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41. Stand by

ICE

"I sensi di colpa, quasi sempre, te li costruisce chi ti ha costruito la gabbia da cui sei fuggito."
(Alessandro Bruno)

Non mi posi il problema di cosa potessi fare o non fare in un aula di tribunale, perché non appena compresi che Ember stava svenendo, saltai con un balzo la staccionata che divideva l'area del pubblico da quella dei legali e corsi verso di lei.
Si era accasciata sul banco prima di perdere completamente i sensi e scivolare a terra. Questo le aveva evitato un brutto colpo alla testa. Solo una volta presa fra le braccia mi accorsi che il giudice mi stava fissando con uno sguardo tra il preoccupato e l'arrabbiato.
«La porti subito fuori di qui, giovanotto!»
Non feci in tempo a sollevare Ember tra le braccia, che il rumore sordo del martello che picchiava sul blocco rimbombò per tutta l'aula.
«La seduta è momentaneamente sospesa. Venga messo agli atti che la difesa non ha mantenuto una condotta deontologica corretta e, per tanto, alla prossima infrazione verrà avviato un procedimento disciplinare.»
Thomas Lee mi fece segno di seguirlo e mentre mi incamminai vidi con la coda dell'occhio che Alan mi stava fissando con aria di sfida. Con uno sforzo immanne evitai che il mio sguardo incrociasse il suo. Non avevo nessuna intenzione di ricascarci di nuovo e servigli sul piatto d'argento la mia ira, la quale avrebbe solo giovato alla loro linea difensiva. Avevano già provocato Ember mettendola letteralmente al tappeto e io non gli avrei di certo dato il mio fianco sinistro un'altra volta.
Così strinsi Ember ancora di più al petto e proseguii fuori dall'aula. Lee mi fece strada verso un ufficio elegante e suntuoso con un lungo divano chesterfield, mentre la sua assistente ci stava già rincorrendo con due bottigliette di acqua ghiacciata.
Le tolsi la giacca e la lasciai andare sulla seduta con riluttanza, premurandomi di sistemarle le gambe sul bracciolo del divano in modo da tenerle più in alto rispetto alla testa. Posizionai una bottiglietta di acqua ghiacciata dietro il suo collo e l'altra sulla fronte.
«Signor Egawa, devo chiamare i paramedici? C'è un'ambulanza qui fuori...» Mi chiese una voce sconosciuta al mio fianco. Non mi ero reso conto che un ufficiale ci aveva seguito in quell'ufficio.
Mi voltai verso di lui riflettendo ancora sul da farsi, ma fortunatamente Ember scelse quell'insante per emettere un lieve mugolio.
«Credo sia tutto a posto per momento, la ringraziamo.» Dissi riportando l'attenzione sulla mia scoiattolina.
«Ice...» mugolò ancora.
«Sono qui, piccola.» le risposi prendendole la mano.
I suoi occhi si schiusero leggermente e le sue iridi si mossero debolmente in piccoli cerchi per guardarsi intorno.
«Mmmh...Dove sono?»
«Sei in ufficio del tribunale, credo tu abbia avuto un attacco di panico e sia svenuta.» Le confermai con una voce un po' troppo rotta, che tradì la mia apprensione.
Con un verso lamentoso afferò la bottiglietta di acqua dalla fronte e cercò di aprirla.
«Dammi qui...» gliela levai dalle mani mentre si metteva seduta e gliela riconsegnai aperta.
Dopo un lungo sorso guardò prima me e poi Thomas. «Mi dispiace, non so davvero cosa mi sia preso...»
Emisi un lamentò gutturale, non riuscendo a dire altro. Un groviglio di sensi di colpa mi stava annodando la gola. Era troppo per lei e stava subendo tutto quel tormento per causa mia, solamente perché ero stato così stupido da cedere alle provocazioni di Alan, a Park City.
Thomas invece fu più pronto e intervenne al posto mio. «Ember mi dispiace molto che tu ti sia sentita male per come sono andate le cose stamattina, se la vogliamo vedere da un punto di vista legale, il tuo attacco di panico gioca notevolmente a nostro favore, quindi non crucciarti troppo.»
«E vero!» intervenne l'assistente tutta eccitata. «La loro linea difensiva è stato un scempio e il tuo svenimento l'ha resa ancora più scorretta agli occhi della giuria.»
«Adesso basta...» Scattai in piedi più nervosamente di quanto volessi dare a vedere a Ember. Tutta quella situazione mi sembrava a dir poco assurda. Come poteva essere positivo quello che era appena successo? Non c'era niente che andasse bene in tutta quella faccenda, ma sapevo che Thomas stava facendo solo il suo lavoro, e probabilmente anche bene. Sospirai, dispiaciuto per quella reazione e mi sforzai di cambiare atteggiamento. «Scusatemi...Potete lasciarci soli un attimo, per cortesia? » Dissi con un tono più pacato, ma indicando la porta a Lee, alla sua assistente e all'ufficiale.
Una volta rimasti soli, mi passai nervosamente una mano tra i capelli, prima di voltarmi verso la mia scoiattolina.
«Ember, non devi stare qui a subire tutto questo. Puoi ritirare la denuncia e lasciar perdere.»
«No, non posso...»
«Certo che puoi, non serve che tu stia così male. Non lo devi fare per me.»
«Ian, non lo faccio più solo per te, ma anche per me stessa e per tutte le ragazze che hanno... » deglutii vistosamente, «che hanno subito quello che ho subito io... anche in piccola parte, per non parlare di quelle che potrebbero ancora subirlo.»
«Piccola, ma non vedi come ti hanno ridotto dopo solo pochi minuti di udienza?»
«Andrà meglio la prossima volta, non ti preoccupare. Lee e i suoi mi avevano preparato alla loro domande ... ma io non ero davvero pronta a rivederli... imparerò a gestirla, vedrai...»
«Non lo so Ember, vorrei che mettessi te stessa al primo posto, questa volta.»
«Lo sto facendo, davvero. Cosa ha detto il giudice? Ha rinviato l'udienza?»
«In realtà l'ha solo sospesa, non sappiamo per quanto tempo...»
«Forse è meglio sentire cosa dice Lee...»
«D'accordo...» feci per aprire la porta, ma la mia mano si bloccò sulla maniglia. Tornai indietro e mi piegai sulle gambe davanti a lei, le presi entrambe le mani e la supplicai. «Prometti solo che se sarà troppo, interromperemo tutto e torneremo alle nostre vite senza pensarci più.»
«Te lo prometto, ma non ce ne sarà bisogno.»
Le diedi un bacio casto sulle labbra e tornai verso la porta. Quando l'aprii trovai Thomas che si massaggiava il collo mentre bisbigliava con la sua assistente. Mi scostai di lato, con l'intento di invitarli ad entrare.
«C'è qualche novità dal giudice?», gli chiese subito Ember.
«Si, ci ha appena chiamato per un aggiornamento e per chiederci come stavi. Ha sospeso l'udienza solo per un ora. Sembra che non voglia rallentamenti in questo processo.
Ha suggerito di congelare la tua testimonianza fino a domani mattina, ma vuole procedere con il resto. Ha lasciato la scelta alla difesa riguardo il teste da sostituire e loro vogliono sentire Ian.»
«Ian?» chiese tra l'incredulo e l'esterrefatto Ember.
Io scoppia in una risata sommessa e nervosa «Sono davvero scontati...»
«Ti senti pronto?» Mi chiese Thomas.
«Alan non mi ha mai battuto in nessun cazzo di half pipe, e non lo farà di certo in una aula di tribunale. È solo un lurido animale mosso da bassi impulsi. Rispedirò al mittente tutta la sua merda.»
«Sei sicuro?» mi chiese ancora preoccupato. «Ti conosco da quando non eri nemmeno in grado di gattonare, ragazzo, e so quanto freddo e calcolatore tu possa essere. Come so anche, però, che questa storia è il tuo tallone di Achille e ti ha già fatto perder le staffe a Park City.»
«Non farò lo stesso errore due volte, puoi starne certo!»
Ember si alzò lentamente e venne verso di me. L'avvolsi tra le braccia e le feci appoggiare il volto nell'incavo del mio collo, per poi ricoprirlo con il mento. Rimanemmo così finché, diversi minuti dopo, l'assistente di Thomas ci ricordò che dovevamo rientrare in aula.
Mi risedetti tra il pubblico, chiusi gli occhi e iniziai a meditare come facevo prima di ogni gara. Quando sentii il mio nome mi alzai lentamente dalla panca e attraversai con estrema calma l'aula. Mantenni le mia espressione impassibile e ostentai la mia freddezza guardando in faccia prima Alan, poi Demon e, una volta seduto, i miei occhi gelidi si posarono su quella del loro avvocato. Scandii le parole del giuramento ancora fissandolo, dopo di chè mi rilassai sulla sedia, mantenendo comunque uno sguardo severo.
«Ian Colton Egawa, lei è un famoso snowboarder professionista, come l'imputato, corretto? »
«Più o meno, si.»
Precisai, alludendo al fatto che Alan non fosse mai stato alla mia altezza. L'avvocato tradì un ghigno di sfida prima di proseguire.
«E non ha solo l'half pipe in comune con Alan Ross, giusto? Lei ha una relazione con la signorina Sullivan, la sua ex ragazza? »
«Sì.»
«Da quanto tempo?»
«Da questo autunno.»
«Ed è stato amore a prima vista?»
«No, all'inizio no. Ero molto diffidente.»
Presi tempo. Thomas mi aveva preventivato questa domanda e mi aveva suggerito di spiegare tranquillamente delle voci che riguardavano Ember, perché la nostra strategia consisteva proprio nel rigirargli la questione contro.
«Ci può spiegare Signor Egawa, come mai era molto diffidente?»
«Perché Alan Ross e Deamon Smith, dopo lo stupro, avevano messo in giro la voce che Ember li aveva derubati con lo scopo di screditarla.»
«La prego di attenersi alla semplice risposta senza formulare illazioni. Chiedo al giudice che l'opinione del Signor Egawa non venga messa agli atti.»
«Accolta. Signor Egawa, il giudice sono io e sarà la giuria e decidere se questo è un caso di stupro o se ci sono state azioni intimidatorie» aggiunse il giudice.
Thomas mi fece un cenno rassicurante. Aveva previsto anche questo, ma aveva detto che faceva parte del gioco ogni tanto rompere le regole per dare qualche imbeccata alla giuria.
«Tornando a noi, quindi anche lei conoscendo la Signorina Sullivan ha ritenuto credibile che fosse una truffatrice, salvo poi in seguito esserne sedotto?»
La mia bocca si piegò all'insù da un alto in una risata amara e sarcastica.
«Se lei per atti seduttivi intende, attacchi di panico, tremori, incubi, flash back, e tutti gli altri segnali di stress post traumatico attivati al più piccolo contatto intimo... Sì, Ember mi ha decisamente sedotto.»
«Signor Egawa, il sarcasmo non è ammesso», mi redarguì ancora il giudice.
«Mi può dire quando è stata l'ultima volta che ha fatto sesso con la Signorina Sullivan?»
«Qusta mattina.»
«Quindi ora avete una attività sessuale regolare e molto attiva considerato che avete lo avete fatto proprio prima di recarvi in tribunale. La Signorina Sullivan non era dopotutto così turbata all'idea di incontrare i suoi presunti aggressori, come ci ha fatto credere prima.»
Come un sassolino che crea delle onde in uno specchio d'acqua, un brusio di sconcerto si propagò sia tra la giuria, che tra il pubblico. 
Mi voltai verso Thomas, il quale mi fece un piccolo cenno di assenso come a confermare che non avrebbe presentato obiezione, ma che avrei dovuto invece rigirare contro la difesa quella viscida domanda. Fissai a terra e mi presi qualche instante per rispondere.
Sapevo esattamente come fare, ma per raggiungere il mio obiettivo avevo bisogno di mettere in piazza la nostra intimità e non sapevo che effetto avrebbe avuto su Ember. Alzai quindi la testa cercando il suo sguardo e decisi di rispondere fissandola negli occhi, ricordandole che l'amavo, anche se avrei dovuto gettare in piazza la nostra privacy.
«Le nostre attività sessuali sono molto frequenti, sì. Aggiungerei anche che sono tremendamente coinvolgenti, intense e molto belle per entrambi. Con il tempo Ember ha imparato a fidarsi di me, a distingure i suoi aggressori dalla mia persona e siamo riusciti a lasciare i fantasmi fuori dalla camera da letto. Piano piano nel corso di questi mesi l'ho aiutata a riappropriarsi della propria sessualità. Non è stato semplice, ma ce l'abbiamo fatta. Fare l'amore con lei è il mio modo di rassicurarla, di ricordarle che nonostante tutto quello che ha subito, la sua vita può continuare, godendo appieno di tutti gli aspetti. Quello che le è successo l'ha rotta inevitabilmente e qualche strascico ci sarà sempre, ma è una persona piena di risorse, di amore e di attenzioni verso il prossimo. Mi astengo dall'esprimermi riguardo le sue illazioni sulla veridicità di quello che le è successo stamattina. Dopotutto immagino che siano state depositate perizie da gente più competente di me e di lei in materia e che possano aiutare la giuria a capire se Ember Sullivan sia soggetta ad attacchi di panico.»
L'avvocato di Alan e Deamon fece una malcelata smorfia di disappunto e compresi che con la mia risposta, si era appena segnato un autogol clamoroso.
Camminò avanti e indietro per qualche istante, probabilmente per riformulare la sua strategia.
«Cosa prova per il suo collega di nazionale al pensiero che la Signorina Sullivan abbia avuto con lui una vita sessuale molto, diciamo, colorita e all'insegna degli eccessi?»
Quello fu il momento in cui avrei potuto perdere il controllo. Il momento in cui avrei potuto saltare il banco dei testimoni e afferrare al collo di quel lurido schifoso di un avvocato per spaccargli il suo faccione arrogante e viscido. Ma non lo feci. Eravamo lì proprio perché non ero stato capace di trattenermi. Strinsi quindi un pugno sotto il tavolo e visualizzai quello che dovevo fare, esattamente come facevo con le evoluzioni gli attimi prima di scendere nell'half pipe.
«Vuole davvero sapere se ho provato rabbia nel vedere le foto del volto tumefatto della mia compagna? O se l'ho provata a leggere i referti clinici che segnalavano danni agli organi interni per cui è stato necessario anche un intervento? Se mi ha dato "fastidio" che Alan Ross si sia vantato di quello che le ha fatto ? O se mi fa piacere vederla in un aula di tribunale mentre qualcuno cerca di speculare su un suo attacco di panico? Beh si allora è rabbia e molto altro.»
«Ed è proprio per questo per cui ci troviamo qui, giusto ? Per la sua rabbia. Perché dopo aver mandato all'ospedale il Signor Ross, la sua fidanzata ha dovuto cambiare deposizione per tutelare la sua carriera?»
«Obiezione, vostro onore. L'argomento non riguarda questo processo.» intervenne Lee per stroncare sul nascere la piega che stava prendendo la deposizione.
«Accolta.»
«Ho finito le domande, vostro onore. Lascio il teste all'accusa.»

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