Capitolo Cinquantacinque (passato)
Lei
Da quel giorno in cui resuscitai Termine e Teodoro, passarono diversi anni. Ormai ero diventata una ragazzina di quattordicianni, i miei cappelli biondi erano ricresciuti e adesso li tenevo nuovamente lunghi.
Il mio seno aumentava e col tempo scoprii la prima dolorosa mestruazione, dove buttai fuori dalla finestra Diocle per il nervoso e per il gran male. Per l'amor del cielo non tocchiamo l'argomento acne. Frequentavo la terza media sempre nella solita prestigiosa scuola in cui Licerio mi aveva iscritto.
Era un anno impegnativo, tra gli esami di quest'anno e la scuola superiore da scegliere. In classe con me c'erano: Matteo, Mauro e persino Teodoro, non mi sentivo più sola come un tempo. Inoltre Termine frequentava il primo anno delle medie.
Arrivarono le prime dichiarazioni "d'amore" da parte di ragazzi della scuola, persino da gente un po' più grande di me, ma li rifiutavo tutti.
Non ne riuscivo a capirne il motivo ma non ero interessata ai ragazzi della mia età, sapevo benissimo che Leam fosse l'unico, questo mi dava ancora più sui nervi, era Lui che mi aveva lasciato in questa situazione di merda.
Rinchiusa in un corpo umano, isolata dagli immortali e dai miei figli, quanto l'odiavo! Durante la mia crescita migliorai molto nella tecnica del combattimento e nell'aumentare la forza dei miei compagni, per ora Diocle era il prodotto meglio riuscito... strano ma vero.
Inoltre fusi gli ultimi arrivati a due particolari armi. Per Termine utilizzai un arco pregiato fatto di un ottimo legno, mi servivano altri alleati che potessero combattere a lunga distanza.
Invece per Teodoro usai qualcosa di più singolare, intanto che ero dal fabbro per delle commissioni, vidi una falce della morte esposta come oggetto scenico per Halloween, non che me ne fregasse molto di quella festa pagana.
Chiesi al fabbro di rendermela più affilata, lui si oppose dicendo che non era un oggetto per i bambini, ma quando vide i soldi che gli offrii ci mise pochissimo per accuminarmela e a decorarmela.
Quando combinai l'oggetto tagliente a Teodoro non fu una cosa semplice. L'arma era la più ingombrante che avessi mai usato.
Con molta calma e diversi tentativi riuscii a incastonargliela nel corpo. Dal giorno in cui l'essere ci attaccò nel giardino, ne susseguirono molti altri.
Ne arrivarono a tal punto che mi misi tutte le notti in prima linea ad ammazzarli, lo so che era pericoloso ma anche molto eccitante.
Negli anni cercai disperatamente i miei occhi ma con scarsi risultati, la vista con gli occhi di Cecilia non era il massimo. Arrivai alla triste conclusione che non li avrei più ritrovati.
Un dì mentre stavo pulendo fuori dal cancello della famiglia Lùf, arrivò il postino.
Il povero lavoratore dalla struttura fisica smilza, era sempre bianco come un cencio tutte le volte che doveva consegnarmi le lettere.
Completamente terrorizzato dal brutto nome che questa putrida famiglia della malavita si portava appresso.
Il poverino mi diede velocemente delle bollette e una lettera indirizzata alla sottoscritta, per poi scomparire il prima possibile con la macchina dell'azienda di cui faceva parte.
Ero sempre perplessa e nello stesso tempo divertita tutte le volte che lo incontravo. Mauro e Matteo ci avevano preso gusto a prenderlo in giro, lasciando aperto di proposito il cancello per poter permettere ai lupi di mettere fuori il muso e ringhiare al povero malcapitato.
Appoggiai le ricevute da pagare nell'ufficio di Licerio. Il suo studio personale era una minuscola stanza posta al piano di sotto del dormitorio, in uno dei punti più isolati della struttura. I pochi mobili che l'adornavano erano di seconda mano, sicuramente provenienti dal magione dei Lùf.
Una piccola libreria era appoggiata al muro laterale della stanza, i pochi libri che ne facevano parte era tutti tomi sulla legislazione o sulla politica del paese, era presente anche il codice civile e un tomo sgualcito della costituzione italiana. Saltuariamente come dei piccoli forestieri, sbucavano anche dei libri storici riguardante le guerre del secolo scorso. Erano ben nascosti come se si vergognasse quasi di averli.
La scrivania di un bel marrone scuro, non era molto distante dall'imbarazzante libreria di Licerio, il mobile era ben lucido e senza un filo di polvere. Sopra di essa era appoggiato un telefono fisso con disco, dal design retrò. L'apparecchio placcato di nero era direttamente collegato alla casa principale dei padroni, molti di essi erano sparpagliati sia nel dormitorio che nella casa principale.
Dalla parte opposta del mobile, si trovava l'unico oggetto personale che era presente qui dentro, una fotografia scattata in un tempo oramai trascorso. La presi in mano per osservarla meglio.
Il ricordo era ben racchiuso in una cornice rossa, raffigurava cinque individui tutti vestiti come i lavorati di questo posto, utilizzando delle divise senza una minima piega.
Erano presenti tre ragazzini molto giovani, dalla tinta di capelli l'una diversa dall'altra. La testolina rosso fuoco di mio zio era ciò che risalva di più. Un piccolo sorriso si abbozzò sul mio volto vedendo quella fotografia.
La ragazzina bionda era tale e quale a me, mi ripugnava il fatto di essere identica fisicamentea mia madre. Invece chi mi faceva più impressione era Licerio, pensavo fosse venuto al mondo già come un adulto e vedendolo con un volto così giovanile, mi faceva ricredere sulle mie strambe teorie sul maggiordomo.
L'umano aveva la stessa faccia da schiaffi e l'identico taglio di capelli che ancora oggi aveva il coraggio di andare in giro, solo una leggera ricrescita castana mi faceva capire che non aveva l'alopecia oppure era un simpatizzante di una certa corrente di pensiero.
L'immagine era quasi tale e quale a quella che avevo trovato in casa di mio zio, dovevano essere state scattate lo stesso giorno. L'unica differenza rispetto alla mia foto era la presenza delle due figure adulte, due uomini molto alti posizionati in seconda fila l'uno all'estremo dell'altro.
Entrambi avevano i capelli scuri, l'umano a sinistra li aveva ben ingellati e due occhi color menta che perforavano l'immagine. Invece lo sconosciuto posto sulla destra, aveva un incarnato pallido e una pettinatura più sbarazzina rispetto al soggetto precedente.
I suoi occhi avevano una discromia e il suo sguardo ti rimaneva impresso. Di una bellezza particolare, lo fissai con talmente tanta intensità che la mia vista cominciò a diventare sfocata.
Appoggiai nuovamente l'immagine al suo posto, sfregai con vigore le mie palpebre nella speranza che il mio stato di salute ritornasse nei suoi normali parametri.
Le tende delle finestre posizionate posteriormente al tavolo di lavoro erano tese, decisi di tirarle indietro per dare un po' di luce allo studio e sperare anche di poter mettere a fuoco ciò che avevo intorno.
Quando riuscii ad acquistare la vista, diedi un'ultima occhiata alla stanza, quel luogo era spoglio e dava un senso di insipido. Era banale, proprio come il padrone a cui era stato assegnato.
Diedi le spalle a quella camera che oramai conoscevo a memoria e chiusi con delicatezza la porta, senza fare il minimo rumore.
Mi recai con una certa calma in camera mia. La missiva veniva dal villaggio, già sapevo chi me l'avesse mandata, quel maledetto bastardo che bruciasse all'inferno.
Quando è venuto a conoscenza che io fossi sopravvissuta, mi fece pure i complimenti.
Continuò a chiedermi ancora i soldi per tenerlo buono e io dovetti farlo. Quando finii di leggere la corrispondenza indesiderata mi si montò una furiosa rabbia, strappai il pezzo di carta in due parti.
Aveva oltrepassato il limite, mi chiedeva di ammazzare i miei amici d'infanzia, altrimenti avrebbe ucciso Zacinto o Marica.
Mi sedetti sul pavimento e mi tirai i capelli dalla frustrazione, le lacrime rigarono il mio viso. Perché doveva farmi questo? Non gli bastava quello che mi aveva fatto fino adesso?
Senza alcun preavviso Diocle entrò nella stanza, quando mi vide in quelle condizioni, l'umano chiuse subito la porta a chiave e si sedette vicino a me.
«Che cosa sta succedendo Angelica?» tolse le mie mani dai capelli e mi asciugò le lacrime che scorrevano sul mio pallido viso.
Gli diedi in mano la lettera che era stata strappata in due parti, la lesse e la sua espressione diventò puro disprezzo.
«Da quanto tempo va avanti questa cosa?» mi chiese chiudendo gli occhi sfegandoseli con il pollice e l'indice, per poi riaprirli tentando di mantenere la calma.
«Saranno anni che oramai mi ricatta» dissi.
L'uomo dagli occhi da gatto diede un pugno al pavimento e spaccò una mattonella del parquette.
«Perché non ce l'hai mai detto?» cercò di non alterare la voce per non farsi sentire.
«Perché era un mio problema, non volevo coinvolgere nessun altro. È stato proprio lui a riccatarmi per mandarmi in quel postaccio» dissi distaccata.
Diocle diede un'altra botta al pavimento rompendomi un'altra mattonella.
Lui chiuse nuovamente gli occhi e li riaprii lentamente, aveva la mascella serrata «Dopo tutto quello che è successo, non ti fidi di noi Angelica? Dov'è nata tutta questa diffidenza nei confronti degli altri?»
Nella mia mente si materializzò il volto di Leam. Lo scacciai, volevo dimenticarlo il prima possibile.
«Che cosa mi suggerisci di fare?» osservai il biondo.
Sul suo volto comparve un ghigno inquietante. Il biondino girò leggermente il capo nella mia direzione «Ovvio, lo facciamo fuori una volta per tutte.»
Spalancai gli occhi e balbettai «Che cavolo ti viene in mente?»
Il suo sorriso si allargò «Tu sei troppo succube nei confronti di quel bastardo. Ormai sei abbastanza forte, non sarà un problema ammazzarlo. Ne hai fatta fuori di gente in questi anni per conto dei Lùf, non sarà tanto diverso.»
«È quello che ho sempre voluto fare, ma non credo di essere ancora pronta» mi torturai la pellicina che avevo sul pollice.
«Ci sarò io al tuo fianco per ucciderlo. O vuoi stare sempre al suo gioco?»
«No!» dissi con convinzione.
In fondo Matteo e Mauro da quando erano finiti nel laboratorio, non avevano più avuto il coraggio di ritornare al villaggio, neanche per visitare le loro famiglie.
Il biondo mi diede una pacca sulla schiena «Forza e coraggio bambinetta.»
I giorno stesso, Diocle parlò del nostro piano a Diana e Sario, non ne furono molto entusiasti, anzi nacque una lite tra i tre.
Quando il biondo spiegò ai gemelli che cosa avesse fatto il capovillaggio di Ada, non erano più così contrari all'idea.
Per la prima volta nella mia vita raccontai cosa sucesse in quel laboratorio. Da quando fui deportata in quel posto, fino a quello che successe in quello stanzino.
I tre rimasero sconvolti: Sario gli venne da vomitare, Diana scoppiò a piangere, l'unico che cercò di rimanere calmo fu Diocle.
«Allora è veramente lei» disse Diana.
«Sì sono io, la creatrice di tutto» era la prima volta che lo dicevo ad alta voce, quasi non ci credevo alle mie stesse parole.
«Sai che lui tu sta cercando disperatamente?» parlò Sario.
«Lui e gli immortali non potranno mai avvicinarsi, finché la barriera sarà presente» spiegai.
«Come fanno quei esseri schifosi che dobbiamo sterminare, a superare questo tuo impedimento che tu stessa hai innalzato?» domandò il gemello.
Scossi la testa «Non saprei, forse la barriera non li riconosce come immortali. L'unica cosa di cui sono sicura che non sia opera di Leam.»
Per tutta la notte parlammo ed escogitammo un piano per ucciderlo. Il dì seguente dissi a Licerio che nei prossimi giorni sarei partita.
Sbuffò ma non mi chiese nulla, tranne di rincasare il prima possibile.
La notte la trascorsi in piena tensione e dopo le prime luci dell'alba decisi di alzarmi.
Non dissi niente ai miei amici e non li salutai neanche. La mattina presto partii, in preda all'ansia mi resi conto di essere tesa e di sudare freddo. Non era prima volta che uccidevo qualcuno che cosa mi stava succedendo?
Diocle era con me in treno, mi mise la sua mano sopra la mia «Presto sarà tutto finito bambina.»
I suoi occhi verdi erano pieni di determinazione, furono proprio loro a calmarmi. Allungai la mano libera e li sfiorai, erano così belli, quando mi accorsi cosa stessi facendo mi ritrassi immediatamente.
Passammo tutto il viaggio a guardare fuori dal finestrino senza dirci una parola. Diana e Sario erano rimasti nella villa, il loro compito era di non destare sospetti e con l'ordine di ammazzare gli esseri che si sarebbero palesati durante la notte. Aiutati da Termine e Teodoro che erano ancora dei principianti.
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