di quel genere di persone che piuttosto che ammettere di essere attratti da un altro uomo si sarebbero ammazzati.
E invece no.
E invece non si risparmiano.
Mai visti fare niente che non avrebbero dovuto, sono viscidi ma pur sempre poliziotti, ma il modo in cui lo guardano, come lo spogliassero con gli occhi...
Mi fa imbestialire.
Ma sono una recluta.
E non posso rovinare la mia carriera perché sono geloso.
Per cui quando torno nell'atrio, ancora fradicio, e vedo quei due in piedi di fronte a Suga a salutarlo coi loro modi da vermi, tutto quello che posso fare è prendere un grosso respiro e ingoiare il fuoco che mi si accende nel cuore.
Mi avvicino cercando di rilassare il viso.
− Ho fatto, andiamo a casa? - dico, non appena si volta per guardarmi.
− Sawamura, che fai, non saluti? Si salutano sempre i superiori. - dice uno dei due vecchiacci, con un sorriso talmente tirato che sono sorpreso non gli sia ancora caduta la faccia.
Suga, che sa probabilmente quello che sta succedendo ma preferisce mille volte pararmi il culo piuttosto che mandarli a quel paese come meriterebbero, appoggia una mano sul mio braccio e scuote la testa.
− Lo scusi, è stanco ultimamente, è un po' distratto. - mi giustifica, alzando una spalla.
L'altro sbuffa.
− Se ce lo chiedi tu, forse. -
'Fanculo.
− La tua insegnate ci ha detto che eri sottotono oggi, Sawamura. Vedi di riprenderti, questo non è un mondo per mollaccioni. - dice poi, fissandomi.
Ah no?
Non sono io che tradisco regolarmente mia moglie, fumo due pacchetti di sigarette al giorno e passo le serate nello stesso bar a bere alcol scadente, non sapevo fossero segni di virilità, questi.
Respira, Daichi.
Con calma.
Due anni, laurea, diploma, e li guarderai dall'alto, questi due rifiuti.
Pazienta.
− La prossima volta andrà meglio, tenente. - rispondo, con la voce che non tradisce un'emozione.
− Lo spero per te. -
Mi prudono le mani.
Mi sento così furioso che vorrei rompere qualcosa, e farlo possibilmente sulla loro testa da vecchi infami e...
Dita bianche sul mio bicipite, unghie corte che grattano la pelle, movimento dolce su di me.
Oh, Sugawara.
Angelo del cielo.
− I tuoi superiori mi stavano raccontando giusto ora che hanno aperto un nuovo ristorante cinese, lo sapevi? - interrompe qualsiasi cosa stessimo dicendo, con la sua voce cristallina che sembra argento liquido da quanto brilla e tintinna.
Lo guardo con aria sognante.
Il problema è che lo fanno anche i due psicopatici.
− Già. - dice uno.
− Ah-ah. - ripete l'altro imbambolato.
Comprendo che l'aura angelica di Kōshi rincoglionisca, ma può rincoglionire solo me.
Sciò, vecchi bastardi.
− Ora dobbiamo proprio andare, ho fame. - dice, il tono mellifluo e zuccheroso che ci mantiene tutti e tre letteralmente per le palle.
Scorre con la mano lungo il mio braccio, intreccia le dita alle mie, sorride un'ultima volta.
− Buona serata, alla prossima. -
− Alla prossima. -
− Ciao. -
Rispondono come due idioti.
E nemmeno riesco ad incazzarmi, nell'aura di questo magico incantesimo, e lo seguo e basta con la mano nella sua, fino all'aria fresca della sera, fino ai lampioni scialbi nell'autunno.
− Uffa, sono proprio inquietanti quei due. - borbotta poi, quando siamo lontani.
La tensione, che lui aveva sciolto con uno sguardo, nel momento in cui mi rendo conto coscientemente di quello che è successo, torna e si spezza.
Stringo la mascella.
− Giuro su Dio che la prossima volta che... −
− Placati, Daichi. Non ti lascerò rovinare la tua carriera per una cosa del genere. - mi blocca, girandosi.
− "Una cosa del genere"? Stiamo parlando di te, Kōshi, non di una stronzata a caso. -
Sorride, il naso che arrossisce un pochino e lo sguardo che si fa dolce.
− Ooh, che carino. -
Anche la mia rabbia inizia a smussarsi un'altra volta, ma non del tutto.
− Non c'è pericolo che succeda nulla, sono pur sempre poliziotti, amore. E non ti lascerei per un ragazzo della mia età, figurati per quei due relitti. - continua, il volto sempre più delicato.
Appoggia una mano sulla mia guancia, passa col pollice attraverso la guancia e descrive una linea dall'orecchio alla mascella, forzando appena sul muscolo contratto aspettando che si rilassi.
− Mi fa incazzare lo stesso. -
− Allora dovremo farti sfogare un po'. Nessun problema. -
Cosa ho fatto per meritarmelo, mi chiedo.
Cosa?
Ero un filantropo nella vita passata?
Il mahatma Ghandi?
Forse Madre Teresa.
Stringo le spalle esili di Suga al mio petto con le braccia, affondo il naso nell'incavo del suo collo come se respirare il suo odore potesse davvero ridarmi le energie che mi mancano così tanto, e mi godo per un puro lento istante, la consapevolezza che è qui, fra le mie braccia.
− Sei l'amore della mia vita, Kōshi. -
− Lo so, lo so, sono meraviglioso. Anche tu lo sei, comunque. - risponde, ridacchiando.
Cerco di calmare ogni nervo.
Ha ragione, non serve la rabbia, non il fastidio.
Tanto alla fine è qui con me, no?
A fine giornata sono io che torno a casa da lui, sono io che continuerò a farlo, sono io che mi inginocchierò a chiedergli di sposarmi quando ci saremo laureati e sono io che ho il lusso di vedere che curve morbide prende il suo corpo nudo.
Non ha senso, la mia insana gelosia, non serve.
Suga non scappa.
− Ti sei dimenticato che non ho le mutande? Devo ricordartelo? - mormora dopo un secondo.
Sospiro ad alta voce.
− Mi ucciderai, Kōshi. -
− Probabile. Andiamo a prendere da mangiare, che poi ho qualcosa per te, stasera. - risponde, scollandosi piano.
− Ah, davvero? Cosa? -
Inizia a camminare prima di me, si volta per rispondere che la luce della sera prende una bella sfumatura dolce contro la sua pelle e il suo viso sembra dipinto, da come appare nell'aria.
− Vedrai. -
− Mmh, mi hai convinto. -
Prendo la sua mano.
E comincio a camminare.
Ricordate quando ho detto che mi ero tranquillizzato sotto il frangente delle interazioni fra Suga e i miei superiori?
Ecco, insomma.
Diciamo che era così.
Prima che il mio meraviglioso ragazzo iniziasse il suo nuovo corso.
Che finisce alle cinque e quarantacinque minuti tutti i mercoledì.
Regolarità.
Amo la regolarità, amo le abitudini e amo le certezze.
Questa no.
Dopo quella prima sera, nel caso ve lo steste chiedendo la cosa che Suga aveva per me altro non era che un ennesimo sfoggio delle sue mirabolanti capacità sessuali, mi ero messo l'anima in pace.
Avrebbero pensato a lui? Certo, ma finché tenevano le loro schifose dita lontane da lui, allora nessun problema.
Tranne che ora Suga viene a prendermi tutte le settimane.
E la scena ad attendermi quando esco dalla doccia è sempre la stessa.
È andata avanti per un po', ognuna come una minuscola scheggia di un fastidio che non riesco a mandar via, ed eppure la mia resistenza non mi ha abbandonato.
Ma trattenere per tanto tempo alla fine ti fa sentire come se fossi sopra una di quelle funi che si vedono nei cartoni animati, che si spezzano un ridicolo secondo alla volta.
La prima volta che è tornato, gli hanno offerto il caffè.
La seconda chiacchieravano amabilmente del lavoro, la terza si interessavano al suo corso di laurea, la quarta si lamentavano della stanchezza, la quinta parlavano del tempo.
Giorno dopo giorno, mercoledì dopo mercoledì, la mia sopportazione inizia a vacillare.
Sono innamorato di Suga, alla follia, in un modo cieco e senza la minima speranza di cambiare nulla in questo mio stato allegro di come mi approccio alla nostra relazione, ma questa cosa, inizia a diventare un problema.
È giusto che lui debba sopportare solo per venire a prendermi?
Ed è giusto che io debba stare zitto perché rischio il posto quando due viscidi cinquantenni fanno i lascivi col mio ragazzo trent'anni più giovane?
So che non è così e so che certe volte nella vita conviene stringere i denti.
Ma so anche che ci sono poche cose che mi fanno perdere la testa, e una di queste è esattamente il piccolo, adorabile e delicato Kōshi Sugawara.
Ieri è venuto a prendermi.
Sono arrivato prima che accadesse, uno dei due aveva la mano proprio là, a mezz'aria, pronta ad appoggiarsi su una spalla sottile che non aveva il diritto di toccare.
Hanno evitato.
Per una volta nella vita hanno preso la decisione di non tirare la corda, e non hanno toccato nemmeno un centimetro di lui.
Ma se ci hanno provato ieri, cosa glielo impedirà la prossima volta?
E quella dopo ancora?
Non si toccano gli sconosciuti, penso che questo lo sappiamo bene tutti, ma cosa potremmo dire per difenderci?
Per quanto sia chiaramente osceno il modo in cui pensano di farlo, come a toccare un oggetto raro e prezioso che Suga è a tutti gli effetti, non posso spiegare alla commissione disciplinare che ho riempito di botte due superiori perché hanno toccato la spalla ad un ragazzo, no?
Sono in bagno, la porta chiusa del box di fronte a me e la faccia fra le mani, che cerco di fare mente locale.
Devo tornare a casa, il mio allenamento è finito e mi sono già lavato, ma non riesco ad uscire col cuore leggero, oggi.
Ci ho pensato su tutta la notte.
Oscillando fra il sonno superficiale e il viso addormentato di Kōshi stretto a me, osservando con dolcezza le fattezze morbide dei suoi tratti delicati.
Si è svegliato, in mezzo alla notte, per bere.
Ha visto il cipiglio ansioso della mia fronte e ci ha passato le dita sopra, poi mi ha baciato con calma e mi ha detto che mi amava, ha continuato ad accarezzarmi i capelli finché non ho lasciato cadere per un po' la questione e ho chiuso gli occhi.
Ma per quanto abbia tentato di ignorarla, si ripresenta.
So che sembra una stronzata.
Ma per me, è un dilemma gigantesco.
Suga non mi lascerebbe mai, sono convinto di questo, ma sono anche convinto di doverlo custodire come il dono del cielo che è, visto che non c'è nulla di lui che non ami alla follia.
Mi sono ritagliato con lui una vita che non mi pesa, la stanchezza dei muscoli che si rilassa e l'amore che ti fa palpitare il cuore, ma si merita di essere protetto se le persone lo trattano come un oggetto, in particolar modo se non può evitare la cosa per colpa mia.
Sospiro, tiro indietro i capelli umidicci, appoggio la mano contro la maniglia della porta.
Un rumore mi distrae.
Qualcuno è entrato in bagno.
Non ho intenzione di parlare con nessuno, al momento, anzi, voglio solo uscire di qui e dimenticarmi della storia per qualche altra ora sotto le mani gentili dell'uomo che amo.
Rimango dentro, in attesa.
Se ne andrà, prima o poi.
E invece, ovviamente, siccome il mondo sembra proprio avercela con me, questi giorni, succede quello che non sarebbe dovuto succedere.
− Secondo te come se la cava a letto? -
− Il ragazzino? O il fidanzato? -
No, Dio, no.
Io conosco queste voci.
E le detesto.
− Naah, il fidanzato è bravo, si vede che ha la faccia da troia. È il ragazzino che mi mette dei dubbi. Quell'altro è come una bestia feroce, secondo me è uno spreco che stia con quella noia di tipo. -
Calma, Daichi.
Calma e sangue freddo.
Non hai bisogno di fare una strage, non ti serve uscire e attaccare le loro facce al muro.
− Dici? -
− Ah-ah, si vede da come si guardano. Suga ha la faccia insoddisfatta. -
Vorrei urlare.
Come cazzo vi permettete di dire il suo nome, luridi vermi? Cosa volete da noi?
− Probabile. Certo che gliela darei volentieri, una ripassata, a quello. -
− Bah, mi sembra un tipo fedele. -
Respira.
Daichi, stupido idiota con il cervello di legno, respira.
− Fedele? Secondo me è uno di quelli che fa il prezioso ma se lo preghi un po' cede. Tipo che gli piacciono le attenzioni, non so se mi spiego. -
− Potrebbe, potrebbe. Appena molla il ragazzino noioso ci provo. -
Hai cazzo cinquant'anni.
Stai davvero parlando con il tuo collega di "provarci" con qualcuno della mia età?
Che schifo.
− E perché aspettare? Scommetto che è di quelli che si eccitano a tradire. Che so, gli dici il nome del loro ragazzo e si infiammano tutti. -
− Oh, cazzo, non ci avevo pensato. -
Rabbia che sembra fuoco, nelle mie vene.
'Sta zitto, cretino, non vuoi rovinare la tua carriera per una cosa del genere, non se lo meritano.
Suga se lo merita, però.
Ma ti ucciderebbe se facessi una cosa del genere.
Cazzo, cazzo, cazzo.
− L'altro ieri ero a mensa e ho allungato l'occhio sul cellulare del ragazzino quando è andato in bagno. Dovresti vedere che foto c'erano nella sua galleria, da venirci seduta stante. Suga ha un culo che nemmeno le ragazze più belle che io abbia mai visto. -
− Che troia, gli manda pure le foto a lavoro. −
E qui, mi rompo.
Suga mi riempie di foto mezzo nudo.
Gli piace il suo corpo, a me piace, ci piace questa cosa.
È un crimine?
Siamo fidanzati da sette anni, per la miseria. Stiamo insieme da una vita e mezza, abbiamo fatto sesso praticamente in tutti i modi, ci conosciamo da anni e siamo due ragazzi.
È normale che la mia galleria sia piene di foto della persona che amo, no?
Quello che non è normale è che un cazzo di schifosissimo cinquantenne si sia messo a cercare certa roba sul mio cellulare.
Ma cazzo, non erano poliziotti?
− Hai fatto delle foto? -
− No, no, se ci beccano con quella roba è finita. Ma rimarranno sempre nel mio database personale, sai che doccia mi sono fatto ieri sera pensandoci. -
Stringo i pugni.
Sono un nodo di tensione, un cumulo di rabbia e incazzatura e furia e vorrei uscire e rompergli le gambe un centimetro alla volta, farci una statua coi loro corpi morti, ammazzarli e ballare sui loro cadaveri e Dio sa cosa e...
− Hai compilato il modulo per il diploma delle reclute? Era da fare per oggi, non ti sarai dimenticato. -
− Ah, merda, lo faccio subito. -
Conflitto.
Da una parte la mia violenza, la mia furia cieca e spietata.
E dall'altra il viso di Suga che mi dice che non ha bisogno di essere protetto se devo pagare quest'attenzione con il mio futuro.
Che cosa devo fare?
Non lo so.
E per l'ennesima volta, non faccio proprio niente.
Proprio, proprio niente.
Posso solo rimanere qui rinchiuso nella situazione che è solo colpa mia, a frignare come il ragazzino che pensano io sia.
Ho trascinato io Suga in tutto questo.
Ed è colpa mia se nessuno pensa di dovermi il rispetto di lasciarmi in pace.
Sono un fallito.
Sono un cazzo di fallito.
Aspetto che escano che il mio umore non solo scende a terra, ma diventa grigio, poi nero, poi mangia tutto.
Sono stanco, stanco sfinito, di tutto.
Non voglio più stare qui.
Al momento, l'unica cosa che voglio fare, è fuggire.
Il tragitto verso casa lo faccio cercando di non pensare a nulla. Ogni idea mi sembra più negativa della precedente, dalla rabbia alla sensazione di impotenza all'inutilità di me stesso nello sfondo costrittivo di una situazione che mi blocca.
Sono tante cose, per un ventenne che non sa come vivere.
Forse un po' troppe.
Ed elaboro, elaboro ad una velocità forse eccessiva, le idee che saltano fuori come funghi senza fondamenti né motivo d'essere, tutte soluzioni sbagliate ad un problema che temo di affrontare.
Cosa scelgo?
Ma perché poi devo scegliere, cazzo.
Che ho fatto di male?
Che abbiamo fatto di male.
Rientro che non saluto.
Tiro via le scarpe, butto la borsa in un angolo e, chiuso nella mia larva di rigida autocommiserazione, mi arrampico sul divano e porto le ginocchia alla fronte.
Come si fa la cosa giusta?
Qual è, la cosa giusta?
C'è una soluzione a metà?
Suga arriva coi passi felpati che sento ma ignoro.
− Non ti ho sentito tornare a casa. - commenta, ma non lo guardo.
Come faccio a guardarlo in faccia?
Ho lasciato che quelle persone dicessero cose schifose su di lui senza muovere un dito, che merito ho di levare lo sguardo e dirgli che lo amo quando non sono pronto a sacrificare tutto per farlo?
− Va tutto bene, Daichi? - riprende.
Di nuovo, muto.
Lo sento avvicinarsi ancora.
− È successo qualcosa? Brutta giornata? Vuoi un abbra... −
− Non ho voglia di parlarne. - taglio corto.
So che cederei.
Cedo sempre, al suo viso e alle sue mani e alla sensazione dolce del suo amore per me.
Ma non me lo merito.
Sono solo un codardo.
− Sei... sicuro? Ho fatto qualcosa che non va? -
− No. -
Mi viene da... piangere.
Non sono uno che piange, io.
Mai avuto niente contro, solo che faccio... fatica.
− Davvero, Daichi, se ho fatto qualcosa dimmelo che... −
− Non venire più a prendermi. Mai più. -
Il mio tono di voce è più duro di quanto vorrei. Più minaccioso e più serio, forse più violento.
Suga rimane in silenzio.
Idiota, che sono.
Prima lascio correre la gente che parla di lui come fosse un oggetto e ora mi permetto persino di rispondergli male.
Sono un fallito.
Inutile, senza speranza.
Solo un fallito.
Aspetto che mi urli in faccia. Che mi sgridi e mi dica che sono un infame che non dovrebbe buttare alle ortiche un beneficio così raro come la sua presenza ogni volta che finisco di allenarmi, che sono un maldestro insensibile incapace, che mi detesta.
E invece Suga è sempre la stessa persona.
Perfetta.
Bella e dolce e delicata, amorevole e materna, col suo buon profumo.
Mi è addosso.
Mi stringe forte le mani attorno alle gambe, ora che è di fronte a me, le tira giù sul divano.
Provo a protestare ma l'occhiata che mi lancia mi ammutolisce all'istante, e lo osservo fare in completo silenzio.
Scala le mie cosce con calma, una alla volta, si inerpica sopra i muscoli che conosce bene e si siede sul mio grembo, prende la mia faccia fra le mani e stringe forte.
− Dimmi immediatamente che cazzo è successo o giuro che esco di qui e do fuoco a qualsiasi persona che ho anche solo la minima idea possa essere stata stronza con te. - ordina.
Spalanco gli occhi.
Ha un tono...
Protettivo...?
− Io... io... −
− Sputa il rospo, Daichi, devo sapere a chi indirizzare la mia furia. -
Incazzato, con il volto di ferro.
− Ma tu come fai a... −
− Nessuno fa sentire il mio Daichi una merda e la passa liscia, te lo garantisco. Il mio Daichi è un ragazzo bello e forte, nessuno al mondo deve permettersi di mettere in dubbio questa cosa, o farò una strage. -
Sono stato così... stupido, credo.
Oh, sì che lo sono stato.
Così concentrato nell'idea che avesse bisogno di farsi proteggere da me, quando in realtà è lui che...
− Mi devono mandare nella tomba prima che lasci correre una cosa del genere. Io ammazzo chiunque sia, amore, perché tu sei già stressato e studi tantissimo e non voglio che ti preoccupi delle persone inutili che danno solo fastidio. -
È lui che custodisce me.
Non ha bisogno di me, non quanto io ho bisogno di lui.
Mi scendono le lacrime.
Mi scendono le lacrime sul viso e mi rigano le guance, mentre singhiozzo piano.
− Dicono un sacco di cose... su di te, non mi va bene, cazzo, non mi va bene per niente... − farfuglio, e vedo le sue sopracciglia alzarsi.
− Su di me? -
− I miei superiori, porca troia. Hanno guardato il mio telefono. -
− Il tuo che? -
− Il mio telefono. - ripeto, le lacrime che ora sono copiose in un pianto torrenziale di cui non sapevo di avere bisogno.
Mi scuote il petto e mi fa tremare il corpo, e non so nemmeno cosa cazzo dovrei fare per mandare via questa sensazione di profonda inutilità che mi cattura.
− E poi? -
− E dicevano che sei una troia e mi hanno fatto incazzare, ma poi ho pensato che mi bocciano al reclutamento se li ammazzo, e alla fine non ho fatto niente, come un coglione... −
Sento un paio di dita lunghe asciugare le lacrime sul mio viso.
− Cosa pensavi di dover fare, Daichi? -
− Che ne so... proteggerti. -
Singhiozzo mentre respiro, l'aria che entra tremolante e incerta nei miei polmoni mentre balbetto le parole che non sapevo di aver bisogno di dire.
− Tu fai un sacco di cose per me, e io sono stato lì ad ascoltare mentre dicevano tutte quelle cazzate su di te, mi sento una merda. Scusami, Kōshi, se non sono forte come te. -
Mi sento prendere dal mento, le dita rigide.
Il mio capo viene tirato su, la fronte premuta contro la mia, l'odore caratteristico e dolce di Suga che inonda ognuno dei miei sensi.
− Non dire una cosa del genere mai più, Daichi. Sai quanta forza ci vuole a tenere i nervi saldi in una situazione del genere? Io non ce l'avrei fatta. -
Inspiro, ma non mi lascia parlare.
− Hai fatto la cosa giusta e l'hai fatta perché certe volte nella vita devi stringere i denti, ma questa cosa è andata troppo oltre. Potevano starci le chiacchiere amichevoli, ma se si sono infilati nel tuo cellulare, la cosa è troppo. Ci penso io. -
− Ci pensi tu...? -
− Ci penso io. Tu stanne fuori. -
Io... starne fuori?
Mi accarezza il viso un'altra volta.
− Quando sarai il capitano della circoscrizione di polizia rideremo di questa cosa, Daichi, e faremo in modo che nessuno si permetta di fare mai più una cosa del genere. Ma se vuoi cambiare le cose devi tenere duro e arrivare fin lassù. - sussurra.
Le sue parole sono come miele, dolci e invitanti.
Mi rilassano e mi fanno credere che in realtà, ha ragione lui, come al solito.
Hanno un sapore convincente e intossicante, mi entrano nel cervello.
− Che foto hanno visto, lo sai? -
− Non ne ho idea, sai che ne ho un mucchio. -
Ride piano.
− Le tieni tutte? Pervertito. -
Non sono io che mi faccio scatti artistici di nudo di fronte allo specchio della doccia prima di uscire, se non ricordo male.
Ma questo dettaglio lo tengo per me.
− Sai perché ti amo, Daichi? - dice poi, dopo un po'.
− No, non penso lo capirò mai. Perché? -
− Perché mi tratti sempre come se fossi un gioiello. Sono giorni che sei giù di morale perché non riesci a capire come possa essere giusto scegliere la tua carriera piuttosto di me, la prima cosa a cui hai pensato non è stata "stanno mancando di rispetto a me" ma che non dovessero trattarmi così. -
Ma è... ovvio.
No?
Non è che mi dia fastidio la mancanza di rispetto nei miei confronti, perché Suga non è mio nel senso della possessività del termine.
Mi dà fastidio l'oggettivizzazione di una persona solo perché ha un bell'aspetto, e trattandosi di qualcuno che amo, la cosa mi tocca in particolar modo.
− Come potrei non amarti? - continua, la voce sussurrata e le carezze sul mio viso che sono dolci, contro le mie lacrime.
Tiro su con il naso.
− Mi sembra ancora una cosa da pazzi. -
− Non sottovalutarti, Daichi. -
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, a cullarci del nostro stesso calore, Suga che continua a massaggiarmi le spalle aspettando che la mia rabbia svanisca e il pianto si calmi.
− Tu pensi che io sia... noioso? - mi scappa poi.
So che dicono solo stronzate, ma non è che sia poi così sicuro di me stesso, alla fine.
− Che? -
− Sono... noioso? Sei insoddisfatto a stare con me? Il sesso con me fa... schifo? -
Ride.
Suga ride, il petto sottile che trema per la voce tintinnante che risuona nell'aria.
− Che cosa stai dicendo, Daichi? -
− L'hanno detto... quelli. E so che sono degli stronzi e basta, ma se fosse vero? Tu sei fantastico, non so perché ti convenga sprecare il tuo tempo con uno come me. -
Mi prende la faccia fra le mani un'altra volta, ma ora c'è un fondo di decisone nel suo sguardo che non è la rabbia nei confronti di chi mi fa del male, ma pura e deliberata convinzione.
− Sai che sono solo cazzate, vero? Non sto con te perché mi conviene, Daichi, sto con te perché ti amo e questa cosa non cambierà mai. -
− Sicuro? -
Lo noto, il cambiamento sottile nel suo modo di fare.
È sempre sensuale, Suga, che ha un corpo che chiede di essere guardato ed è bello come il sole, ma ci sono momenti in cui l'atteggiamento scatta in un modo inconfondibile.
Le palpebre scendono a mezz'asta e il viso si fa più tentatore, più provocante.
− Mi hai mai visto dimostrare il contrario? Credi che sarei rimasto sette anni con un tipo noioso che fa schifo a letto? −
− Ah no, quello no, ma... −
− Non c'è nessun "ma", amore. Non mi hai mai dato motivo di dubitare di te nemmeno una volta, non permetterò a te di farlo ora. -
Separa le labbra per prendere fiato, le strofina piano contro la mia guancia.
− E poi il sesso con te non è che non fa schifo, è che è proprio fantastico, tontolone. Mi senti quando lo facciamo? Credi che urlerei a quel modo se mi annoiassi? -
Oh, in effetti.
Ma se fingesse?
− Non lo so... −
Sbuffa, indietreggia con il busto, lascia cadere il cardigan che portava indosso per terra, infila le dita sotto l'orlo della maglietta.
− Daichi, sai come sono, no? -
Alzo un sopracciglio.
Kōshi è tante cose, elencarle potrebbe essere un po' lunga.
− Insaziabile. E ti garantisco che non mi sono mai sentito insoddisfatto una sola volta nella mia vita. Te lo ricordi, cosa abbiamo fatto domenica? -
Mmh, domenica, dice?
Domenica.
Ah, sì.
Eh, insomma.
− Mi scopato per sei ore di fila, Daichi. Pensavo che sarei morto, cazzo. Come puoi fare una cosa del genere e poi pensare di essere uno schifo a letto? -
Il suo petto è chiaro, la pancia piatta e la linea delle costole appena visibile nella traccia di nei chiari che si appoggiano sulla carnagione lattiginosa, sorride appena.
− Sono pronto a darti una dimostrazione pratica di quanto ti sia grato, se vuoi. -
Kōshi Sugawara, mi ucciderai.
Come posso annegare nella disperazione se ti comporti in questo modo? Come se volessi farmi un regalo e so che la tua presenza lo è, un regalo, ma cazzo, stavo piangendo fino a due secondi fa, come cazzo è possibile che ora l'unica cosa a cui riesca a pensare sei tu?
Che persona, che mi sono trovato.
− In che senso? - chiedo, e la mia voce trema meno di insicurezza, che posso anche avere mille problemi con me stesso, ma come faccio ad essere certo di essere un noioso incapace sessualmente se qualcuno come Suga, Suga, cazzo, mi dice tutte quelle cose con quel tono di voce?
− In una marea di sensi, Daichi. Posso fare un sacco di cose, sai. - risponde, leccandosi le labbra in un gesto davvero troppo lascivo.
Il sangue che macinava tutta la mia autocommiserazione, devia completamente rotta.
Non so nemmeno più di cosa fossi triste, quando mi guarda così.
Mi dimentico persino di come mi chiamo, porca di una puttana.
− Non dovrei essere io a dimostrare a te di non essere uno schifo? - chiedo, poi, ridacchiando appena mentre lo vedo avvicinarsi al mio viso.
− Tu fai già un sacco di cose, per me, Daichi. Voglio solo dirti "grazie", posso? -
Ah, ma che cazzo di domanda.
Certo che puoi.
Potresti staccarmelo, il cazzo, e ti ringrazierei comunque, piccola creatura malefica.
Mi bacia con le labbra aperte, il primo bacio serio che ci diamo nella giornata.
La sensazione è familiare, ma non per questo meno bella. Anzi, ha una sorta di sicurezza, il modo in cui si intrecciano le nostre lingue e i nostri fiati si mescolano, che mi fa sentire tranquillo ed eccitato allo stesso tempo.
Suga ha una sensualità che non saprei come definire.
Il suo viso sembra tremendamente innocente, i modi di fare amorevoli, ma quando vuole una cosa la prende, e Dio, come la prende.
Sembra un predatore, nonostante gli piaccia essere messo in riga, un miscuglio quasi inspiegabile.
Molti dicono che avere una relazione lunga come la nostra renda l'interazione troppo monotona ma, per quanto di me io sia ben poco certo, so che non mi stancherei mai di Kōshi. Non del suo corpo, non del suo viso, non della sua voce, di nulla.
Anzi.
Come ho detto prima che questa storia diventasse più complicata della regolarità della vita quotidiana, Suga è ogni secondo più bello, ai miei occhi.
Sinuoso, elegante e contemporaneamente volgare nell'oscenità di un'esibizione che sembra voglia offrirmi, si inarca su di me e spinge forte il bacino verso il basso, geme ad alta voce, proprio vicino al mio orecchio.
Diverse cose, mi fanno impazzire, di Suga.
La voce è una di queste.
È alta, appena stretta sul fondo, ha questo suono incontrollabile che danza vicino a me e mi infiamma.
Strofina le anche sulle mie, getta indietro la testa, il collo lungo e liscio esattamente di fronte alla mia faccia, geme ancora.
Cazzo.
Cazzo, cazzo.
Mi sporgo e appoggio le labbra nell'incavo della spalla, la carne che è liscia, morbida e profuma, contro di me.
− Mordimi. -
− Mmh? -
− Mordimi, così tutti vedranno che ti appartengo, Daichi. -
Quanto posso amare Suga, lo sa solo il cielo. Uomo migliore della terra, creatura più sensuale, perfetto.
Obbedisco, perché che altro dovrei fare?
Affondo i denti senza pensarci due volte, stringo forte e mordo, non da ferirlo ma da lasciare un segno inconfondibile del mio passaggio su questa tela bianca.
Gli trema il respiro, diventa veloce e spezzato, il suo corpo si tende.
Sposto la bocca, lo faccio ancora, una delle sue mani si chiude fra i miei capelli corti e stringe le ciocche scure verso di sé.
− Così, Daichi, su. - mormora.
Approvazione, da una parte, e dall'altra le caratteristiche inconfondibili della sua eccitazione, mi mandano fuori di testa.
Non so come possa aver pensato che non gli piacesse.
È così...
Bacio uno dei segni, mi sposto sull'altra spalla, gli bacio la guancia prima di scendere.
− Sei meraviglioso, Kōshi. - sussurro, e lo osservo sorridere giusto un secondo prima di morderlo ancora, forte, sempre più forte.
Si vedono molto bene, i lividi, sulla sua pelle chiara.
Sono inconfondibili.
Non so quanti ne lascio, finché non mi sembrano abbastanza, immagino, quasi senza un attimo di tregua, godendomi il suo corpo che si tende e la sua voce alta e lasciva, come una sinfonia direttamente nelle mie orecchie.
Quando mi stacco dal suo collo sono le labbra, che bacio, ancora, e ancora, finché non mi manca il fiato.
Ma poi, Suga si allontana.
Dalle mie labbra, con le palpebre pesanti e lo sguardo eloquente, mi offre la visuale di se stesso completamente marchiato che bevo in un attimo.
Che bello, che è.
Si tocca i segni con le dita, scorrendole piano attraverso i contorni che iniziano a scurirsi dei miei denti, sorride e mugugna di pura soddisfazione.
Mi guarda dritto negli occhi.
− Il mio Daichi. -
Si possono avere orgasmi cerebrali? Perché se si possono avere ne ho appena avuto uno.
No, sul serio.
Esiste un essere umano in grado di tollerare una quantità di eccitazione così grande?
Cioè, cazzo, i miei pantaloni potrebbero esplodere da un momento all'altro, e lo dico senza nemmeno troppa vergogna, che già essere arrivato fin qui è comunque segno di grande resistenza.
Scende dalle mie cosce, una gamba alla volta, il rumore chiaro delle sue ginocchia che si appoggiano contro il tappeto e le braccia che lo sorreggono appoggiate sui muscoli del mio grembo.
Mi guarda ancora, dal basso, in un modo servile e di preghiera, come se mi stesse adorando, come se stesse guardando qualcosa di meraviglioso, le pupille dilatate e il viso arrossato, le labbra gonfie e umide, le ciglia folte che sbattono nella luce fioca della sera.
− Che fai? - chiedo, sapendo perfettamente la risposta.
− Ti mostro la mia gratitudine. -
Mostramela, la gratitudine, ti prego.
Potrei morire se non lo fai, ma forse forse potrei morire anche se lo fai.
Nel dubbio sarebbe una bella morte, garantisco.
Slaccia la cintura dei jeans senza staccare gli occhi dai miei, apre il bottone e abbassa la zip, appoggia una mano su di me coperto dai boxer e si lascia andare in un versetto quasi impaziente.
− Come hai potuto dire tutte quelle cose, prima? Sto letteralmente sbavando, Daichi. - mormora, e mi vengono le ginocchia molli.
− Ah sì? -
Lo tira fuori dai pantaloni con calma, chiude le dita attorno e le muove un paio di volte in su e in giù leccandosi platealmente le labbra.
− È che sei così... grosso, cazzo. -
A tutti piacciono i complimenti, credo, no?
Cioè, il mio ragazzo che dice una cosa del genere mi piace.
Ma che dico, non mi piace.
Mi fa diventare letteralmente di marmo.
Allargo ancora le gambe, lo vedo appoggiare le mani sopra le mie cosce, le dita che catturano i muscoli e stringono con piena soddisfazione, le labbra che si chiudono in un sorriso infido come lui.
Prende una delle mie mani fra le sue, la appoggia sopra la sua testa, fra i suoi capelli, mi lascia vedere la scena con chiarezza.
Lui, fra le mie gambe, le labbra a pochissimi centimetri dalla mia inconfondibile erezione, gli occhi pieni di una felicità incontrollata e il sorriso storto di chi sa di averti completamente a sua disposizione.
Quando lo mette in bocca, potrei venire all'istante.
Suga è davvero perfetto in qualsiasi cosa faccia.
Mi lascia completamente rilassato, seduto sul divano, a guardarlo faticare solo per me.
Mi irretisce, tutta questa gratitudine.
Descrive un paio di linee lascive attraverso tutta la lunghezza fissandomi, poi lo spinge all'interno, fino in fondo alla gola, oscilla la testa piano su e giù.
Lo sento, come si stringe attorno a me, e come vibra la sua voce quando geme contro di me.
− Cazzo, Kōshi... −
Raggiunge la base con la mano, stringe le dita e accompagna il movimento della sua bocca su di me, il calore che si accende ed espande dentro di me.
Guardami, mi sta dicendo.
Pensi che farei questa cosa in questo modo per chiunque?
Pensi che darei qualcosa del genere ad uno qualsiasi?
No, non lo penso.
Mi convince, un po', anzi, del tutto.
Avrò una marea di problemi, ma se Suga ha scelto me, allora c'è qualcosa che ne vale la pena.
Stringo i suoi capelli quando diventa troppo, inizio a muoverlo più velocemente, spingere la sua testa con un po' più di violenza del solito.
Si stacca per prendere fiato che la saliva gli gocciola dall'angolo della bocca.
− Mmh, amo farlo. - commenta, asciugandosi con il dorso della mano.
− Io amo te. - rispondo.
Sorride.
− Ami me o ami come te lo succhio? -
Mi esce dal petto una risata sfiatata.
− Entrambi vale come risposta? -
Mi guarda quando tira fuori la lingua e la scorre sulla punta.
− Assolutamente. -
Prima che ricominci, lo fermo.
− Vuoi andare in camera? - chiedo.
Scuote la testa.
− Dopo. Prima voglio finire il mio lavoro. Sarebbe un peccato fermarmi qui, Daichi. -
Oh, sarebbe un enorme peccato, devo convenire.
Allontano le braccia da lui, le appoggio aperte contro lo schienale del divano rilassandomi indietro, lo guardo dall'alto.
− Fallo, allora. -
Gli piace, e piace anche a me, un po' di sottomissione.
Gli piace vedermi godere di lui che si prende cura di me, e ora, che non è solo sessuale la cosa ma qualcosa di cui avevo davvero bisogno, ora è come tensione che vive fra noi e ci rende più sensibili persino del solito.
Ricomincia immediatamente.
Non so come faccia, a farlo in quel modo.
Lo manda proprio giú, lo prende tutto, e non per vantarmi, ma non è proprio una di quelle cose che fai per scherzo, insomma.
E invece no, Suga spinge il suo capo in basso finché non sono completamente dentro, la sua gola che si chiude e apre contro di me, la sensazione inconfondibile e umida della sua bocca, la voce spezzata.
Chiamo il suo nome con le sopracciglia che si arruffano di loro spontanea volontà.
Non smette, non prende una pausa, non perde un secondo.
Anzi, sempre più forte, sempre più a fondo.
Lo tira fuori quando sente che il mio corpo si sta irrigidendo.
− Sulla mia faccia, Daichi, per favore. - mugugna, le dita che si muovono attorno al diametro con lo stesso ritmo che avevano le sue labbra qualche secondo fa, fissandomi con quello sguardo di preghiera che scintilla delle lacrime dello sforzo e le guance arrossate.
Non ci provo nemmeno, a resistere.
Anzi.
Mi lascio proprio andare, la voce che chiama il suo nome e i muscoli che si tendono.
Marchialo, Suga, mi dico.
Guardalo fare questa cosa per te, che nessun altro può farla, che nessuno può avere niente di simile.
Tuo.
Mio.
Mio, Suga, mio quando gli vengo letteralmente in faccia e sorride mentre ne se rende conto, si lecca le labbra e non si pulisce, rimane fermo aspettando che finisca, bello, perfetto, dolce.
Quanto cazzo si può amare un'altra persona?
È umano, tutto questo?
Lui no di certo.
Lui no.
Vedo bianco per un istante, prima di tornare alla vita reale, e rendermi conto di cosa sia effettivamente successo.
Cazzo, questa immagine.
Mi rincorrerà nei momenti meno opportuni, lo so.
Mi alzo con le gambe molli, per sfilare i pantaloni calati a metà, poi allungo una mano per aiutarlo a tirarsi su.
Quando è in piedi, chiudo le braccia attorno alla sua vita e lo getto oltre la mia spalla mentre cammino verso la camera da letto.
− Come fai a camminare? - grida, ridendo, mentre lo trascino.
In effetti, le mie ginocchia sono di gomma.
Ma non mi alleno tutti i giorni per non avere almeno un minimo di resistenza.
Lascio andare una pacca sonora contro il suo sedere vicino alla mia faccia.
− Sono miracolato. - rispondo.
Ridacchia, tirando su il busto per guardarmi.
− C'era bisogno di trascinarmi di là? Guarda che so camminare, amore. -
− Così è più pratico, non credi? -
Oltre ad essere più pratico ha questo fascino un po' possessivo di sbatterlo in giro come fosse la mia personalissima bambola di pezza.
Mi infilo in camera da letto e lo lascio scendere con delicatezza, adagiandolo sulle lenzuola piano, senza fargli male.
Bello, che è.
Steso e delicato, di fronte a me mezzo nudo che sorride e...
Si accorge di avere ancora la faccia non esattamente...pulita.
Giusto perché sono venuto pochi minuti fa, decide di torturami ancora un po'.
Si pulisce la faccia con la mano e poi, letteralmente, si lecca le dita.
Sul serio.
Lingua rosata di fuori, attraverso le sue dita, occhi sui miei.
Non sono io che ti scopo per sei ore di fila, vorrei dirgli. Sei tu che riesci a farmi eccitare come se fossi un ragazzino, Suga.
Sei tu, cazzo.
Non so se sia normale avercelo ancora duro dopo essere venuto in quel modo, ma cazzo, è la verità.
Incredibile.
− Sei davvero incorreggibile, Kōshi. - borbotto, fissandolo.
Alza il torso facendo leva sulla mano aperta appoggiata sul materasso, le clavicole sporgenti vicino al collo, decorate dai segni del mio passaggio, un sorriso sulle labbra.
− Toglimi i pantaloni. - risponde, e basta.
Me lo faccio ripetere?
Cazzo, ma assolutamente no.
Ma proprio no.
Prendo i pantaloncini che porta addosso dodici mesi l'anno dai lati e li tiro indietro.
Porca di una puttana, Suga.
− Non hai le mutande? -
− A che mi servono, in casa? -
Ginocchia premute l'una contro l'altra che si spalancano e si abbassano sul letto, come a farsi guardare completamente offerto a me.
− Sai, oggi, mentre mi facevo la doccia mi sentivo così solo e... −
So dove sta per andare a parare.
Lo so e non vedo l'ora di sentirlo.
− Mi mancavi così tanto, e mi sono ritrovato a pensare a come lo facciamo e quando mi entri dentro e mi guardi e mi baci e a come mi fai stare bene, ho dovuto fare da solo. Mi sei mancato così tanto, Daichi. -
La rivedo quell'immagine, come fosse di fronte a me, che di foto ne ho diverse.
Suga piegato sul marmo della doccia, le sue dita chiare che scompaiono dietro di sé, il mio nome fra le labbra, la mano aggrappata al vetro per non sbilanciarsi.
− Hai fatto da solo? - chiedo, allungandomi verso il comodino per tirare fuori il lubrificante mezzo finito che ci teniamo per le occasioni come questa.
Annuisce, sporge il labbro in fuori.
− Non arrivano in fondo come arrivi tu, è stato... frustrante. - si lagna.
− Ah sì? -
− Sì, non sono nemmeno riuscito a venire. Quando sei tu, a scoparmi, invece, non succede mai. -
Sorrido appena, una delle guance che si tira su.
− Dobbiamo rimediare, allora. -
− Oh sì, Daichi, rimedia, ti prego. -
Mi vede aprire la bottiglietta e fare per spremere un po' del liquido gelatinoso fra le dita, ma scuote la testa.
− No, no, non serve. Dai, entrami dentro, su. -
Alzo un sopracciglio.
− Non voglio farti male. -
− Non me ne farai, te lo prometto. Ma non riesco ad aspettare. -
In effetti, avendolo fatto prima da solo, non è che sia poi chissà cosa di pericoloso. Posso concedermelo?
Decisamente.
− Apri le gambe, allora. - ordino, e preme ancora più forte le cosce sulle lenzuola, sorridendo.
Mi spoglio in un attimo.
Via la maglietta, via le mutande, via tutto, tiro via ogni indumento e lo lancio dall'altra parte della stanza, procedo carponi sul letto, arrivo di fronte a lui.
Aggancia i polpacci dietro la mia schiena.
− Ti amo, Daichi. - mormora, guardandomi mettere comunque un po' di lubrificante su me stesso che essere cauti non è mai un difetto.
Mi allineo contro di lui.
− Anche io ti amo, Kōshi. -
Mi aspettavo non sarebbe stato così stretto, dopo tanti anni.
Che avrebbe perso un po' dell'elasticità morbida con cui mi accoglie.
Mi sbagliavo.
È una morsa, è stretto, delizioso.
So dove farlo.
So dove gli piace.
So come.
Ho imparato.
Stringo la vita con le mani, non mi trattengo, entro completamente con un unico movimento indirizzato esattamente dove so che vuole sentirmi, il rumore del mio bacino che sbatte contro il suo.
Viene.
Immediatamente.
Il corpo gli si tende, la pancia piatta che trema, la testa che cade indietro e il mento che sale, le gambe che mi stringono, la voce che...
La voce che urla.
Il mio nome.
Forse non faccio schifo a letto.
Cazzo, no che non faccio schifo a letto.
Guardalo, Suga. Guarda questa creatura meravigliosa contorcersi tra le mie braccia, dire il mio... nome.
Cazzo, Suga, cazzo.
Questa cosa dà solo energia al mio ego.
Un'energia che non sapevo che mi servisse.
Non aspetto che si riprenda.
Inizio a muovermi prima.
− Da... Daichi... pia... − prova a borbottare, a metà fra l'orgasmo che lo sta abbandonando e il calore che sente accumularsi.
− Non ti capisco. - rispondo, con la voce dura, spingendolo contro il letto sempre più forte.
− Ah, cazzo, Daichi... cazzo...! -
Mi chino verso di lui, stretto dalle sue gambe e dalle braccia che mi si allacciano attorno al collo, labbra che si mischiano assieme.
− Che c'è, Kōshi? -
Eccolo, che la stimolazione diventa troppa.
Piange, quando succede.
Piange con minuscole lacrime che fanno capolino dai lati degli occhi e rigano le sue guance chiare, le iridi che salgono verso l'alto come non avesse più il controllo nemmeno su quelle.
Tenta di respirare, ma il petto non si riempie, che singhiozza.
No, non faccio schifo a letto.
Se riesco a ridurre qualcuno come Suga così in pochi minuti, non faccio schifo manco per il cazzo.
La sicurezza è qualcosa che non ho spesso, nei confronti di me stesso, ma se ce l'ho, allora...
− Piano... − si lagna, le mani che scorrono fino alla mia schiena e le unghie che si inarcano contro la mia pelle, i versi che non smettono mai, nonostante le parole che prova a comporre.
− Piano? Ma a te piace quanto ti sbatto, Kōshi. Vuoi che smetta? -
Mi fermo giusto un istante.
Quel che basta per sentirlo pregare.
− No, no, scherzavo, no Daichi, ti prego, ancora, ancora... −
La spinta dopo conclude le sue parole in un verso indistinguibile.
Alto e trascinato, molle, di preghiera, quasi, accompagnato dal suo corpo che si tende.
Trema, il suo corpo, trema nella superficie chiara e morbida, un po' irrigidito nelle dita che mi graffiano le scapole, un po' morbido nella carne che stringo fra le mani.
Lo bacio e ingoio i suoi gemiti contro di me, le lacrime che rendono il suo viso un completo casino.
Quando lo sento stringersi attorno a me, il verso lo faccio io.
Basso e gutturale, incontrollabile, che esce dalle mie labbra.
Cazzo.
Cazzo, Suga, cazzo.
Quando mi riprendo noto che mi osserva, gli occhi grandi e lucidi e un sorriso malvagio sulle labbra sottili, una mano aperta sulla pancia.
− Vieni. - mi dice.
Non capisco, ma allungo la mano lo stesso, la appoggio vicino alla sua.
Le sue dita scalano le mie, premono le mie più a fondo contro la sua pancia.
− Ti sento qui, Daichi. - mormora.
Miseria.
Miseria.
Cazzo.
Non capisco più un cazzo.
No, sul serio.
Perdo ogni tipo di controllo su me stesso.
So solo che diventa tutto infiammato, il ritmo serrato e violento e lo sento, cazzo, lo sento, me stesso che entra ed esce da lui, il suo viso sfatto e le urla e la sua carne che si tende e....
− Dentro di me, Daichi. Vieni dentro di me. - dice alla fine.
Lo faccio.
Qualche altro movimento indirizzato dove so che gli piace, e quando viene lui, quando si stringe come una morsa su di me e l'aria scompare dai miei polmoni, lo seguo.
Miracoloso.
Come mi possa rendere tutto quello che credo di non meritare.
Come mi ami e mi accolga, Suga.
Quanto lo amo anch'io, questo ragazzo meraviglioso.
L'amore della mia vita.
L'unico.
Mio.
È tutto confuso, dopo. So che ci laviamo, credo, e so che andiamo a dormire io in mutande e lui con una mia maglietta addosso, so che si incastra al mio corpo sorridendo e che mi stringe forte prima di dormire, ma i dettagli sono sfumati.
L'unica cosa di cui sono perfettamente certo è che non solo mi sento meglio.
Ma che lo stress scompare.
Non ha senso, la gelosia, Daichi.
Non ha senso sacrificarti per quella.
Perché l'unico, l'unico e basta, e lo sai, ora lo sai bene, sei sempre tu.
Il giorno dopo sono decisamente più tranquillo.
Mi alzo e procedo nella mia incessante routine, e saluto quelle due facce da culo con lo stesso tono servile di sempre, quando arrivo alla centrale, che nonostante mi facciano ancora venire voglia di ucciderli, ora non ho più incertezze.
E guardatelo pure, Suga, che tanto ha scelto me.
Non vorrebbe mai due stronzi come voi, ma nemmeno nessun altro, il mio piccolo Kōshi, il mio amore.
Quando mi faccio la doccia, rido al bruciore sulla mia schiena.
L'acqua calda e i graffi non vanno poi tanto d'accordo, immagino.
Mi rivesto con calma, che oggi è giovedì e non c'è nessuno ad aspettarmi, mi asciugo persino i capelli che il tempo inizia ad essere più rigido, metto perfettamente in ordine l'armadietto, mi sistemo, metto i cerotti termici per il dolore muscolare, mi stiracchio per bene.
Esco lentamente.
Non ho fretta, oggi.
Faccio le scale uno scalino alla volta sorridendo, all'idea che sto per tornare a casa, mi godo la sensazione delle contratture sciolte dalla doccia calda, dondolo la borsa sulla spalla.
Prima di sentire qualcuno che ride.
Qualcuno che ride ed è...
Ma oggi è giovedì.
Non deve venire di giovedì.
Che ci fa qui, di giovedì?
Fanculo la calma, mi metto a correre.
Salgo i gradini a due a due, i muscoli si tendono e fanno male, mi viene il fiato corto ed ecco che...
Oh, Suga.
Suga con un maglioncino con lo scollo a "v" e la sciarpa larga attorno al collo in un gesto che sembra distrazione ma che so benissimo non lo è.
Ha il collo martoriato.
In bella vista.
Mi saluta con la mano, quando mi vede, i miei superiori a pochi metri che stavano per avvicinarsi anche loro, fermi immobili a studiarlo da lontano.
− Amore, ciao! - grida, facendo particolare attenzione alla parola, che scandisce bene, "amore".
Mi esplode il cuore.
Guardalo, a portare come medaglie il segno tangibile che no, non è insoddisfatto, che invece è fiero, di quello che abbiamo.
Sorrido.
− Kōshi, che ci fai qui? - dico, avvicinandomi.
− Mi mancavi. - risponde, sorridendo.
Oh, Kōshi.
Kōshi, Kōshi, Kōshi.
− E poi devo sistemare una cosa. - aggiunge al fondo.
In che...
Un attimo.
Un secondo.
Noto la porta della centrale che si apre con la coda dell'occhio e questo non mi colpirebbe se la sagoma allungata non fosse quella di qualcuno che conosco, gambe lunghe in jeans strettissimi, capelli morbidi e sorriso ammiccante, profumo dolcissimo e...
− Ah, che meraviglia! Amo gli uomini in divisa, il mio paradiso! -
C'è solo una persona al mondo che sappia attirare l'attenzione in modo più lascivo di Suga. Una che non è come lui, che lo fa in modo involontario, una che vive dell'attrazione che gli altri hanno per lui.
− Tooru voleva venire a vedere la centrale, dice che ama i poliziotti. - dice Suga, con il tono di voce tanto alto lanciandomi un'occhiata che riconosco.
Che cosa vogliono fare?
I miei superiori li vedo.
Passare con lo sguardo da Suga che mi tende le mani alle gambe chilometriche di Oikawa, il collo sottile che spunta dal trench legato ad arte in vita, gli anellini sui lobi delle orecchie e le mani lunghe che si muovono nell'aria.
Bava anche per lui.
Oikawa nemmeno mi saluta, punta quei due, lancia un'occhiata a Suga, e poi procede.
− Voi due siete due poliziotti? Da quanto? Dio, le forze dell'ordine sono così attraenti! -
Alzo le sopracciglia.
− Che cosa sta succedendo? -
− Tooru sta facendo la magia, non interrompere. -
Tooru sta facendo...
− Su, io e te andiamo, stasera ho preparato la cena e sarebbe uno spreco se non riuscissimo a tornare a casa. - dice poi Kōshi, trascinandomi per il braccio verso l'uscita.
− Ma Oikawa... −
− Lascia stare Oikawa. -
Sono tremendamente confuso.
Ed eppure mi fido, che di Suga mi fiderei anche mi dicesse di ammazzarmi, e lo seguo all'esterno.
Si ferma dopo qualche passo quando siamo lontani da tutti, e mi guarda, prima di esibire il suo sorriso più malefico.
− Sono sposati tutti e due, vero? -
− Ehm sì, perché? -
− Lo sapevo. - dice fra le labbra.
Mi tira verso di sé, appoggia il mento sul mio sterno, mi guarda dal basso.
− Il piccolo Tooru si farà dare il loro numero, raccoglierà un po' di materiale interessante e poi è fatta, rovineremo completamente il loro matrimonio. - confessa, alla fine.
Oh, Cristo.
Due cose.
La prima, menomale che ci sto assieme, a Suga, quest'uomo è più cattivo di quanto ci si aspetti e non ho intenzione di immaginarmi cosa potrebbe succedere se finissi dal suo lato sbagliato.
Seconda, il "piccolo Tooru"? Un metro e novanta di gambe, "piccolo Tooru". Che devo dire?
Un terzo pensiero mi colpisce la mente, ma questa volta gli do voce.
− E Iwaizumi? -
− Tooru dice che Iwaizumi è abituato, e che fanno sesso violento quando è geloso. Mi ha garantito che non ci sono problemi. -
Oh, beh, perfetto, credo.
− Ma perché sta facendo... questo? -
Suga scuote la testa, sospira.
− Codice dell'amicizia, Daichi. Possiamo farci tutti i dispetti del mondo, ma se uno dei due ha bisogno di una mano allora l'altro deve correre in aiuto, è la nostra regola. -
− La vostra regola? -
− Non capiresti, sono cose da passivi. -
Mi viene da ridere, e lo faccio.
Che angelo e angelo, Suga è un demone. Infido e malvagio.
Ma bello proprio così com'è.
− Sei la cosa migliore che esista, Kōshi. - mi concedo di dire, alla fine.
Sorride.
− Probabile. Ti amo anch'io, Daichi. -
Mi chino per baciarlo, lo facciamo dolcemente e piano, nelle luci fioche della sera.
Fa per staccarsi, mi prende la mano.
Prima di allontanarsi, poi, mi guarda.
− Ah, già, dimenticavo. Non ho le mutande. −
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
v➠♡༊ beta-read by mianonnaincarriola -rubatosis inthelouisarms
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro