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𝚌𝚒𝚛𝚌𝚕𝚎𝚜

⟿ ✿ ship :: TodoDeku

➭ ✧❁ SMUT alert :: "Troppo serio per questo mondo."

➥✱ song :: "Circles", Kira

⤜⇾ parole :: 6.622

➠♡༊ written :: 14/02/21

⧉➫ genre :: fluff, smut

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

Non credo di potercela fare.

No, obiettivamente, con tutta la maturità e cognizione di causa del mondo, quando sento la sveglia suonare come un'ossessa alle sei del mattino direttamente nelle mie orecchie penso di non potercela fare.

Apro un occhio, le ciglia folte che contornano il mio campo visivo e la nebbia della mattina che rende gli angoli appena appannati, un brivido di freddo che si infila sotto le coperte, qualcuno che si muove vicino a me.

Allungo il braccio, spengo la sveglia, rimango a fissare il soffitto.

E poi vengo catturato da un paio di braccia solide, trascinato indietro e la mia faccia è spiaccicata contro un pettorale letteralmente bollente.

− Non hai tolto la sveglia, ieri? - sento chiedere da Shoto, la voce rauca dal sonno, bassa e confusa, le mani che si chiudono sulla mia schiena, il respiro sulla fronte.

Oh, miseria.

Allora, per un po' di contesto spenderò giusto due parole a spiegare che cosa sta succedendo.

Punto primo, io e Shoto viviamo assieme. Cioè ci siamo messi assieme al secondo anno di liceo e siamo andati a convivere quando la UA ci ha fatto sloggiare con il nostro bel diploma, quindi è totalmente normale che sia qui a farmi arruffare da un Todoroki mezzo addormentato e - grazie a Dio - mezzo nudo.

Punto secondo, oggi è il quattordici febbraio.

San Valentino.

Il primo San Valentino che io e il mio ragazzo facciamo a casa nostra, senza esercitazioni pratiche, senza turni di lavoro sfiancanti, senza chiamate all'ultimo, senza pattuglie.

Io e Shoto da soli.

Il giorno di San Valentino.

E diciamo che ieri sera sono tornato a casa talmente tardi che il mio piano di fare i cioccolatini prima di andare a dormire è lentamente sfumato quando Todoroki mi ha svestito con la calma che lo contraddistingue, mi ha trascinato a fare la doccia e mi ha rimboccato le coperte.

Quindi, alle sei del mattino, un occhio aperto e uno che tenta di resistere, infreddolito e spiaccicato sul mio ragazzo, devo assolutamente alzarmi.

Raccolgo la forza di volontà in fondo allo stomaco.

So che fare il cioccolato al tuo ragazzo se ci stai assieme da cinque anni, lo hai visto in tutti i modi e sei perfettamente consapevole di amarlo con ogni cellula del tuo corpo è stupido.

Ma sorride quando glieli regalo.

Sorride come non sorride quasi mai.

Come se stesse guardando qualcosa di incredibilmente prezioso.

E poi diventa tutto goduto e contento, sorride e si crogiola nella sua felicità con le punte degli zigomi alti appena tinte di un tono rosato e tranquillo, e mette le foto su Instagram dove non mi tagga perché è timido ma vuole far vedere al mondo che lui ce l'ha, il cioccolato di San Valentino, e ce l'ha per davvero.

È un ragazzo freddo, all'apparenza.

Ma Shoto Todoroki adora, adora alla follia l'affetto.

E sono fierissimo di dire che se quell'affetto proviene da me, allora lo adora ancora di più.

− Shoto, puoi spostare il braccio? Devo alzarmi. - riesco a mugugnare contro il suo petto, il naso che affonda nella pelle che ha un odore che non saprei descrivere, ma che trovo accogliente.

− È presto, dormi. -

− Devo fare una cosa, su, spostati. -

Sento la sua gola grattare appena in quello che sembra uno sbadiglio poco convinto, il braccio attorno a me si scoglie e torna verso il suo corpo, sale e scosta i capelli via dalla fronte.

− Poi torni a letto? - chiede ancora.

Sorrido, il viso che mi si scalda.

− Quando avrò finito sarai tu ad esserti alzato. -

Spalanca gli occhi di colpo. Grandi, diversi, brillanti e tremendamente assonnati.

− Ci metti così tanto? No, no. - borbotta, cercando con lo sguardo il mio, il volto teneramente preoccupato.

Mi avvicino per riuscire a premere la punta del naso contro la sua, e premo le sue labbra sulle sue giusto un attimo.

− Shoto, sono in cucina. A due stanze di distanza. Non sto partendo per la guerra. -

La mia mano corre contro la sua guancia e la sua vola al mio fianco.

− Lo so, ma sai che mi piace stare sul letto a non fare niente con te. -

Arruffo il naso, e so che le lentiggini si piegano sulla mia pelle quando lo faccio.

Il mio ragazzo mugugna un'altra volta, le dita che stringono delicatamente la pelle coperta dalla maglietta, il volto che si avvicina al mio.

− Non vuoi rimanere qui? Ci facciamo un po' le coccole, dormicchiamo, magari dopo facciamo sesso... mi sembra un ottimo programma. - prova un'ultima volta a convincermi.

E sono tentato.

Tentatissimo.

Perché quest'uomo è sensuale, è bello, ha un buon odore, è l'amore della mia vita ed è stranamente un talento dei grattini fra i capelli.

Ma un'altra cosa che mi tenta è il suo viso quando gli porgo i miei cioccolatini fatti in casa mentre gli bisbiglio che lo amo.

E quella cosa la posso vedere solo oggi.

Lo bacio piano, con calma, per rassicurarlo.

E poi ridacchio uscendo dal letto.

− E questo non vuol dire che non ci facciamo le coccole o che non facciamo sesso. La cosa è solo rimandata, non farti strane idee. - commento, di fronte al suo volto di pura offesa che mi fissa, mentre sgattaiolo fuori dalle coperte e corro verso l'armadio per prendere qualcosa da mettermi che non sia una maglietta troppo larga con su scritto "maglietta" comprata in sconto al centro commerciale.

Nonostante tutto non sembra davvero arrabbiato.

Aggrotta le sopracciglia e basta, prima di rigirarsi con un "come vuoi" e rimettersi pacificamente a dormire.

Altra cosa da aggiungere alla lista innumerevole di cose che Shoto è ma non sembra, è pigro. Se si sente a suo agio e non ha l'ansia di essere in un posto che non lo fa sentire tranquillo, è capace di dormire quindici ore filate senza muovere un dito.

E vicino a me, di nuovo per mio puro e unico vanto, dorme davvero bene.

Sorrido fra me e me al pensiero, mentre rovisto fra i cassetti e punto direttamente alla felpa enorme del merchandise del mio ragazzo che so gli piace parecchio.

E tanto che ci sono, perché sono bello e sensuale ma anche infreddolito, tiro su anche un paio di calzini pelosi.

Forse avrebbe più senso mettere dei pantaloni.

Ma a Shoto piacciono le mie gambe, e a me piace piacere a Shoto, ed è San Valentino quindi si merita qualche accortezza, quindi decido che i calzini pelosi sono un compromesso assolutamente accettabile.

Vado in bagno, mi lavo i denti, mi guardo allo specchio e mi ritrovo a pensare come sia possibile che i miei capelli siano ogni giorno di una forma diversa, alzo le spalle, e arrivo, dopo quella che è sembrata una vita, finalmente in cucina.

Ho imparato a cucinare da mia madre.

Mia madre è una gran donna, lo è sempre stata, e penso che a parimerito con il bellimbusto che si rotola fra le coperte in camera da letto stia decisamente in cima alla piramide di persone a cui voglio bene.

È che siamo sempre stati io e lei, e nonostante non fosse facile ha sempre fatto del suo meglio per me.

Se sono così, oggi, lo devo alla mia mamma.

E anche il modo in cui raggiungo lo sportello più alto della dispensa, un po', l'ho preso da lei.

I cioccolatini che faccio a Shoto sono una cosa semplice, niente di particolarmente elaborato, ma la ricetta di mia madre è sempre infallibile e lui la adora.

Mescolo gli ingredienti fischiettando tra me e me, e un po' impreco quando versando la farina nell'impasto una nuvoletta bianca esce dalle pieghe della confezione e mi sporca la felpa.

Quando cerco le fruste, di nuovo, un brivido di fastidio mi corre lungo la schiena.

Sono cresciuto dal liceo, ho le spalle appena più larghe, i muscoli più definiti, il viso meno infantile.

Ma non sono diventato più alto.

Shoto è praticamente una torre, e io sono rimasto lo stesso minuscolo essere con i capelli verdi.

Quindi la frusta sul ripiano più in alto della cucina, da prendere, è complessa. Appurato che non voglio mettermi a fare i numeri da circo che faccio a lavoro anche a casa, ovviamente.

In ogni caso la soluzione, l'unica, che mi viene in mente, è arrampicarmi.

E lo faccio, nonostante la cosa mi imbarazzi, perché devo fare i maledetti cioccolatini, e devo vedere Shoto sorridermi, e, ed è giusto perché siamo giovani e siamo innamorati, dobbiamo fare sesso.

Quella frusta era necessaria.

Ridacchio fra me e me mentre verso l'impasto negli stampi a forma di cuore, infilando un pezzettino intero di cioccolata bianca nei dolcetti per farla sciogliere all'interno, pensando che sì, quest'anno verranno bene, e quest'anno sorriderà ancora più degli anni scorsi.

E poi, via in forno.

Non ci devono rimanere molto.

Di fatto, giusto il tempo di fare colazione.

Mi prendo un secondo per fare capolino in camera, e Shoto mi sembra più che contento di rotolarsi fra le coperte anche da solo, quindi caccio le mani nel frigorifero, tiro fuori uno yogurt a qualche frutto esotico che era in offerta, e mi appollaio sul bancone della cucina a gambe incrociate a mangiare.

Non è la migliore delle colazioni e qualcuno potrebbe dire che per San Valentino meritavo i pancake con il miele e i frutti di bosco direttamente appena sveglio, ma potrei mai svegliare quel cadavere sul letto?

Fisso il mio riflesso sullo sportello del forno.

Ho il viso arrossato, cucinare accalda più di quanto non si pensi, i riccioli verdi che cadono sulla pelle costellata dalle lentiggini, un sorriso idiota in volto e le mani che non arrivano alle maniche della felpa, i calzettoni fino alle ginocchia e le cosce nude in bella vista.

Casalingo.

Un po' ridicolo, forse.

Familiare.

Non faccio niente mentre i miei cioccolatini si cuociono.

Rimango fermo a pensare.

A pensare alla collana che mi pende al petto, alla catenina d'argento con un anello infilato dentro, che avevamo paura di perderlo a lavoro e abbiamo optato per questo, i diamanti nascosti fra la pelle e il tessuto della maglietta.

Il primo regalo serio che mi abbia mai fatto, con la carta di credito di suo padre e un'espressione soddisfatta in viso.

Voglio bene, a quest'anello. Davvero, davvero bene.

Rovisto nella tasca della felpa e guardo il cellulare, scorro la homepage di Instagram ridacchiando alle varie foto dei miei amici postate stamattina.

Bakugō, che finge di essere aggressivo e scostante ma muore per le attenzioni di Kirishima, appare seduto a gambe incrociate sopra il suo fidanzato, la nuca contro il suo petto e le dita incrociate con le sue, Uraraka dorme con la testa di Tsuyu appoggiata bellamente sulle tette, Shinso e Kaminari come al solito devono essere sopra le righe, i loro corpi intrecciati con solo le lenzuola a coprire dalla vita in giù perfettamente catturati dallo specchio a fianco del letto.

Non mi sorprenderebbe sapere che stavano facendo sesso, quando hanno fatto quella foto.

Kaminari è un tipo... frizzante, e Shinso proprio non sa dirgli di no.

E metto like a tutti, perché sono adorabili, ma penso egoisticamente che il loro San Valentino non possa avvicinarsi al mio.

Perché io ho Shoto.

E basta questo.

Il timer suona e ci metto un attimo a rendermene conto, quando scendo dal bancone e infilo le presine sulle braccia tirando fuori la teglia con delicatezza.

Profumo di cioccolato, per tutta casa.

E una voce.

− Sapevo che eri venuto a fare i cioccolatini, ma mi ero dimenticato di quanto cazzo fossi bravo a cucinare. - sento dire, e sobbalzo, quando una figura appare dal corridoio, petto nudo e pantaloni della tuta buttati su giusto per coprirsi, e mi si avvicina.

Sorrido e arrossisco quando mi riprendo.

− Lo... lo sapevi? -

− Certo che lo sapevo. Li fai tutti gli anni, e li amo. Ti avrei lasciato, e lo sai meglio di me. - ribatte ridacchiando, e allungando la mano sinistra verso la teglia, le dita ricoperte da una patina di ghiaccio.

Lo osservo prenderne uno senza il minimo problema e infilarlo in bocca con un'espressione soddisfatta.

E poi, eccolo.

Mi manca il fiato.

Shoto che si gira verso di me, arrossisce appena, pianta gli occhi eterocromatici sui miei e con un'intensità che è tipica solo sua, sorride.

Sorride per me, sorride di me, sorride con me.

I cioccolatini ne valevano assolutamente la pena.

− Sono incredibili, Izuku. - commenta, a bocca piena.

− Dici? Se me ne raffreddi uno lo assaggio. -

Obbedisce, e quando anche io affondo i denti sulla pasta, non posso che convenire.

− Oh, sì, cazzo, sono allucinanti. -

Faccio per prenderne un altro ma mi lancia un'occhiataccia.

− Giù le mani. Sono miei. -

− Ma li ho fatti io! -

− E allora? Sono miei. -

Alzo gli occhi al cielo.

− Non fare il testardo, Shoto, su, dammi un cioccolatino. -

Alza un sopracciglio, interdetto, poi sbuffa e si allunga per prenderne un altro.

− Apri la bocca. - ordina.

Mi viene da ridere, perché è un po' ridicolo che voglia imboccarmi, ma decido che è anche adorabile e obbedisco.

Mi regge il mento con la mano libera mentre infila tutto il cioccolatino nella mia bocca e lo molla lì, come se nulla fosse.

È... troppo... grande. Cioè, ci metto una vita a masticarlo. Andava diviso in due morsi.

− Tutto bene? - mi chiede, al ventesimo minuto di masticazione intensa.

Lo guardo male.

− Questa roba è enorme in bocca, Shoto, non potevi darmene metà? -

E poi mi rendo conto.

Shoto è un ragazzo semplice, è uno serio che pensa in maniera lineare, e dirà solo quello che pensa.

E quello che pensa è esattamente quello che esce dalle sue labbra.

− Ti ho visto mettere in bocca cose ben più grandi, Izuku, e farlo anche spesso. -

Arrossisco fino alle orecchie. Completamente viola mentre sbatto le nocche contro il suo bicipite piano e tossisco via l'imbarazzo dalla mia gola.

− Ma che dici? -

− La verità. -

Troppo serio per questo mondo.

Cerco di tornare ad una temperatura normale sfilandomi via dal suo campo visivo per infilarmi di fronte al lavello e iniziare a lavare almeno qualcuna delle ciotole che ho usato per cucinare qualche istante fa, ma penso ormai di non avere più scampo.

Non quando sento un corpo solido, alto, muscoloso che si preme contro la mia schiena, il mento sopra il centro della mia testa, le mani sui miei fianchi.

− Ecco, ora che ci ho pensato mi è venuta voglia di vedertelo fare ancora. - mormora, e riconosco immediatamente il tono.

Shoto è un uomo chiaro, deciso, stranamente comprensibile quando lo si conosce.

Ci sono cose che rivelano in maniera davvero precisa come si sente in un determinato momento.

E una di quelle è decisamente il tono della voce, basso, lievemente roco, trascinato, serio.

Direttamente dalle sue labbra al mio orecchio.

− Co... cosa? - provo a cavarmela, il mio viso che inizia a scottare.

− Che fai, il finto tonto? Vuoi sentirmelo dire ad alta voce? -

Ok, ora non scioccatevi. Ho ancora quindici anni? No, ora sono grande, adulto, vaccinato e soprattutto, amo il mio ragazzo. E amo il sesso con il mio ragazzo. E amo il sesso in generale.

Quindi, nella più totale facciata d'imbarazzo, rispondo.

− Forse. - la mia voce è sottile, intimidita, ma chiara.

E potrei scommettere che Shoto sta sorridendo anche senza guardarlo.

− Mi è davvero venuta voglia di vederti in ginocchio che me lo succhi, Izuku. Va meglio? Più esplicito? -

Divento della temperatura del sole, ma non posso negare il brivido di assoluta impazienza che mi corre nelle vene. Non posso.

Non posso assolutamente.

Mollo la ciotola nel lavabo, il vetro che sbatte contro la superficie rigida con un rumore acuto, chiudo il rubinetto, mi asciugo le mani.

E poi, mi giro.

Shoto è passionale.

Ha gli occhi infiammati quando facciamo questo genere di cose, ribolle letteralmente del fuoco travolgente della sua parte destra, la pelle che scotta e le pupille che brillano.

Mi fissa così intensamente che mi sembra di essere solo al mondo.

Solo con lui.

La prima cosa che mi concedo di fare è baciarlo.

Afferrare il suo collo con le mani e premere forte le labbra sulle sue, aperte, morbide, le lingue che si intrecciano e i nostri fiati che si mescolano.

Sa di cioccolato.

Mi stacco sorridendo.

− Erano davvero buoni, quei cioccolatini. - commento, leccandomi le labbra.

Annuisce.

− Te l'ho detto, Izuku, incredibili. -

Sento una delle sue mani corrermi al viso, il pollice che disegna una linea chiara sulla guancia lentigginosa, lo sguardo che si fa più dolce.

− Tu sei incredibile. Sono fortunato, ad averti. - mormora poi.

Il cuore mi si stringe nel petto, tanto da farmi quasi male.

Mi chino e lo bacio un'ennesima volta.

− Dio quanto ti amo, Shoto. -

Rimarrei qui a specchiarmi negli occhi dell'amore della mia vita per ore, potessi. Ma con la stessa foga riprendo il filo del discorso di prima, il calore che torna a pungolarmi la pelle e l'eccitazione che ricomincia a scorrermi nelle vene come metallo fuso.

Spingo con i palmi aperti Shoto indietro, aiutandolo a muovere un passo dietro di sé, giusto per formare uno spazio fra il suo corpo e il bancone che mi preme sulla schiena.

Poi mi metto in ginocchio.

Amo farlo.

Non prendetemi per un pervertito, ma amo davvero farlo.

C'è qualcosa di potente, e fiero, nel far star bene qualcuno in questo modo. Averlo letteralmente in mano, poterlo manovrare a proprio piacimento. È soddisfacente.

E poi mi piace il modo in cui Shoto mi fissa come fossi incredibile e bellissimo e volesse adorare ogni centimetro di me per come lo faccio sentire.

Quando corre con una mano ai miei capelli, le dita che ci si intrecciano in mezzo e un sorriso a metà sulle labbra, riconosco lo sguardo di cui parlavo.

Eccitazione, impazienza, gratitudine.

− Sei bellissimo in ginocchio. - commenta, e sorrido.

Sorrido senza vergogna.

Allaccio le mani alla sua vita, i muscoli che si sentono sotto il movimento delle mie stesse dita, mi aggancio ai pantaloni della tuta.

− Pronto? - chiedo, leccandomi le labbra e sentendo il suo sguardo bruciarmi letteralmente nella pelle.

− Prontissimo. -

Ok, sì, forse la scenata del cioccolatino troppo grande in bocca potevo risparmiarmela. No, perché questa cosa è sempre più enorme ogni volta che la vedo, e la vedo anche piuttosto spesso, devo ammettere.

Come faccio a prenderlo tutto? Ne sono davvero in grado? Cioè so di esserne in grado, ma così, a vista, mi sembra un'impresa scioccante.

La mia nuca sbatte appena sullo sportello del bancone, una mano che inizia a muoversi piano lungo tutta l'erezione - e devo ammettere che non mi aspettavo fosse così eccitato - di Shoto, le palpebre semichiuse.

Alzo gli occhi quanto basta per vedere il suo labbro inferiore catturato fra i denti, le guance appena appena tinte di rosso.

− Ti piace quel che vedi? - chiedo, il tono più provocante di quanto abbia intenzione di far uscire.

Annuisce.

− Mi piace molto. -

Ogni persona ha gusti diversi.

Attitudini, passioni, e, in questo caso, preferenze sessuali.

Di Shoto le conosco tutte, credo. Alcune probabilmente nemmeno lui le sa ancora, quindi rimangono ancora da scoprire, ma quelle di cui è consapevole penso di averle tutte sperimentate almeno una volta.

E una delle sue preferenze, una delle cose che lo fa impazzire è il contatto visivo.

Non so se sia che si sente più al centro dell'attenzione o più a suo agio, ma lo fa impazzire come poche altre cose.

Per cui, quando apro leggermente le labbra e do una minuscola prima leccata alla punta dell'erezione che stringo in mano, non stacco gli occhi dai suoi, e osservo compiaciuto le sue pupille dilatarsi, il corpo che si irrigidisce e trema appena.

Mi osserva e lo fa intensamente.

A riprova della mia convinzione, quando distolgo lo sguardo per un istante, giusto per guardare quello che sto facendo, le sue dita tirano i miei capelli indietro.

− Guarda me. - commenta.

E più che contento, lo faccio.

Di nuovo, non prendetemi per pervertito, ma potrei fare questa cosa ad occhi chiusi, quindi non è un gran problema.

Le labbra si aprono di più, la lingua al fondo della bocca striscia appena sulla parte inferiore di Shoto che entra dentro di me, la saliva inizia ad accumularsi agli angoli della bocca.

Una delle mie mani, quella che lo teneva dalla base, si scoglie e si accoda all'altra sul suo bacino, mentre lo spingo più a fondo, più convinto, più veloce.

Sa cosa sto cercando di fargli fare.

Sa che gli sto chiedendo di smettere di trattenersi e sbattere la mia testa contro lo sportello, lasciar andare i fianchi contro di me, togliermi il fiato dalla gola.

Ma lo chiede lo stesso.

Aspetta che lo tiri fuori, le lacrime per lo sforzo che scendono dai miei occhi lucidi, poi stringe le dita sulla mia guancia.

− Posso...? - chiede, e il tono mi sta pregando di dirgli di sì.

Storco il naso.

− Così di prima mattina? Non sei un po' impaziente, Shoto? San Valentino è la festa degli innamorati, non quella del sesso. - ribatto, prendendolo palesemente in giro solo per ridacchiare alla fine.

Alza un sopracciglio.

− Ma io amo fare sesso. Non vale? -

Touché.

Penso valga.

Sorrido, bacio la punta della sua erezione guardandolo dritto negli occhi.

− Puoi. -

Condanna a morte? Condanna a morte.

No, perché Shoto sembra carino e coccoloso - e forse lo sembra solo a me - ma se ci si mette, è piuttosto aggressivo.

E la mia nuca che sbatte ripetutamente indietro, la gola che si stringe e si svuota con il ritmo del suo bacino e la mano salda fra i miei riccioli la dicono lunga.

Non che non mi piaccia, anzi. C'è qualcosa di sensuale, di dolce e pacato nell'essere usato come un'oggetto in queste situazioni, però è faticoso, ecco.

L'aria che riesce a entrarmi nei polmoni è poca, quanto basta per non soffocare, credo, e piango più forte, ma non dico nulla, non mi lamento.

− Come... come cazzo fai? - lo sento chiedere, la voce spezzata, mentre entra completamente dentro di me e mi tiene fermo, il respiro mozzato, gli occhi pesanti.

Non posso rispondere.

E lo sa.

− Mmh, sei un po' una troia, non credi? -

Ecco, danno fatto.

Sì, mi piace. Mi piace essere un po' umiliato e mi piace che Shoto prenda il comando, e mi piace che mi guardi come se fossi solo e unicamente suo e mi piace che abbia quel tono soddisfatto e predatorio nella voce.

Mi scaldo.

Divento proprio bollente.

Le mie cosce premono una contro l'altra, per quello che riesco succhio piano, il naso ormai credo viola e gli occhi che sfarfallano verso di lui.

− Oh, sì, tu lo sai benissimo. - conclude.

E poi di nuovo diventa tutto davvero frenetico, questa volta a malapena capisco cosa stia succedendo.

So soltanto che trema, trema fra le mie labbra, e tremo anche io con le ginocchia premute le une contro le altre e l'eccitazione che brucia nelle vene e dopo una spinta particolarmente profonda, più a fondo di quanto non lo sia mai stato prima, viene.

Viene chiamando il mio nome, il mio naso a contatto con il suo corpo, la sua erezione perfettamente dentro la mia gola, le mie unghie a fondo sulla pelle dei suoi fianchi.

Pochi secondi.

Il suo orgasmo finisce e io respiro di nuovo.

Respiro e piango, ed è un riflesso corporeo, perché sono davvero, davvero felice.

− Avevo ragione, in bocca ti ci entrano cose molto più grandi. - borbotta poi, risistemandosi i pantaloni della tuta e aiutandomi a tirarmi su.

Stringe il mio bacino con le mani grandi e mi tira su facendomi sedere sul bancone.

I nostri visi sono sullo stesso piano, così.

Annuisco perché temo di avere ancora la gola un po' troppo roca per parlare.

Shoto si china e mi stampa un bacio sulla punta del naso, tirando via le lacrime che pur stanno diminuendo via dalle mie guance.

− Sei stato davvero bravo, Izuku, davvero bravo. - mi rassicura, il viso a pochi centimetri dal mio e il tono stranamente calmo e composto per qualcuno che fino a pochi secondi fa mi stava letteralmente scopando la bocca.

Singhiozzo.

− Abbracciami forte. - riesco a mugugnare, e lo vedo ridacchiare appena prima di stringere le braccia solide attorno a me e premermi contro il suo petto.

Mi lascio cullare per un istante dal calore del suo corpo che si sta scaldando.

Avere un ragazzo con il suo quirk è un dono del cielo, devo ammetterlo.

− Vuoi continuare qui? Vuoi andare in camera? - mi chiede all'orecchio, senza smettere di muovere le mani grandi sulla mia schiena in lenti movimenti rilassanti.

Respiro e il mio petto trema.

− Non... non lo so. Tu cosa vuoi fare? -

− Voglio ricambiare. Ti sei svegliato presto per farmi i cioccolatini e ti sei fatto fare... quello, mi sembra proprio egoista da parte mia non fare niente. -

Ricambiare?

Come?

Respira al lato del mio viso.

− Hai bisogno di ancora un po' di tempo? -

Dolce, tenero Shoto. Un minuto prima così impaziente quello dopo così premuroso.

Scuoto la testa.

− Fai quello che ti pare. -

Lo sguardo che mi lancia mi fa tremare le gambe da solo.

Si scioglie dalle mie braccia dopo avermi baciato un'ennesima volta, indietreggia di poco, chiude le mani sulla mia pancia.

Sono grandi e la mia vita stretta, per cui mi sembra quasi che le sue dita riescano a toccarsi, strette attorno a me.

− Dovrò ripulire la cucina dopo, temo. - commenta, prima di imitare il mio gesto di una decina di minuti fa e scendere in ginocchio, il suo viso che si riposa tranquillo sulla mia coscia.

− Dici? -

− Dico. -

Mi osserva per un istante, me e la mia mise casalinga con la felpa enorme e le calze di pelo.

− Sei adorabile, vestito così. Cioè non fraintendermi, sei adorabile sempre, ma così... cazzo. - commenta, facendomi arrossire.

− Gra... grazie. -

Infila le dita sotto i vestiti, alza appena le sopracciglia quando si accorge che sotto non porto i pantaloni. Né le mutande.

Ecco, diciamo che ero preparato.

Arrotola piano l'orlo della maglietta, incastrandolo a quello della felpa, e mi aiuta a tirare su il bacino per far sì che rimanga perfettamente scoperto, poi osserva la sua opera.

Diciamo che c'è qualche segno di troppo sulle mie cosce.

È che Shoto morde.

− Smetti... smetti di fissarmi. - borbotto, intimidito dal suo sguardo così diretto.

Scuote la testa.

− Perché? Non voglio. -

Arrossisco ancora.

Forse non è vero che sono nato senza quirk. Forse arrossire è il mio quirk. Perché la mia faccia è dannatamente bollente.

Si aiuta con i palmi delle mani e mi apre le cosce piano, il suo respiro che batte conto l'interno coscia quando appoggia il retro delle mie ginocchia sulle sue spalle, il mio bacino che esce dal bancone e rimane a metà fra il suo corpo e la superficie solida.

Non sono leggero.

I muscoli pesano.

Ma non sembra farci caso.

− Questo è il miglior San Valentino della mia vita. - mugugna, mordicchiando piano la giuntura fra la coscia e il mio culo, prima di leccarsi le labbra e fissarmi per un istante.

Prima di farlo.

Shoto è bravo in tutto quello che fa.

Certo non è il miglior comunicatore della storia, e forse un po' manca di tatto quando parla ai civili dopo averli salvati, ma questo, Dio, questo lo fa da artista.

La sua lingua, quando si appoggia dove so che spera di entrare fra poco, è fredda.

Ma non fredda come sarebbe fredda se fosse una persona normale.

No, è gelida.

E la mia testa cade all'indietro catturata in un gemito che non riesco a trattenere, quando la sento.

L'avevo detto che un ragazzo con il suo quirk è un dono del cielo, vero? No, perché lo è. Cazzo se lo è.

Anche le sue labbra sono fredde, mentre le dita, invece, iniziano a sfrigolare di un tepore che sento il triplo, mentre il gelo si spande su di me.

Il rumore è lascivo, quasi osceno, la saliva che si impasta contro la mia entrata e la mia voce che si piega nell'aria in versi che nessuno si aspetterebbe da qualcuno di timido e infantile come me.

Stringo le cosce.

Forte, attorno alla sua testa.

− Shoto, cazzo! -

Infila la punta della lingua dentro, prima con delicatezza e quando sente che non faccio resistenza più forte, più insistentemente, mentre sento la sua mano avvicinarsi a me.

− Vuoi che smetta per caso? - mi chiede poi, staccandosi giusto per osservare la mia espressione distrutta e sfinita.

− No, ti prego, no. -

− Non l'avrei fatto in ogni caso. -

Quando ricomincia, le dita si uniscono al movimento. Sono due e sono tremendamente bollenti a confronto della sua bocca, e si infilano dentro di me piano.

Troppo.

È troppo.

Osservo la sua testa fra le mie gambe, le ginocchia sulle spalle larghe, gli occhi che mi cercano per un istante e un sorriso strafottente che gli si forma in viso.

Spinge le dita più a fondo, e forse ora sono tre, e le piega appena verso l'interno.

Non mi rendo conto di venire, all'inizio.

Così in fretta, poi.

Praticamente subito.

Sento le mie gambe iniziare a tremare, violentemente, questa volta, il movimento in contemporanea della lingua e delle dita dentro di me che non smette, i miei occhi che ruotano verso l'indietro, il mento che sale.

Me ne accorgo quando sento qualcosa bagnarmi la pancia.

Quando riprendo coscienza del mio cervello.

Quando riesco a respirare di nuovo.

− Sho... Shoto, un attimo. - lo prego, quando vedo che non ha intenzione di fermarsi.

Alza lo sguardo verso di me, si ferma.

Poi inarca un sopracciglio.

− Non mi sembrava che volessi fermarmi, prima. Ma forse hai ragione, forse dovremmo fare qualcos'altro. -

Finisce di parlare e non riesco nemmeno a ribattere, il mio corpo che viene immediatamente ribaltato pancia sotto, una gamba tirata su e l'altra che penzola oltre il bancone, un paio di mani che mi tengono fermo.

− Shoto, aspetta! - tento, ma non mi sembra di ottenere nessuna risposta.

Anzi, quel che ottengo è letteralmente uno schiaffo.

Sul culo.

Che mi fa male ma mi fa anche tremare di impazienza.

− Non mi piaci quando dici le bugie, Izuku. -

Bugie?

− Scusami? -

− Come puoi pensare che possa crederti, quando hai quella faccia? È come se mi stessi pregando. -

Che faccia? La mia faccia?

E poi quando mi sento prendere il volto con una mano severa, girarlo fino ad osservarlo sul vetro del microonde, capisco.

Dio, la mia faccia. È troppo espressiva.

Ho le labbra gonfie, bagnate di saliva, gli occhi grandi e lucidi, le ciglia folte che sbattono le une contro le altre, il volto arrossato, il ponte del naso di un colore troppo acceso per essere nascosto.

Ho davvero una faccia che ne chiede ancora.

− Lo vedi, come sei? Quanto sei bello? - mi chiede, la voce bassa, aggressiva.

Annuisco come posso.

− Dobbiamo farlo qui... in cucina? - tento per l'ultima volta.

Ma a quanto pare, la risposta è scontata.

− Non ce la faccio a resistere. -

E probabilmente, non ce l'avrei fatta nemmeno io.

Tutto quello che so è che l'attimo dopo il mio bacino è lievemente ruotato verso l'alto, la mia mano completamente aperta sul muro al fondo della cucina, e Shoto sta entrando dentro di me.

Sarebbe servito, forse, un po' di lubrificante.

Ma la sua saliva rende il tutto sufficientemente scivoloso, e nessuno dei due ha alcuna intenzione di fermarsi per raggiungere il cassetto vicino al letto.

Anzi.

Non aspetta che mi abitui e io non gli chiedo di farlo.

Inizia a spingersi dentro di me immediatamente, la pelle che mi sbatte addosso in un rumore volutamente alto - e che ci causerà altre lamentele da parte dei vicini soprattutto perché dall'altra parte del muro della cucina c'è esattamente casa loro - e la mia voce che si esibisce in un gemito davvero acuto.

− Cazzo, come fai a essere sempre così stretto? Con tutte le volte che ti ho scopato fino a farti piangere non dovrebbe essere così. - sento commentare da dietro.

Che dire? Talento naturale.

Mostro il mio apprezzamento stringendo per un istante i muscoli interni.

Geme dietro di me.

Basso, gutturale.

Non si ferma.

− Da... da... dammi un bacio. - riesco a balbettare dopo qualche istante, il collo girato verso l'esterno per raggiungere il suo viso che si avvicina, le labbra aperte immediatamente sulle mie.

Mi bacia con la stessa foga con la quale entra dentro di me.

E le sue mani sono una gelida e l'altra bollente sulla mia vita, come se non riuscisse a controllarsi.

E quando fa così, so che ci saranno due belle impronte scure sulla mia pelle, domani.

Si stacca solo per prendere fiato, angolarmi meglio.

E poi colpisce esattamente il punto che voleva colpire.

E io ricomincio a piangere.

− Cazzo, lì, Shoto, lì! -

− Pensi che non lo sappia? -

Certo che so che lo sa.

Lo so perché so che è un bastardo, ad arrivarci gradualmente. A darmi quello che voglio con la lentezza straziante di chi sa che non andrò da nessun'altra parte.

Affonda i denti sulla mia spalla.

Si muove ancora.

Sempre più a fondo, sempre più a fondo, sempre più a fondo.

Ne uscirà mai?

Non credo.

Eppure continua, e continua, e io gemo e praticamente ora urlo e piango e forse persino sbavo sul marmo della cucina.

− Guarda come cazzo sei ridotto, Izuku. - lo sento dire poi, quando le spinte si fanno più serrate, più veloci.

− È co... co... colpa tua. -

Una mano corre ai miei capelli, ci si stringe dentro, tira indietro il mio corpo.

− Vorrei ben vedere. Tu sei la mia troia, non quella di qualcun altro. -

E di nuovo, esplodo.

L'eccitazione esplode dentro di me, più calda del fuoco che gli vedo uscire a lavoro dalla mano.

− Dio, sì. -

− Sì cosa? -

Inarco più la schiena, il viso tirato su a pochi centimetri dal suo.

− Sono la tua troia. -

Non posso vederlo ma so che sta sorridendo, in quel modo sicuro di sé e convinto da chi sa di essere il migliore.

E lo è.

Per me, lo è.

− Oh, cazzo, dillo ancora. - chiede poi.

E lo faccio, e lo faccio urlando, lo faccio gemendo, lo faccio in tutti i modi.

Forse non dovrei, perché ci sono persone a pochi metri, ma me ne dimentico.

Lo dico senza remore.

E qui, è dove entrambi perdiamo il controllo.

Dove tutto diventa confuso e rapido e incomprensibile.

Dove il suo bacino sul mio è implacabile, le spinte prendono un ritmo irregolare, dove i miei muscoli si tendono e la voce esce a prescindere dalla mia stessa volontà, dove i denti affondano nel mio labbro e dove entrambi veniamo.

E veniamo insieme.

E Shoto è dentro di me e io sono felice e soddisfatto e dannatamente innamorato.

E mi sembra di provare piacere da ogni angolo del corpo, prima di riprendere molto, molto lentamente coscienza dei miei stessi arti.

Mi accascio sul bancone della cucina che non penso di essere più in vita, il mio ragazzo che esce dal mio corpo e nonostante abbia le gambe molli rimane in piedi a guardarmi la schiena e ad accarezzarla con il movimento pacifico dei polpastrelli, un rumore di cui ci accorgiamo solo ora.

Qualcuno che bussa alla porta.

− Vai tu. Io sono morto. - è tutto quello che riesco a elaborare.

Shoto mi fissa.

− Ma sono nudo. -

− E rivestiti. -

Aspetta un istante, e poi conviene con me. Cerca i pantaloni della tuta che ha scalciato via in qualche momento che non ricordo e li infila con nonchalance.

Zompetta verso la porta.

− Tu rimani là, che devo pulirti. -

− E dove pensi che possa andare? -

− Oh, giusto. -

L'atrio è proprio accanto alla cucina, non si vede da qui ma si sente tutto. E si sente perfettamente Shoto che apre la porta e il bussare che cessa di colpo.

− Buonasera, signora, posso aiutarla? - dice.

Oh, giusto.

I vicini.

− Ragazzino, non mi chiami signora, ho trent'anni. E smetta di attaccare i quadri a quest'ora, che vorremmo anche dormire. - risponde la persona alla porta.

So che non sta parlando di quadri per davvero. So che sta cercando una metafora per evitare di metterci in imbarazzo.

Ma so anche che il mio ragazzo non lo sa.

− Ma io non sto attaccando i quadri, signora. È San Valentino, stavo facendo sesso. -

Vorrei colpire la mia faccia e la sua contemporaneamente.

Non ha neanche balbettato quando l'ha detto.

Zero.

Un rumore strozzato, come incredulo, perviene dalla vicina presumibilmente scioccata.

− E allora smetti di farlo, state disturbando la quiete pubblica. - alla fine è quello che riesce a rispondere.

− No. -

Shoto, sei davvero un idiota. Sei intelligente, in certe occasioni, ma sei anche un idiota. Un idiota che non capisce quando è il caso di annuire e levarsi i problemi di torno.

− No? Vuoi che vada a chiamare il padrone di casa? -

− Lo chiami. Dirò no pure a lui. -

Alzo gli occhi al cielo.

Lo amo, lo amo davvero troppo.

Allungo una mano verso la teglia al fondo del bancone, prendo un cioccolatino fra le dita, e ora sono freddi.

Lo infilo tutto in bocca.

Un San Valentino davvero di classe.

Il migliore della mia vita, ma forse non il più elegante.

La porta sbatte, e mi sono perso le ultime frasi, e mentre mastico vedo il mio ragazzo tornare totalmente tranquillo verso di me.

− La vicina vuole denunciarci per atti osceni in luogo pubblico. -

Alzo le spalle.

Poi il sapore del cioccolato bianco esplode nella mia bocca e mi dimentico di rispondere.

Anzi, lo guardo e spalanco gli occhi.

− Questi cioccolatini sono incredibili. −

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