4 - Il gioco più difficile
Il sole, poco limpido, di quella mattina si scontrava con la finestra di Ducan, il quale, già sveglio, seduto sul letto, era illuminato da una luce quasi tetra.
Abbassò il capo ed esalò un sospiro, mentre si portava la mano sul viso stanco. L'occhio gli cadde sulla coperta bordeaux e il lenzuolo bianco che la sera prima aveva adagiato sul letto. Sconsolato, chiuse gli occhi, buttando indietro il capo nel secondo sospiro della giornata: sentì la stanchezza prendere il sopravvento sul suo corpo.
A ogni movimento, piccoli granelli di polvere si alzarono in aria, creando fastidio al giovane. Ducan, frustrato, posò le mani sul materasso e, in un movimento secco, si alzò per aprire l'anta della finestra. L'odore acre di polvere creatosi in quella stanza doveva uscire, così che lui potesse respirare a polmoni pieni l'aria fresca di quella mattina cupa.
Si piegò, posò le mani alle estremità della finestra e, mentre osserva corrucciato i palazzi di fronte, poi il cielo grigio, in cui a volte un raggio di sole giocava a nascondino, intimidito dallo sguardo curioso del giovane, pensava alla notte passata, a quanto poco avesse dormito, a quante volte si era girato e rigirato nel letto. Davanti agli occhi aveva solo il ricordo dell'ultima volta che si erano visti: le sue spalle che si voltavano noncuranti, i lunghi capelli neri che ondeggiavano in un saluto e infine lui che, incazzato, saliva sull'aereo.
Ducan scosse la testa e voltò le spalle alla fioca luce. Svogliato, sistemò il letto matrimoniale. Finì però per portare le mani sul capo e ringhiare dal malumore.
Aveva bisogno di un buon bourbon prima di iniziare la giornata. Non gliene fregava nulla se erano appena le sei del mattino, aveva bisogno di quell'alcol.
Una volta arrivato all'angolo bar, tirò fuori la bottiglia di liquore e, come la sera prima, la passò sotto l'acqua, fece lo stesso con un bicchiere, poi soddisfatto della giusta quantità versata, si avvicinò alla finestra e si godette il liquido. Lo bevve tutto d'un sorso, arricciò il naso e andò di nuovo all'angolo bar, dove fece scivolare il bicchiere sul bancone, il quale si fermò sul marmo proprio mentre lui mise piede in bagno. Si lavò la faccia e con il viso bagnato si guardò per mezzo secondo allo specchio, scuotendo il capo alla vista di quegli occhi stanchi e arrabbiati. Lavò i denti; tolse i vestiti con i quali la sera prima aveva dormito e ne indossò di nuovi in tinta nera; calzò gli anfibi e, mentre si sistemava il cappello nero alla testa, scese le scale, poi uscì dal palazzo e, a piedi, girò l'angolo.
Si trovava, finalmente, davanti al suo luxury box personale che per sei lunghissimi mesi non aveva avuto la possibilità di osservare. Accennò un sorriso, mentre, senza il minimo indugio, aprì manualmente le ante del suo paradiso personale. Sentì il bisogno di toccare con mano quello che gli apparteneva, per assicurarsi che quella fosse la realtà.
Non era lui a guardare le macchine e le moto parcheggiate sul pavimento in marmo bianco, no. Erano loro a osservarlo. Ma non si lasciò ingannare dalla frenesia di salire su ognuna di loro, non quel giorno. Aprì, quindi, la Mercedes modello AMG GT Black Series e uscì con il bestione in strada. Con il telecomando, da remoto, chiuse le porte del box e, scuotendo il capo, ancora incredulo, si addentrò nella Birmingham della sua giovinezza.
Mentre osservava il campo di rose, sull'Avenue of thorns, prese coscienza del perché alle sei e trenta del mattino era in strada.
Un forte desiderio lo aveva mandato fuori di testa, mentre beveva il suo bourbon davanti alla vetrata, quella mattina. Ma in quell'istante, in macchina, stava pensando che quella fosse solo una folle idea. Così sospirò e, con le mani strette al volante, fece di nuovo il giro dell'isolato, quasi con l'intento di tornare nel suo appartamento.
Senza rendersene conto, però, passò sotto le torri che ostentavano la loro lussuosità barocca sull'Avenue of diamonds.
Un pizzico di follia gli aveva suggerito che ormai era vicino a quella via che desiderava vedere, così audacia e bisogno si erano stretti la mano e gli avevano dato il coraggio necessario per compiere quella pazzia.
Dopo pochi chilometri parcheggiò l'auto sul ciglio della strada, scese e alzò lo sguardo sulla targa placata in oro, attaccata al muro in marmo.
"Redemption Street".
"Bene", si disse. "È tempo di giocare".
Chiuse la machina, si sistemò la visiera del berretto, coprendo un po' gli occhi, e si addentrò nel grande palazzo. Decise di prendere le scale, perché la troppa adrenalina in corpo aveva bisogno di essere sfogata. Quando arrivò, suonò il campanello. Teneva i pugni stretti, poi allentò la presa e si tolse il cappello, lo passò nell'altra mano e con la precedente scompigliò, agitato, i capelli, ma poi la porta scattò e il cappello se lo rimise in fretta. Se lo sistemò come meglio potette e... venne colto da una delusione fottuta.
«Che cazzo ci fai qua». Ducan entrò nell'appartamento, mentre, irritato, scandì le parole una a una.
Hunter, con il pigiama addosso e ancora gli occhi pieni di sonno, lo guardò sconvolto.
«Ma che ci fai tu qua, al massimo». Chiuse il portone e si diresse in cucina per preparare un caffè.
«Un caffè!», rise divertito, portandosi le mani sul cappello nero.
«Wilson, un caffè?» Domandò adirato, guardandolo negli occhi.
«Che c'è, ne vuoi un po'?» Sorrise l'altro, mentre continuò a preparare la bevanda.
«Non lo voglio il tuo caffè, Wilson. Dov'è Anita? Voglio vederla».
«Peccato, è venuto veramente buono». Hunter, poggiato in cucina, divertito, si portò la tazzina alla bocca.
«Dove si trova Anita?» Scandì le parole, Ducan, serio.
«Sta dormendo, brutto coglione». Sussurrò a denti stretti, come per non svegliarla.
Ducan si voltò, diede le spalle all'amico e si allontanò da lui. Si portò di nuovo una mano sul cappello e si avvicinò alla grande vetrata, facendo un respiro a polmoni pieni.
"Sta dormendo", si disse.
"Devo vederla", d'impulso bramò. Così si voltò e a passo felpato oltrepassò la cucina.
«Dove stai andando?» Chiese Hunter in un sibilo, cercando di afferrarlo dal retro della maglietta.
«Non ti riguarda». Sussurrò senza voltarsi.
Esitante, Ducan si fermò davanti alla porta chiusa della stanza della giovane. Voleva solo guardarla, per ricordare a se stesso di non essere in un sogno, e poi, se lo promise, se ne sarebbe andato.
Aprì piano la porta, l'appoggiò al muro delicatamente e con la stessa premura si sostenne con la spalla allo stipite della porta. Nella penombra, Anita Venom, con i capelli neri scompigliati sul letto, con il viso sereno poggiato sul cuscino, con il corpo rannicchiato e la mano posata su una guancia come una carezza, come se stesse sognando di riceverla, era a due metri da lui.
Anita, in quel momento, mentre dormiva beata come una bambina, sembrava indifesa, ingenua, fragile. Non aveva affatto le sembianze di una donna sicura, né di una donna fatale, pericolosa, seppur la sua Beretta fosse sul letto con lei. Tuttavia era esattamente come gli ultimi tre aggettivi dicevano, lo sapeva bene quell'uomo lì.
Ducan, senza rendersene conto, nella penombra della stanza data dalle tende non molto coprenti, si era avvicinato al letto, e con un movimento lento e delicato si era seduto sul materasso accanto al corpo della giovane, infrangendo la promessa a se stesso.
Abbassò lo sguardo sulle mani incrociate e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Le era così vicino, così tanto da essere la prima volta. Poiché lei non glielo permetteva, orgogliosa e spaventata, lui cauto la cercava, perché sapeva che anche lei avrebbe voluto, eppure gli imponeva e s'imponeva il contrario. Ordinava un limite, un dovere a se stessa. E allora Ducan, finalmente a Birmingham, si ritrovava seduto sul suo letto, accanto a lei, perché quello, mentre Anita dormiva, era l'unico modo possibile per stare vicini, per loro.
Sospirò piano, si portò una mano sul cappello e alzò lo sguardo, mentre fece per alzarsi. Venne fermato però da un barlume che gli impose di voltare il capo. Erano gli occhi di Anita che, sicuri e dal colore del ghiaccio, erano rivolti sui suoi. Lo guardarono e le pupille tremarono.
Anita, stretta tra le mani, stava impugnando la Beretta. Quella pistola puntava la fronte di Ducan che, sorpreso, trattenne per un attimo il respiro, poi, però, addolcito da quel viso, si lasciò andare a un sorriso. Senza staccare gli occhi da quella donna, prese l'arma dalla canna, la sfilò dalle sue mani e la buttò sul letto, lontano da loro.
«Non entrare mai più in camera mia mentre dormo, se non vuoi che ti spari». La voce della donna oltre a essere bassa era anche piena di emozione. I suoi occhi le illuminavano il viso, mentre lei, ancora a letto, osservava Ducan allontanarsi per aprire di poco le tende.
Anita, tuttavia, incapace di stare sotto le coperte, mentre in camera sua c'era Ducan Bass, si alzò dal letto e si portò i capelli sulla schiena, legandoli in una coda lenta. Mentre lui si avvicinava con in volto un sorriso che non smetteva di cessare, lei indossava la vestaglia nera e tirava fuori da essa i lunghi capelli. Tuttavia fu vano bloccarli, quei capelli corvini, perché l'elastico era caduto sul pavimento e loro erano di nuovo dove desideravano essere. Ma non importava. Non le importava nulla di ciò che le accadeva intorno, se aveva Ducan che di fronte a lei la guardava. Se aveva Ducan di fronte a lei. Se aveva gli occhi di Ducan immersi nei suoi. Non le importava niente del resto.
Questa era un'Anita ridicola, frastornata dalle emozioni e che aveva lasciato da parte il suo dovere.
L'uomo si voltò, indicò la pistola sul letto e poi tornò sul viso della giovane.
«Per uccidermi avresti dovuto togliere la sicura. Non volevi farmi del male, Anita, volevi solo spaventarmi». Il sorriso e la voce roca che non aveva potuto vedere e sentire per tanto tempo le fece abbassare il capo, mentre nascose un sorriso.
«Mi conosci bene, Ducan». Le sue parole erano sicure, a non esserlo erano i suoi occhi arrossati. Come una sciocca, voltò a destra il capo, incapace di reggere ancora quella visuale. Lui confuso, avrebbe voluto tranquillizzarla, ma non osò toccarla. Non poteva farlo. Poteva solo osservarla con occhi pieni di sentimenti contrastanti. Paura, desiderio, colpa.
Seppur colta dalla fragilità, Anita riprese il controllo e si concentrò sull'uomo che aveva in camera.
Era Anita, la coraggiosa Anita, quella che a testa alta affrontava tutto, anche i sentimenti. Il gioco più difficile da portare a termine.
Perché quella donna era stata creata da Madre Natura che, in quella mattina piena di emozioni, le sussurrò che era ora di far prendere il sopravvento alla sua follia ed eleganza. Niente timore, niente paura, solo dannata follia a giocare per lei.
Lei accennò un sorriso.
«È questo il modo di salutare una vecchia amica? Presentarti in camera sua e sperare di essere sparato?» Uscì dalla sua stanza con portamento sicuro, elegante, seppur, dentro, il cuore era in trambusto.
«Siamo vecchi amici?» Ducan la seguì con il viso contratto, mentre la osservava entrare in bagno. Si poggiò al cornicione e mise le mani in tasca e in quell'istante lei fu percorsa da un desiderio folle. Lei avrebbe solo voluto afferrarlo per il braccio e tirarlo dentro con sé, chiudere la porta a chiave e parlare, stringerlo a sé e chiedergli di non andarsene più, invece lo guardò negli occhi e aprì bocca.
«Siamo vecchi amici un po' speciali, Ducan». La sua voce era bassa, mentre gli rivolse quelle poche parole. Lui la guardò, osservò il suo viso e le sue labbra al mattino, osservò i suoi occhi gelati, i suoi lunghi capelli scuri e la bramò, che altro poteva fare? La osservava e, mentre la desiderava, lei, in un sorriso eloquente, chiuse la porta davanti al suo corpo in delirio.
Lo spazio di Cenere
Buonasera amici!
Come promesso questo capitolo contiene un po' più d'azione. Finalmente c'è il fatidico incontro tra Ducan e Anita intriso di emozioni. Abbiamo un Ducan che fa una pazzia e un'Anita fragile che però prende il controllo e diventa spigliata, accattivante, e agli occhi di Ducan seducente. Ne vedremmo delle belle con questi due, ve lo anticipo!
Tenetevi pronti al prossimo capitolo ;)
Ma intanto ditemi, che idea vi siete fatti di questa parte? Abbiamo anche una sorta di scontro tra Ducan e Hunter... Aspetto la vostra, lo sapete, ci tengo molto!
Lascia anche una stellina di supporto, per favore!
Ci vediamo tra tre giorni con il capitolo cinque! Aggiorna la sezione "STATO", lì pubblico sempre le date d'uscita dei futuri capitoli compreso gli orari ;)
Mi trovi anche su ig come @cenere.astrale
A presto,
- Cenere
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