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𝚌𝚘𝚛𝚊𝚕𝚒𝚗𝚎 :: 𝟹

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╰┈➤ ❝ continua

Kiyoomi.

Che bel nome, Kiyoomi.

Le mie labbra si premono l'una contro l'altra quando ne pronuncio la "m", come se baciassero qualcosa.

Kiyoomi.

Il tuo nome mi sembra familiare, Kiyoomi, mi sembra qualcosa che ho sempre saputo, qualcosa che ho sempre desiderato, qualcosa che non mi ha mai lasciato da solo.

Il tuo nome è dolce, pacifico.

Il tuo nome è il tuo.

Ora che lo so mi sembra di non averlo mai dimenticato.

Kiyoomi fa un passo in avanti mentre io mi sorreggo sui gomiti per tirarmi su, Kiyoomi ha lo sguardo fiero e distaccato di chi sa di essere bello ma timido e intenso di chi cerca comunque approvazione.

− Atsumu? –

− Kiyoomi. –

La sua voce è...

L'unica cosa che abbia contato in quest'ultimo periodo della mia vita, un risveglio.

Meravigliosa.

Non so in quale dimensione siamo stati riportati, non so in quale momento, non so cosa stesse succedendo, cosa fosse reale.

So che sono fradicio.

È ancora l'acqua del bagno?

Mi ero forse fatto la doccia in questa realtà?

Sono completamente nudo.

Io... io non sono abituato a spogliarmi di fronte agli altri, non sono abituato alle persone che mi guardano esattamente come sono.

Non...

Mi mette a disagio, spogliarmi.

Credo sia solo il risultato di tanta inesperienza.

Ma...

Kiyoomi mi guarda e nel modo in cui mi guarda vedo qualcosa che l'Atsumu dentro di me riconosce.

Mi dice che è vero che io non l'ho mai fatto, questo. Ma che sono nato per farlo, sono strutturato per farlo. Tutto di me è perfetto per mescolarsi con lui, non c'è imbarazzo, non ha senso che ci sia.

Sento le mie ginocchia che si chiudono fra di loro, il calore che mi si addensa sulle guance e la tentazione di dirgli di guardare da un'altra parte.

Il me che sono, il me che sono sempre stato, non vedeva l'ora di farla, questa cosa.

Alla fine, non è forse quel che volevo?

Ho sempre voluto che qualcuno mi guardasse a quel modo, ho sempre voluto essere qualcuno per qualcuno in un modo totalizzante e puro, ho sempre voluto essere l'unico e solo per una persona che mi trattasse come se ci fossi solo io.

Ma ritrovarsi in questa situazione con il peso nel petto che l'altro me rappresenta, è diverso.

Kiyoomi, ti chiami, non è vero?

Che cosa pensi, Kiyoomi?

Ti ho conosciuto, attraverso le tue parole.

Ti ho conosciuto come la morale di una storia infelice, come il filo rosso che collega tutte le parti più smembrate di me.

Ma tu chi sei?

Chi...

Chi sei?

Kiyoomi sbatte le palpebre, le sue ciglia sfarfallano nelle luci che entrano da fuori.

Sono luci al neon, sono luci colorate e taglienti.

Chiudo gli occhi.

C'è troppa intensità, nel modo in cui mi guarda.

Non so se riesco...

Atsumu, mio...

− Atsumu. –

La tua voce la sento vera, ora.

Chiama il mio nome, Kiyoomi. Chiamalo ancora, ancorami ad una realtà che vorrei non dover avere un'altra volta.

− Sei la cosa più bella che io abbia mai visto, Atsumu. –

Un tremito corre sulla mia pelle.

− Quando ho iniziato a sentirti parlare lo sapevo, che lo saresti stato. Ma non credevo che... cazzo, sei bello in un modo che sembra surreale. –

Non è abituato a parlare e a dar voce a quel che pensa, Kiyoomi.

È tremante, il modo in cui si rivolge a me.

Come se non potesse far altro che lasciar defluire i pensieri.

− Credevo di voler mollare tutto, quando ho iniziato a capire che cosa c'eravamo fatti. Sapevo di non essere io e sapevo che non eri tu, in quel mondo. Ma ho temuto che fossimo nati per farci del male. –

− Anch'io, ho avuto paura. – rispondo.

Paura, odio, repulsione, rabbia.

Così tanto nero in un disegno che dovrebbe non averne.

− Ma credo che il nostro destino non sia farci del male. Credo che sia stare insieme nonostante tutto, Atsumu. –

Riapro gli occhi.

È vicino, le ginocchia che battono contro il materasso.

Potrei...

Alzare una mano, allungare il braccio.

Potrei toccarlo.

− Fallo. –

Mi sporgo.

Mi sporgo ignorando il fatto che io sia nudo, mi sporgo facendo finta che nulla mi metta a disagio.

Mi sporgo e afferro le sue spalle.

Lo tiro verso di me.

Il suo... odore.

Dolce, non come l'acido che mi ha scavato dentro per giorni.

Dolce di una dolcezza speziata.

− Perché cazzo mi sembra così difficile qualcosa che invece è così facile, Kiyoomi? –

− Perché la nostra non è una storia felice. –

Le mie mani vagano sui muscoli della sua schiena, stringono e tastano il modo in cui si muovono per raggiungermi.

Affondo le dita fra i suoi capelli.

Il suo viso è ancora più bello, ora che lo vedo da vicino.

È perfetto.

Il modo in cui i tratti si descrivono, il modo in cui le linee lo compongono.

Di un'eleganza così raffinata, così tagliente.

− Chi sei, tu? –

− Potrei farti la stessa domanda. –

C'è come questo grande punto interrogativo sopra la sua testa che mi confonde.

Chi è?

In questa vita, lui, chi è?

Che cosa gli piace fare, che cosa gli piace avere, che cos'è?

Che cosa posso imparare di te che dovrebbe mescolarsi con me?

Chi...

− Io sono solo io, Kiyoomi. –

− Lo dici come se fosse una cosa da poco. –

Alza le mani, le lascia scorrere sul mio collo e sul mio viso.

Tira indietro i capelli quando arriva alla fronte, disegna linee curve sulle mie guance, si ferma al bordo degli occhi.

− Siamo davvero qui? –

− No, non lo siamo. Ma importa? –

Mi mordo l'interno della bocca.

Importa?

Importa, certo che importa.

Importa nella misura in cui questo è solo un posto come un altro, messo a confronto con la grandezza delle cose che provo.

Siamo dentro noi stessi, Kiyoomi.

Non è forse indicativo, peculiare, pieno di significato, che anche quando siamo dentro noi stessi siamo comunque insieme?

Insieme.

Come due metà perfette di una cosa sola.

Tranne che non siamo perfetti.

Siamo un po' rotti, un po' distrutti e un po' sbagliati.

Ma nessun puzzle è fatto di pezzi lisci e dritti, che non ci sarebbe il posto dove poterli incastrare fra loro.

Un puzzle è fatto d'insenature e sporgenze che devono unirsi per diventare qualcosa di intero.

Siamo così, io e te, non è forse vero?

Siamo fatti per incastrarci negli errori di quel che siamo.

Perché abbiamo senso solo così.

− Ci sono così tante cose che vorrei dirti, così tante che vorrei raccontarti. – mormoro con le lacrime agli occhi mentre cerco di stampare a fuoco nella mia mente ognuna delle emozioni che provo.

− Non è il momento di parlare, questo. –

No, non lo è.

Questo è...

L'atto finale.

Come in un'opera teatrale, l'atto finale.

Il completamento di una tragedia, la catarsi, l'espiazione, il peccato e il dolore di chi paga qualcosa che non ha commesso.

− L'altro Atsumu dice che siamo Endimione e la Luna. –

− L'altro Kiyoomi è d'accordo. –

È così vicino alle mie labbra che sento il suo respiro.

È il respiro di qualcosa che è vivo, ma so che quella vita, è dentro di me, non fuori.

− Secondo me, siamo Edipo Re, Atsumu. –

− Edipo Re? –

La sua bocca è a pochissimi millimetri dalla mia, ci passa sopra come un'ombra.

Chiudere la distanza sarebbe così facile.

Ma c'è qualcosa nel suo tono di voce, c'è qualcosa nella perfezione e nella sensualità di un uomo così bello che parla addosso a me, che di farlo non me la sento.

− Siamo trascinati alla dannazione da qualcosa che è stato compiuto prima di noi. –

Apro le gambe che tenevo così saldamente chiuse per ancorarle oltre la sua vita.

No, non ho esperienza, non ce l'ho.

Ho l'istinto.

Ed è perfetto, che il mio istinto risponda nel modo giusto soltanto a lui.

− Siamo e saremo colpevoli di un crimine immortale che qualcosa che non conoscevamo ci ha portato. Noi non ne possiamo niente, ma il Fato ha deciso per noi. –

Sento gli angoli della mia bocca piegarsi.

− Il Fato è un figlio di puttana. –

− Lo è. –

Torreggia sopra di me, con le sue spalle ampie, quando si sistema addosso al mio corpo e preme la fronte contro la mia.

− Credo che però, anche se potessi evitarlo, rifarei quell'errore ancora e ancora. –

L'errore non sono forse io?

E l'errore non è forse lui?

Errore.

Sbaglio.

Sbagliato.

No, Kiyoomi, non è sbagliato. Perché se fosse stato sbagliato, non avremmo avuto un segno così plateale dal destino ch'eravamo noi due, a doverci cercare.

Siamo giusti.

O se siamo sbagliati, lo siamo nel modo corretto.

− Parli di me come se fossi un peccato capitale, Kiyoomi. –

− Lo sei. –

Scendono, le sue dita, sul mio corpo.

− Sei l'ira di sapere che è tutto troppo difficile per la persona che sono. –

I polpastrelli premono sulla mia mascella, sulla carne tesa del collo.

− Sei l'avarizia di voler avere, possedere. –

Piega la testa, s'incastra con me.

− Sei l'invidia per chi ha avuto le cose che voleva subito, senza soffrire. –

Sistema le ginocchia spingendole verso l'alto, come per spalancare più facilmente le mie cosce.

− Sei la superbia di avere qualcosa che nessun altro può avere, che tutti vorrebbero ma non possederanno mai. –

Io?

− Sei la gola di voler mangiare senza neppure respirare fra un boccone e l'altro. –

Le sue dita spingono sulla mia glottide.

− Sei l'accidia del non essere niente quando non ci sei, quando non mi parli. –

Calano, le ciglia lunghe che ha, folte e fitte, quando si avvicina ancora.

− Sei la lussuria, e questo non te lo spiego, credo che tu lo senta, Atsumu. –

Lo sento?

Lo...

L'uomo è l'unica specie nel regno animale, che si bacia. L'uomo è l'unica specie che trova qualcosa di piacevole nell'atto inutile di fondere le labbra con quelle di qualcun altro. L'uomo è l'unica specie, che tende all'intimità di scambiarsi il respiro senza che ce ne sia alcun bisogno.

Non c'è niente di pratico, nell'atto di baciarsi.

Non c'è niente di funzionale.

Non c'è niente che abbia motivo.

Non credevo neppure che fosse qualcosa di importante, prima che succedesse quel che sta succedendo ora.

Kiyoomi chiude gli occhi, apre le labbra, le appoggia sulle mie.

Che cosa c'è di utile, in questo?

Nulla.

Ma c'è l'essenza dell'essere umani.

C'è la labilità di una condizione che non dura, c'è l'aggrapparsi ai ricordi per non scomparire, c'è l'edonismo sfrenato di voler vivere una vita priva di rimpianti.

Per me, per l'Atsumu che sono, c'è il piacere di ricominciare a respirare.

Non so come si faccia, a baciarsi.

Ho la sensazione che neppure Kiyoomi ne abbia idea.

Ma funziona.

Funziona perché siamo noi due.

La sua bocca spalanca la mia, le sue mani affondano nei miei fianchi e le mie nelle sue scapole, tutto quel che era timidezza di un incontro inaspettato si trasforma in calore.

Baciami anche se è inutile.

Baciami anche se non serve a niente.

Che non è che tu stia sopendo la fame corporea che ho, ma quella del cuore, quella che scava e che divora come un batterio la mia mente, la stai saziando completamente.

Baciami, Kiyoomi.

Baciami perché non ha senso, ma paradossalmente, è l'unica cosa che ne abbia.

La sua lingua s'intreccia con la mia, la sua voce è bassa e gutturale quando esce, la mia più ariosa e disperata, il suo corpo si incastra col mio.

Baciami senza un perché.

Non ci serve un perché.

Non ci è mai servito.

Riprende fiato con un sorriso, ma si tuffa sulle mie labbra l'istante dopo, o forse a farlo sono io, non lo so, non me ne rendo conto.

Respiriamo la stessa aria, se stiamo così vicini.

È come se respirassi me.

Sono piacevole, o t'intossico?

Sono meraviglioso o faccio schifo?

Il modo in cui Kiyoomi mi bacia, non risponde a nessuna delle mie domande ma le distrugge anche se non hanno risposta.

Non è importante.

Non lo è, in questo momento non può esserlo.

Mi spinge più in alto sul letto, la sua testa s'incastra piegata contro la mia perché i nostri nasi non si scontrino, le mie dita stringono forte fra le ciocche color della pece dei suoi capelli.

Non m'importa più di essere nudo di fronte a qualcuno che non conosco.

Perché non è vero, che non lo conosco.

È come se l'avessi sempre conosciuto, come se ci fosse sempre stato, come se facesse intrinsecamente parte di me.

Mi sembra di voler essere guardato.

Di volermi sentire bello, sotto i suoi occhi.

E mi fa sentire bello, mi fa sentire sensuale e desiderabile quando afferra le mie cosce con le mani e stringe la carne fra le dita, mi fa sentire vero e vivo.

− Perché non ti fa schifo toccarmi? –

Si ferma.

No, non è la domanda giusta.

Di tutte le cose che avrei potuto chiedere, di tutte, di tutte quante, io...

− Credo che il punto sia questo, Atsumu. Credo che questo ricordo si basi su questo. –

− Sul fatto che non ti facesse schifo? –

− Sul momento in cui mi sarei reso conto di averlo fatto. –

Non capisco, non capisco cosa stia dicendo.

Sembra che lui sia così saggio mentre invece io così ingenuo.

Ma non ha smesso di toccarmi, non ha smesso di stringere e mi dico che non importa, se ci sono cose brutte che arriveranno, perché il momento presente, è il più bello che mai potessi immaginare.

Alzo la testa, lascio spazio perché s'infili contro il collo.

Rimarranno i segni che mi lascia in questa realtà, sulla mia pelle?

Morde come se volesse provarci.

Affonda i denti sulla mia pelle come se sperasse di marchiarmi anche nella vita vera, mi tiene fermo dalla spalla.

− L'avevi... ah... l'avevi già fatto? –

Sento la sua lingua che passa di piatto sul punto del mio corpo che ha appena morso.

− No. –

Succhia, morde, bacia come se sapesse esattamente quali bottoni premere, nel mio corpo, come accendermi, come farmi reagire.

Credo che lo siamo per davvero, alla fine, anime gemelle.

Ci sono così tante cose che potremmo fare, in un'occasione come questa. Potremmo conoscerci, potremmo imparare chi siamo, per ritrovarci una volta usciti.

Ma non possiamo.

Possiamo solo...

− Tu l'hai mai fatto? – mi sento chiedere, con un tono che da una parte sembra insicuro e dall'altra... forse un po' geloso.

− Sei geloso? –

− Sì. –

Diretto, Kiyoomi. Diretto e senza troppi giri di parole.

Rido appena, mentre lo osservo spostarsi da un lato all'altro del mio collo, guardarmi dal basso sotto le ciglia fitte.

− Una volta con una donna, ma è stato più un caso che altro. –

Mi fissa dritto negli occhi quando tira fuori la lingua e traccia una linea dalla mia clavicola fino alla base dell'orecchio.

− Ti piacciono le donne? –

Mi devo mordere il labbro per evitare di gemere a voce troppo alta quando stringe di nuovo il mio fianco e la sua mano scende verso una delle mie cosce.

− Al momento mi piaci tu e mi piaci molto. –

− Risposta giusta. –

Quando si sposta di nuovo verso il mio viso, sono io a sporgermi.

Allaccio le braccia dietro il suo collo, lo tiro verso di me.

Sembra che io sia fatto per farlo, Kiyoomi, sembra che io sia fatto per baciarti, per toccarti. Sembra che tu sia ugualmente fatto per farlo.

Dov'è che tutto si è rotto, in quell'altra vita?

Chi è che ci ha messo quella lastra di vetro in mezzo?

Non vedi quanto è facile, amarci com'è giusto che ci amiamo?

Quando preme una coscia fra le mie, verso l'alto, non reprimo un gemito e la mia schiena s'inarca in alto, contro di lui.

Il modo...

Il modo in cui mi guarda.

La cosa che preferisco, è il modo in cui mi guarda.

È intenso, è forte, è pesante e carico di qualcosa di affilato.

Quando stringe una mano sul mio braccio e si ferma, sono costretto ad aprire gli occhi per osservare quel che sta facendo.

Guarda la sua mano.

Guarda la mia pelle.

Lui ha il dorso e le nocche screpolate, crepate come se fossero pietra scossa da un terremoto, un'ombra di sangue dalla pelle così sottile e rovinata da sembrare carta velina.

Io ho un taglio che si sta rimarginando vicino alle sue dita.

− Nella mia testa hai detto che la vita aveva messo a me un paio di guanti e a te una lametta in mano, e che ci aveva resi nemici. – sussurra.

Atsumu, in me, sorride e io lo faccio con lui.

− Era vero. –

Passa il pollice sopra la mia ferita, ma con delicatezza, senza farmi male.

− Ho la sensazione di averti fatto soffrire più di quanto non stessi soffrendo io, e il pensiero mi distrugge. –

Allungo una mano per prendere il suo viso.

Sporgo le dita per sfiorare i nei, il lato del sopracciglio.

− Rimedia, Kiyoomi. Rimedia. Puoi rimediare. –

Sorride.

− Posso farlo? –

Chiudo le labbra prima di annuire.

Sembro una preda e lui un predatore, quando lascia andare il mio braccio e appoggia la mano al fianco della mia testa, quando risale su di me e la punta del suo naso sfiora la mia.

− Posso farti stare bene, così bene, non è vero, Atsumu? –

− È vero. –

Inizio a respirare più lentamente, nel tentativo di riprendere aria che nei polmoni, non c'è.

− Vuoi che ti faccia stare bene? –

− Sì, per favore. –

Quando mi bacia prende il mio labbro inferiore fra i denti e lo morde appena, piano, prima di lasciarlo andare.

Così bello da non sembrare neppure vero, Kiyoomi.

Sembra un disegno di china.

Nero e bianco, nessun altro colore. Nero dei capelli, nero degli occhi, nero dei nei, bianco della pelle.

Sembri un disegno di china, Kiyoomi, sembri la bellezza più elegante che io abbia mai visto.

Com'è possibile, che nel mondo, tu sia destinato a...

− Vorrei renderti così felice, Atsumu, non so neppure come spiegarlo. –

− Inizia ora, Kiyoomi. –

Sorride, prima di rimettere per bene le mani su di me, questa volta, con un obiettivo chiaro, preciso.

Mani sul culo, tira su il mio bacino, lo incastra contro il suo e si muove.

La mia testa cade indietro come se non avessi il collo, come se non avessi muscoli per tenerla su, una scarica elettrica mi si accende nella pancia e corre fino alle punte delle dita, gli occhi si chiudono.

La voce si piega.

− Omi! –

− Omi? –

Mi riprendo che credo di avere un po' il fiatone.

− Mi sa che ti chiamavo "Omi", da quell'altra parte. Non ti piace? –

Ci pensa su, le sue sopracciglia si avvicinano per qualche istante, poi si distendono e sorride.

− 'Tsumu. –

− Mi chiamavi come mi chiama mio fratello? – lo prendo in giro.

Annuisce.

− A quanto pare. –

Quando si muove un'altra volta, la questione sfuma nel nulla e quella sensazione elettrica torna nel mio corpo.

In me si mescolano due consapevolezze diverse.

Da una parte, c'è la totale inesperienza, c'è la novità di sensazioni che nessuno mi aveva mai fatto provare.

Dall'altra, il mio corpo, tutto, di me, è come abituato a programmato per reagire a lui e mi sembra di sapere perfettamente cosa fare anche se non lo so.

L'Atsumu dentro di me mi prende in giro, quando vede campeggiare il pensiero "mi sa che io non starò sopra manco per niente", e fa bene.

Merda, ma no che non sto sopra.

Sto sotto.

A quest'uomo, sto sotto e lo faccio con enorme piacere.

− Quando finisce questo ricordo ci dobbiamo trovare subito nella vita reale perché non credo che ce la farei a resistere sennò, 'Tsumu. –

Gli trema la voce, come se non la controllasse.

Apro una mano sul suo petto, la lascio scendere, saltellare contro il profilo degli addominali.

− Nemmeno io, Omi, nemmeno io. –

− Cazzo, sei la cosa migliore che mi sia mai successa. –

Aggrappo le dita contro l'orlo dei suoi pantaloni, ma quando dice questa frase, quando la dice unita ad un movimento della sua gamba che sfrega fra le mie, reagiscono due Atsumu.

Io, per la sensazione corporea che mi fa inarcare e gemere.

L'altro, per la serietà di una confessione che arriva dopo qualcosa di orribile che è successo per l'amore che aveva deciso di darmi.

Sono la cosa migliore che ti sia mai successa?

Ti sei distrutto per salvarmi, Omi.

Ed eppure continui a dirlo.

− Ti amo, Kiyoomi. –

− Anche io, cazzo, anche io, anche io ti amo, Atsumu, anche... −

− Non credo che ci sia niente al mondo che sia fatto per me come lo sei tu. Anche se ci facciamo male, Kiyoomi, cazzo, anche se ci facciamo male. –

Mi bacia il collo.

− Non ti farò male, no, non ti... −

− So che non lo farai. –

Non so che cosa stiamo dicendo e non so che senso abbia, ma è confusa, accaldata e affannata, l'atmosfera attorno a noi, ci fa sentire la testa leggera e vuota.

Affonda i denti sulla mia spalla il momento in cui infilo la mano nei suoi pantaloni.

Chiama il mio nome in un gemito che sembra musica nelle mie orecchie, quando stringo le dita attorno a lui e le muovo in alto e in basso un paio di volte.

Non...

Ho sempre voluto fare sesso, ma non credevo che fosse così.

Non credevo che fosse così intossicante, così inebriante. Mi sembra di ubriacarmi ad ogni contatto, mi sembra di fluttuare.

− Ti faccio stare bene, Kiyoomi? –

− Sempre, cazzo, sempre. –

Voglio...

− Ti voglio dentro di me, Kiyoomi. –

− Atsumu... −

− Tu sei fatto per stare dentro di me. –

Non c'è niente di normale nel mio respiro che alza e abbassa il mio petto a ritmo col mio cuore che batte all'impazzata.

Ho le guance scure di imbarazzo, disperazione, foga.

Apro di più le cosce, quando me le spalanca con le mani per... guardare.

Sento le mie ginocchia spingere verso l'interno.

− No, non farlo. Voglio vedere, Atsumu, voglio vederti. –

Vuoi...

− Ci serve del lubrificante. Non voglio farti male. –

Ci serve del...

L'Atsumu dentro di me dice "già fatto".

In che senso?

Non faccio in tempo a porre la questione a Kiyoomi che sento la sua mano avvicinarsi a me, avvicinarsi pericolosamente a me, scorrere sull'interno coscia, sul fianco pieno e sulla gamba, prima di toccare il punto dove vorrei che entrasse.

− Sei già... −

− Atsumu l'altro dice che l'abbiamo già fatto. –

− Anche Kiyoomi, ora che mi ci fai pensare. –

Chissà cosa stava succedendo, in quel mondo, in questo momento. Chissà dov'eravamo, chissà.

Ma la curiosità sfuma, quando Kiyoomi sbatte le palpebre e mi guarda.

− Tolgo i pantaloni, ok? –

− Ok. –

Si alza, si stacca un po', devo ammettere che la perdita di contatto non mi piace, m'infastidisce, mi fa sentire improvvisamente vuoto.

Apro la bocca per chiedergli di tornare qui ma le parole non escono, quando lo osservo spogliarsi.

Kiyoomi è bello, così bello, incredibilmente bello.

Ha la linea netta dei muscoli dell'addome, ha le spalle larghe, ha le gambe chilometriche, ha i nei che sembrano disegnargli un quadro addosso, ha i segni che gli ho lasciato io, ha il rosso dell'eccitazione sul petto e sul viso.

− Meraviglioso. – mi scappa dalle labbra.

Non risponde, distoglie lo sguardo e torna sul letto.

Lo imbarazzano i complimenti?

Tenero, Kiyoomi.

Appoggia un ginocchio, poi l'altro, rimane su fra le mie gambe aperte, appoggia le mani sulle cosce e le preme in basso, prima di tirarmi verso di sé.

− Hai paura che ti faccia male? –

− No, Kiyoomi. –

− Io invece ho una paura fottuta di farti male. –

Allungo una mano per cercare la sua, le sue dita s'intrecciano con le mie, i palmi si premono assieme.

− Se mi facessi male, te lo direi subito. –

− Promettimelo. –

Sbatto le ciglia.

− Te lo prometto. –

Prende un grande respiro, prima di avvicinarsi a me ancora. Mi tira su dal bacino, lo piega verso se stesso, passa le mani sul retro delle cosce come per calmarmi, come per tirare via da me ogni grammo di nervosismo.

Kiyoomi lo vuole quanto me, forse più, si vede.

È eccitato, lo siamo entrambi, lo siamo insieme.

Ma sembra che tema, ancor più di me, che cosa succederà dopo.

− Kiyoomi, va tutto bene. Se non vuoi farlo, va... −

− Voglio farlo, cazzo quanto voglio farlo. È che c'è qualcosa che mi dice che non dovremmo, che sarebbe meglio se non lo facessimo. –

Si allinea con me, si lecca le labbra.

− Se dovessi decidere tu, da solo, cosa faresti? –

Incastra le mani sui miei fianchi.

Mi guarda negli occhi.

− Se dovessi decidere io, non farei altro per tutto il resto della mia vita. –

Avere qualcosa dentro di sé, la sensazione di essere pieni, non è qualcosa che avessi mai provato. Neppure con le dita, neppure da solo, che credevo non fosse qualcosa per me.

Ma nella vita, in effetti, ora che ho l'occasione di rendermene conto per davvero, io ho sempre avuto la sensazione che mi mancasse qualcosa.

Che ci fosse qualcosa in me che dovesse essere riempito.

E quel qualcosa è Kiyoomi, che si adagia nella forma della mia anima nell'unico modo possibile, con una perfezione distrutta, rotta, pur sempre perfetta.

Non fa male.

Credo che l'esperienza che vivo non sia totalmente corporea, totalmente umana, anche se le sensazioni mi sembrano così forti e così realistiche, so che di norma non dovrebbe essere così piacevole.

Ma lo è.

È...

− Kiyoomi, cazzo, Kiyoomi. –

Si morde l'interno della bocca, respira dalla bocca.

− Atsumu. –

Secondi lenti, infiniti, strazianti quelli in cui entra completamente dentro di me.

− Sei stretto, cazzo, è normale che tu sia così stretto? –

Mi stringo ancora, i miei muscoli interni si stringono ancora. Tutto il mio corpo sembra diventare molle, morbido, rilassato, per poi tendersi quando Kiyoomi esce appena e rientra dentro di me.

− Sei... −

− Ti amo, Kiyoomi. –

Le mie mani cercano appoggio sulle sue spalle.

− Ti sto facendo ma... −

− Ti amo così tanto, cazzo. –

Chiudo gli occhi quando lo bacio e ci sono piccole lacrime annidate sulla rima inferiore che vengono spremute via dal gesto. No, non mi fai male, non me ne fai.

Teso e nervoso, Kiyoomi, anche se ha il comando.

Teso e nervoso perché è a me che le sta facendo, queste cose, e sono io su cui si sta concentrando.

Respira, quando ci stacchiamo.

Mi prende dai fianchi.

Si muove con un pelo in più di sicurezza.

Dentro, fuori, dentro, fuori.

So che c'è un punto dentro di me che dev'essere premuto perché questo diventi ancora più bello, ancora più significativo, ancora più forte.

Lo so io.

Lo sa lui.

E non lo cerca, non gli serve farlo, neppure me lo chiede.

Conosce il mio corpo come se fosse il suo, Kiyoomi, lo conosce e lo adora mentre mi bacia lo sterno, mentre annusa il mio odore, mentre esce ed entra in me.

È delicato ma secco, il movimento, è profondo anche se è lento.

Raggiunge... così tanto, dentro di me.

− Mi sento al sicuro solo quando sono qui. – dice, scherzando appena, una mano che preme in basso contro la mia pancia.

Sorride.

Metto la mano sopra la sua.

− Puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi, allora. –

La storia che condividiamo, Kiyoomi, è una storia che non conosciamo neppure noi. Io non lo so, chi sei, io non ti conosco.

Ma...

Posso dire di non amarti, quando me lo urla qualcosa che è dentro di me?

Posso dire di non appartenerti, se è tutto quello che desidero?

Dobbiamo scoprirci, noi, non conoscerci.

Che le nostre anime si conoscono già.

Piega più indietro le mie cosce, le preme contro il mio petto, una goccia di sudore scende dalla sua tempia al collo, goccia dal mento sul solco fra i pettorali.

L'angolazione è...

Mi fa urlare.

Che tanto non mi sente nessuno, qui dentro.

Non c'è nessuno, che non sia quel che siamo stati noi.

Urlo il suo nome.

Il suo, il suo, è il suo.

Ed è il suo come è mio, come è qualcosa che possiedo.

Kiyoomi, oh, Kiyoomi.

Tu mi hai distrutto, da qualche parte, ma qui mi fai solo sentire completo.

Siamo uno Kiyoomi, lo siamo ora, lo siamo adesso.

Non sarò mai niente, ora, senza di te.

Kiyoomi.

La mia schiena s'inarca, affondo i denti sul labbro inferiore, stringo la sua schiena con una gamba e gli occhi iniziano a rotolare indietro ad ogni spinta.

− Kiyoomi. –

− Atsumu. –

Stringo i suoi bicipiti con le mani.

Kiyoomi, Kiyoomi.

Quanto siamo imperfetti, quanto siamo distrutti, quanto schifo facciamo, io e te.

Tu con le tue mani screpolate dal lavaggio compulsivo, tu che hai rifuggito la vita per un'esistenza intera.

Io che ho cercato di tagliar via quel che non andava da me, io che ho provato rabbia così intensa, io che sono rimasto da solo.

Ma perché tutto sembra avere un senso, in questo istante?

Perché tutto ha senso quando mi tieni fermo piantato al letto con le mani, quando ti muovi più velocemente contro di me, mentre chiami il mio nome?

Anche il dolore, ne ha.

Il dolore diventa un prezzo da pagare, quando siamo insieme, per la bellezza dell'attimo che viviamo.

Che cos'è che ci ha distrutti, in questo?

Perché mentre mi stringi fra le mani, mentre mi baci, non mi sembra che ci sia niente che non vada.

Cos'è che ci ha fatto male?

L'Atsumu dentro di me dice che il dopo, fa male.

E che il contrasto fra l'euforia dell'adesso e la devastazione del dopo, è ciò che mi ha distrutto.

− Ho paura che quando finirà succederà qualcosa di brutto. – riesco a dire, con la voce tremante, fra un colpo e l'altro del bacino di Kiyoomi sul mio.

Sorride.

Una lacrima gli cade dall'occhio sinistro, una dal destro, anche se sorride.

− Succederà. –

Il calore che si è annidato nella mia pancia si inizia a muovere, a girarsi e a infittirsi.

Lo stringo più forte con le gambe.

− Mi amerai anche quando succederà? –

Si abbassa su di me.

Lui lo sa, vero?

Lui lo sa cosa sta per succedere.

L'odore torna, ma non il suo, non quello piacevole.

Più mi avvicino all'orgasmo, più torna.

Ma che ci posso fare? Come posso allontanarlo?

Non posso.

Quel che devo fare è respirarlo a pieni polmoni, e imparare come sopportarlo.

Affondo le unghie sulla sua schiena, lui si avvicina a me.

− Ti amerò sempre come ti ho sempre amato. –

Respiro con un rumore soffiato, stanco.

Chiudo gli occhi.

− E allora fallo. –

Morde la mia spalla.

Il calore si accende.

Viene lui, vengo io, mi sembra di scomparire e quando riapro gli occhi non sono sul letto, non sono nella vasca da bagno e non sono nudo, ma sono in piedi, vestito con una maglietta non mia, in un bagno che non conosco.

L'odore è...

È ovunque.

È dappertutto.

Più forte di prima, più forte del solito, acido e chiaro, ora, nella mia mente.

Atsumu mi parla, o meglio, mi urla nella testa. Piange e strepita ed è furioso, disperato. Non ce la fa, a rivivere la consapevolezza, non ce la fa, a vederlo una volta ancora.

Vedere che cosa?

Non mi sono mai perdonato per aver vomitato, quella volta. Come potevo? Come poteva la mia mente dirmi che dovevo? Come potevo rifiutarmi di toccare chi amavo e cercavo come l'aria con cui riempire i polmoni? Come, Atsumu, come? Ti amavo e tu soffrivi proprio per questo.

Lui ha vomitato, ecco cos'è quell'odore.

Avete fatto sesso, in un modo come quello che ho vissuto io, romantico e sensuale e totalizzante, e quando ti sei svegliato, Kiyoomi ha vomitato.

Lui ti ha trovato disgustoso così tanto da doverti buttar fuori da se stesso.

Ecco cosa ti ha distrutto, Atsumu.

Non ti ha distrutto la vita che conducevi, non ti ha distrutto il dolore che ti davi da solo, non ti ha distrutto l'essere un fallito nello studio o con le altre persone.

Ti ha distrutto che non eri speciale per lui.

Ti ha distrutto che pensavi ingenuamente di essere diverso dagli altri, per lui, più importante, l'unico a poterlo toccare, l'unico che aveva il beneficio di farlo, e invece non era vero, invece non eri altro che uno fra tanti.

Sapevi che sarebbe finita male, ma credevi che quel finale tragico non t'avrebbe fatto niente, perché tu trascendevi la realtà, perché tu tanto avevi Kiyoomi, che amava solo te.

Sapevi che la tua vita era uno schifo, ma se lui t'avesse trattato come se valessi qualcosa, Atsumu ti saresti sentito soddisfatto lo stesso.

A te ha distrutto sapere che non eri così importante.

Che eri umano.

E che non potevi guarirlo.

Ti ha distrutto avergli fatto del male.

Ti ha distrutto che la tua vita non era una fiaba dove avresti salvato il tuo principe baciandolo.

Ti ha distrutto essere il "fuori" che faceva paura.

Mi diventano le ginocchia molli quando vedo Kiyoomi col braccio appoggiato sul water, il viso pallido che tende al verdognolo, gli occhi pieni di rimpianto.

A te ha distrutto scoprire che non eravate voi due contro il mondo.

Ti ha distrutto sapere che eri solo.

Ti ha distrutto dove combattere anche con lui.

È sudato, in mutande, trema.

Ti ha distrutto qualcosa che però, ora, Atsumu, non c'è più.

Lo sento respirare, ora, nella mia testa. Non urla più, non piange, respira.

Atsumu, mio Atsumu.

Non sei da solo.

Siamo insieme.

Questo non è il tuo mondo, questo non è il tuo destino, questo non è il tuo dolore. Questo è nuovo, è ripetuto, è cambiato.

Non esiste più, quella vita, qui.

Non averne paura.

È finita.

E non può tornare.

Il primo passo verso Kiyoomi è incerto, ma i successivi non più. I successivi sono il frutto di un futuro che voglio costruire, che mi merito di costruire, lontano dalla realtà che è passata, è successa.

Il Fato è un figlio di puttana, non lo è?

Lo è.

Lo è stato.

Ma qualche volta te la dà, la chance di ricominciare.

E tu la devi prendere e non guardarti attorno, ed è quello che ho intenzione di fare.

Arrivo accanto a lui che l'odore mi disgusta, mi disturba e mi rompe in due metà che soffrono troppo, ma lo ignoro e scendo sulle ginocchia, sul pavimento del bagno.

Non tremo e non parlo, quando lo tocco.

Avvolgo le braccia attorno a lui, metto la fronte sulla sua schiena.

Trema.

− Noi non siamo più questo, Kiyoomi. –

Piange, piange forte.

Non l'avevo visto piangere, la prima volta che ho vissuto questa scena.

− Noi possiamo andare avanti. –

È freddo, è spaventato, più di me.

− Non credo di avertelo detto la prima volta che è successo, Omi, ma ti amo. Ti amo qualsiasi cosa accada. Ti amo a prescindere. –

Si rilassa appena contro di me.

Bacio lo spazio fra le scapole.

− Non siamo riusciti a parlare, quella volta. Ma volevo chiederti scusa, Atsumu. Scusami, davvero, io... −

− Non c'è bisogno che ti scusi. –

Stringo più forte, lui aggrappa le mani alle mie, piange ancora, piange più forte.

− Io non volevo farti male, io non volevo farti soffrire, ma non potevo farci niente. Mi dispiace, Atsumu, scusami, scusami, scusami... −

Anche a me scendono lacrime sul viso, mi rendo conto.

Cerco di respirare, cerco di prendere fiato.

− Kiyoomi, ricominciamo. –

Rimane zitto.

− Ricominciamo. – ripeto.

Già, ricominciamo.

Magari non andrà bene.

Magari andrà tutto male.

Ma possiamo farlo, noi possiamo farlo.

− Ti amerò in ogni vita che verrà, lo sai, vero? – mormora con la voce soffusa di chi non riesce a smettere di piangere.

− Lo farò anch'io, perché non può esserci un'anima di Atsumu senza che ci sia da qualche parte un'anima di Kiyoomi con lei. –

Codificati per essere in due.

Credevo che fosse il mio mondo, ad essere comandato dall'amore, dall'anima gemella, dalla ricerca di qualcuno.

Ma non sono forse tutti i mondi così?

Non era forse anche il loro, così?

Fatto per condividere.

Non c'è un mondo in cui non staremo assieme, Kiyoomi, anche se saremo distanti, anche se ci faremo del male, anche se romperemo ogni osso del nostro corpo l'uno nell'altro.

Perché è un mondo da condividere.

E noi sappiamo condividerlo solo fra noi due.

Non so dove cadremo, non so che dolore ci faremo, non so che ferite apriremo l'uno sull'altro.

Ma staremo assieme, perché se no non saremmo noi.

Chiudo gli occhi una volta ancora e stringo forte, lo stringo forte fra le braccia, come se potessi portarlo via con me, tenerlo con me.

E quando li riapro, nell'acqua fredda di una vasca da bagno, lui non c'è, ma c'è un nome e c'è un posto scritto nella mia testa, e so che il momento è arrivato.

Mi tiro su, apro il bocchettone, mi asciugo di fretta.

Esco completamente nudo in corridoio prima di buttarmi in camera.

− 'Tsumu, coglione, vestiti! Che fai? –

− Devo andare, 'Samu, ti spiego dopo. –

Prendo un paio di pantaloni a caso, una felpa ancora più a caso, infilo calzini diversi, lego male le scarpe, caccio al fondo della tasca le chiavi.

− Oh, ma dove cazzo sca... −

− So dov'è, Osamu, so dov'è. –

Rimane fermo immobile, lo specchio di me che da me è però così diverso, a fissarmi con gli occhi sbarrati.

− Se mi torni con un cesso come anima gemella, io giuro che ti disconosco. –

Rido.

− Non è un cesso, 'Samu, è parecchio bello. –

− L'hai visto? –

Annuisco sorridendo sotto i baffi.

L'ho visto, sì, l'ho visto.

− Com'è fatto? È alto? È basso? Di che colore ha i capelli? Come... −

− È alto almeno una decina di centimetri più di noi, hai i capelli neri, è molto bello. Si chiama Kiyoomi. –

Rimane con le sopracciglia accigliate mentre mi vede prendere il telefono e incrocia le braccia al petto.

− È una brava persona? Che cosa ti ha detto? Perché l'hai incontrato? –

− Abbiamo fatto sesso, 'Samu. –

Apre ancora di più gli occhi, se è possibile.

− Eh? –

− Abbiamo fatto sesso. –

− E tu sei stato... −

− Non dovrebbe interessarti, ma sotto. –

Vedo la sua faccia zittirsi e poi... mi prende in giro, vuole farlo, ma non gliene do il tempo. Lo supero, mi sporgo per stampargli un bacio sulla guancia, e vado verso la porta.

− Senza di te non ce l'avrei mai fatta, Osamu. Grazie di tutto. –

Rimane interdetto ma non vedo la sua interdizione, perché esco di casa, scendo le scale e inizio a correre.

Fa freddo, ha sempre fatto freddo, in questa storia.

Fa freddo mentre le mie gambe mi portano poco distante da qui, nello stesso quartiere residenziale dove viviamo, vicino ad un centro commerciale con le luci al neon che mi ricordano quelle che ho visto prima, fuori dalle finestre della camera dov'eravamo io e Kiyoomi.

Non so cosa ci sia nella mia testa.

È inspiegabilmente zitta.

Mi dice dove andare e dove girare, ma non si esibisce in pensieri lunghi e concatenati, non cerca di affossarmi o di spiegarmi, rimane in silenzio.

Kiyoomi ti faceva quest'effetto, Atsumu, non è vero?

Stavi così male, senza di lui.

Ma quando poi c'era, era come se potessi finalmente addormentarti dopo tanta insonnia.

Meraviglioso Kiyoomi, eri salvezza anche quando eravamo disperati.

Mi sembra...

Di essere impaziente.

Mentre vedo la porta aperta, mentre vedo la scritta "affittasi" sul muro, mentre m'imbuco in un complesso di appartamenti che non conosco.

Mi sembra di aspettare questa cosa da sempre.

Le scale sono tante, il posto che la mia testa mi dice di raggiungere è in alto, ad uno degli ultimi piani.

Atsumu, l'altro Atsumu, mi dice che prendevo l'ascensore, prendevo sempre l'ascensore, perché le mie gambe erano deboli e mi facevano sempre male.

Salgo sulle scale correndo.

Atsumu, l'altro Atsumu, mi dice che la porta l'afferravo sempre con timore, quando metto la mano sulla maniglia, che sapevo alla perfezione la strada minuscola dall'ingresso al bagno che c'era lì accanto.

Atsumu tace quando apro senza nessuna paura.

Atsumu sta zitto.

Tutto sta zitto.

Passo, un altro passo, un altro ancora.

− Qui è dove tutto è finito. – dice una voce che mi fa sorridere. Mi fa tremare, ma mi fa sorridere.

− Credo di sì. –

Rimango in silenzio, fisso la porta aperta della camera.

C'è un letto.

Io so che cosa è successo su quel letto, e non è il sesso che ho vissuto, non è quello.

Credo che ci dobbiamo separare, ora, Atsumu. Credo che sia arrivato il momento di lasciarci, credo che sia arrivato il momento di vivere ognuno la nostra strada.

Sii Selene ed Endimione, tu, dormi mentre aspetti che la Luna venga a trovarti.

Sei importante, sei dolce, sei rotto, Atsumu.

Lo lascio fluire in me un'ultima volta, per dire un addio che vuole dire.

Si gira, quell'Atsumu dentro di me, per guardare gli occhi di chi lo ha salvato.

− Sono così felice che tu non sia una farfalla, in questa vita, Kiyoomi. –

Sorride, quell'altro Kiyoomi.

− Addio, Atsumu. Atsumu, mio Atsumu. –

Il momento in cui tutto scompare, non è l'esplosione che c'è stata quando ci siamo incontrati senza saperlo, non è il mondo che si spacca e si apre e ci inghiotte, no.

Il momento in cui tutto scompare, è un battito d'ali.

Atsumu mi sembra che mi dica che mi vuole bene, prima di svanire nel nulla.

Non c'è.

Non c'è più.

È finita.

O forse non lo è.

Forse è appena iniziata.

Sorrido a trentadue denti, quando sbatto le palpebre e i miei occhi mettono a fuoco un viso che conosco ma che non vedo l'ora di scoprire.

− Tu sei Kiyoomi, non è vero? –

Sorride anche lui.

È alto com'era in quella realtà, è alto e bello.

Porta una mascherina chirurgica incastrata sul gomito, sopra la giacca di pelle, è completamente vestito di nero.

Fa un passo.

− Sakusa Kiyoomi, ventun anni, sono piuttosto sicuro che tu sia la mia anima gemella. –

Sono lì prima di rendermene anche solo conto.

Basta uno battito di ciglia, ed eccomi che stringo le braccia attorno a spalle più larghe delle mie.

− Miya Atsumu. – mugugno con la faccia spiaccicata contro il suo maglione, premuta fortissimo come se potessi fondermici dentro.

− Sei una cozza, Miya Atsumu, non è vero? – chiede scherzando, tenendomi le spalle senza timore, lasciando scorrere le mani fino al mio collo e ai capelli rasati di fresco sulla nuca.

− Sono una cozza spaziale, Sakusa Kiyoomi. –

− Sei un cretino. –

Ride e rido anch'io, ma non mi stacco.

Respira, prima di stringermi più forte, con più significato, più intenzione.

− Tu hai ancora paura del mondo, Kiyoomi? – mormoro con un filo di voce.

− E tu lo odi ancora? –

Silenzio.

Silenzio che si spezza quando mi stacco dal suo petto e guardo in alto.

Ho cercato così a lungo i tuoi occhi, Kiyoomi.

Così a lungo.

Neppure sapevo di starli cercando, quando li cercavo.

− Non lo odio più. –

− E a me non fa più paura. –

Mi mette le mani sul viso, lo prende con le dita che lo trattano come se fosse di vetro.

− Allora ricominciamo per davvero? –

Lancio uno sguardo attorno a noi.

Sì, Kiyoomi.

Sì.

Non c'è più niente di noi qui dentro.

Non c'è niente.

− Ricominciamo. –

Quando mi bacia, quel che si era separato sul cemento tempo fa, ritorna a posto.

Quando china il viso e le sue labbra incontrano le mie, quando sento il suo sapore, quando m'innamoro una volta ancora di quello che lui è come persona, tutto torna a posto.

− Andiamo via da qui, Atsumu. –

Mi sporgo per baciarlo una volta ancora.

− Andiamo via. E non torniamoci mai più. –

Sorride contro le mie labbra.

− Mai più. –

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

ok, abbiamo finito.

questo è... il mio regalo di natale, credo, un po' per me stessa e un po' per chi fra voi lo vorrà.

è stato...

non saprei nemmeno come spiegarlo. non mi capacito nemmeno di averla scritta, di essere riuscita a scriverla, di averlo fatto. mi rende molto felice, mi mette un po' l'anima in pace, non saprei davvero come dirlo.

credo che anche questa, come "la bellezza delle farfalle" sia un po' me, ma se quella era la parte brutta e negativa che terminava con un grammo di speranza, questa è decisamente un bel mattone di speranza.

mi rende davvero felice.

non so nemmeno perchè.

mi fa sorridere tanto, questa storia.

vorrei dirvi tante cose ma la verità è che non credo di aver null'altro da raccontarvi, credo di aver in un qualche senso parlato attraverso le cose che ho scritto e non so cos'altro potervi dire, quindi davvero, sono rimasta a corto di parole.

spero che a voi sia piaciuta, spero che vi abbia divertito o intrattenuto, magari toccato in qualche punto o magari anche no, che comunque non sia stata noiosa,

vi auguro un buon natale

vi voglio bene,

mel :D

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