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𝚋𝚊𝚌𝚔 𝚝𝚘 𝚝𝚑𝚎 𝚎𝚊𝚛𝚝𝚑 :: 𝟸

╰┈➤ ❝ continua

Ritorniamo in silenzio per qualche istante, e poi, quando il sole inizia per davvero a calare e la luce si fa meno brillante, decidiamo che è una buona idea tornare in stanza.

La proposta di farci la doccia assieme arriva.

Ma in queste ore di sonnecchiamento intensivo e rimuginare con i miei ben quattro neuroni sulle parole del mio amico incazzato di stamattina, sono giunto ad una conclusione diversa.

E, signori e signore, ho un piano.

Miracoloso, lo so.

Quindi scuoto la testa, alzo una spalla, lascio cadere la questione.

E la faccia di Shinso mentre si avvicina al bagno è più lunga di quanto mi aspettassi.

Ma ho uno schema d'azione infallibile.

Io e Shinso a cena fuori, io vestito con il mio outfit peggiore - o migliore, dipende dai punti di vista - e un po' di prese in giro qua e là.

Magari se riuscissi anche a farmi offrire da bere da qualcuno tanto che ci siamo sarebbe perfetto.

Voglio davvero vedere cosa riesco a tirare fuori da un miscuglio di Hitoshi versione eccitata e Hitoshi versione gelosa.

Forse la paraplegia.

Nel dubbio.

Non ci mette molto, anzi, il mio ragazzo è un uomo efficiente, che fa le cose come devono essere fatte e non sbava il tempo che ha, per cui quando è finalmente il mio turno faccio decisamente con calma.

Passo lo scrub - che non pensavo di aver portato ma il Denki del passato è decisamente dalla mia parte - su tutto il corpo, pettino i capelli pieni di balsamo sotto il getto tiepido dell'acqua, strofino perfettamente ogni angolo della mia pelle chiara con il bagnoschiuma al mirtillo che ho comprato per caso un giorno e so che gli piace.

Poi tolgo quel pelo delle sopracciglia che è cresciuto fuori dalla loro forma regolare di fronte allo specchio, spalmo giusto un pochino della crema con i glitter che si vedono appena comprata assieme a Mina un giorno di shopping sfrenato, mi osservo allo specchio.

Ho preso un po' di sole, oggi.

Perché ho la linea dell'abbronzatura sul naso e sono uscite un paio di lentiggini sulle guance.

Ok, momento dell'outfit peggiore che possiedo.

Al momento risultano dalla mia parte un paio di mom jeans neri, ovviamente risvoltati al fondo perché se no che bisessuale sarei, con due larghi strappi sulle ginocchia, a vita alta e larghi abbastanza per non rivelare troppo.

Ovviamente devo metterci le calze a rete sotto.

Nere?

No, no.

Mettiamole viola.

E poi fra i chili di camice che possiedo decido che quella sempre nera di viscosa trasparente è perfetta.

Non stiamo andando a cenare in un posto elegante e un po' di pelle giocherà soltanto a mio favore.

E poi il maledetto collare di stamattina.

Scontatamente girato dalla parte sulla quale il nome del mio ragazzo appare al centro.

Non ho tempo di ritoccarmi lo smalto nero ma in ogni caso non è messo malissimo, e decido che un paio di anellini sottili e scuri vanno più che bene come orecchini, asciugo i capelli e ci metto una vita, e decido che per stasera di truccarmi proprio non ho voglia.

L'eyeliner mi sta bene ma il mio faccino naturalmente abbronzato ho la sensazione andrà meglio.

Mi do un'occhiata veloce allo specchio.

L'orlo della camicia infilato nei pantaloni mi fa sembrare la vita più stretta, e i jeans sono larghi sì, ma sul culo aderiscono che è una meraviglia.

Questo è il meglio che sono riuscito a fare.

E spero basti.

Un po' mi tremano le ginocchia quando esco dal bagno, ma diciamo che il tremore viene sostituito da pura, allettante, dolce vittoria quando Shinso, in mutande sul letto, si gira a guardarmi.

Il telefono gli cade sul petto nudo.

La mascella si apre, gli occhi si spalancano.

− No. - dice, e so cosa sta per aggiungere quando infilo la lingua fra i denti e faccio un giro completo su me stesso.

− Allora? - chiedo retoricamente, mentre continua a fissarmi apertamente.

− No. Tu in quel modo non esci. -

Sporgo il labbro inferiore.

− E perché? Sto male? -

Mi sta mangiando con gli occhi, e lo sta facendo apertamente e senza alcun ritegno.

Piega la testa di lato.

− Sto cercando di capire se voglio toglierti tutto di dosso e scoparti adesso o se invece non voglio semplicemente che la gente ti guardi quando sei così bello. Quindi no, gattino, stai benissimo. Sei... allucinante. -

Bravo, Denki.

La prima parte del piano, c'è.

Scuoto le anche un paio di volte.

− Ma io volevo andare a cena... e mi piaccio vestito così. - mi lagno, la voce platealmente trascinata per dargli sui nervi.

Shinso inspira ed espira come se stesse cercando di calmarsi.

− Anche a me piaci vestito così. Porca troia se mi piaci. Ma piacerai a tutti, e mi dà sui nervi che la gente ti fissi come se fossi un oggetto. -

Infilo un dito sotto il collare che forse non aveva notato.

Per lo meno che lo avessi indossato con il suo nome in bella vista.

− Ma ho questo. Così tutti sapranno a chi appartengo. -

Grande intermezzo.

Questa cosa è sbagliata? Certo che lo è. Nessuno dei due lo pensa davvero, che io sia una cosa di sua proprietà. Hitoshi è rispettoso, e gentile, e la persona più dolce che conosca.

È solo che ci piace questa dinamica, fra noi, ogni tanto.

Ma se volessi smettere lo potrei fare da un momento all'altro, e non emetterebbe un singolo verso di protesta se gli chiedessi di chiuderla perché non mi sento a mio agio.

Diciamo che potremmo essere una coppia che ha qualche problema di kink.

In ogni caso, mi godo lo sguardo che mi lancia, possessivo e interessato, prima che alzi una mano verso di me e mi indichi di avvicinarmi.

Non disobbedisco, questa volta.

Amo farlo e so che cosa comporta dopo, ma al momento mi avvicino e basta, seguo i suoi gesti del corpo e mi siedo sul suo grembo in un istante.

− Se prometti di fare il bravo ti lascio uscire. - sussurra, scorrendo le dita lunghe sul lato del mio viso, le sue pupille che non lasciano per un istante le mie labbra.

− Posso provarci, ma sono gli altri che devono lasciarmelo fare. -

− Agli altri ci penso io. Tu preoccupati solo di me. -

Dio, se lo amo.

Annuisco e mi sporgo giusto per baciargli le labbra.

Indugio qualche istante così, addosso a lui, sentendo il calore del suo corpo praticamente nudo sul mio, ma raccolgo tutta la mia decisione e mi tolgo di mezzo non molto dopo.

− Su, Hitoshi, vestiti che usciamo. -

Shinso non si veste in maniera appariscente. Odia avere gli occhi puntati addosso e in ogni caso qualsiasi cosa metta è sempre magnifico, quindi non ci mette molto a tirare fuori uno fra i milioni di jeans che possiede e una maglietta giusto un po' lunga attorno alla vita.

Come ho già detto, niente di che, di fatto.

Se solo non avesse le gambe lunghe, lunghissime e le spalle larghe e la faccia più attraente del pianeta.

E tra l'altro ha anche un minuscolo tatuaggio sul retro del collo che da quando si è rasato i capelli sulla nuca si vede decisamente meglio.

C'è scritto "no sleep" e a me fa ridere ma Dio se non è una cosa super sofisticata come lui.

Il tragitto, che è breve perché come ho detto prima questo paesino è piccolo e c'è davvero poco oltre al mare e un paio di Hotel fra cui il nostro, lo faccio a godermi un braccio attorno alla vita e uno sguardo guardingo dall'alto.

Quando passiamo oltre un gruppetto di ragazzi della nostra età o forse meno, so che mi guardano.

Lo so perché mi sono conciato bene e perché attiro l'attenzione, un po' per il colore acceso dei miei capelli e un po' per la mia parlantina alta e squillante, e la mano di Hitoshi si stringe più forte sulla mia vita, le dita che scavano la pelle e la sua presenza che è decisamente dominante.

Non sento commenti.

Né da lui, né dagli spettatori ingenui.

Ma so che qualcosa sto iniziando ad ottenere.

Il ristorante è informale, tranquillo, perfettamente completato dal bar oltre i tavoli.

Ci sediamo al tavolo con calma e sorrido quando rimaniamo io e lui da soli, perché mi piace provocarlo con le attenzioni altrui ma mi piace anche starci, col mio ragazzo.

Ma poi, quando allungo la mano oltre la tovaglia per prendere la sua, noto che la stretta è un po' meno controllata del solito.

− Sto faticando. Sto davvero faticando. - borbotta, lanciandomi un'occhiata e ammorbidendo la pressione un'istante dopo, il pollice che si muove tranquillamente sul dorso della mia mano.

Sorrido.

− A fare cosa? -

Sono un idiota, ma so cosa intende.

Ma che grande provocatore sarei se mi tirassi indietro?

No, no, stasera lo faccio uscire di testa. O quantomeno ci provo.

Quando i suoi occhi tornano sui miei c'è qualcosa di molto, molto aggressivo. Ma la voce rimane comunque controllata.

− Ti sei visto, cazzo? Ti sei guardato allo specchio? Ti rendi conto di quanto sei bello o non ce la fai proprio? - sbotta, e questo miscuglio di rabbia e adorazione inizia a piacermi parecchio.

Alzo una spalla.

− Non dire stronzate, Hitoshi, mi sono solo lavato. E non è che tutti mi guardino così tanto. -

− Eh? -

Si guarda attorno e lo seguo, fissando quello che fissa lui.

− Quello - indica un signore su un tavolo proprio all'ingresso - ti ha fatto una radiografia. Ed è disgustoso perché è ha una fede al dito ed è qui con i figli. Quell'altro, − e questa volta passiamo ad un ragazzo più giovane con i gomiti appoggiati sul bancone del bar - penso si sia davvero leccato le labbra fissandoti il culo e lei - e indica una ragazzina mora tutta spiaccicata addosso ad una sua amica - ti ha palesemente indicato ed è diventata rossa. E tutto questo solo quando siamo entrati. Non voglio pensare che cosa stessero immaginando di te perché potrei davvero perdere la pazienza, gattino. -

Mi ritrovo a sorridere perché per la prima volta nella mia vita uno dei miei piani sta davvero funzionando.

− Sei tu che ti immagini le cose, Hitoshi. -

Sbuffa.

− Stai a vedere. -

Torniamo a qualche argomento meno eccitante, perché preferisco evolvere la situazione con calma, e di fatto Shinso si rilassa piano piano, le dita fra le mie e lo sguardo via via meno protettivo.

Finché non mi giro verso un cameriere.

Ho dato uno sguardo veloce al personale e di tutti, questo è quello che mi ha fissato di più. Le ragazze erano con la bava alla bocca per Hitoshi, e non le biasimo, visto quanto è bello, ma questo, un ragazzo piuttosto anonimo, alto e con gli occhiali, stava guardando decisamente me.

Gli rivolgo il viso, sorrido e saluto con un cenno del capo.

− Buonasera! Noi vorremmo ordinare, posso chiedere a lei? - inizio, e in un attimo la mia mano sta venendo chiaramente stritolata.

Ma faccio finta di nulla.

Il cameriere si gira e rimane un secondo a guardarmi, come se non ci credesse.

Bravo, Denki, bravo. Non sei da buttare. No, no.

− Allora? - riprendo.

Lo vedo come sobbalzare, rendersi conto che mi stava guardando spudoratamente e balbettare delle scuse.

− Ce... certo. Ditemi pure. -

Mi mordicchio il labbro mentre scorro con gli occhi fra le righe del menù, e so perfettamente cosa voglio ma che divertimento ci sarebbe se no?

− Non so proprio cosa scegliere... qual è la vostra specialità? -

Faccio l'errore madornale di lanciare un'occhiata a Shinso e cazzo, mi tremano le ginocchia.

Mi guarda come se volesse distruggermi e ricostruirmi sul posto.

Come se mi fossi permesso di un affronto imperdonabile.

Amo questa versione di Hitoshi.

− Ehm... qualsiasi cosa... qualsiasi cosa con il pesce. Se... se le piace, ovviamente. - mi risponde il cameriere, gli occhi che gli cadono verso il mio collare un paio di volte.

Aggrotto le sopracciglia come se stessi pensando e vedo chiaramente con la coda dell'occhio il momento in cui Shinso inizia a spazientirsi.

− Scusi? - chiede, e il ragazzo di fronte a me scatta con gli occhi verso di lui in un attimo.

− Mi... mi dica. -

Vedo le iridi violastre del mio ragazzo scomparire quando le pupille si dilatano appena, e poi mi sembra vederlo irrigidirsi per un istante.

− Stai fermo qui, non dire una parola. Guarda in basso. -

Oh.

Oooh.

Ma quello è il suo quirk.

Cristo.

− Denki? - sento chiamarmi un istante dopo e la sua voce è... dura.

Inizio ad essere nei guai, mi sa.

− Hitoshi. -

− Denki che cosa cazzo era quella cosa? -

Ehm, insomma, come dire.

− Quale cosa? -

Il modo in cui mi fissa poi, è qualcosa di meraviglioso e terrorizzante allo stesso tempo.

Vede, guarda, osserva solo me.

E mi fa sentire minuscolo e indifeso.

− Denki, pensi che sia coglione? Questa scenetta ridicola con te che ti mordi il labbro davanti a questo povero stronzo pensi non l'abbia vista? Tu che ridacchi come una ragazzina mentre questo pensa ad un modo inutile per provarci con te? -

− Non ci vuole provare con me, Hitoshi, su. Voleva solo essere gentile. -

− Oh, davvero? -

Si volta di scatto verso il povero cameriere congelato sul posto.

Penso che dentro di sé stia morendo di paura, ma in maniera del tutto poco professionale, non m'interessa molto.

Tanto Shinso gli farà dimenticare questi cinque minuti della sua vita e nessuno parlerà più della faccenda, dopo.

− Dimmi, cosa cazzo stavi pensando un minuto fa? Onestamente. - gli chiede, e il tono è quasi schifato.

Le parole scendono senza la minima resistenza.

− Che non mi piacciono gli uomini ma lui sì. Che la mia ragazza non ha un culo come il suo, che la sua faccia è adorabile, che voglio togliergli i vestiti di dosso e stasera sotto la doccia penserò a lui mentre mi... −

− Chiudi la bocca. Dimenticati tutto, anche come cazzo è fatto Denki, e mandaci una cameriera decente, grazie. - lo interrompe Shinso, che non ha smesso di guardarmi in faccia e anzi, ha la mascella serrata.

Il tipo se ne va e non vola una mosca.

− Mmh, immagino avessi ragione allora. - convengo, ridacchiando sul finale.

− Non c'è niente da ridere, Denki. Niente. -

− Come no? Non ti fa ridere che quel tipo sembrasse tutto tenero e innocente fuori e in realtà stava pensando cose del genere? A me un sacco. -

Vediamo un'altra cameriera, che questa volta per par condicio sta fissando Hitoshi, arrivare dal fondo della sala.

− Mi fa incazzare che qualcuno pensi quelle cose di te, da morire. Io posso pensare che il tuo culo sia fantastico, io posso pensare che la tua faccia sia adorabile, che voglio toglierti i vestiti di dosso e solo io posso pensare a te quando non ci sei. Capito? -

Mancano pochi metri prima che la ragazza arrivi.

− Lo so, Hitoshi. E lo sai anche tu. Non c'è nessun altro. -

Ordiniamo e mangiamo che la tensione rimane fra noi, ma in un modo che so piace ad entrambi. È qualcosa di minaccioso e sordo, accennato dagli sguardi sporadici che mi raggiungono da parte del mio ragazzo che per il resto rimane ad ascoltarmi parlare e interviene qua e là commentando le cazzate che dico.

Lo vedo ogni tanto osservare qualcuno ai miei lati, ma la questione cade e non la tiriamo ancora fuori per un po'.

Il cibo è buono e il povero ragazzo di prima aveva ragione, cucinano il pesce decisamente bene.

Finisco il mio piatto e mi inoltro nella carta dei dolci che Hitoshi sta bevendo piano il bicchiere di vino bianco che ha preso prima.

Beve di rado, e beve poco, perché io non ho la patente e finisce per guidare sempre lui.

− Guardoni a parte, questo posto è meglio di quanto immaginassi. Mio padre aveva ragione, quando ha detto di venire qui. Non c'è casino e il mare è bellissimo. - commenta, dandosi un'occhiata attorno.

− Tuo padre? Allora è lui che te l'ha consigliato? -

− Dovevo pur chiedere a qualcuno. E l'unica persona che conosco con gusti simili ai miei in fatto di vacanze è lui. Cioè in realtà un po' su tutto, ci somigliamo parecchio. -

Sì, è vero.

E non gli dirò che anche il look, l'appeal e la bellezza fanno pare di quel "tutto".

Non che sia attratto dal professor Aizawa, per carità, Hitoshi è tutto quello che cerco in un uomo, però è innegabile che la sensualità dominante e svogliata in loro due sia la stessa.

− Ed è venuto qui con Mic? -

− Ah-ah. Dice che Yamada una volta ha distrutto i vetri della loro stanza urlando. -

− Davvero? E perché urlava? -

Distoglie lo sguardo ridacchiando e fa "no" con la testa.

− Questo non l'ho chiesto. E diciamo che non voglio davvero saperlo. -

Rido anch'io, e dopo un'attenta ricerca decido che no, non c'è nessun dolce che mi vada. Forse qualcosa da bere, ma fame non ne ho più.

Ci facciamo portare il conto e prima che me ne accorga la carta di credito di Hitoshi è infilata nel libretto con lo scontrino.

− Hey! Chi ti ha detto che potevi pagare? - lo sgrido, intendendolo davvero.

Sono un cretino che ama essere viziato, ma Shinso non è la mia banca. Shinso è il mio ragazzo.

− L'ho detto io, e poi mi andava. -

− Domani offro io allora! -

Sorride e corre un'altra volta con la mano verso la mia.

− Come vuoi, Denki. Ma se offri tu compro il vino che costa di più nel menù. -

− Eh, così non vale però. Sai che sono un poveraccio, vacci piano. -

Potrei continuare così per il resto della mia vita.

A litigare scherzosamente con quest'uomo troppo alto e troppo bello su chi deve pagare la cena quando usciamo assieme, a stuzzicarlo neanche troppo segretamente in pubblico, a passare le vacanze con lui.

Mi sento in un attimo di dolcezza estrema quando stringo forte la sua mano.

− Ti amo, Hitoshi. Ti amo davvero un sacco, lo sai? -

Mi sorride e scompare davvero tutto.

− Lo so, lo so. Credo. E comunque ti amo anch'io, idiota. -

Un cameriere torna con la ricevuta e ci alziamo qualche istante dopo.

Non ho staccato le dita da quelle di Hitoshi perché non lo voglio assolutamente fare, e quando passiamo vicino all'entrata, lo tiro dall'altra parte.

Alza un sopracciglio con un'espressione interrogativa.

− Andiamo a bere qualcosa? Mi va un drink. - chiedo, e annuisce brevemente, acconsentendo subito.

Non è tipo da posti particolarmente affollati, ma non c'è tanta gente e siamo entrambi abbastanza rilassati, per cui non si lamenta.

Anzi, mi aiuta a salire su uno degli sgabelli del bar e rimane allegramente al mio fianco con un braccio attorno alla mia vita mentre scelgo cosa voglio da bere.

E poi, ad un certo punto, perché sono fortunatissimo e il mio piano non è concluso, attira la mia attenzione con un bacio sulla guancia.

− Vado un attimo al bagno. Rimani qui e fai il bravo. - dice, e so che questa è la mia occasione.

Lo so.

Ne sono perfettamente conscio.

Quindi con il volto più angelico che riesco a mettere in scena, annuisco, premo le labbra contro le sue e lo lascio andare.

Mente locale su chi è seduto al bar.

Due donne di mezza età che, per quanto rispetti gli amanti delle milf, non fanno per me, un altro che sembra averne cinquanta, di anni, e che allegramente mi risparmio, e qualche ragazzo.

Ne vedo uno che deve avere bene o male la mia età, forse qualcosa di più, guardarmi senza ritegno, sorridere dalla mia parte, alzare un angolo della bocca.

Perfetto.

Ecco la cavia da laboratorio che stavo cercando.

Ok so che non è carino usare le persone. E che non è carino cercare di far arrabbiare Hitoshi per gioco. E che un sacco di cose.

Ma sono del segno del Cancro, quindi posso farlo. Credo...?

Naah, so di essere uno stronzetto impertinente al momento, ma lo spettatore qui presente alla peggio si ritroverà con un bel vuoto di memoria, quindi posso tollerarlo.

E poi a Hitoshi piace quando disobbedisco.

Sorrido di rimando, accavallo le gambe fra di loro e mi giro verso il barista, e pochi secondi dopo, come mi aspettavo, sento qualcuno sedersi al mio fianco.

Non mi tocca, e spero che non lo faccia perché flirtare è una cosa, mettermi le mani addosso è un'altra.

In ogni caso, non dico nulla.

− Dio, ma chi ti ha lasciato uscire così stasera? Sei... wow. - mi dice, e non è che mi faccia impazzire l'approccio, devo ammettere.

Shinso, che conosco, che amo, che ama me, può dire qualcosa del genere. Può far riferimento al fatto che devo ottenere il permesso di qualcuno per indossare quello che mi pare, perché sa e so che non è così e che è il nostro... gioco.

Ma non sono un oggetto.

In ogni caso rimando giù qualsiasi perplessità potessi avere e appoggio il gomito sul legno scuro del bancone, il viso sopra la mano, lo guardo.

Ha un viso... carino?

Niente di eclatante, niente degno di nota.

Ha dei bei occhi azzurri, ma nulla di più.

− Sei venuto qui per farmi i complimenti o per offrirmi da bere? - chiedo poi, cercando di mantenere il tono più zuccheroso che posso.

Mi dà un'occhiata un po' lasciva e un po' viscida.

− Che cosa vuoi? -

− Un Sex on The Beach. -

− Mmh, è un invito? -

No, davvero. Ma questo dove ha imparato a flirtare? In un centro riabilitativo per vermi?

Ridacchio palesemente imbarazzato e aspetto che il mio drink venga preparato cercando qualcosa da dire.

− Sei qui in vacanza? - riesco ad elaborare dopo un istante.

− Con mia moglie. Quella donna è una rottura di coglioni, lo sa solo Dio. -

No, ok.

Ritiro quello che ho detto prima.

Se lo merita.

Che io lo usi come un ratto per esperimenti.

Perché lo è, un ratto.

Prima di tutto perché prova a dire un'altra cosa su una donna e ti elettrifico anche l'anima, e poi perché come cazzo ti permetti di pensare che io voglia essere la tua avventura extraconiugale per una notte solo dopo avermi parlato due secondi?

Non rispondo alla provocazione e mi limito a sorridere.

− Tu? Sei qui da solo? -

Scuoto la testa, ma non aggiungo dettagli.

− Immaginavo. Un faccino come il tuo non è fatto per stare da solo. -

E questo, ancora, cosa dovrebbe voler dire?

Allunga una mano e prima che possa fermarlo sta scorrendo la punta di una delle sue schifosissime dita sulla scritta sul mio collare.

− Hitoshi Shinso. Sei tu? -

− No, sono io. E togli quella cazzo di mano da lui. -

Mi congelo.

Letteralmente.

Mi congelo.

Non mi ero accorto che fosse tornato. Ero impegnato a cercare di reprimere i conati e ora, quando sento la sua voce, inizio a tremare per davvero.

È dietro di me.

So che lo è.

Lo so quando sento un braccio stringersi alla mia vita, forte da farmi male, e quando sento il petto ampio scontrarsi con la mia schiena.

− Ah, beh. Mi fa piacere saperlo. - commenta il tipo di fronte a me.

Deglutisce, avverte probabilmente il pericolo.

Allungo il cocktail per il quale aveva elegantemente pagato verso di lui, chino la testa in un gesto di scuse.

− Forse questo è meglio se lo bevi tu. - gli faccio notare.

Le dita di Shinso mi scavano la pelle.

− Ti sei anche fatto prendere da bere, Denki? Che cazzo di problema hai, oggi? Vuoi farmi impazzire? - mi chiede all'orecchio, e sento che è infuriato.

Ma parecchio.

Parecchio parecchio.

E io devo usare questa cosa a mio vantaggio.

− No, è che avevo sete e tu non c'eri e ho chiesto a lui di offrirmi qualcosa. È un problema? - ribatto, e non so dove sto trovando il coraggio per farlo.

− Infatti, era una cosa amichevole. Non che lui lo fosse, vestito così, però... ecco... − prova a intervenire il viscidone al mio fianco, sbagliando totalmente combinazione di parole.

− Tu sei ancora qui? Non ti ho detto di sparire? - sbotta Shinso all'improvviso, fissandolo come se davvero fosse un terrorista.

− Ehi, amico, con calma. Mica ti ho ucciso la madre. -

− Non suo tuo amico. -

Discutere con Hitoshi è impossibile. È troppo freddo, apatico e controllato per cedere a qualsiasi vezzo retorico.

E se si incazza poi è una condanna a morte.

− Dio, che rottura di coglioni, anche tu. Me ne vado, va bene. Tu, − mi indica - se ti stancassi di questo musone sai dove trovarmi. Magari ci divertiamo un po' noi due da soli. -

Rimango impietrito.

E poi scatto.

− Scusami? Mi sono fatto offrire da bere, e questo te lo concedo, ma chi cazzo ti ha detto che puoi parlarmi in quel modo? E poi quanto schifo devi fare per venire a provarci con un appena diciottenne quando sei sposato? -

So che vorrebbe dire qualcosa, ma poi penso sia lo sguardo di Shinso a farlo desistere.

− 'Fanculo, tanto eri comunque troppo basso. - è l'ultima cosa che rotola fuori dalle sue labbra, prima che giri sui tacchi e muova qualche passo per andarsene.

− Hey, tu. - chiede una voce che conosco, al mio fianco.

− Che? -

Quando sento che ha risposto a Hitoshi mi rilasso per un istante.

− Dimenticati di questa roba. E magari di' a tua moglie che la tradisci. - ordina, e anche questo, come la precedente comparsa, sparisce in un secondo.

E io rimango nella mia bolla di pericolo.

Shinso è incazzato.

Shinso è geloso.

E Shinso mi terrorizza, in senso buono, ma mi terrorizza.

La sua presenza è ovunque.

Mi sembra di sentirlo ovunque, attorno a me, nella mia testa, sulla pelle.

Non parla, all'inizio.

Rimane in silenzio, come se volesse farmi soffrire, e poi le sue dita salgono sul mio collo, si infilano sotto il collare, e tirano indietro.

Mi si mozza il fiato in un attimo.

− Eppure non ti comporti così quando siamo io e te da soli. Che cosa sbaglio? -

Prendo aria per rispondere ma lo sento tirare ancora, per impedirmi di dire qualsiasi cosa.

− Me ne vado cinque minuti e ti ritrovo qui con le mani di un altro uomo attorno al collo. Hai idea di quanto sia incazzato, gattino? -

Scuoto la testa come posso.

− Pensi davvero di poter fare il cazzo che ti pare senza conseguenze? È tutta la sera che fai la troia, e penso di averne abbastanza. Devo forse ricordarti a chi appartieni? -

Sì.

Sì sì sì.

− Che poi perché? -

Mi lascia andare, riprendo aria in un istante. Non tossisco, la pressione non era eccessiva, ma ci metto un attimo a tornare sul pianeta terra.

Sono eccitato.

E pure parecchio.

− Devo costringerti a rispondere o pensi di dire qualcosa? -

− Volevo farti ingelosire. E farti incazzare. Stamattina mi sembrava di essere l'unico dei due che viene sempre preso per il culo, e Bakugō mi ha consigliato di giocare come giochi tu. Di farti vedere chi comanda. - ribatto senza il minimo dubbio.

Mi giro, e finalmente lo vedo in faccia.

È bello, incazzato.

La mascella serrata e gli occhi che non si staccano dai miei.

− E dimmi, gattino, Bakugō ti ha detto anche cosa sarebbe successo dopo? -

− In che senso? -

− Pensi davvero che lascerò correre? Pensi che non ti punirò? -

Inizio a sentire caldo, e non riesco a non guardarlo in faccia, le sue mani che ora sono due ai miei fianchi, serrate, strette, le mie cosce che premono più forte fra di loro.

− Volevo solo... che fossi tu quello che mi muore dietro, per una volta. - mi lascio scappare poi, il tono meno sensuale di quanto avrei voluto e appena più lagnoso.

Questa risposta lo lascia di stucco.

No, sul serio, la rabbia per un attimo sembra essere scomparsa quando spalanca le ciglia folte e mi guarda dritto in faccia.

− Ma io ti muoio dietro. E non questa volta, Denki. Sempre. -

− Non... non è vero. So che sono io dei due quello che si fa prendere troppo, è che tu sei davvero bello, però... non so... volevo provare, ecco. -

La stretta di scioglie, una mano grande corre alla mia guancia.

− È verissimo. Chiedi a chi vuoi. Ad Aizawa o a Yamada. Parlo solo di te. Penso solo a te, ogni cosa che fai o che dici è meravigliosa, voglio passare il resto della mia vita a guardarti ridere e sei la persona più bella che abbia mai visto. -

Mi si ferma il cuore.

− Da... davvero? -

− Davvero. -

Il primo bacio che ci scambiamo è... dolce. Dolce e amorevole.

E poi Hitoshi si stacca e sembra essersi ricordato perché siamo qui in questo momento.

− E in ogni caso potevi chiedermelo, invece di andare in giro a farti rimorchiare da sconosciuti viscidi che ti mettono le mani addosso. -

− Ma... −

Perdo coscienza in un attimo.

È come se ci fosse la nebbia, che si fa strada nelle mie vene.

Una sensazione opprimente, che mi fa sentire piccolo, indifeso. Ma che nel marasma di quello che succede mi dà anche un non so che di sicuro.

Rimango fermo, a lasciarmi catturare dalla dolcezza del quirk del mio ragazzo, che mi invade e mi prende completamente togliendomi ogni singolo grammo di potere in corpo.

− Alzati. E cammina zitto fino alla nostra camera. Non una singola parola. - mi sento ordinare.

E in breve diventa tutto quello che riesco a pensare.

Che devo stare zitto. Che devo camminare.

E gli altri pensieri ci sono, nella mia testa, ma sono confusi e niente hanno a che vedere con le uniche cose che contano: camminare e tacere.

Shinso tiene una mano aperta sulla mia schiena, e non posso girarmi a guardarlo nonostante sappia di volerlo fare, perché il corpo non mi risponde.

Mi piace, questo formicolio di sottomissione che sento nel petto.

La forma più alta di fiducia, questa che sto dando a Hitoshi.

Una fiducia che si merita e che adoro dargli.

Una cosa che c'è fra noi e basta.

Entrare nell'Hotel vorrei farlo più in fretta, ma non accelerano, le mie gambe. Non sono più nemmeno mie.

E comunque se si potesse morire di eccitazione starei per farlo.

Perché sono impaziente, e non vedo l'ora che la porta della camera si chiuda.

Superiamo la reception con calma, nell'ascensore non riesco a reagire, ed è solo quando entrambe le mie gambe sono ben piantate sul parquet della stanza, che riprendo coscienza di me.

Cedono.

Le ginocchia.

Cedono e mi ritrovo con la schiena sul letto, il fiatone, e i muscoli doloranti.

Ho camminato troppo veloce?

Shinso invece, chiude la porta con calma, si sfila le scarpe, arriva verso il fondo del materasso con tutta la calma del mondo.

Maledetto lui e le sue gambe lunghe.

− Ho... ho caldo. - riesco a rantolare.

− Non lamentarti del caldo. Ora ci penso io a darti una vera ragione per sudare. -

O, Cristo.

Che cosa ho fatto?

E tutto questo sembrando così calmo...?

− Hito... Hitoshi devo farmi una doccia. -

− Tu non devi farti una doccia. Tu devi toglierti quei cazzo di vestiti di dosso e stare in silenzio. -

Ok, mi sa che la passeggiatina l'ha solo innervosito di più.

− Aiutami allo... −

− Spogliati. E stai zitto. -

Non usa il suo quirk, non ne ha bisogno.

Perché riconosco il tono.

Per chiunque queste cose abitualmente le faccia, è piuttosto chiaro che tono sia.

Ma per tutti gli altri... vuol dire che devo obbedire. Che non posso rispondere, o ridacchiare, o fare le mie solite battutine. Che non posso essere impertinente o fare quello che voglio. Che devo sapere qual è il mio posto.

E deglutisco senza pensarci due volte.

E mi spoglio.

Tiro via la camicia con meno delicatezza di quanto meriterebbe, i pantaloni idem e le calze sto attento quantomeno a non distruggerle.

In tutto questo, mi fissa.

Le braccia conserte, lo sguardo severo e penetrante, non tradisce un'emozione.

− Anche le mutande? -

− Spogliati è un comando facile da capire, o no? E stai zitto anche, mi sembra. -

Ah, beh. Lo vedo contento.

Abbasso gli occhi e tolgo pure quelle, lasciandole scivolare più lentamente del dovuto, forse, lungo le cosce.

Raggiungo il retro del collare.

− No, quello no. -

Sorrido, e non faccio nulla.

Muto.

Inerme.

− Allora, da dove possiamo iniziare con te? Come te la insegno un po' di disciplina? - mi chiede una prima volta, e la domanda è retorica.

Si avvicina piano, lui ancora completamente vestito a contrasto con me senza nulla addosso nel mezzo di un letto troppo grande.

Le lenzuola sono scure, fanno contrasto con la mia pelle appena abbronzata e mi sembra di liquefarmi al suo sguardo, dall'intensità con cui mi fissa.

− Dove ti ha toccato? -

Il cenno del mento che mi fa significa che posso parlare.

− Solo il collo. -

− Solo è un parolone, Denki. Il tuo collo è mio. Tu, sei mio. -

Il calore nelle mie vene sembra lava.

È crudele, dominante, il modo in cui parla.

Serio e minaccioso proprio come lui.

Si avvicina di qualche passo, fino a raggiungermi, le mani che si aprono ai fianchi del mio corpo sul letto e lui che, in un attimo torreggia sopra di me.

Mi sembra di sparire.

− Cosa devi dirmi? - mi chiede, quando è ad un centimetro da me, il naso accanto al mio e il respiro che batte sul mio viso.

− Scusami. Mi dispiace, Shinso. -

− Davvero? -

E che cosa dovrei fare? Mentire?

− No. -

Mi stringe il collo in un attimo.

Le dita che sanno dove premere, il flusso del sangue che diminuisce in un attimo.

− Prova di nuovo, Denki. -

− Mi... mi... mi... −

Inspiro ma l'aria non arriva.

Non scorre.

I polmoni non si riempiono.

− Eh? Non ti sento? -

− Mi dispia... −

Sempre meno, sempre meno.

Sto arrivando al limite.

− Mi dispiace! -

Finisco l'aria per dirlo.

La finisco e rimango solo un minuscolo istante con la sensazione di non riuscire a respirare.

Prima che Shinso mi lasci e, con più affetto di quanto si possa credere, lasci scorrere le dita sul mio fianco mentre tento di riprendere aria per davvero.

− Buona fortuna ad andare in spiaggia, domani. - commenta, e non so che cosa intenda, finché non si alza e mi passa il mio specchietto da viaggio appoggiato distrattamente sul comodino.

Lo apre.

E ho un chiarissimo segno che inizia a virare dal rosso al violaceo sul collo.

− Cazzo, e ora come... −

− Ti stai lamentando? -

È... strafottente.

− Perché non è colpa mia, Denki. Ho provato a dirti di fare il bravo ragazzo, ben due volte. E tu hai fatto quello che ti pareva. Bastava che ti comportassi meglio prima. -

− Ma... −

− Non hai il permesso di parlare. -

Dio, Shinso, io lo sapevo che eri cattivo ma in questo senso?

È bello da farmi tremare le ginocchia, ma vorrei evitare davvero di dover utilizzare una sedia a rotelle per il resto della mia vita, ecco.

In ogni caso, ammutolisco.

− Ecco, bravo. Guarda come sei bello quando obbedisci. - commenta, tornando addosso a me e tirandomi via un paio di ciocche sudate dalla fronte.

Alzo le mani come per avvicinarlo a me ma una sola delle sue prende i miei polsi e li inchioda indietro.

− Non mi toccare. Fermo, immobile, zitto. Finché non decido di lasciarti andare. -

Annuisco, perché è tutto quello che posso fare.

E poi sento le sue dita scivolare via dalle mie, vagare sui miei fianchi sulle cosce, sul culo e sulla vita stretta. Sfrega un paio di volte un capezzolo e non smette di fissarmi quando si china e ci passa la lingua di piatto. Succhia, ma lo fa piano, e sono abbastanza sensibile in quella zona del corpo per non riuscire a controllare un minuscolo gemito che mi lascia le labbra.

− Che c'è, non riesci a trattenerti? -

Scuoto il capo.

− Immaginavo. Due minuti di attenzione e sei già ridotto così. -

Mi sta insultando? Sì.

E mi piace? Cazzo, sì anche questo.

Forse dovrei parlarne con un terapista, del mio degrading kink.

Ma finché esiste Shinso Hitoshi non penso che la cosa cambierà di molto.

Quando pizzica l'altro capezzolo fra le dita, gemo di nuovo. E meno nascostamente questa volta, senza ritegno.

So che il suo "stai zitto" non si applica ai miei versi. So che quelli gli piacciono.

Affonda i denti sulla pelle chiara un secondo dopo, e la mia schiena si inarca staccandosi dal letto quando una delle sue mani si stringe alla base della mia erezione.

− Cazzo! - mi scappa dalle labbra.

Mi morde ancora. Più forte.

− Zitto. Ti ho detto di stare zitto. -

Quello non valeva come gemito, mi sa.

La mano si muove velocemente, la lingua si attorciglia di nuovo sul capezzolo di fronte al suo naso, la frizione è deliziosa e piacevole e lo sento, il calore, lo sento accumularsi nella pancia e i versi sono tanti, non li controllo, non so cosa stia succedendo, mi piace, cazzo, lo amo e poi...

Smette.

La mano si ferma.

Il mio orgasmo si spezza.

Il piacere scompare.

E mi sento tendere dentro, il dolore fisico che fa formicolare la pelle.

Singhiozzo.

− Hitoshi... Hitoshi, ti prego... −

E lui sorride, di fronte al mio viso, accarezzandomi una gamba, sorride.

− Gattino... −

Si china, mi bacia.

È umido, fra le mie lacrime, ma persino il contatto con le sue labbra mi sembra qualcosa che potrebbe farmi sentire meglio, ora.

− Non piangere, su, non piangere. C'è ancora molto che devi fare per farti perdonare, lo sai? -

Oh, porca puttana.

Mai più Denki, non facciamo incazzare Shinso mai più.

O forse sì...?

− Hitoshi... dammi un bacio. Per favore. - mi lagno, perché al momento voglio solo sapere che c'è e che sono al sicuro.

Non si lamenta.

Per una volta mi dà quello che voglio, e quando si stacca, esce per un istante dal personaggio.

− Denki, ascoltami. Se senti che diventa troppo, se ti fa male, se succede qualsiasi cosa tu dici la nostra parola e io smetto subito. Hai capito? -

Adorabile, stronzo, sadico, sensuale Shinso.

Uomo della mia vita.

Annuisco.

− Do... dopo però mi fai le coccole, vero? - chiedo, con la voce che trema.

Il suo viso si scalda.

− Sai che dopo averti distrutto mi prendo sempre cura di te, gattino, non fare domande idiote. Ti amo, ok? -

− Ti amo anch'io. -

E il momento dopo il suo viso scompare.

Scende verso il basso, i denti che affondano nel mio interno coscia, un paio di mani che tengono spalancate le mie cosce magre.

Trattengo il respiro, faccio fatica a tenere le mani attaccate al letto.

− Chissà cosa dirà la gente quando ti vedrà farti trascinare in acqua da me domani con i lividi sulle gambe, eh? Cosa penseranno di te? -

Perché l'idea mi piace?

Ho il cervello rotto?

− Almeno nessuno avrà problemi a riconoscere che appartieni a me. -

E perché la voce di Shinso è così... cazzo. Non so nemmeno come dirlo. Bassa? Roca? Melliflua? Sensuale?

Lo sento avvicinarsi e ad un certo punto, la sua lingua è lì.

Esattamente lì.

E la mia voce non mi obbedisce più.

Esce libera, senza alcun controllo, volteggia e si piega e non so cosa stia dicendo, forse "ancora", forse chiama il suo nome.

Le gambe tremano, gli occhi cercano di rimanere focalizzati sulla matassa di capelli viola fra le mie gambe ma allo stesso tempo rotolano indietro, non ho più idea di cosa ne sia della mia volontà.

Sento la punta della lingua di Hitoshi entrare dentro di me, ancora, e ancora, le ginocchia che si stringono attorno alla sua testa, le mani che scavano nelle lenzuola.

L'elettricità assume forme arcuate, colorate e brillanti fra le gocce del mio sudore.

Non riesco nemmeno più a dare un senso a quello che mi sta succedendo.

Il rumore è bagnato, osceno quasi, e i miei gemiti dominano la stanza.

Penso di avergli dato la scossa, una minuscola, innocente scossa, quando sento la voce di Shinso risuonare bassa e gutturale contro di me.

Trema.

E tremo anch'io.

E di nuovo mi tendo, mi inarco, la pancia tesa con tutti i muscoli.

Sono vicino.

Così vicino.

Così bello, questo è così bello.

− Gattino. -

− Hitoshi! -

Ripeto il suo nome.

Lo ripeto quasi inutilmente, come una cantilena, lo urlo e mi spiace per chi c'è all'altra parte della stanza, anzi no, non m'interessa.

E mi sembra di essere sull'orlo di un burrone, di camminarci piano contro, di stare per cadere.

Quando la sensazione di vuoto nella mia pancia si accende, è lì, che lo sento.

La costrizione.

La nebbia nelle braccia, nelle gambe.

Shinso dentro di me.

E non fisicamente.

Nel senso più strangolante, duro, sensibile del termine.

− Non venire. - mi ordina.

E io, come una bambola di pezza completamente in balia della sua volontà, io obbedisco.

Io rimango lì.

E il dolore si propaga di nuovo.

Si stacca a guardarmi, mi lascia cadere sul letto privo di contatto, il suo viso che incontra il mio mentre i singhiozzi nascono e si liberano dalla mia gola, mentre le lacrime mi cadono sul volto e le ciglia si impastano nell'umidiccio del mio stesso pianto.

− Hitoshi, ti prego, ti prego, ti prego, non ce la faccio, fa male, basta... − blatero, senza capo né coda, senza coscienza.

Mi accarezza il volto.

Mi bacia ancora.

− Certo che ce la fai. Te lo sei meritato. È la tua punizione. -

− Mi dispiace. Non volevo farti arrabbiare, davvero, ma ti prego... −

I suoi denti affondano nel mio collo, forte.

Il dolore momentaneo cancella quello continuo, e sobbalzo nella sensazione.

− Hitoshi... −

Quando si stacca per guardarmi sembra sangue quello che gli macchia le labbra. Deve aver morso forte, ma quasi non lo sento, confuso com'è nella sensazione di piacere negato e costrizione.

I suoi occhi sono dolci.

Brutali, ma dolci.

− Sei bellissimo. Guardati, distrutto solo per me. Meraviglioso. -

Continuo a piangere.

E nella sofferenza mi sento davvero amato, mi sento a casa.

Cerco quantomeno di respirare.

So di essere un casino, lacrime, saliva e sudore mischiati assieme, ma so anche che Shinso mi ama in questo stato perché così mi ha reso lui, così mi ha fatto diventare.

− Ancora? - chiede, le dita che corrono fra i miei capelli.

Annuisco.

È come una droga.

So che fa male, ma ne voglio ancora. Ancora, ancora, ancora. Sempre di più. Fino a non sapere più chi sono.

Mi abbandona un istante sul letto e inizio quasi a tremare dal terrore della solitudine. Mi sento... vulnerabile.

− Vieni... vieni qui, non lasciarmi da solo. - mi lamento, lo sguardo annebbiato dalle emozioni che non so distinguere.

Sento il peso del materasso che si piega al mio fianco, poi un bacio sulla tempia.

− Non ti lascio da solo, gattino, no. Mai, mai. Sono qui. -

Dio, se non posso vivere senza di lui. Persino respirare mi sembra più difficile.

E poi capisco cosa stesse cercando quando lo sento aprire la bottiglietta di lubrificante, quando sento il liquido gelatinoso fra le mie cosce, quando le sue dita entrano molto, molto lentamente dentro di me.

− Sei sempre così stretto per me, Denki. Perfetto, cazzo. - commenta, e i miei muscoli interni si stringono quasi involontariamente mentre affonda fino a che il palmo non è a contatto con la mia pelle e le punte delle sue dita salgono verso l'alto.

− Per... per te. -

− Solo per me, non è vero? -

Annuisco, il bacino che spinge verso il basso, verso di lui.

Sono due, ma ne aggiunge presto un terzo, i muscoli che sono un po' indolenziti quando muove le dita più velocemente.

In ogni caso, non voglio che smetta.

− Ca... cazzo! - sibilo quando tutte e tre le sue dita sono a fondo, sepolte dentro di me.

Mi sento come se stesse stimolando il mio intero corpo.

Tutto.

Tutto quanto.

Eppure, non mi basta.

− Hitoshi... Hitoshi! Di più... − mugugno.

Alza un sopracciglio.

− Non sei nella posizione di avere pretese, gattino. Non ti ho ancora perdonato. -

Miseria.

− Ti prego... −

− No. -

E, ovviamente, faccio quel che posso.

Ricomincio a frignare.

Piango e mi stringo addosso alle sue dita, cerco più frizione possibile, lo fisso negli occhi severi che cercano solo me.

− Ancora, ancora, ancora... −

− Così? -

Diventa serrato, il ritmo. Serrato e incessante.

Mi trema tutto, anche il petto, tra i singhiozzi e il calore.

Ma so come finirà.

Lo so e mi fa male pensarlo.

− Ci sei, amore? Ci sei? - chiede, e so cosa intende.

E non posso negarlo.

Non posso non dirgli che sto per venire.

Annuisco.

E le dita scompaiono.

E io rimango devastato.

Tremante, inutile, inerme, indifeso. Un ammasso di muscoli sciolti e volontà fragile, di gemiti e versetti e preghiere e scuse.

Distrutto.

Lo cerco con le braccia.

Lo stringo forte.

Perché sto male, perché voglio venire, ma più di tutto voglio sentire che c'è, che non mi detesta, che non mi sta facendo questo perché mi odia ma perché sono suo e vuole ricordarmelo.

− M... m... mi dici che mi ami? - chiedo poi, e non so da dove esca, come, o perché.

So che è quello che stavo pensando.

E Hitoshi capisce, capisce che sono al limite e si lascia andare.

− Ti amo, Denki. Ti amo da morire. -

− Sei davvero arrabbiato con me? Mi detesti? -

− Ti adoro, gattino, davvero. Non sono incazzato, non con te. Sei la cosa migliore della mia vita, non potrei mai. -

Si muove, contro di me. Mi spalanca le gambe, mi tiene le cosce aperte controil materasso, si mette in linea con il mio corpo e prima che possa dire nulla, è dentro.

Piano, lentamente, completamente.

Tutt'uno.

− Cazzo, Denki. Perfetto, sei perfetto. - sbotta, la voce che ha perso quell'allure di controllo e ora è solo onesta.

Vorrei dire qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola, mangiate da una sequela di gemiti che non riesco a trattenere.

− Vedi? Te lo dico sempre, che sei fatto per me. Non per gli altri, solo per me. - continua, prima di muoversi in un paio di spinte superficiali che mi mozzano l'aria dalla gola.

È dentro, tutto.

Non c'è spazio per nient'altro.

La mia mente non ha nessun'altra sensazione al suo interno, al momento.

E quando dopo un gemito particolarmente acuto sento la mia pelle irrigidirsi, ormai non so più davvero come descrivere quello che sento.

Hitoshi.

Hitoshi nel mio corpo, Hitoshi nella mia mente, Hitoshi in ogni angolo della mia esistenza.

Per qualcuno come me, per un insicuro, ammalato di contatto fisico, costantemente alla ricerca di affetto e amore e rassicurazioni, questa è la migliore delle sensazioni.

La completezza.

La sicurezza e la calma.

− Dimmi che cosa vuoi. - mi sento ordinare, e quirk o meno, l'avrei detto comunque.

Perché non posso resistergli.

− Più forte, più veloce, ancora, ancora, non fermarti... Hitoshi... ti amo... cazzo, ancora, di più, lì, cazzo, lì... ti amo, porca puttana, Hitoshi, Hitoshi, Hitoshi... −

Che cosa sto dicendo?

Dio, non ne ho idea.

Quello che provo, immagino.

So solo che la mia schiena affonda nel materasso il bacino inarcato verso l'alto, le spinte sono veloci e cazzo, così a fondo, e tutto quello che riesco a vedere sono occhi viola.

Le iridi più chiare attorno alla pupilla.

Le ciglia folte.

Le labbra che si avvicinano alle mie, che mi baciano, che chiamano il mio nome.

Non ho smesso di parlare, perché non mi ha ordinato di farlo, e continuo, non rendendomi nemmeno conto di quello che penso.

− Voglio toccarti, ti prego, dammi il permesso, ti imploro, cazzo, ancora, Hitoshi... −

Annuisce.

E le mie mani sono sulla sua schiena, e quando si è tolto la maglietta? Non ne ho idea, nemmeno me lo ricordo. Affondo le unghie sulla pelle, i graffi che si formano e rimarranno là, tutto che diventa troppo, troppo.

Singhiozzo.

Sto piangendo?

Sto ancora parlando.

Sto ancora chiedendo "ancora".

Sto ancora dicendo che lo amo.

Ed è tutto vero, cazzo, è tutto vero.

Come ho potuto pensare di farlo incazzare? Di farmi vedere da lui mentre flirtavo con qualcun altro, quando tutto quello che voglio, tutto quello che ho sempre voluto e vorrò è lui?

Quando sono così?

Quando piango il suo nome e non vorrei fare nient'altro?

− Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo... − dice la mia voce.

E Shinso risponde.

Mi bacia ovunque, sul viso, sulla punta del naso, sul collo che un po' sanguina, sul petto.

E mi dice che mi ama anche lui.

Che sono bellissimo.

Che non vuole altro.

E poi mi guarda, e quanto sono profondi i suoi occhi, e sorride, e lo dice.

Con la sua voce bassa, lo dice.

− Vieni, Denki, vieni per me. -

Non so se stesse usando il suo quirk o meno, non ne ho idea.

Ma so che non respiro più. Che mi sento sopraffare, che perdo quasi conoscenza, che fluttuo, che sto bene, che non sono da solo, che sono felice, che è bello, tutto così bello.

Bello come Hitoshi in fondo, dentro di me, che mi raggiunge, bello come le sue mani sulla pelle.

Bello come il calore che sento nel petto.

Come il dolore dei muscoli che si scioglie.

Come la sua voce.

− Vieni, ancora, continua. - dice, e non smetto di tremare, non smetto di cadere.

Minuti che sembrano ore.

Fra le mani grandi di qualcuno che mi adora, che mi accoglie, che mi vuole.

È come se qualcosa esplodesse, e venisse risucchiato dentro di me, l'elettricità che si mescola fra i nostri corpi, passa blandamente attraverso di lui e torna in me, danza, volteggia.

Quando finisce, non so più chi sono.

Non penso di avere arti.

Shinso esce da me, e trema un po' anche lui, e si alza dal letto.

Cerco di tirare su una mano per lamentarmi, ma tutto quello che riesco a fare è mugugnare al buio.

Un attimo.

Buio?

− Mi sa... mi sa che hai fatto saltare la corrente, Denki. - sento dire da qualcuno che non vedo perché è maledettamente... buio.

Con mio enorme sforzo cerco fuori dalla finestra.

Buio completo.

− Dell'intero villaggio. -

Oh, porca miseria.

Vorrei ridere.

Ma Shinso lo fa al posto mio. Ride forte, ride di gusto.

− Cazzo, ti dev'essere piaciuto parecchio, eh? -

− S... sì. Coccole, ora. - è tutto quello che mi impegno a rispondere.

Lo sento come cercare qualcosa attorno a me, e sto per lamentarmi di nuovo, quando una lucina si accende al mio fianco.

− Ah, ecco, mi ricordavo che ci fossero delle candele da qualche parte. Meglio? - mi chiede, il suo viso in penombra con il rossore del fuoco che danza sui tratti eleganti.

− Coccole. - ripeto, e lo intendo.

L'ha detto lui, mi pare. Non ricordo bene.

− Arrivo, arrivo. Prendo un asciugamano, un attimo. -

Vorrei tanto dirgli che l'asciugamano può metterselo dove non batte il sole, ma non ne ho le forze, e lascio che mi tolga la maggior parte dell'appiccicaticcio del corpo senza fiatare.

Mi sento poi decisamente meglio quando lancia quest'oggetto maledetto dall'altra parte della stanza e si arrampica sul letto al mio fianco, cingendomi la vita con le braccia.

− Com'è? -

− Benissimo. Malissimo. Già è tanto se sono vivo. -

Ridacchia, il rumore caldo contro il mio petto.

− Direi che mio padre che rompe i vetri non è la cosa peggiore che questo paesino ha potuto vedere. -

Oh, no.

Li abbiamo battuti.

Alla grande.

− Ti fa male da qualche parte? - chiede poi.

− Tutto e niente, sto bene. -

− Molto rassicurante. -

Il respiro si fa calmo, tranquillo, il petto che si alza e si abbassa sotto di me, l'odore familiare di caffè del suo collo.

− Non penso di essermi mai divertito così tanto in un solo giorno. Devo assolutamente ringraziare Bakugō. - borbotta dopo un po' e sorrido come posso contro la sua pelle.

− Già. È uno psicopatico ma ci vede sempre lungo, lui. -

La sensazione delle dita di Hitoshi contro la mia pelle mi fanno appena il solletico, rilassano i miei muscoli tesi.

Rimaniamo in silenzio per qualche istante, concentrati solo nello stare assieme.

E poi Shinso prende fiato.

− Dopo il diploma, vieni a vivere con me. -

Un secondo.

Che?

Sul serio?

Sul serio sul serio?

− Voglio che ogni giorno sia così. Voglio dormire con te tutti i giorni della mia vita e vederti quando mi sveglio, e scopare fino a tardi e tirare via la corrente all'isolato. E ascoltarti parlare, e mangiare, e prenderci per il culo e qualsiasi cosa idiota ti venga in mente, Denki. Quando dico che ti amo, lo intendo sul serio. Non voglio smettere di dirtelo mai. -

Mi sembra che tutto si sia incastrato.

Che Shinso sia il tassello di un puzzle che cercavo di risolvere da tanto, troppo tempo, che mi tormentava.

Che sia quella cosa che si inserisce perfettamente nella mia vita, che la rende migliore, più divertente.

Sorrido, perché non riesco a fare altro.

− Sì. −

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➠♡༊ beta-read by __meryblxck MonicaKatfish --sparkles

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