Capitolo Dodici
Lei
Claudio e i suoi scagnozzi uscirono dal palazzo abbandonato.
«Che cazzo era quella roba?» chiese Mìtrio schifato.
«È un essere venuto dagli inferi almeno assomiglia a uno dei suoi abitanti, nasce da sentimenti negativi e si nutre di qualsiasi essere vivente. Da dove venga ne sappiamo quanto te» spiegai con ancora con il fiatone causato dallo scontro.
Tesi la mano per aiutare mio figlio a rialzarsi, ma lui me la spostò sdegnato per poi andarsene seccato dall'accaduto. Mìtrio camminò in maniera dondolante e con una postura ingobbita causata dalla sua altezza, lasciando con i suoi anfibi le enormi impronte sul sabbioso terreno.
Il biondino cacciò le mani nelle tasche del polveroso chiodo, sporcatosi durante lo scontro con l'essere. Nulla era rimasto del dolce carattere che aveva da bambino, completamente sostituito da uno scorbutico temperamento da adulto.
Voltai il mio sguardo verso i gemelli solo quando la sua figura di mio figlio sparì tra le grigie stradine di periferia.
«Diana, Sario fate sparire la spazzatura» ordinai ai miei alleati guardandoli negli occhi.
Diventai scura in volto, rivolgendomi ai due ultimi arrivati e anche i più indisciplinati del mio gruppo un'occhiata di rimprovero.
«Invece voi due fate quello che volete, però sappiate cosa vi aspetta, io ve l'ho detto fin dall'inizio quali erano le regole dei giochi e sia tu Fulvia che Ibisco siete sul filo del rasoio. Vi rispedirò all'inferno se andate avanti così, nel posto che vi spetta. Bruciando come anime dannate che siete» dissi a denti stretti.
Tornai a casa alle quattro del mattino, giustamente la sveglia delle sette incominciò a suonare. Mi alzai scivolando di malavoglia dalle coperte di cotone, mi feci una doccia lampo e mi preparai. Feci colazione con fette biscottate, marmellata e cappuccino, ogni tanto il capo si inclinava per il gran sonno e le palpebre in certi momenti diventavano molto pesanti.
Teodoro portò i miei figli alla fermata del pulmino per andare a scuola. Fulvia e Ibisco non si erano ancora fatti vedere. Invece i due gemelli Diana e Sario, erano nell'altra stanza a dormire, anche se erano dei morti avevo fatto sì che le loro abitudini da mortali rimanessero invariate.
I miei amici Matteo e Mauro erano di pattuglia. Diocle il biondino era sul divano a leggere il giornale, non faceva niente tutto il giorno se non poltrire.
Perché mai fare qualcosa di costruttivo? Nel mio villaggio fin da piccola veniva considerato un grande eroe morto con onore, secondo me si erano sbagliati, dalla prima volta che l'ho resuscitato mi era subito sembrato svogliato e pigro.
Andai a lavoro guidando con molta calma per evitare di fare degli incidenti, evitando di mettere la radio per paura di distrarmi dalla strada. Parcheggiai l'automobile in uno stallo a pagamento e mi recai nella casa editrice.
Questa volta filò tutto liscio, nessun angelo era venuto a rompermi le balle e nessun demone si vedeva in all'orizzonte, persino di Leam non ce n'era traccia, solo numerose scartoffie da controllare.
Tornata dal lavoro preparai la cena e mangiai con tutti a tavola, mi lavai e mi preparai per andare a una festa privata a Monacre. Indossai un abito lungo molto scuro dono ancora da parte di Diana e Sario, ai quali non riuscivo a rifiutare e dirgli che i colori scuri li evitavo di metterli perché non ero a mio agio nell'andarci in giro. Mi precipitai immediatamente al party.
I miei alleati mi chiesero se volevo essere accompagnata, non volevano che rimanessi scoperta soprattutto di sera, dove quelle creature erano più presenti. Ma rifiutai, di solito alle feste gli esseri che popolavano quei posti erano ancora in fase embrionale, attirati dalla fame e nutrendosi solo di sentimenti umani negativi, non riuscendo ancora a muoversi in maniera autonoma era impossibile che riuscissero a sbranare qualcuno.
Persino un angelo con poteri dormienti era in grado di farli fuori con semplicissime armi umane. Gli embrioni erano ancora più rivoltanti dei normali esseri di diverso livello, mostriciattoli che si nidiavano in posti con poca luce, avvolti in posizione fetale da una guscio gelatinoso con all'interno un liquido scuro.
Avevano la costituzione di bambino umano di sei anni, ma con la testa molto sproporzionata rispetto all'esile corpo rugoso di cui erano dotati in quella fascia di crescita e con l'assenza di artigli alle zampe. Questa volta il festino si teneva al penultimo piano di un palazzo, oltre a questo si sarebbe svolta anche un'asta all'ultimo piano con oggetti d'antiquariato molto rari. Avevano fatto le cose in grande.
Entrai nella lussuosa palazzina, mi trovai nell'atrio con lucenti mattonelle ed enormi vetrate. Nel luccicante posto predominavano maggiormente totalità dorate e varie sfumature di beige.
I lampadari erano a spirale, dando l'idea che scendesse una scrosciante pioggia di diamanti.
Se l'entrata era già piena di drappeggi e sfarzosità non oso immaginare ai piani superiori.
Ardea la piccola bimba dai capelli rossi, mi stava aspettando vicino agli ascensori su uno dei divanetti di cuoio posti all'angolo della stanza.
Sulle porte dorate degli ascensori erano incisi dei papaveri, l'unica cosa che era stata pitturata era i petali di una pallida tonalità rossastra.
Entrammo su uno dei tre impianti di sollevamento.
«Ho saputo che hai visto Mìtrio. Non è andato bene il primo incontro, si vede dai tuoi lineamenti tesi mamma» smorzò il silenzio che si era creato.
La piccola dondolò sui talloni con fare nervoso, tenendo le mani dietro la schiena.
«Già Ardea ma non mi arrendo. Spero di parlare con Claudio per chiedergli dove trovare Mìtrio.»
Ardea voltò di scatto la rossa testolina, fissandomi con i suoi occhi azzurri.
«Claudio, il padre dei due gemellini? Immagino che Lucifero non ne conosca la sua esistenza, altrimenti sarebbe morto e sepolto» accennò un sorriso ironico sulle sue labbra.
«Leam deve stare al suo posto poi sono tutti e due storie passate» cambiai subito discorso.
«Sì come no» disse la bimba alzando gli occhi al cielo.
La piccola si sistemò le balze del delizioso vestitino bianco, per poi aggiustare il cerchietto che tentava di tenere al suo posto i mossi boccoli.
Stavo per replicare ma le porte dell'ascensore si aprirono.
L'appartamento brillava di luce propria, aveva una grandissima sala con una terrazza altrettanto enorme.
Era arredata i maniera diversa rispetto all'altrio, il salone era sostenute da colonne di marmo bianco, le pareti erano tinteggiate di un grigio perla e un enorme lampadario a candelabro si ergeva in tutta la sua magnificenza al centro della sala.
Era composto da vetro di Murano, anche la più piccola scanalatura era minuziosamente decorata.
Nella stanza c'era moltissima gente, tutti vestiti in maniera impeccabile senza una minima piega ai loro preziosi abiti di marca di alta sartoria italiana.
Cercai Claudio in mezzo al coltre di umani, ma la sala era completamente intrinseca di umani dai volti sconosciuti.
Ero sicura che ci fosse, oltre ai bassi fondi anche il ceto medio/alto era un grande consumatore di finissima droga.
A un certo punto mi sentii toccare timidamente la spalla. Mi girai trovandomi davanti proprio Claudio, vestito con uno smoking elegante, i capelli scuri tirati indietro e ingellati per tenerli fermi alla nuca.
«Chi stavi cercando? ti vedevo molto concentrata» mi chiese incuriosito. Sul suo volto si dipinse un caldo sorriso e i suoi occhi verdi divennero più sbarazzini.
«Ehm, veramente cercavo te. Vorrei sapere dov'è Mìtrio?»
«Perché sei tanto interessata a quell'uomo?» mi scrutò in silenzio, come per cercare la risposta nei miei chiari occhi.
Adesso che balla mi invento? non posso di certo dirgli che lui è mio figlio, anche se Mìtrio sembra giovane ha molti secoli, ma non ti preoccupare Claudio non sono pazza.
Interruppi lo strambo monologo che era avvenuto nella mia mente, pronunciando la prima scusa che mi venne in mente.
«Lui è un mio caro amico, questa bambina vicino a me è sua figlia. Deve convincersi per una buona volta di essere un padre e di prendersi cura di sua figlia.»
Ardea era schifata da quello che avevo detto e mi guardava confusa. La fissai negli occhi chiedendo comprensione per la penosa e improvvisata balla.
Almeno Claudio sembrava che se la fosse bevuta.
«Mìtrio è nella sala accanto al bar. L'ho portato con me per concludere un affare, ma si è seduto davanti al bancone per bere come una spugna» spiegò irritato toccandosi il retro del collo.
Rimasi perplessa dalla sua affermazione. Lui che è sempre stato un tipo freddo calcolatore, portarselo a dietro come zavorra ci credevo ben poco, sapeva che l'avrei cercato e voleva di sicuramente scoprire che cosa ci fosse sotto tra me e mio figlio.
Claudio è sempre stato così fin da quando l'ho conosciuto, eppure quando aveva scoperto della mia famiglia e del mio passato, non aveva battuto ciglio anzi mi ha dato una mano. Forse per l'ambiente in cui era cresciuto, una famiglia non sapeva neanche cosa fosse, come funzionassero le sue dinamiche per cui quello che aveva fatto non aveva mai avuto dei rimorsi di coscienza.
Lui era un orfano nato nel quartiere Giazzi dove neanche la polizia ci metteva piede. Anche se Monacre era una città molto piccola nessuno, neanche lo Stato si era permesso d'intervenire in quel quartiere con un alto tasso di malavita.
«Beh è meglio che vada a parlarci» distolsi lo sguardo dai suoi occhi magnetici.
«No Angelica, è meglio che parli io con il mio papino è una questione che solo io posso risolvere» disse Ardea sorridendo.
La piccola dai capelli rossi se ne andò saltellando tutta contenta, inscenando il comportamento di una bimba dell'età in cui il suo fisico era intrappolato. Quella brutta canaglia mi aveva lasciato da sola apposta con lui.
Lui
Che diavolo ci faceva con lui? Quella piattola aveva il coraggio di girargli attorno tra l'altro in modo plateale, proprio davanti ai miei occhi.
Calmati Leam hai capito i tuoi errori, rimani sereno, stai andando benissimo vai persino dallo psicologo. Oddio credo di aver proprio toccato il fondo, poi quel cretino di un umano mi dice di tenere un diario. Chi cazzo crede che sia? cavolo sono Satana, cosa dovrei scrivere su quel taccuino?
"Caro diario oggi ho creato due nuovi gironi infernali, ho corrotto vari esseri umani e adesso vorrei staccargli la testa a quel pallone gonfiato che ci prova con la mia compagna. Forse se gli staccassi qualche unghia della mano non verrebbe considerato tortura? Solo per rimetterlo al suo posto."
Non riesco più a sopportarli insieme. Mi diressi velocemente da loro, scricchiolando con queste stupide e scomode scarpe di cuoio nero.
Il fruscio del nuovo gessato blu scuro mi rendeva ancora più rigido, l'avevo solo comprato per Lei, sapevo che ci sarebbe stata e volevo farmi trovare al meglio. Preferivo di gran lunga le comode vesti che indossavo durante i ricevimenti quando entrambi abitavamo ancora al tempio.
«Oh ma chi si rivede Angelica» cercai di essere più naturale possibile, posando la mano sulla sua schiena.
Speravo che non mi spuntassero le zanne per poter aggredire quella piattola di Claudio e dissanguare il suo collo.
«Buona sera» mi rispose scostandomi dalla mia figura con naturalezza, senza fare drammi e cercando di essere il più naturale possibile.
«Buona sera signor Leam Saveri» affermò l'umano con un caldo sorriso.
Per gli inferi, divampa e prendi fuoco in questo momento.
Claudio aveva pure il coraggio di parlarmi e di usare il mio vero nome?
Non osavano neanche gli immortali mancarmi così di rispetto.
Lo so che se la sta spassando nel vedermi così, ridi pure quanto vuoi sotto i baffi poi quando siamo da soli ti taglio la gola.
Ingoiai la pillola amara richiamando con tutte le forze il mio autocontrollo.
«È proprio una bella serata, hanno fatto le cose in grande gli organizzatori» continuò la piattola a parlare.
Mi sta venendo il mal di testa se continuava a blaterare potevo staccargli la testa solo con il pensiero.
«Già, molto bella» rispose Angelica guardandosi intorno.
Stava fissando di tutto tranne nella mia direzione, questo fa molto male Angelica. Puoi pure ignorarmi ma non scrutare un altro come guardarvi me una volta, non farmi questo. Inventai una balla penosa ma almeno avrei rimesso in riga la piattola.
«Già io sono tra gli organizzatori della festa, sai bisogna essere ambiziosi nella vita non è vero signor Claudio lo spacciatore?» affermai bagnandomi la bocca con il calice di prosecco che avevo in mano.
Claudio mi fissò, cercò di fare finta di niente ma sapevo che aveva paura che spifferassi tutto ad Angelica. Non vedevo l'ora di dirgli che bastardo aveva davanti. Stavo per aprire bocca ma venni interrotto.
«Oh signor Saveri, buona sera» parlò una voce maschile, toccandomi con vigore sulla spalla destra.
Spostai il capo e quando lo vidi per poco non gli sputai il prosecco in faccia al capo di Angelica.
Eh no! pure la sanguisuga mi toccava reggere questa sera.
L'idea di fargli prender fuoco anche a lui non mi dispiaceva per niente, se continuava a toccarmi la spalla, giuro sull'inferno che lo facevo davanti a tutti.
«Oh Angelica non sapevo che ci fossi anche tu» disse l'uomo.
Lei le sorrise in modo cordiale.
Il suo capo la stava ancora svestendo solo con gli occhi, giuro che adesso impazzisco per questa situazione non poteva andare peggio di così.
Improvvisamente saltò la corrente, un essere molto potente era appena comparso.
Lo sentii limpidamente, si trovava al piano superiore.
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