3. La Bacchetta
Gnomo
Classificazione M.D.M: XX
Lo gnomo è un comune parassita dei giardini e lo si trova in tutto il Nord Europa e Nord America. Può raggiungere i trenta centimetri di altezza, ha la testa grossa, sproporzionata, e duri piedi ossuti. Lo gnomo può essere eliminato dal giardino facendolo roteare fino a stordirlo e poi lanciandolo dall'altra parte del muro di cinta. In alternativa può essere usato un Jarvey, anche se molti maghi oggi ritengono questo metodo per il controllo degli gnomi troppo violento.
I miei ricordi di questa parte sono nebulosi...la mia memoria comincia a mostrare dei buchi. Sto invecchiando, non ho paura di ammetterlo e non temo la morte. È per via di questa consapevolezza, però, che ho deciso di scrivere questa storia prima che sia troppo tardi. Voglio che il mondo sappia come sono andate veramente le cose. I giornali non hanno riportato tutta la verità, e forse io sono l'unico a conoscerla davvero, questa verità, perché, il giorno in cui tentai di dissezionare l'Horklump c'eravamo solo io e la mamma e ora ci sono solo io.
E non so per quanto sarà così.
Quindi chiudo un attimo gli occhi, scavo nella memoria, tra i colori e i suoni di quel giorno. Intingo la penna nel calamaio e lascio che l'inchiostro ricominci a spandersi sulla carta, intrappolando, una volta per tutte, la storia.
Lo zio Alfred mi portò via da casa mia su quella che pareva una carrozza i cui cavalli erano stati sostituiti da un motore rumoroso e sbuffante. Le grosse ruote giravano senza sosta, sobbalzando ad ogni pietra che veniva scagliata a bordo strada.
Dopo il momento dei saluti, scambiati tra lacrimoni e promesse di tornare durante le vacanze natalizie, non avevo più aperto bocca. Non avevo nulla da dire, non ad Alfred, per lo meno.
Ricordo ancora i suoi tentativi di fare conversazione, le domande alle quali rispondevo con dei monocordi monosillabi.
La foresta andava facendosi via via sempre più rada e ormai era impossibile poter scorgere degli asticelli nascosti tra i rami, ci trovavamo troppo prossimi alle strade battute dai Babbani. Mamma mi aveva parlato dei Babbani, persone come noi nell'aspetto, ma dalla mente ristretta, chiusa nei confronti di tutto ciò che loro ritenevano impossibile.
Non avevano bacchette magiche e non erano in grado di fare nemmeno l'incantesimo più banale. Ero sempre stato affascinato da quella razza e mi immaginavo chissà cosa, tanto che rimasi molto deluso quando cominciai a vedere le loro figure del tutto uguali a noi passeggiare per le strade.
Ci stavamo avvicinando alla città.
Londra.
So che una volta mia madre aveva vissuto a Londra, ma in effetti in quel periodo non conoscevo molto del suo passato. E non mi ero mai fatto domande.
Alfred mi osservava compiaciuto mentre sulla mia retina andavano ad imprimersi gli edifici sempre più alti, le strade battute da auto come la nostra o da carrozze ancora trainate da cavalli e i marciapiedi calpestati dalle suole bucate di monelli di passaggio, che si colpivano tra loro con noccioli e sassolini.
Ma qualcosa, di meno evidente ma più presente mi stordiva e ci misi un bel po' prima di riuscire a capire cosa fosse.
Il rumore.
Risate, voci, scoppiettii dei motori in rodaggio, il nitrire dei cavalli, passi frettolosi, saluti, esclamazioni...erano ovunque e irraggiungibile era ormai il flebile fruscio delle foglie delle betulle o il gorgogliare del ruscello.
-Allora? – lo sguardo di Alfred era carico di aspettativa e mi trovai a rispondere di slancio:
-Mi piace! – ed ero sincero.
Oltre ai suoni cominciai a distinguere gli odori, ce n'erano di fastidiosi, acri e invadenti, ma anche di delicati, come quello della pastafrolla passando davanti al panettiere o a quello del sapone quando passammo davanti al barbiere.
La macchina di Alfred non si fermava, superava vie, negozi e case.
Ad ogni svolta mi chiedevo quale meraviglia mi sarei trovato davanti e mi stampavo nella mente ogni mattone, ogni vaso di fiori alle finestre e ogni viso sorridente o sporco di carbone.
Solo quando entrammo in una via indicata come Charing Cross Road, zio spense il motore.
-Preparati, figliolo. – mi disse con una strizzatina d'occhio.
Voleva dire che poteva esserci qualcosa di più formidabile del rumore? Delle strade viste fino a quel momento? Un pensiero sbagliato mi nacque in quel momento nella testa e a lungo provai a scacciarlo, spesso invano "Perché la mamma mi aveva sempre tenuto lontano da tutto quello? Il mondo non era soltanto la casa di pietra con il camino..."
La mia personalità stava cominciando a mutare e nemmeno ne ero consapevole.
Alfred si mise a camminare a passo spedito e io cercavo di stargli dietro, perdendomi però ogni volta dietro a qualche vetrina.
-Solo una moneta. – una voce mi attirò lo sguardo verso un angolo scuro.
Un paio di occhi dorati spuntavano sotto un cappuccio e due mani scheletriche si protesero verso di me.
Ebbi un moto di paura che mi fece muovere qualche passo indietro. Andai a sbattere contro un uomo in giacca e cravatta che stringeva tra le mani una valigetta nera. Quello mi urlò qualcosa e mi spinse via.
Mi trovai a barcollare senza una direzione fino a che un nitrito agitato attirò la mia attenzione. Il cavallo che stava sfrecciando sulla strada si impennò proprio un attimo prima di travolgermi.
E io rimasi immobile. Paura, probabilmente, ero paralizzato.
Vedevo quegli zoccoli ferrati agitarsi a pochi centimetri dal mio naso e non potevo che sbattere le palpebre.
Il cavallo terminò la sua impennata alla mia destra e vidi uno sguardo di fuoco incenerirmi dall'alto della carrozza.
-Vuoi farti ammazzare?! – mi urlò il conducente indeciso tra l'essere sollevato per l'avermi scansato e l'essere furioso.
Non ebbe il tempo per decidersi. Sentii una presa salda attorno al mio braccio e fui riportato sul marciapiede.
-Cosa ti è saltato in mente? – la voce di Alfred era colma di terrore. Forse era stato lui a prendersi anche la mia paura.
-Stai bene? – aggiunse dopo aver respirato profondamente. Io riuscii solo ad annuire con insistenza.
-Va bene...- sospirò –ora, però, stammi vicino. Soprattutto quando saremo...di là. –
Di là? Cosa intendeva?
Dopo pochi passi, durante i quali Alfred mi tenne saldamente per il braccio, facendomi quasi male, si accostò ad un edificio scuro, dalle finestre chiuse e una porta nera scrostata. Guardandomi attorno provai la sensazione che i Babbani non lo notassero, come se solo io e Alfred fossimo in grado di vederlo.
-Questo...- esordì con un entusiasmo ingiustificato da quell'edificio fatiscente – è il Paiolo Magico! Vieni, seguimi. –
Non ebbi il coraggio di criticare la struttura e, non appena varcammo la soglia, accompagnati dal trillo di una campanella dorata, qualche decina di occhi che spuntavano nella penombra ci fissarono per un istante, prima di tornare alle loro chiacchiere e bevute.
Vidi cappelli a punta e nasi adunchi sfilarmi davanti agli occhi, uomini dalla pelle scura dai capi avvolti in turbanti. Due uomini schiamazzavano lanciando dei dadi in una angolo della stanza, accanto a loro, in una gabbia, vidi uno gnomo che si aggrappava disperatamente alle sbarre, sbattendo il suo grosso testone contro di esse.
Provai l'impulso di liberarlo ma il braccio di Alfred ancora posato sulla mia spalla mi trattenne. Zio salutò alcuni maghi dagli occhietti piccoli che sembravano contrattare animatamente per qualcosa di non ben definito, successivamente fu bloccato da una strega dai magnetici occhi violacei che lo invitò a farsi predire il futuro, ma lui evitò pure quella.
Senza sapere dove guardare, lasciando che le narici mi si riempissero dell'odore pungente dell'alcool e le orecchie degli schiamazzi concitati, mi lasciai trascinare fino ad una porticina angusta che ci fece spuntare sul retro del sordido pub.
Davanti a noi si parava un muro di mattoni rossicci e in un angolo ero accatastati dei sacchi colmi di rifiuti.
Alfred mi osservò con sguardo complice e da sotto il panciotto estrasse una bacchetta simile a quella di mia madre se non per il colore che era più tendente al rosso.
Sembrò contare qualcosa sottovoce, osservando i mattoni scrostati e ne scelse due che toccò con la bacchetta.
Passò un secondo di silenzio assoluto, poi quei due mattoni vibrarono leggermente, impercettibilmente, prima di spostarsi.
Quasi risvegliati dai due compagni, gli altri mattoni si stiracchiarono, vibrando producendo un rumorino sordo e costante e cominciarono a spostarsi in due direzioni opposte, alcuni a destra, altri a sinistra, lasciando che al centro si formasse un varco via via sempre più grande.
Incredibile...Nella città di Londra, a due passi dalle case dei Babbani, si celava una vera e propria città di maghi.
Alfred mi condusse al di là del muro, che si richiuse alle nostre spalle, e cominciai a guardarmi attorno senza parole. Una stretta viuzza lastricata in pietra grigia scivolava sotto i miei passi, stretta tre edifici un po' storti dai quali portici pendeva ogni genere di cianfrusaglia: piume di fenice, denti di Ghoul, scatoline piene di peli di Kneazle, ali di Pixie...mi immersi in odori e colori mai conosciuti prima, lasciando che gli occhi si colmassero di tutte quelle meraviglie.
Osservai un uomo col cappello a cilindro rincorrere un libro che stava fuggendo tra le gambe di una strega, schizzando il suo inseguitore con spruzzi d'inchiostro verde. Una donna era circondata da panni fluttuanti che si strizzavano da soli, lasciando che l'acqua sporca scorresse già per la strada.
Ovunque cartelli decantavano le specialità della bottega, con lettere dispettose che talvolta andavano spostandosi creando parole poco gentili nei confronti di chi leggeva o facendo complimenti sfacciati alle belle streghe di passaggio.
-Allora, da dove cominciamo? – mi domandò lo zio, e quella fu una delle domande più difficili che mi siano mai state poste in vita mia.
Volevo vedere tutto, ogni singola bancarella, perdermi nelle vie di quella città nascosta, non uscirne mai più.
Ma era impossibile e lo sapevo bene, quindi, a malincuore, tirai fuori dalla tasca il foglio con i materiali da acquistare e io e Alfred cominciammo a peregrinare da un negozio all'altro mentre nelle buste che tenevamo in mano andavano ad ammucchiarsi libri, paioli e altri strumenti per poziologia, un mantello, un cappello a punta, un paio di guanti neri e molte altre cose che in quel momento mi parevano pressoché inutili.
Fu "Olivander" ha rapire definitivamente il mio cuore.
Il mio ingresso nella sua bottega fu anticipato dall'esclamazione di Alfred: "È arrivato il momento che tu abbia una di queste" e, agitando la sua bacchetta, mi aveva indicato una vetrina che si affacciava su un negozietto dall'aria polverosa, con una scrivania di legno scuro molto imponente, circondata da altissimi scaffali pieni di piccole scatolette rettangolari.
Quando entrammo, un omino dagli occhi scintillanti stava pulendo un paio di occhialetti tondi dalla montatura dorata che si calzò sul naso non appena ci vide.
La luce del sole filtrava dal vetro andando ad illuminare il pulviscolo che fluttuava nell'aria e che, ad ogni nostro movimento, si spostava nella stanza.
Come sempre la mia attenzione si focalizzò sugli odori di quel nuovo ambiente: un odore secco trasudava dagli scaffali, come il profumo dei vecchi libri, quelli dalle pagine ingiallite dal tempo e rilegati in pelle.
-Oh, il momento di comprare la propria prima bacchetta...- all'ometto scintillavano gli occhi quasi fosse lui ad essere più emozionato di me. Il suo viso aveva dei lineamenti morbidi e una zazzera di capelli brizzolati gli incorniciava la testa.
-Vediamo un po' – scivolò giù dalla sedia sulla quale era appollaiato e sparì tra due degli enormi scaffali. Provai a sporgere la testa per osservarlo, ma lui era già sparito in quel labirinto di corridoi.
-Che ne dici di provare con questa...una bacchetta di Corniolo, sono sempre molto interessanti e divertenti i loro risultati. –
L'ometto ricomparve esattamente alle mie spalle facendomi sobbalzare e prima che potessi aprire bocca mi aveva già piazzato in mano un bastoncino lungo circa due palmi con la punta più stretta e l'impugnatura decorata da fregi particolareggiati.
Nel momento in cui la strinsi mi sentii pungere la mano come da centinaia di piccoli aculei e quando Olivander mi spronò ad agitarla, lungo il mio braccio si aprì un taglio lungo tutto l'avambraccio che mi fece cacciare un grido di dolore; la mia mano si aprì di scatto e la bacchetta cadde al suolo.
Il taglio era piuttosto profondo e la sensazione di essere punto continuamente non passava. Il sangue aveva cominciato a scorrermi lungo la mano e apprezzai infinitamente l'intervento di Alfred che, con un paio di parole bisbigliate e il tocco fresco della sua bacchetta, riportò il mio braccio alla normalità.
Mi ero preso un bello spavento e mi rifiutai di raccogliere la bacchetta abbandonata al suolo.
Risultati interessanti e divertenti? Avevano uno strano senso dell'umorismo le bacchette di Corniolo.
Voltandomi vidi i due grandi occhi di Olivander fissarmi, scrutandomi con attenzione. Mi sentii come un libro al quale viene sollevata la copertina per cominciare ad essere letto.
Fortunatamente quella sensazione di disagio durò solo pochi istanti, la sua espressione tornò alla normalità ed esclamò, più motivato di prima: -Ci sono! –
Sparì dietro ad uno scaffale più basso dei precedenti, sopra il quale erano visibili i suoi ricci muoversi animatamente. Sentii fruscii e scatole che cadevano e, quando rispuntò, stringeva tra le mani una bacchetta che trovai più affascinante della precedente: il suo legno scuro, brunito, riluceva lucido. A metà il legno si divideva in due filamenti che si attorcigliavano tra loro formando l'impugnatura. Vicino alla punta vi era una piccolissima crepa.
-È l'ultima rimasta, spero che tu possa apprezzarla comunque. – mi strinse l'occhio vispo e me la cacciò fra le dita.
Mi sentii sollevato nel constatare che nessun ago aveva preso di mira la mia mano, anzi, un calore piacevole si diffondeva dal manico scuro, risalendomi lungo le vene andando a rasserenare tutto il mio corpo.
Dalla piccola crepa uscì una flebile scintilla che scivolò al suolo con un sospiro.
Non avevo bisogno di agitarla per capire che quella sarebbe stata la mia bacchetta. Mi aveva scelto.
-Sì, direi che è quella giusta. – assentì Olivander accompagnato dall'annuire di Alfred.
– Le bacchette d'acero scelgono maghi che per natura amano viaggiare ed esplorare; non sono bacchette nate per stare in casa e prediligono una strega o un mago ambiziosi, altrimenti la loro magia si appesantisce e si spegne. Nuove sfide e frequenti cambi d'orizzonte fanno letteralmente risplendere la bacchetta di acero che diventa sempre più brunita man mano che il suo prestigio e i suoi talenti crescono, insieme a quelli del suo padrone.- snocciolò il negoziante e le sue parole mi diedero la conferma che quella sarebbe stata la mia bacchetta.
***
angolo autrice: essendo che questa storia è nata prima dell'uscita del film spero che possiate tollerare le libertà letterarie che mi sono concessa, come la scelta della bacchetta :)
Grazie a chi ha cominciato a seguire la storia!
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