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Capitolo Sessantuno

Lei

Ci recammo in una gioielleria di un certo livello.
Un negozio dalle trasparenti vetrate, prive da qualsiasi macchia di alone e dalla lucida pavimentazione grigio tortora.

Le rifiniture erano dipinte in oro e i mobili di un bianco latte.
Il lampadario affisso al soffitto era abbellito da pietruzze di cristallo che cadevano come piccole gocce di pioggia.
Una rilassante musica di sottofondo sussurrava caldamente in tutte le pareti dell'oreficeria.

Io già ero vestita come una barbona, in un posto del genere volevo nascondermi sotto i tavolini.
Questa sensazione di inappropriatezza era un sentimento umano, ero stata troppo a contatto con numerosi mortali, scordandomi alle volte della mia società immortale di cui ne facevo parte.
Questo sentimento dovevo sopprimerlo, io ero la Dea.

«Bentornato signor Saveri» disse il gioielliere.
«Sono venuto a ritirare quello che vi ho chiesto» rispose il demone con tono freddo, il modo in cui trattava gli altri che non fossi io era disarmante.
«Certo lo predo subito» l'uomo aprì un cassetto ed estrasse una scatolina.

All'interno dell'involucro di tessuto era presente una catenella in oro bianco.
Il ciondolo che penzolava in bella vista era un fiore dove nei suoi sette petali erano incastonate delle gemme viola, invece al centro del pistillo le pietruzze erano di color giallo, simili alla tonalità delle iridi di Leam.

Il fiore aveva anche un piccolo gambo con incisa una fogliolina verde. Non riuscivo a trovare altre parole che potevano descriverlo, era bellissimo.
«È di suo gradimento?» disse l'uomo.
«Sì, è perfetta» confermò il demone rimanendo anche lui di stucco.

L'immortale prese in mano il gioiello e me lo mise al collo.
Mi avvicinai a uno specchietto che era lì al bancone.
Leam era dietro di me e mi fissava meravigliato.
Notai solo ora allo specchio che sulla fogliolina erano incise le nostre iniziali in corsivo.

«Non arriva ancora alla tua bellezza. Però devo dire che ti valorizza molto» mi disse mandandomi una ciocca di capelli biondi dietro all'orecchio.

Mi sentivo a disagio come le altre volte che mi regalava qualcosa, mi metteva in difficoltà e io cercavo sempre invano di ricambiare anche se non erano mai all'altezza dei suoi.

«Leam non posso accettarlo è troppo» dissi scuotendo il capo.
Lui toccò di nuovo il ciondolo sfiorandomi il collo «Non sarà mai troppo. È un mio regalo desidero che tu l'accetti. Non voglio un no come risposta. Se lo faccio è perché mi sento.»

Sospirai.
Come le altre volte lo sapevo che era una battaglia persa.
«Va bene, a patto che anch'io ti faccia qualcosa» risposi.
«Okay, ogni tuo regalo è ben accetto» mi rispose dandomi un bacio sulla guancia.
«Perfetto vado a pagare. Tu vai pure fuori arrivo subito» si staccò da me e andò alla cassa.

Il demone uscì dal negozio con la borsa e andammo diretti alla prossima tappa.
«Adesso dobbiamo prenderti un vestito» affermò.
«Un vestito per cosa?» chiesi confusa.
«Domani sera ci sarà la festa a casa dei Lùf, non vorrai mica andare in jeans?»
Sbuffai «Non ho bisogno di un vestito, andrò nel mio appartamento di nascosto e lo prenderò dal mio armadio.»

«Potresti rischiare di trovare uno dei tuoi non morti in giro per casa. Non credo che tu voglia vederli» spiegò.
Lo so dove voleva andare a parare il demone, ma non li volevo neanche vedere quei maledetti traditori.
«Ho capito demone perfido, andiamo ad alzare il mio debito» lo presi a braccetto.
Il suo sorrisetto si allargò «Perfetto.»
Mi bloccai di colpo «Però non so chi lasciare i bambini domani sera.»

Lui alzò fece le spallucce «Beh potrei lasciarli a Indivia.»
Lo fulminai con lo sguardo «Quella con i miei figli non ci starà mai!»
Leam inarcò lo scuro sopracciglio «Da quando gli angeli sono così invidiosi?»
Scoppiai in una risata isterica «Io? Invidiosa di una gatta morta del genere? Ma per favore.»

«Perché dici questo? Indivia è una buonissima alleata»
Lo stava facendo apposta per innervosirmi.
Gli diedi un calcio alla caviglia.
Leam disse qualche parolaccia per il dolore con ancora il sorriso dipinto sulle labbra, mi stava prendendo in giro come al solito.

Mi allontanai da lui per qualche metro e incrociai le braccia.
«Una buonissima alleata? O una buonissima gatta morta? Quante volte ci avrà provato con te in mia assenza?»
«Sei così carina quando ti arrabbi, non ho mai visto questa espressione così irritata, neanche quando ti avevo calpestato le viole» affermò scoppiando a ridere.
Se la stava proprio spassando il demone.

«Allora me lo dici oppure no se ci ha provato con te?»
«Sì, peccato che tutte le volte si trovava attaccata al muro» sghignazzò.
«Beh spero che non sia una bugia, comunque guai in mia presenza se ci provasse» dissi minacciosa.
«Da quando sei diventata così possessiva? Ti assicuro che nella mia esistenza dopo la tua morte fino adesso, ci sei stata solo e solamente tu» i suoi lineamenti non erano più giocosi, erano troppo seri e i suoi occhi trasmettevano tristezza.

Stava pensando alla mia relazione con Claudio, lo sentivo, la sua anima mi gridava con tutto il fiato proprio questo.
Sudai freddo non sapevo come giustificarmi per quello che avevo fatto, tradire il proprio compagno era uno sbaglio non da poco nella nostra società.

Note discordanti suonarono nella mia testa, come se all'improvviso un pianista si mettesse a prendere a pugni la tastiera del suo amato strumento a corde, l'agitazione stava prendendo sopravvento fino a divorarmi il cervello.

Cercai di riprendere lucidità tentando di giustificarmi, ma uscirono solo parole confuse e scollegate tra loro.
«Io... io stavo con lui per dimenticarti. Ti odiavo così tanto, lui era gentile, ero confusa anche per quello che era successo con Licerio. Era l'unico che mi poteva aiutare con mio padre... non l'amavo così tanto come te.»

«Però l'hai fatto, l'hai tradito. Chissà quanto avrà sofferto.»
Adesso ci metteva anche la me stessa nel punirmi ero già nel panico più totale.

Lui mise le sue mani sulle mie guance erano (stranamente) fredde, le nostre fronti si toccarono.
Il mio compagno mi stava fissando negli occhi.

«Va tutto bene, questa cosa l'ho accettata anni fa. Vedevo che eri innamorata» l'ultima parola la disse con l'amaro in bocca, deglutendo rumorosamente.
«Infatti non ho interferito perché pensavo che fosse l'uomo che ti avrebbe finalmente reso felice, ma mi sbagliavo svelandosi per quello che era» continuò.

Nel dire quelle frasi guardava altrove, le sua voce cercava di renderla ferma e limpida ma lo percepivo che gli stava costando molto dirle quelle cose.
L'avevo ferito lo vedevo, io mi sentivo terribilmente in colpa, eppure per quanto Leam fosse egoista per la prima volta da quando l'avevo conosciuto, aveva anteposto la mia felicità alla sua.

«Mi dispiace» furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.
Scosse la testa «Meglio non pensarci ora siamo insieme ed è questo che conta. Andiamo a prendere il vestito.»
L'immortale mi prese per mano e ci dirigemmo in una boutique molto famosa a Monacre.

Entrammo e la commessa ci accolsero calorosamente «Buonasera, desiderate?»
Mi guardai un po' intorno, c'erano dei vestiti bellissimi non era solo adibita per le donne vedevo che c'erano dei capi molto eleganti anche per gli uomini.

«Vorremmo vedere degli abiti da sera» disse autoritario Leam. Perché doveva sempre incutere timore a terzi?
La commessa iniziò a prendere un paio di abiti.
«Venga con me signorina le mostro il camerino, le staranno d'incanto»
Mi accompagnò al camerino mise gli abiti all'interno e se ne andò, mi disse che per qualsiasi problema lei era lì affianco, sarebbe tornata tra poco.

Vidi l'umana recarsi dalle sue colleghe, sentivo che stavano bisbigliando tra di loro.
Udivo quello che stavano dicendo con tono sommesso.
Il mio udito era molto più sviluppato degli esseri umani e anche gli altri quattro sensi non facevano eccezione.

«Hai visto quanto è figo il giovane che è entrato?» affermò la commessa numero uno.
«Già è uno schianto» continuò la mortale numero due.
«Confermo da vicino è ancora più bello» parlò la dipendente che mi aveva servito.
«È entrata con quella ragazza, mamma mia ma com'è vestita? Sembra una barbona, inoltre ha tutti gli abiti stropicciati. Non è minimamente alla sua altezza» disse la commessa numero due.

Stanca di sentire quelle pettegole parlare tirai la tenda e le ignorai.
Mi provai il primo abito era lungo e dalle tinte blu, per quanto fosse bello era fin troppo ingombrante per la mia statura.
Uscii dal camerino per vedere se trovavo la commessa, ma scovai due occhi scuri che mi scrutavano sul divanetto davanti al camerino.

«Troppo lungo» disse, seduto strofinandosi l'indice sotto il mento.
«Che ci fai qui?» chiesi.
Avevo ipotizzato che sarei rimasta da sola a scegliere il vestito.
«Pensavi che stessi lì all'entrata come un babbeo ad aspettarti?» scosse la testa sorridendo.
«Già che stupida» dissi.
«Provatene un altro, sono curioso nel vederti con altri abiti da sera» disse con un sorrisetto dipinto sul volto.

Andai nel camerino e mi misi un abito nero, aveva la scollatura a cuore, il colore non mi piaceva molto era troppo deprimente ma almeno era della mia lunghezza.
Le tende si aprirono e Leam entrò nel camerino.

«Ci mettevi troppo a uscire e queste tende sono molto pesanti per riuscire a sbirciarti intanto che ti cambi» sbuffò seccato.
«Demone pervertito» scossi la testa rassegnata.

Lui si avvicinò alle mie spalle con l'indice percorse tutta la mia schiena nuda.
Mi venne la pelle d'oca e una familiare l'elettricità percorse tutto il mio corpo.
Il demone mi diede dei baci sul collo anch'esso molto scoperto.
Mi fissai allo specchio, io avevo già il viso che andava a fuoco invece il volto di Leam mi scrutava voglioso.

Le sue mani percorsero tutto il mio corpo e cercai di non farmi distrarre.
«Leam siamo in un luogo pubblico» l'ammonii.
«Suvvia possiamo sempre innalzare una barriera, non essere così pudica» mi mordicchiò il lobo dell'orecchio.
Stavo per rispondergli quando si sentirono dei passi nella nostra direzione.
Mi staccai da Leam, la tenda si aprì e sbucò la testa della commessa «Allora signorina, come stanno i vesti...» si accorse di Leam.

«Mi scusi sono di troppo» disse imbarazzata diventando rossa in volto.
«Non è di troppo non è in grado di fare il suo lavoro. La stavo aiutando a tirare su la lampo, la mia compagna l'avete lasciata da sola» disse il demone irritato e alzando la voce per poi sedersi di nuovo sul divanetto.

La commessa non lo guardò neanche in faccia, era molto imbarazzata «Mi scuso per il mio errore. Signorina vuole altro capo da provare?»
«Sarebbe meglio, quello blu era troppo lungo e il colore di questo vestito non mi fa impazzire» dissi.
«Non avete dei abiti bianchi?» chiese Leam.
«Ma signore gli abiti bianchi non sono da sera» disse la commessa, era molto agitata.
«Beh non sono qui per sentire la sua opinione. Mi vada a prendere dei vestiti bianchi» la liquidò.

La poverina se ne andò in fretta e furia.
Tirai la tenda e andai a sedermi anch'io sul divanetto vicino a Leam.
«Potevi trattarla meglio.»
«Perché mai? ho sentito quello che ti ha detto quando era con le sue colleghe. Inoltre ci ha pure interrotti, credo che le mie siano più che delle giustificazioni valide» rispose il demone.
Gli misi la testa sulla sua spalla «Ti ringrazio per avermi difesa. Possono farmi tutte le critiche che vogliono, ma lo sappiamo benissimo noi due che siamo la coppia più bella di tutto l'universo.»

Lui si girò e mi diede un bacio sulla tempia «Mi stai facendo venire il diabete con quelle parole.»
Mi allontanai e gli diedi una pacca sulla spalla «Che demone stronzo.»
Lui sorrise «Me ne hanno dette di peggio.»

La commessa numero uno arrivò con un paio di abiti, l'altra si era dileguata e non l'avevo più vista.
Scelsi tra tutte le proposte un abito lungo con le spalline, intanto Leam ordinò alla dipendente di portargli delle scarpe con il tacco e una giacca.
Provai tutto, il vestito bianco veniva risaltato dai tacchi neri e la giacca dello stesso colore.

Uscii fuori dal camerino, gli occhi di Leam si illuminarono «Perfetto compro tutto» furono le sue parole.
Tornammo nel suo appartamento e iniziai a cucinare.
«Dove sono finiti i gemellini?» chiesi a Leam.
«Sono con Yag e Arasio a scegliere i vestiti per domani sera. Visto che non li vuoi lasciare con la cara Indivia, quando tu eri nel camerino ho chiamato Yag per ordinargli di comprare dei abiti per i due ibridi» mi spiegò.

«Voglio proprio vedere quei due. Enìmia è sempre indecisa sui vestiti e Iglis non vuole mai provare niente. Saranno diventati pazzi.»
Dopo aver mangiato e lavato i piatti, il campanello suonò.
Leam andò ad aprire.
Entrò prima Yag dove sulle sue spalle era adagiata Enìmia, invece Arasio sorreggeva Iglis. Entrambi gli ibridi dormivano come due sassi.
Vidi i due immortali stremati dalla fatica, posando i gemellini sul divano.

«Mai più comprare dei vestiti per i tuoi figli Angelica» Arasio posò delle borse per terra.
«Già c'era da diventare pazzi, uno che dovevi pregarlo per far indossare un paio di pantaloni e l'altra che aveva portato metà dei vestiti del negozio nel camerino» spiegò Yag.

La coppia immortale se ne andò, erano visibilmente stanchi.
Misi delle coperte ai miei figli per non fargli prender freddo.
Mi feci una doccia veloce e andai a dormire nel letto con Leam.

Lui si avvicinò a me e mi diede un bacio «Quando i bambini dormono, gli adulti ballano» vidi il suo sorriso malizioso in penombra.
«No Leam, se si svegliano e vengono cercarmi nella tua camera non ci penso nemmeno» affermai.
Lui si strisciò su di me «Beh vuol dire che pagherò per tutta la vita lo psicologo ai tuoi figli.»

Feci una x con le braccia «Non se ne parla Leam, inoltre sono molto stanca.»
«La scusa della stanchezza è pessima» sbuffò «Almeno posso abbracciarti, oppure è un peccato mortale pure questo?»
«Quello lo puoi fare» gli risposi.
Lui mi abbracciò e fece subito il furbo.
«Leam toglimi le mani dal sedere.»

Spazio Autrice

Grazie per aver letto questo capitolo di passaggio, facendo svagare i due protagonisti in una normale routine di coppia. Prossimamente saranno presenti diverse situazioni alquanto spinose per entrambi i personaggi.

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