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Capitolo Quarantadue (passato)

Lei

Il giorno seguente mi alzai stanca e indolenzita, mi diedi una rinfrescata e mi preparai per la mia solita routine. Andai nel salotto comune dove vidi Mauro e Matteo che stavano guardando la tv, al tg parlavano di una palazzina del quartiere Giazzi la stessa in cui eravamo la scorsa notte.

La giornalista argomentò del macabro ritrovamento dei moltissimi corpi martoriati. Le indagini vennero aperte, la polizia fu colpita di quanta barbaria fosse stata usata per tali delitti, non sapevano spiegarsi chi fosse in grado di attuare tutto questo.
Nei giorni seguenti lessi il libro che avevo trovato in biblioteca e applicai quello che c'era scritto. Dopo l'accaduto volevo la massima  protezione, i tre morti da me resuscitati erano ancora troppo deboli fortunatamente trovai un modo per potenziarli. Ero convinta che quell'episodio non sarebbe stato isolato anzi ero più che certa che sarebbero comparsi nuovi mostri simili.

Per prima cosa presi le armi che trovai nella stanza in cui mi allenavo e le portai nella mia camera. Diana fu la prima cavia dell'esperimento, disegnai con il mio sangue prima un cerchio più piccolo e poi uno più grande. Diana entrò in uno stato di trans appena si sedette nel cerchio più ampio. Appena appoggiai la pistola nel circolo piccino le due circonferenze si allinearono lentamente e ne formarono uno molto più grande, la pistola sparì e si creò un bagliore nero. Quando tutti riaprimmo  gli occhi la gemella ritornò in sé.

«Tutto bene?» domandai avvicinandomi cautamente.
«Sì, mi sento strana» mi rispose turbata.
«Dove sarà finita la pistola?» chiese Sario l'altro gemello.
«È nel suo corpo» spiegai.
«Non dire fesserie bambinetta» parlò Diocle guardandomi male.
Mi rivolsi a Diana ignorando l'affermazione del biondino «Pensa attentamente alla pistola che hai visto, all'odore della polvere da sparo, alla sua impugnatura piena di dettagli, alla sensazione di freddo che ti provoca al solo sfiorarla.»
Diana abbassò lentamente le palpebre, si concentrò su quello che stavo dicendo e a un certo punto la sua pelle diventò metallica.
«Immagina di poter materializzare la pistola» continuai a parlare senza far perdere l'attenzione alla donna dallo sguardo materno.

Diana riaprii gli occhi, distese il braccio e tutto il grigiore che aveva appena assunto confluì interamente sul suo avambraccio destro, la sua mano si distorse  prendendo le sembianze dell'arma da fuoco che avevo appena usato. Non era ancora ben definita, le rifiniture dell'impugnatura dell'oggetto potenzialmente mortale erano ancora abbozzate e la colorazione non era del tutto uniforme erano ancora  presenti delle macchie rosee della sua pelle.
Tutti rimanemmo a bocca aperta per ciò che era successo, ce l'avevo fatta.
«Adesso prova pensare di essere tu stessa la pistola» continuai con il mio esperimento.
Diana annuì lentamente al mio comando si concentrò e richiuse gli occhi, un bagliore la circondò e si tramutò nell'arma. La presi in mano prima che cadesse.
«Non è possibile una cosa del genere» disse Diocle stupefatto e con le pupille ridotte a fessure.

Nei giorni seguenti fusi sia Sario con la pistola simile a quella di Diana e obbligai anche Diocle a fare altrettanto, per lui scelsi una sciabola. Si allenavano tutti i giorni per tramutarsi il prima possibile negli oggetti contundenti da me scelti e io mi esercitavo nel teletrasportarli. All'inizio fu difficile dovevo disegnare il cerchio con il sangue per richiamarli ma con molto esercizio diventò sempre più semplice non avevo neanche più bisogno di dipingere il simbolo da me utilizzato un sacco di volte per diversi scopi.

Ci mettavamo a esercitarci in un posto più riservato, vicino a un piccolo boschetto al confine della villa lontani da occhi indiscreti. Quel giorno intanto che ci allenavamo, Diocle cercò di colpirmi con il braccio mutandolo in lama, nel mentre i due gemelli si esercitavano nel rendere più spessa e metallica possibile la loro pelle.
«Non sai fare di meglio Angelica?» disse Diocle con tono beffardo.
Schivai il suo colpo per un soffio ero molto stanca oltre al mio lavoro e la scuola, mi allenavo pure con Licerio e i miei amici ignari che io mi esercitassi a loro insaputa. Il maggiordomo se ne accorse dei miei cambiamenti ma non disse nulla, per quando cercassi di nasconderlo era evidente che stavo migliorando troppo velocemente.
Diocle mi diede un pugno nello stomaco e mi fece sbattere contro l'albero, il biondino cercò di colpirmi ulteriormente ma io lo evitai e gli diedi un calcio in faccia facendo cadere a terra. Il mio petto batteva così velocemente avevo il fiatone e stavo sudando. Le giornate si stavano allungando e le temperature si stavano alzando, oggi c'era più afa del solito.

Qualcuno batté le mani in un applauso mi girai verso la direzione in cui proveniva il suono. Guglielmo il primogenito dei Lùf sbucò fuori da un albero.
«Ti ho sottovalutato Angelica, è da molto che ti tengo d'occhio. E devo ammettere che sei migliorata molto» parlò con supponenza.
«Se sei venuto solo per elogiarmi, puoi anche andartene» gli risposi seccata. In quel momento ebbi il rimorso di avergli salvato la vita durante la sua caduta nel vuoto, non mi è mai piaciuto il suo comportamento da sbruffone e spocchioso.
«Non sono qua solo per dirti questo. Volevo informarti che presto avrò un'altra missione, tu e gli altri siete obbligati a seguirmi» spiegò mettendosi le mettendosi le mani in tasca.
«Dopo quello che è successo, hai ancora il coraggio di svolgere altre missioni» gli dissi.
Lui mi guardò con i suoi occhi color nocciola «Non so cosa sia successo quella volta ma ti assicuro che ho già rischiato di morire molte volte, fa parte del gioco, ricordati il potere e la paura è tutto in questa realtà.»
Parlava come se fosse la cosa più normale uccide e utilizzare il terrore per sovrastare gli altri. Mi disgustava questo suo ragionamento. Ma la mia preoccupazione era che lui avesse tenuto la bocca chiusa riguardo a ciò che era successo qualche settimana fa. Si ricordava delle mie ali dorate che avevo dietro la mia schiena, più che altro erano veramente delle ali o era tutto un sogno a occhi aperti?
Questi dubbi mi uccidevano e mi confondevano a distanza di settimane. Come si poteva credere veramente nell'esistenza di esseri superiori a noi, solo nelle sacre scritture se ne parlavano.
Guglielmo si avvicinò al mio orecchio senza che io me ne accorgessi concentrata a ciò che stavo pensando.
«È al sicuro il tuo segreto angelo»  affermò con un sorriso diabolico sulle labbra e se ne andò senza salutarmi.

Partimmo qualche giorno dopo e questa volta l'obiettivo fu fatto fuori molto facilmente. Guglielmo ci affibiò altri missioni ancora più impegnative, in alcuni casi li svolgevamo a coppie oppure singolarmente e in particolari casi in gruppo soprattutto se si doveva far fuori molte persone.
L'anno scolastico era quasi giunto al termine ancora un paio di settimane e mi sarei rilassata un po'. Gli incontri nella villa si fecero più assidui e quasi ogni sera dovevo mettermi a servire oppure a suonare. Questa sera si ne tenne un altro festino ma non immaginai cosa sarebbe successo dando una svolta della mia vita sempre più cupa e macabra.

Matteo e Mauro erano partiti per una missione ed erano giorni che non  avevamo più notizie. Ero molto preoccupato della loro assenza e lo stesso era Licerio anche se non lo dava a vedere. Mandò qualcuno a cercarli ma senza nessun esito positivo.
In ansia per quello che stava succedendo ai miei amici e stanca per le poche ore in cui riuscivo a prendere sonno. Mi preparai di malavoglia, indossai  la mia divisa da cameriera più elegante che mi aveva dato Licerio e mi recai nella villa. La sala come al solito era gremita di gente, chiunque si recasse a queste feste organizzate dai Lùf era per creare nuove alleanze . Qualsiasi persona si imbucasse a queste serate oppure non fosse in buoni rapporti con la famiglia veniva sbranato dai lupi.

Le bestiole giravano lo stesso liberi in giardino anche durante questi eventi. Mi misi immediatamente a lavorare servii da bere e diversi stuzzichini ai presenti. Lo spettacolo si sarebbe tenuto alle 22:30, mi si era ritagliata una piccola parte da solista che dovevo suonare con il violino durante lo spettacolo.
All'interno del grande salone tutti si divertivano sghignazzando allegramente, le donne si vantavano dei loro vestiti e chi apparisse la più bella, invece gli uomini​ non erano da meno sempre e solo parlare di soldi.
Finalmente arrivò l'orario prestabilito per iniziare a suonare non ce la facevo più a stare in mezzo a persone così irritanti, era ancora più dura senza i miei due amici. Andai nella stanza in cui erano posati tutti gli strumenti della piccola orchestra, lì in quella camera si trovava il mio violino creato da un famosissimo liutaio di Monacre. Aprii la custodia nera completamente floccata e trovai al suo interno una lettera proprio sopra il mio violino.

Aprii il pezzo di carta e chiusi gli occhi per la frustrazione, la calligrafia era di mio padre. Che cosa voleva ancora? Lessi in modo vorace ogni singola parola scritta da quel bastardo. Appena finii di leggere e comprende il figlio di carta, i miei occhi si spalancarono pieni di lacrime mi si gelò il sangue.  Dovetti dare una seconda lettura per credere a ciò che avevo in mano.
Quell' essere immondo mi scrisse che Matteo e Mauro erano suoi ostaggi, se non avessi obbedito al suo volere li avrebbe torturati e poi uccisi. Non gli bastava i soldi che gli avevo dato? Perché doveva farmi questo?

Lacrime di dolore scivolarono sul mio viso. Mi girò la testa come fosse una trottola, vomitai in un angolo dal nervoso. Il bastardo mi costringeva a seguire delle persone che mi avrebbero portato dai miei amici e tutto si sarebbe risolto. Era proprio oggi l'ora della mia morte? Potevo sfuggire in un posto lontano, avevo paura lo ammetto però Matteo e Mauro non erano delle persone qualunque ma i miei migliori amici, coloro che c'erano sempre stati nei periodi più bui e ora era il mio turno da comportarsi da amica anche se questo significava un grande sacrificio. Cacciai in malo modo la lettera nella custodia e uscii dalla stanza posizionandomi  il più velocemente possibile dietro le quinte del palchetto.

«Dove cavolo eri finita?» disse Licerio alterato e scuro in volto
«Scusa per il ritardo» risposi senza guardarlo in volto.
Il maggiordomo rimase interdetto dal mio comportamento mansueto ma non disse nulla. Io e l'orchestra andammo sul palco e iniziammo a suonare le canzoni presenti sulla scaletta. Diocle e i due gemelli erano a servire aperitivi, mi guardarono preoccupati come Licerio che avessero percepito qualcosa?
Era giunto il piccolo pezzo in cui mi sarei dovuta esibire da solista. Mi misi in mezzo al palco, sospirai era il mio ultimo attimo di libertà, non so cosa sarebbe successo dopo. Guardai la scaletta e ignorai quello che dovevo suonare.
Chiusi gli occhi e mi feci trasportare dalla mia mente, il viso di Leam mi comparse per la prima volta nitido. Era proprio un bell'uomo dalla pelle color porcellana e dai lunghi capelli neri rasati da una parte, i suoi lineamenti erano morbidi e sinuosi per non parlare di quelle due bellissime pietruzze gialle incastonate nel viso. Non l'avrei più incontrato e per me era uno dei più grandi rimorsi. Le parole della melodia improvvisata mi uscirono spontanee dalle mie labbra rosee.

Nella mia testa si materializzò un'immagine che non avevo mai visto ma alquanto familiare per il mio corpo e per la mia mente. Eravamo l'una davanti all'altro su un morbido praticello contornato di alberi, il verde sotto i miei piedi era disseminato da graziose viole vicino a noi scorreva un piccolo fiumiciattolo.
Leam stava guardando l'orizzonte, il sole stava tramontando e la luce si rifletteva sui suoi capelli scuri rendendoli ancora più lucenti, i suoi occhi erano molto accesi e le sue zanne erano lunghe. Doveva incutere paura a molte persone eppure lui mi trasmetteva tutt'altri sentimenti.
Si girò lentamente verso di me e mi sorrise mi venne un sussulto al cuore, non riuscii a capire bene di che emozione si trattasse, l'unica cosa di cui ero certa che mi faceva star bene. L'immagine nella mia mente si dissolse lasciandomi solo l'amaro in bocca, riaprii gli occhi ed emisi l'ultimo assolo finale.

La gente applaudiva emozionata, non capendo il motivo, persino Licerio era sorpreso. Era solo una canzone dettata sul momento quasi non me la ricordavo più.
Finimmo di suonare e ricevemmo più applausi del solito. Mi allontanai per mettere il violino al suo posto. Camminai lentamente in uno dei corridoi della casa, era deserto e non molto illuminato. Sentii dei passi alle mie spalle erano loro, mi girai due uomini vestiti con uno smoking rosso mi stavano raggiungendo. Il primo mi bloccò da dietro, scalciai inutilmente e mi dimenai il secondo mi mise un fazzoletto coprendomi la bocca e il naso.
Fui avvolta immediatamente dal più buio totale.

Spazio Autrice

Questa è la canzone che canta Angelica pensando a Leam, prima di essere rapita. A parer mio le parole del testo, racchiudono molto l'essenza della loro storia. La canzone è di Lara Fabian, Adagio.
Invece per voi che canzone vi ricorda la loro relazione?

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