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46. Hangover

ICE

"La passione non è solo lecita. È un diritto. Perché la passione non è semplicemente un'emozione.
La passione è meraviglia, stupore, contemplazione, mistero, amore."

(Fabrizio Caramagna)

Mi svegliai completamente frastornato, sul divano del nostro chalet, colpito da un raggio di sole che mi illuminava in pieno il volto. Doveva essere già tarda mattinata e ringraziai il Signore che la conferenza stampa fosse solo nel primo pomeriggio. Non ero abituato a bere alcol. Per quanto meritata, quella serata di eccessi ci aveva fatto crollare nell'area living, dopo uno dei migliori amplessi di sempre.
Aprii gli occhi e trovai Ember accasciata sul mio torace, ancora completamente nuda. Tra i suoi seni si stagliava la mia medaglia e in quel momento decisi che quella fosse la mattina più bella della mia vita.
Richiusi gli occhi, richiamando alla mente le immagini bollenti della sera prima, quando eravamo entrati nello chalet e ci eravamo svestiti ancora sul pianerottolo. Le avevo tolto tutto tranne la medaglia che le avevo messo al collo durante un nostro ballo, sfrenato e decisamente bollente, al Rocket Resort. Poi, senza alcun preambolo, l'avevo presa sulla cassettiera dell'ingresso perché l'urgenza di vederla venire non poteva aspettare un secondo di più.
Solo dopo che Ember si era contratta violentemente sul mio cazzo, urlando a squarciagola il mio maledetto nomignolo, l'avevo sollevata e, rimanendo sempre dentro di lei, l'avevo adagiata sui cuscini dell'area lounge. Dopo un lungo e languido bacio, mi ero staccato. Volevo vederla ancora esplodere, ma nonostante fossi ancora duro come il marmo, non ero stato così sicuro di riuscire a farla venire velocemente a causa di tutto l'alcol che avevo ingurgitato in preda ai festeggiamenti.
Così mi ero diretto verso il suo ombelico, lasciando una scia umida di saliva. Quando sentii il suo ventre tremare, il mio cazzo si mosse da solo, diventando ancora più solido. Per un attimo rivalutai l'idea di sprofondare dentro di lei nuovamente, ma ero troppo vicino alla meta e l'aroma degli umori della mia scoiattolina mi stava dando alla testa.
Così fu il mio volto a insinuarsi tra le sue gambe. La penetrai con la lingua, con il risultato che Ember gettò la testa all'indietro e ricominciò ad ansimare contorcendosi sulla mia faccia. Voleva di più e io l'accontentai sostituendo la mia bocca con due dita. Cercai immediatamente quel rigonfiamento e mi mossi dentro di lei, spingendolo senza alcuna delicatezza, mentre da fuori stimolavo lo stesso punto premendolo con energiche leccate.
Ember venne violentemente ancora una volta e io non resistetti più. Sprofondai dentro di lei, muovendomi piano per lasciarle il tempo di recuperare. Il mio cazzo usciva ed entrava nelle sue pieghe per tutta la sua lunghezza e lei gemeva ad ogni lento affondo. Solo quando avvolse le gambe intorno alla mia vita, premendo il mio bacino tra le sue, ebbi il segnale che era pronta a ricominciare davvero. Voleva di più e più forte. L'accontentai spingendomi fino in fondo e ondeggiando in modo da toccare quel nocciolo rigonfio che la faceva impazzire. Prese a muoversi contro di me per aumentare le spinte. Voleva ancora di più e sapevo esserci un solo modo per accontentarla. Mi staccai da lei velocemente e altrettanto velocemente mi diede le spalle, mettendosi in ginocchio appoggiandosi alla spalliera del divano. La presi da dietro, sprofondando fino al punto più profondo. La sua testa cadde all'indietro sulla mia spalla e socchiuse la bocca in un gemito soffocato. Le presi il volto con una mano e iniziai a baciarla, mentre l'altra scesi per stimolare il clitoride in perfetta sincronia con i miei affondi lenti e profondi. Procedemmo così con una calma disarmante e allo stesso tempo con un'intensità e profondità ai limiti del dolore.
Quando la sua bocca iniziò a tremare nella mia, lo fece anche il suo ventre. Anche io ero vicino ad esplodere e avevo tutte le intenzioni di trascinare nel mio orgasmo anche lei. Quando il mio getto riempì il suo ventre, spinsi ancora di più tra le sue gambe e continuai a muovermi dentro di lei. Ember si sciolse nella mia bocca e smise di respirare mentre i suoi muscoli interni sembravano risucchiarmi fino all'ultima goccia.
Rimanemmo per un lungo istante a respirare affannosamente l'uno nella bocca dell'altro, mentre le mani vagavano sul suo seno, accarezzando sia lei che la medaglia che saliva e scendeva in un respiro cadenziato. Lentamente, i nostri corpi scesero sulle sedute del divano fino a crollare nella stessa identica posizione in cui mi ero svegliato.

Quando riaprii gli occhi, mi accorsi di due cose. Il mio cazzo era diventato di nuovo duro in preda ai ricordi e Ember era sveglia. Aveva uno sguardo assonnato, ma allo stesso tempo malizioso e il suo corpo sembrava emanare un calore che mi stava riscaldando le viscere fino a farmi contrarre il basso ventre.
La mia mano sfiorò la medaglia adagiata sul suo addome, poi un suo capezzolo, fino a risalire sul suo volto. Infilai le dita tra i suoi capelli, sotto l'orecchio e le mie labbra si avvicinarono lentamente alle sue.
Prima ancora che collidessero, peró, un rumore sordo e insistente colpì la mia testa.
Qualcuno stava bussando alla porta dello chalet.
«Cazzo!» mormorai sulle sue labbra con una voce roca e irritata. «Potremmo ignorarlo...» proposi infine.
Ma i colpi sulla porta divennero sempre più insistenti.
«Penso sia meglio vedere cosa succede, o tireranno giù la porta...» mormorò Ember ancora sulla mia bocca.
«Ice...Ember...Sono io, aprite!» Riconobbi allora la voce di Ty, nonostante avesse un tono che non gli avevo mai sentito. Sembrava allarmato. Lo avevo sentito arrabbiato, deluso, a volte anche furioso, ma mai avevo percepito quella nota di urgenza nella sua voce.
Anche Ember sembrò aver elaborato lo stesso pensiero, perché ci mettemmo seduti con un balzo. Un alone di apprensione pervase la stanza. Senza smettere di guardarci, le passai la coperta e mi precipitai all'ingresso. Raccolsi i miei boxer e scostai con un piede quella distesa di vestiti che avevamo lasciato sul pavimento, quel tanto che bastò per aprire la porta.
«Cazzo, Ice! È tutta mattina che vi sto chiamando...» si bloccò non appena fece irruzione nello chalet. Guardò i vestiti a terra, poi la mia faccia assonnata e poi ancora Ember che sbucava dal basso dell'area living con un'aria a dir poco sbarazzina.
«Oh porca puttana! Non avete ancora acceso i cellulari?»
«Ty, non ho nemmeno la più pallida idea di dove siano i nostri telefoni. Abbiamo appena aperto gli occhi.»
«Merda!» imprecò ancora. «Non sapete ancora nulla quindi?»
Scossi lievemente la testa, sempre più confuso. Ty avanzò all'interno con le mani tra i dreadlock. Procedette verso i divani ignorando il fatto che Ember fosse mezza nuda, fatta eccezione ovviamente del plaid nel quale si era avvolta.
Si sedette nell'area living e si versò un bicchierino di rum che giaceva sul coffee table. Non ricordavo nemmeno come ci fosse finito lì.
Lo ingurgitò in un solo sorso e poi mi fissò.
«Ice, siediti per piacere. Riguarda Alan.»

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