Capitolo Ventisette
Lei
Il tempo passò, Teodoro stava tutta la giornata assieme a Termine nella stanza insonorizzata. Il mio alleato parlava tutto il dì ma il nemico lo ignorava dandogli le spalle attraverso le sbarre, trasferito da una gabbia a una cella improvvisata molto più grande rispetto alla collocazione precedente. Il mio amico Teodoro non si arrese continuando nella sua impresa.
Io non gli dissi nulla, forse era il modo migliore per tirare fuori qualche informazione. Yag e Arasio tornarono ai loro compiti, reputavano una perdita di tempo rimanere a casa mia, l'ostaggio non aveva in mente di parlare. La scena della separazione era stata esilarante, quando Arasio stava per andarsene, Yag gli diede un bacio sulla bocca. L'angelo irritato lo rincorse per tutto l'appartamento.
Prima che potesse togliere il disturbo consigliai a Yag di mettercela tutta cercando di riconquistare Arasio, speravo che anche le altre coppie si ricongiungessero. Yag mi rispose che non avrebbe rinunciato per niente al mondo, mi disse che sperava che un giorno anche io e Leam ci saremmo riappacificati, detto ciò prese il volo.
Invece con Arasio mi ero promessa di mettermi in contatto con lui, se avessimo saputo qualcosa. Ripensai tutto il giorno alle parole di Yag, io perdonare Leam? Non credo che possa accadere. La mia situazione era ben diversa rispetto alla sua, Arasio si era intestardito per orgoglio e per paura di separarsi ancora da Yag era questo il motivo del suo rifiuto.
Invece Leam mi aveva proprio ferito, i casi erano molto diversi, il nostro era un rapporto malato. Successivamente dopo quella litigata non si era più fatto vedere, come posso solo pensare di rimettermi con lui se continuavo a rivangargli il passato. Mi domandai, se Leam un giorno si stufasse di riprovarci? Se smettesse di rincorrermi? Un fastidio interiore mi avvolse, tentai di soffocarlo.
In fondo era bastata una litigata per allontanarsi da me, ormai era al limite della sopportazione. Scacciai i brutti pensieri e andai a rinfrescarmi la faccia, mi misi un maglione color crema e dei jeans scuri. Indossai un giubbotto di jeans, eravamo alla fine di ottobre e il freddo iniziava a farsi sentire, le foglie continuavano a cadere dolcemente sul terreno bagnato. Mi recai a lavoro seguita da Matteo, tutto andò bene finché a metà giornata mi arrivò un messaggio da Claudio.
"Ciao Angelica ti va se dopo il lavoro, andassimo a mangiare le caldarroste? È la stagione perfetta per gustarsele e non accetto un no come risposta. Ti aspetto davanti a dove lavori"
Come faceva a sapere dove lavorassi? Vuoi vedere che Fulvia o Ibisco avevano spifferato qualcosa? Forse voleva parlare dei gemellini, sarà stato uno shock scoprirlo.
"Ok va bene" gli risposi.
Quando uscii dal lavoro, Claudio era già presente aspettandomi all'entrata.
«Matteo starò via per un paio di ore» dissi, intanto il mio amico mi guardò male.
«Sei sempre stata pessima nel sceglierti gli uomini» se ne andò rapidamente senza guardarmi, non chiedendomi neanche di stare in lontananza pur di non lasciarmi da sola per un probabile attacco da parte di qualche essere. Ma non diedi peso alle sue parole.
Mi voltai e vidi Claudio che mi stava sorridendo, non era teso per quello che era successo un paio di settimane fa e questo era strano.
«Ciao Angelica.»
«Ciao Claudio.»
«Vieni con me, ti porto in un posto dove fanno delle caldarroste buonissime» disse estasiato.
«Ne ho proprio voglia» gli risposi.
Andammo con la sua auto in centro e comprammo le caldarroste in un baracchino. Ci sedemmo sulle panchine nei giardinetti.
Presi una castagna dal sacchetto di carta, iniziai a sgusciarla per poi assaggiarla.
«Ahi! Certo che sono buone ma porca miseria quanto scottano» disse Claudio.
«Già, anche se sai che ti puoi scottare e farti male, è più forte di te le vuoi sempre. Quando le assaggi la prima volta non ne puoi più fare a meno» affermai, quelle frasi erano legate alle caldarroste e a nessun demone in particolare. Ne mangiai un'altra, scacciando il discorso di Yag di stamattina che continuava ad assillarmi.
Mi voltai nella direzione di Claudio e lo guardai negli occhi, lui fece lo stesso. Ero qui per questo, non dovevo pensare ad altro.
«Perché mi hai cercata? Se devi dirmi qualcosa parla subito. Non ti sei fatto sentire per settimane e poi te ne esci che vuoi uscire a mangiare le caldarroste» domandai.
Claudio smise di mangiare poi guardò il giardinetto pieno di varie sfumature di rosso e arancione.
«Scusa se non ti ho cercato prima. Ma c'era un dubbio che mi attanagliava. Da quando sei ritornata a Monacre ti ho chiesto più trasparenza possibile, invece non è stato così...»
«Arriva al sodo Claudio» lo interruppi. Speravo che quel giorno non arrivasse mai.
«Hai ragione. Angelica quei due bambini sono i miei figli?» mi inchiodò con i suoi occhi verdi. Era ora di dire la verità, sono scappata già una volta per paura della sua reazione, è giusto che lui adesso conosca la verità.
«Sì» risposi con fermezza.
L'espressione di Claudio si fece più seria «È per questo che te ne sei andata anni fa? Per paura della mia reazione?»
«Sì» ammisi «Avevo il terrore che tu mi dicessi di abortire, inoltre scusa se te lo dico ma il quartiere Giazzi non è il posto adatto per crescere dei figli.»
«Ma me ne potevi parlare, hai deciso tutto tu» Claudio alzò la voce e iniziò a toccarsi i capelli. L'atmosfera cominciava a essere pesante.
Lui
Ero in centro per prendere quelle maledette viole. Avevo minacciato un fiorista di trovarmele assolutamente altrimenti avrei dato fuoco al suo negozio. È stato difficile ma alla fine era riuscito a reperirmele in serra.
Avrei fatto meno fatica se le avessi create io ma non sarebbero state così belle, le viole del pensiero sono i fiori magnifici e solo lei poteva crearle di una delicatezza e semplicità. Quel fiore, rispecchiavano la sua creatrice tanto bella quanto fragile. Stavo tornando a casa ma mi bloccai quando vidi Claudio e Angelica che parlavano animatamente su una panchina.
Questa cosa mi mandò in bestia, mi allontanavo un attimo e quella sanguisuga era già pronto all'attacco.
Calmati Leam, non hai in mente di dare fuoco agli alberi intorno e sperare che lui muoia bruciato.
Inspirai ed espirai lentamente, cercando di rilassarmi. Mi avvicinai gradualmente da dietro cercando di capire cosa stesse succedendo, lui stava usando un tono di voce che non mi piaceva per niente.
Decisi di intromettermi, arrivai alle spalle di Angelica e le rubai una caldarrosta dal suo sacchetto, la sgusciai e me la mangiai. Lei si girò con calma e mi guardò confusa.
«Guarda che se non le mangi calde ti rimarranno sullo stomaco» dissi. Nel mentre fulminai Claudio con lo sguardo il quale rispose con altrettanto astio.
Tentai di fargli capire che era di troppo, se non volesse togliersi dalle scatole avrei spiattellato tutto alla mia compagna. Lui si alzò lentamente dalla panchina «Beh è meglio che io vada, si è fatto tardi, poi vedo che sei in compagnia. Ne parleremo un'altra volta Angelica.»
Claudio se ne andò e Angelica non disse niente, mi sedetti sulla panchina e le sue spalle si rilassarono. Qualcosa non quadrava, dovevano parlare di un argomento davvero spinoso se si stava rilassando in mia presenza.
«Tieni te le regalo» mi posò il sacchetto ancora caldo.
«Cos'è un segno di pace?» cercai di scherzare per metterla a suo agio.
«Diciamo di sì» mi rispose. Presi il sacchetto e per sbaglio le toccai la mano, era fredda, chissà da quanto tempo era fuori a discutere.
«Beh allora voglio darti anch'io un segno di pace» le posai il sacchetto di plastica con dentro un vasetto di viole. Lei l'aprì e un sorriso le comparve sul viso, avrei fatto di tutto pur di vederla più serena.
«Sono bellissime dove le hai trovate?» mi domandò.
«Diciamo che ho chiesto un favore ad un fiorista in zona.»
Lei incaricò sopracciglio biondo « Siamo sicuri che tu non lo abbia minacciato?»
«Minaccia, favore che differenza fa?»
«Nessuna Leam.»
«Angelica stai tremando non è meglio andare a bere qualcosa di caldo in quel posto all'angolo?»
Poteva anche dirmi di no, però ci speravo di passare un po' di tempo con lei, sono stato in disparte per qualche giorno per farle passare l'arrabbiatura, non è stato bello rimanere da solo per tutto questo tempo.
«Perché no» alzò le spalle.
Ci sedemmo in un tavolo in disparte, era un posto caldo e accogliente.
Arrivò la cameriera che ci portò le liste.
«Guarda ci sono anche i dolci, prendili pure, pago io» affermai, era ancora turbata, questo mi rendeva agitato non mi piaceva questa cosa.
«Per caso vuoi farmi ingrassare? Continui a offrirmi torte? Non sono un grissino»
«Allora anche se fosse? Tu sei bella in tutte le forme. Passato, presente e futuro ti ho sempre trovato attraente. La tua bellezza è unica» forse mi ero esposto un po' troppo.
Il mio angelo diventò tutto rosso, non era più arrabbiata, forse eravamo sulla strada giusta?
«Perché devi dire certe cose senza pensarci» disse imbarazzata.
La cameriera arrivò per prendere le ordinazioni.
«Io prendo un tè caldo e una fetta di torta paradiso» disse Angelica.
«Io invece del caffè amaro e una foresta nera» affermai.
«Non pensi che sia un po' tardi per mangiare il dolce? Sono le 18:30 e tra non molto sarà ora di cena» mi chiese Angelica.
«Beh tu sei triste e hai bisogno di dolce, io invece a prescindere mi dovrei addolcire. Mi sembra un'ottima giustificazione non ti pare» risposi.
«Già sarà come dici tu» rise alla mia risposta.
Arrivarono le torte, e cominciammo a mangiarle, questo silenzio era imbarazzante dovevo dire qualcosa.
«A proposito, a quella povera segretaria hai smesso di farle pulire l'archivio. Non è un reato guardare un bellissimo sedere» non era uno degli argomenti che volevo domandargli ma questa cosa mi uscii dalla bocca senza pensarci.
Fece una faccia sorpresa ma si ricompose subito.
«Guarda che mica l'ho punita per quello. Continuava a distrarsi e io ho bisogno di collaboratrici serie. L'ho solo rimessa in riga tutto qui» si giustificò
«Farò finta di crederci.»
Fece finta di prendersela «Ma tu come fai a saperlo?»
«Diciamo che me l'ha detto un gatto?» rimasi vago.
«Un gatto?» mi guardò confusa.
«Già un soriano, che prima o poi dovrò castrarlo perché parla troppo» borbottai tra me e me.
«Sei sicuro di star bene?» mi guardò confusa.
«Sì mai stato meglio.»
Finimmo la torta e le bevande. Uscimmo dal locale, Angelica insistette per pagare la sua parte ma io glielo negai. Ci incamminammo in direzione dell'ufficio in cui Angelica aveva lasciato la macchina. La curiosità di sapere cosa fosse successo tra lei e Claudio mi stava uccidendo.
«Angelica posso sapere di che cosa stavate parlando tu e Claudio?» glielo chiesi...
La sentii sospirare e poi fermarsi.
«Nulla» tagliò corto.
Questi loro segreti mi facevano imbestialire.
«Angelica stai attenta con Claudio, è un bugiardo ed opportunista» dovevo screditarlo in qualsiasi modo quel maledetto, altrimenti si sarebbe innamorata ancora di quel viscido.
Lei si girò di scatto era furiosa, mi spinse.
«Fatti gli affari tuoi, solo perché sei geloso, non puoi permetterti di sparare sentenze.»
Se ne stava andando incavolata, ecco lo sapevo era andato tutto troppo bene, per colpa della mia gelosia avevo rovinato tutto ma era la verità, io Claudio lo conoscevo da tempo e sapevo com'era fatto.
All'improvviso lei scivolò su delle foglie bagnate. Con uno scatto fulmineo riuscii a non farla cadere, si era aggrappata a me con tutta la forza che aveva. I nostri visi erano molto vicini, i nostri occhi non si staccavano nemmeno per un secondo. Tutti e due avevamo i respiri irregolari.
La mia mente si spense, sapevo che era una follia ma volevo provarci. Mi chinai per baciarla, lei non si mosse, non cercò di allontanarmi. Le nostre labbra si sfiorarono e sentii una scossa elettrica, era da secoli che non la provai da quando lei morì.
Stavo per darle un vero bacio, solo sfiorarla non mi bastava più mi chinai di nuovo, quando il cellulare del mio angelo iniziò a squillare incessantemente e rumorosamente.
Lei continuava a guardarmi non sapendo che cosa fare.
«Ti conviene rispondere, se ti cercano con tanta insistenza dovrà essere una cosa importante, poi non sopporto la tua suoneria» sbuffai, la tirai su e lei rispose.
Spero che sia veramente qualcosa di importante, altrimenti colui che l'avrebbe chiamata sarebbe morto in seduta stante.
«Cosa c'è Diocle, che cosa stai dicendo? Non è possibile» mi fissò sconvolta.
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