54. Eagle
ICE
La vita è un sogno da cui ci sveglia la morte.
(Hodjviri)
L'elicottero si era già allontanato e i droni, con il loro fastidioso ronzio, erano già in posizione. Ero di fronte ad una distesa di neve vergine. Un'intera montagna tutta per me, ricoperta da quelle tonalità tipiche dell'alba, capaci di
colorare il bianco di tinte soffici e difficili da definire, con delle sfumature che fanno brillare la neve come se fosse una distesa di glitter. Un tacito invito a far scivolare la tavola su quella polvere magica, marchiando e rivendicando con la mia traccia quei pendii che non aveva ancora percorso nessuno.
Le emozioni nei confronti dello spettacolo che mi circondava erano duplici e estremamente in conflitto tra loro.
La bellezza e maestosità del monte Divil, mi scatenavano un senso di potenza indescrivibile, ma allo stesso tempo sapevo che era stata proprio quella cima ad aver impedito a me e a Ember di tornare in armonia e goderci la nostra relazione senza problemi.
La notte precedente, dopo il nostro bacio di fronte alle telecamere, Ember aveva ripreso ad ignorarmi, continuando a bere alcolici, come se stesse ricercando una sorta di l'oblio. Ricerca in cui, peraltro, ebbe notevole successo considerando che l'avevo riportata a casa praticamente in braccio e non del tutto cosciente.
Non riuscivo a comprendere il perché di quella reazione. L'avevo vista affrontare situazioni davvero difficili, ma pochissime volte si era sfogata sugli alcolici.
Anche quella mattina, quando mi ero svegliato prima dell'alba per meditare e recarmi all'hotel per gli ultimi check, Ember sembrava dormire profondamente. Mi ero quindi limitato a impostarle la sveglia sul telefono e l'avevo lasciata dormire. Le preparai la sua colazione preferita. Una spremuta, un beagle farcito con formaggio, salmone e avocado e una scodellina con yogurt e mirtilli. La lascia sul bancone della cucina con un biglietto con scritto "A buon rendere..." alludendo quindi al fatto che la mattina seguente mi sarei aspettato lo stesso trattamento, considerando che sapeva benissimo quale fosse la mia colazione preferita. Una semplice tazza di caffè bollente e poi lei, nuda, su quel bancone, mentre urlava il mio nome. Quelle tre semplici parole, scritte di mio pugno, nascondevano quindi la promessa e la speranza che la mattina dopo saremmo tornati alla nostra normalità, o per lo meno a quei brevi sprazzi di felice routine che avevamo avuto in passato.
In quel momento, di fronte a quella distesa di rocce taglienti e neve illibata, mi chiesi come avesse reagito alla colazione. Se si fosse messa a ridere oppure avesse sbuffato infastidita. Oppure in preda al mal di testa da sbornia non si era neppure evvicinata. Forse avrei dovuto preparare anche un bicchiere d'acqua con un aspirina...
Ad ogni modo le risposte a quelle domande avrebbero dovuto aspettare quei quaranta minuti circa di discesa. Non l'avevo ancora sentita in quanto non avevo con me il telefono, ma solo una ricetrasmittente avanzata che mi permetteva di comunicare con lo staff, e che allo stesso tempo non avrebbe interferito con le frequenze dell'ARVA in caso di valanga. Una possibilità davvero remota, ma d'altra parte l'intera organizzazione di quell'evento era stata impostata con le misure di massima sicurezza e le tecnologie più avanzate. Perciò niente telefono e niente notizie da Ember ancora per diverso tempo.
«Ice, come andiamo?» la voce di Bill riecheggio nell'auriculare.
Un drone si avvicinò per riprendere la conversazione telefonica.
«Alla grande! Non c'è un bava di vento e la neve sembra stabile. Non vedo l'ora di scendere. Voi siete pronti con le riprese?»
«Sì siamo pronti! Attendiamo il tuo via.»
«Avrei bisogno di concentrarmi un paio di minuti, potete mandare via i droni?»
«Ok, Ice. Facciamo così. Eseguiamo due riprese come se meditassi e poi li facciamo allotanare. Al tuo via torneranno, ma ti chiedo di aspettare il mio ok prima di scendere. Non appena saranno di nuovo in posizione potrai partire.»
«Ricevuto. Un ultima cosa. Ember è li con voi all'arrivo? »
«Sì, è arrivata dieci minuti fa. Non la vedo ora. Ma poco fa era con Kev per decidere il punto delle vostre riprese.»
«Grazie, Bill. Allora procediamo!»
Avrei impiegato poco più di mezz'ora a ricongiungermi alle piste da sci e altri dieci a raggiungere l'arrivo della postazione Firewings. Meno di un ora e quel circo sarebbe finito, o per lo meno la mia scoiattolina si sarebbe tranquillizzata.
Il livello di pericolo valanga era di grado uno. Non era zero, ma d'altra parte nel mio lavoro non c'era mai state le condizioni di agire in totale e completa sicurezza, men che meno sull'half pipe.
Elimanto quel maledetto inquinamento acustico dovuto ai droni e una volta saputo che Ember stava bene e mi stava aspettando all'arrivo, fui libero di meditare.
Sgombrai la mente, entrai in contatto con la montagna e visualizzai la traccia che avevo studiato con lo staff tecnico della Firewings. Ripercorsi con la mente i cinque safe spot che dovevo raggiungere e poi il volto sorridente di Ember che mi abbracciava sollevata.
«Bill, ci sono. Puoi farli tornare!»
«Ok, Ice. Trenta secondi e sarai di nuovo sotto le telecamere. Attendi il mio via.»
Il ronzio tornò a farsi sentire da lontano assieme ad un nuovo suono. Quello di un'aquila. Quel povero volatile doveva essere infastidito ancora più del sottoscritto da quel rumore innaturale che sporcava la pace della montagna. Non potevo che compatirlo, ma d'altra parte quelle telecamere erano lì per me e per Skyville. Così iniziai lo show. Abbassai la maschera, misi in posizione la tavola e sistemai meglio nell'orecchio la ricetrasmittente.
«E tutto pronto, Ice. Quando vuoi prenditi quella montagna, ragazzo!»
E così iniziai la mia discesa.
La prima parte era uno stretto canyon tra le rocce. Dovevo quindi limitare la velocità e la neve non era molto farinosa.
La seconda parte invece era un alternanza di rocce e accumuli di neve fresca. Bill mi guidava dalla ricetrasmittente, anticipandomi le direzioni che dovevo prendere.
Mi fece fare una piccola deviazione per via di una piccola valanga creatasi dal mio passaggio e al primo safe stop mi fermai a controllare la situazione.
«Ice, possiamo riprendere la linea originaria, se pensi sia fattibile.»
«Direi di sì. La neve è super stabile.»
«D'accordo! Dacci dentro!»
«Lo farò! Ora inizia davvero il divertimento.»
La terza parte era infatti un susseguirsi di soffici agglomerati di neve farinosa. La linea che avevamo scelto prevedeva inoltre tre diverse rampe naturali che mi permisero di eseguire degli avvitamenti da manuale.
Mi godetti appieno quella sezione di libertà, soddisfatto di come stavano andando le cose e felice che a breve avrei festeggiato con Ember. Ma fu proprio mentre ero sospeso nell'ultimo salto che udii un piccolo boato e lo stridio dell'aquila.
La mia tavola non aveva ancora toccato terra che Bill mi stava già urlando nell'orecchio.
«Ice, alla tua sinistra! Devi spostarti immediatamente a sinistra. C'è una valanga dietro di te. Quella cazzo di aquila ha abbattuto il drone sulla costa della montagna»
Per un attimo rimasi spaesato, poi con una salto feci ruotare la tavola di cento ottanta gradi e la portai in backside al fine da rendermi conto di quanto fosse vicina.
Capii subito che non ce l'avrei fatta. Un lastrone immenso si era staccato dalla vetta. Mi rimanevano pochi secondi, così mi preparai ad azionare airbag da valanga, mentre cercavo di guadagnare lateralmente più decine di metri possibili, in modo da non prendere in pieno la parte centrale.
Non mi guardai più indietro, misi una mano sulla corda di attivazione. Quando inizia a sentire la neve mancarmi sotto la tavola, tirai forte e l'attivai. Dopo qualche frazione di secondo non vidi più nulla. Ero dentro una nuvola di neve che mi sballottolava in ogni direzione. In un primo momento d'istinto trattenei il respiro, ma mi sforzai di inspirare finché ne avevo la possibilità.
Quando mi resi conto che il moto stava rallentando misi le braccia davanti al volto per cercare di creare una sacca d'aria e dopo pochi istanti mi ritrovai nel buio completo.
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