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26. The storm

ICE


"Privacy non significa nascondere agli altri la mia vita privata. Significa evitare che la vita privata degli altri irrompa nella mia."
(Jonathan Franzen)

Ember si rilassò tra le mie braccia vedendo il cielo schiarirsi e colorarsi di tante sfumature pastello che spazzavarono via le nuvole della precedente nevicata.
Non riuscì a vedere l'alba perché ad un certo punto, chiuse gli occhi e si voltò verso di me per accoccolarsi meglio contro il mio petto. Inspirò profondamente e crollò in un sonno profondo.
Stavo ancora osservandola e accarezzandole la nuca, quando mio padre bussò sulla vetrata della porta d'ingresso. Presi il mio cellulare dalla tasca della felpa e aprii l'app che gestiva la domotica di casa. Tolsi l'allarme perimetrale e feci scattare la serratura della porta. Mio padre entrò, gli feci segno di fare silenzio, mentre mi divincolavo a malincuore dal corpo caldo di Ember. Poi mi alzai per prenderla tra le braccia e portarla in camera mia.
Quando tornai in salone trovai mio padre ad aspettarmi con un'aria corrucciata.
«Scusami Ian, ho visto il camino acceso e ho pensato che foste già svegli... Ti chiederei come è andata ieri sera, ma dalla tua faccia stravolta non credo mi darai una risposta positiva.»
«No, infatti, è stata una notte difficile.»
«Se vuoi parlarne ci sono, figliolo.»
«Grazie papà, ma credo che prima dovrei dormire. Non ho ancora chiuso occhio e sono poco lucido.»
Mi guardò preoccupato senza più dirmi nulla.
«Non credo tu sia passato così di mattina presto a vedere come stavamo, giusto?»
«No, infatti... Ieri sera ti ha cercato il responsabile locale della SecurityKam, la società delle videosorveglianza. Non avendogli risposto, ha chiamato me. Non mi ha anticipato niente al telefono, ma vuole vederci per parlare di quello che ha trovato nelle registrazioni del circuito chiuso.»
Sfilai di nuovo il telefono dalla tasca centrale della felpa e notai una chiamata persa da un numero sconosciuto e una da Tyrone.
«Non ti ha proprio detto nulla?»
«No. Ha solo detto che passerà alla scuola nel pomeriggio.»
«Va bene, fatti dare un orario preciso così da farmi trovare lì.»
«D'accordo. Fisserò un appuntamento nel secondo pomeriggio. Ora il cielo è sereno ma danno bufera questa mattina e non mollerà fino alle tre. Riposate e state tranquilli in casa. Noi scendiamo presto, prima che ricominci a nevicare. Le lezioni sono sospese e gli impianti sono chiusi, ma io e tua mamma abbiamo un po' di scartoffie burocratiche da sistemare. Ci vediamo più tardi, allora.»
Lo salutai, reinserii l'allarme manualmente e tornai da Ember. Mi infilai sotto il piumone e mi addormentai inspirando il suo profumo.
Mi svegliai solo diverse ore dopo per via dei rumori causati dalla tempesta. Non appena aprii gli occhi, anche la mia scoiattolina si stiracchiò tra le mie braccia.
«Buongiorno, piccola. Come ti senti?»
«Stranamente riposata. Mi fa questo effetto dormire con te. A proposito, come ci sono finita in camera tua?»
«Ti ho portato io, in camera nostra», precisai per farla abituare all'idea che quello fosse davvero il suo posto. «È passato mio padre stamattina e per non svegliarti ti ho portato qui.»
«Tuo padre cosa? È venuto qui? Ci ha visto sul divano assieme? Oh mio Dio...»
«Non ti angustiare piccola, non è rimasto per niente sorpreso. In realtà io sto solo eseguendo i suoi ordini: sedurti per fare in modo che tu rimanga a lavorare alla Peak Warm Ski Academy.» Provai a scherzare per alleggerire il peso della serata precedente.
Le strappai una risata cristallina. «Ian...» miagolò quel rimprovero ancora tutta intorpidita dal sonno.
Era così bella, ancora assonnata, che inevitabilmente mi piegai sul suo volto e la baciai. Inaspettatamente il suo corpo si accese ad una velocità inaspettata. Mi infilò una mano tra i capelli e mi attirò a sé fino a ricoprirsi con il mio intero corpo. Non ci fu nessun irrigidimento. Anzi. Ember spostò una gamba e l'avvolse intorno alla mia, concedendomi di sistemarmi meglio.
I nostri corpi erano incastrati alla perfezione. Sembrava incomprensibile pensando alla sera precedente, eppure così tremendamente spontaneo. La nostra pelle si riconosceva e si cercava costantemente. Ero sicuro che alla fine non ci sarebbe stato niente che potesse impedirlo. Approfondii quindi il bacio spingendo il bacino tra le sue cosce.
«Ice...» ansimò lei.
«Dimmi piccola...» sussurrai sulle sue labbra con una voce arrochita sia dal sonno che dal desiderio.
«Perché il mio corpo reagisce così al tuo? Va per conto suo e non riesco mai a fermarlo?»
Diedi ancora una leggera spinta e lei gemette rumorosamente.
«Perché sta prendendosi solo quello che è già suo. Non c'è niente che non vada nel tuo corpo, Ember. Niente.» gemette ancora gettando la testa all'indietro, sotto un'altra pressione.
«Ice... ti voglio dentro di me... ti voglio così tanto, ma non sono sicura di riuscirci.»
«Certo che ci riuscirai piccola, faremo solo quello che ti sentirai di fare, quando vorrai farlo.» le dissi infilandole una mano dentro i pantaloncini. Diventai ancora più duro sentendo il pizzo delle sue mutandine completamente bagnato.
«Posso toccarti, Ember?»
In risposta spalancò le gambe e inarcò la schiena. Infilai le mani dentro quel tessuto ruvido dai ricami ed emisi un suono gutturale sentendo le mie dita inondate dai suoi umori. Presi a stimolarle il clitoride, mentre ad ogni tocco allargava le gambe sempre di più e dimenava il bacino. Scivolai dentro con un dito con estrema facilità mentre i suoi occhi si offuscavano e la sua bocca si schiudeva nell'ennesimo gemito. Infilai dentro anche il secondo e lei si aggrappò al mio braccio tremando dal piacere. Sempre guardandola dritta in quegli iridi che stavano diventando di un blu ancora più scuro, cercai il rigonfiamento sulla parete verso l'alto. Quando sentii quel morbido nocciolo tra le dita iniziai a stimolarlo. Ember si gettò nuovamente indietro ansimando con ancora più enfasi e io sentii l'istinto di rimarcare l'evidenza di quello che la stava incendiando.
«Lo vedi piccola? Lo senti? Non c'è niente che non vada nel tuo corpo. È perfetto. Tu sei perfetta... Loro non ti hanno rotto e non lo faranno mai.»
Il gelo calò improvvisamente. Ember si immobilizzò e io feci lo stesso rendendomi conto troppo tardi dell'errore madornale che avevo appena commesso.
«Loro
Mi sfilai lentamente e mi inginocchiai sul letto sospirando e preparandomi al peggio.
Ero ufficialmente un coglione. Se Ember non ne voleva sapere di stare con me, a questo punto me lo meritavo.
La sera prima probabilmente avevo fatto un errore in buona fede, ma quella volta fui davvero imperdonabile.
Le riservai uno sguardo mortificato lasciando che l'espressione sul mio volto mi dichiarasse colpevole. Ero sempre stato bravissimo a nascondere le emozioni, a fingere o a mentire. Mi chiamavano Ice per un motivo, ma non volevo dirle ulteriori bugie. Le avevo già mancato di rispetto visionando quella cartellina. Era giusto che ammettessi tutto senza riserve. Avevo sperato che la mia consapevolezza dei fatti venisse fuori in un'altra occasione, o che semplicemente fosse lei a raccontarmi tutto, ma non era andata così.
La guardai perciò in silenzio, mentre scendeva dal letto e iniziava a camminare avanti e indietro massaggiandosi le tempie.
«Loro...» ripeté ancora pensierosa.
Abbassai la testa.
«Tu sapevi già tutto. Vero? È per questo che ieri notte non ti sei scomposto quando ti ho detto che avevo subito una violenza sessuale!»
Annuì in modo quasi impercettibile e mi preparai  a essere ricoperto di insulti. Non le avevo mai sentito usare quel tono così incazzato e severo. Nemmeno quando mi aveva mandato a quel paese alla festa di mia mamma, dopo che l'avevo insultata, accusata e minacciata.
«Come lo hai saputo? Te lo ha detto tuo padre?»
Scossi la testa debolmente.
«Tua madre?»
«No, Ember» le risposi con una voce densa di dispiacere. Lei si fermò a scrutarmi intensamente.
«Tu... tu hai... quel giorno nello studio di tuo padre... Oh Cristo! Dimmi che non lo hai fatto, Ian!»
Alzai la testa e lasciai che leggesse sul mio volto la mia ammissione.
Restammo a fissarci per un lungo istante, poi strinse gli occhi e scosse la testa come a destarsi da un brutto sogno. Un brutto sogno che questa volta riguardava me.
Si voltò verso la vetrata della mia camera e iniziò a parlare con un tono gelido.
«Quindi è questo quello che provi per me? Pietà? Pena? Sensi di colpa per avermi trattata di merda quando sono arrivata? Per aver dato credito ad Alan e Deamon? Sono una macchia da cancellare dal tuo comportamento impeccabile? Il tuo caso umano per redimerti dal tuo atteggiamento da stronzo?»
«No, Ember, no!» Mi alzai e mi avvicinai a lei. Feci per prenderle le spalle.
«Non ti azzardare a toccarmi, Egawa!» ringhiò ad alta voce e io arretrai di un passo.
Il rumore del vento soffiava cupo e minaccioso fuori dalla finestra. La neve si muoveva lateralmente a una velocità impressionante. Il riflesso del volto di Ember in quello scenario rappresentava perfettamente la similitudine del suo umore e di quello che stava succedendo dentro e fuori da mura di casa mia.
«Io mi stavo fidando di te, e invece hai agito alle mie spalle per tutto il tempo? Ti sei divertito a vedere le mie foto? Cos'è? Eccitano anche te certe cose? Ti è venuto duro a vedere tutto quello che mi hanno combinato.»
«Ember, basta! Stai esagerando, cazzo. Lo sai benissimo che non è così. Pensi che sia stata una passeggiata per me apprendere cosa ti hanno fatto? Perché pensi mi sia ubriacato l'altro giorno?»
Sbuffai, sperando che non pensasse davvero a tutte quelle cose.
«Oh poverino, ora dovrei anche consolarti? Lo sai almeno che quello che hai fatto è illegale?»
«Lo so, Ember, ma quella mattina, quando abbiamo trovato la tavola spezzata in due, non ho capito più niente. Ho chiesto a mio padre di dirmi cosa stava succedendo, ma è stato una tomba. Mi sentivo con le mani legate. Tu ti eri appena allontanata per via della telefonata di Amanda e mi è sembrata l'unica opzione possibile in quel momento.»
«E non ti sei mai chiesto perché io non li abbia mai denunciati? Perché non ti abbia mai detto niente? Nemmeno ieri notte? Perché abbia chiesto a tuo padre la massima riservatezza?»
«Perché hai paura di qualche ritorsione?»
«No, Ian! Perché se li denunciassi quello che è successo diverrebbe di dominio pubblico! Perché ogni volta che qualcuno mi guarda con pietà sapendo quello che è successo, è come se mi sentissi violentata un'altra volta. Mi rigettano in quello stato. Riportano a galla tutte quelle sensazioni. E io non voglio più sentirmi così indifesa e alla mercé di qualcuno. Faccio già fatica da sola a dimenticarlo senza rivedermi in quelle condizioni attraverso gli occhi degli altri. Come pensi possa avere una relazione con te? Sapendo che quando mi tocchi pensi a tutto quello che hai letto e visto?»
«Non le ho viste quelle foto, Ember, non ce l'ho fatta. Non sono stato abbastanza coraggioso.»
«Coraggioso? Però il coraggio di rovistare nel passato di un altra persona lo hai avuto, vero?» Ember si porto una mano sulla fronte e se la passo sul volto scuotendo la testa. «Sai che c'è, Ian? Va bene così! Se solo pochi istanti fa ero indecisa se rimanere o meno, se darci una possibilità o meno, ora ho le idee piuttosto chiare.» Concluse uscendo dalla camera e io la rincorsi.
«Ember, aspetta!»
Mi sbatté la porta in faccia e io mi fermai rispettando la sua rabbia e il suo desiderio di stare sola.
Iniziai a passeggiare intorno al salotto stringendo con la mano buona una pallina antistress che evidentemente non sortiva il suo effetto. Ero un fascio di nervi e sobbalzai quando sentii il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni.
«Ian, state bene?»
«Sì, papà...»
«Che succede?»
«Ember ha scoperto che ho visto la sua cartellina.»
«Beh figliolo, prima o poi doveva succedere. La buona notizia è che avrete diverso tempo per chiarire le cose. Il vento è talmente forte che ha sradicato un albero e si è abbattuto sulla statale proprio sotto casa. Ci vorranno un po' di ore prima che lo rimuovano. Penso che non riuscirai a venire giù per l'appuntamento con la SecurityKam. Vuoi che ci parli io?»
«Sì, grazie, papà. Prima sappiamo qualcosa meglio è. Soprattutto ora che Ember non avrà nessuna intenzione di restare.»
«Ian, non farla uscire per nessuna ragione. Hai capito? Nemmeno per andare di là da Katy. Finché non cala il vento è troppo pericoloso!»
«Certo, non la lascerei andare in questo momento per nessuna ragione al mondo.»
Non feci in tempo a riattaccare, che Ember uscì dalla camera degli ospiti vestita con sciarpa, cappello, giacca a vento e trascinando dietro di sé i suoi due trolley di quel fastidiosissimo colore viola.
Camminava a passo spedito e imboccò il portone alla velocità della luce.
«Ember, non puoi uscire ora!» Le urlai in preda al panico, risultando forse un po' troppo autoritario, considerato che lei si voltò e mi scoccò uno sguardo al vetriolo.
«E cosa pensi di fare? Di drogarmi anche tu e tenermi qui contro la mia volontà?»
«Ember, non uscire da qui!» le intimai ancora. «La strada è bloccata e c'è una bufera in corso. Non puoi andare da nessuna parte.»
«Allora me ne tornerò nella dependance finché non la sgombereranno!»
Mi riservò un'ultima occhiata di sfida e aprì la porta. La rincorsi nell'aria gelida e sferzante. A causa del vento, fu come se un milione di aghi mi stesse colpendo il volto ad alta velocità. L'afferrai per un braccio e la strattonai indietro, ignorando il fatto che quel gesto potesse avere un effetto trigger.
Proprio in quel momento un grosso pino si schiantò sulla terrazza che collegava la mia casa a quella dei miei genitori. Mille pezzi di pietra, legno e tronco si scagliarono in tutte le direzioni. Afferrai Ember per un braccio, la tirai dentro casa alla velocità della luce e richiusi la porta dietro di noi. Per qualche istante ci congelammo a guardare quel pericolo mortale a pochi passi da noi, poi i nostri sguardi si incrociarono. Le presi le spalle per controllare che stesse bene, poi l'avvolsi in un abbraccio stringendola forte. Non mi importava se fosse ancora arrabbiata. In quel momento avevo bisogno di stringerla, sentire che stava bene, che era viva, allo stesso modo in cui avevo bisogno di respirare.
Lei si irrigidì per qualche istante, ma poi si rilassò infilando il volto tra i miei pettorali e lasciandosi andare allo shock di quanto appena successo e io presi a sussurrarle tra i capelli.
«Lo vedi che non posso proprio lasciarti andare...»





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